GUERRA CIVILE NEL MODENESE
La tragica estate del "44 LA
TRAGICA ESTATE DEL 1944 L'estate
del 1944 è forse il periodo, di tutta la guerra civile, se si escludono
le stragi del dopoguerra, più tormentato e nel quale, su tutto il
territorio della Provincia modenese, dalla montagna alla pianura,
attentati, fucilazioni, rappresaglie si susseguono in una
"escalation" incredibile; spaventosi eccidi vengono effettuati
dalle truppe tedesche completamente imbestialite dallo stillicidio
continuo di agguati ed uccisioni e dalle incursioni delle bande
partigiane, che dopo lo smacco subito a Montefiorino cercavano di
portare la violenza della guerriglia, quasi debellata in montagna, nelle
zone della "bassa" che, sino a quel momento, non era ancora
entrata nell'occhio del ciclone e dove si erano verificati solamente
alcuni attentati a fascisti per lo più isolati e dove ancora le
ritorsioni non avevano raggiunto la ferocia di certi episodi già
avvenuti in montagna. L'estate dunque, porta la guerra civile nella
forma più spietata anche in pianura: la lunga serie di attentati alle
fabbriche, alle ferrovie, alle colonne militari e all'uccisione di
decine e decine di fascisti tra i quali il Console della Milizia
Filiberto Nannini, del Direttore del settimanale "Valanga
Repubblicana", Corrado Rampini oltre ai moltissimi ufficiali e
soldati tedeschi, si risponde con le fucilazioni di Cibeno, d’Ospitaletto
di Marano, di Ravarino, di Rovereto, di Novi e di Carpi. E'
un vero e proprio massacro generale: i partigiani sentivano
l'avvicinarsi delle truppe angloamericane, la conquista di buona parte
del centro Italia faceva supporre che la catena appenninica sarebbe
stata superata entro l'estate. Ma la resistenza tedesca e fascista era
ancora tenace e fortissima e nelle retrovie a far le spese di questo
tremendo braccio di ferro tra le due fazioni in lotta, erano le inermi
popolazioni sottoposte ad ogni tipo di vessazione sia dai partigiani,
sia dai tedeschi e dai fascisti. Della
tremenda sequela di lutti e vendette che hanno costellato questo triste
periodo, cerchiamo di darne uno squarcio, attraverso le pagine della
stampa comunista per evidenziare con quali sistemi era condotta la
guerriglia partigiana e come tante azioni fossero predisposte con il
preciso piano organizzativo del PCI, per creare le ritorsioni. Nell'enfasi
del racconto resistenziale, nella limitatezza descrittiva per cercare di
fare apparire a tutti i costi l'avversario, solamente uno spietato e
brutale aguzzino, (infatti i fascisti sono solamente traditori e spie e
le azioni delle bande partigiane si rivelano delle perfette azioni
militari e l'onestà e la correttezza dell'azione, la bontà della
"giustizia" è ovviamente da una sola parte) non si accorgono,
questi "storici" a senso unico, di mettere in luce quel che
per tanti anni tenevano nascosto. Dalla lettura di alcune pagine
stralciate dalle "loro storie" e che prenderemo in esame, il
lettore, che non abbia già subito il lavaggio del cervello della
martellante propaganda comunista, durata cinquanta anni, potrà rendersi
conto che la "brutalità" nazi-fascista non era poi tanto
diversa dalla "giustizia" di chi combatteva lo spietato "moloch"
che sino ad oggi hanno descritto. Vediamo
dunque una serie di "pregevoli" azioni partigiane: "Dalla
fine di Luglio fu soprattutto un ininterrotto appostarsi notturno di
gappisti - spesso in collaborazione con sappisti - sulle strade, con
decine e decine di attacchi agli automezzi tedeschi e fascisti. Poiché
di giorno essi rischiavano il martellamento da parte dell'aviazione
alleata, avevano deciso che gli spostamenti si effettuassero di
preferenza nella notte ma incapparono, appunto nella vigilanza
partigiana....si registrarono par Luglio, tutto Agosto e per i mesi
successivi, decine e decine di attacchi ad autovetture ed autocarri, che
molte volte portarono a vivaci scontri a fuoco, con talora qualche
ferito da parte partigiana per lo più senza perdite dei patrioti,
mentre assai spesso sono gli automezzi nemici a rovesciarsi nei fossati
ai lati della strada. E' constatato subito dopo l'attacco o il giorno
successivo, un certo numero di morti e di feriti tedeschi e fascisti."(1) E
a commento di queste "perfette azioni militari", basate sulla
tecnica del "colpire e fuggire" che noi, forse con maggiore
obbiettività, chiamiamo agguati ed imboscate, nella storiografia
partigiana, viene anche descritta la tecnica usata: “L’attacco
ai convogli veniva effettuato con 5 persone. Una staffetta veniva
sistemata a circa 150 metri. Quando arrivava un camion o una macchina di
notte(..) ce lo segnalava. Gli altri quattro uomini erano appostati
(dietro a una siepe o dentro un fosso); due affiancati a 150 metri dalla
staffetta un altro dopo dieci metri, il quarto dopo altri 10-15 metri.
Come il camion si avvicinava, i primi due, se si trattava di automobile
rafficavano nella cabina, se di camion rafficavano uno nella cabina, uno
nel cassone .
Indiscutibilmente l'automezzo sbandava e (anche se il conducente
era morto) andava avanti almeno una decina di metri, finendo presso il
partigiano armato di bombe a mano che se ne serviva abbondantemente.
L'ultimo era di riserva in caso fosse necessario un ulteriore intervento
a mitra o bombe a mano."(2) Il
testo prosegue con un altra serie di "eroiche azioni" che
riteniamo opportuno proporre ai lettori per dimostrare che quanto poi
andiamo a raccontare nella parte cronachistica non è frutto di nostre
invenzioni o di sole testimonianze di parte fascista, anche perché la
quasi totalità dei documenti, delle testimonianze e delle pubblicazioni
è, purtroppo, quasi esclusivamente di parte resistenziale. "Tra
i tanti episodi, ricorderemo gli attacchi del 12 Agosto a Sozzigalli e
Quartirolo a due automezzi tedeschi che vengono messi fuori strada, con
un tedesco ucciso, un ufficiale ed un soldato feriti; del 14 Agosto
ancora presso Sozzigalli, con morti e feriti nemici; dello stesso 14
agosto presso Campogalliano; del 15 a Ponte Nuovo di Santa Croce, con un
colonnello ed un capitano uccisi e due soldati feriti; del 17 a un
autocarro presso Novi; del 18 da parte dei Gap 27 a Fossoli contro una
vettura ed un autocarro, con un intenso scontro a fuoco durante il quale
veniva ferito un partigiano; dello stesso 18 da parte dei gap 34 sulla
strada Modena-Carpi con un violento scontro durante il quale rimaneva
ucciso un partigiano e venivano uccisi due tedeschi ed uno restava
ferito; del 20 presso San Prospero ad una colonna di tre macchine, con
un ufficiale tedesco ucciso e sette soldati feriti; del 22 presso
Quartirolo da parte dei gap 28, con quattro nemici feriti; del 25 presso
Fossoli da parte dei gap 40 e del 29 nella stessa località da parte dei
gap 21. Proseguirono
pure, come era di dovere, i colpi contro i caporioni ed aguzzini, i
traditori, le spie. Il 5 Luglio i gap 2 e 23 attaccavano presso Gargallo
una vettura su cui transitavano i tristemente noti gerarchi repubblicani
Foroni, Nellusco Gasparini e Rapieri, che risposero al fuoco e
riuscirono a fuggire. Più di una volta appostamenti ed incursioni nelle
case di scherani fascisti non portarono all'esecuzione decretata perchè
costoro riuscivano a fuggire o non si trovavano in casa, ma spesso in
tal caso, i gappisti tornavano però con un certo bottino di armi. Ma la
giustizia popolare finiva comunque, presto o tardi, per colpire. Così
Alvise Foroni, sfuggito al primo attentato, fu fatto fuori il 12 Luglio
insieme con la sua amante e complice Olga Corradini. Il 10 Luglio un
altro squadrista aguzzino era stato giustiziato ad Albone di
Campogalliano. il 15 Agosto è invece la volta di un altro truce
individuo, il colonnello (console) della milizia Nannini."(3)
In
questo brano si compendia tutta la cattiveria e l'arroganza di certa
partigianeria: i fascisti, secondo il loro copione, vengono sempre
gratificati di appellativi quali, traditori, spie, aguzzini, truci
individui, e la "giustizia popolare" trionfa sempre, tacendo,
nel contempo, che il Console Nannini venne assassinato in modo vigliacco
in uno stradello di campagna alla periferia di Carpi mentre in
bicicletta, assieme alla moglie ed al figlioletto in tenerissima età,
che teneva in braccio e che venne ferito, stava ritornando dalla
scampagnata ferragostana. Vedremo in seguito quali tristi conseguenze
abbia portato quella sorta di "giustizia" partigiana. Ma
nello stesso modo vogliamo sottolineare come
questi "ribelli" trattassero i loro prigionieri, sempre
attraverso le "storie" da loro stessi raccontate e messe in
bella mostra come avessero compiuto gesta eroiche: "Bruschi
Ermanno..gli ultimi due mesi, prima della liberazione, li passò a
Paganine. Solo e temerario, egli condusse fino alla fine la sua lotta
personale contro tedeschi e fascisti. Aveva preso l'abitudine di andare
a caccia di uomini. Un giorno durante una di queste cacce, s'imbattè in
un tedesco, un graduato; lo sopraffece e lo consegnò da custodire ad un
mezzadro. Alla sera un gruppo di noi andò a prelevarlo per fucilarlo.
Eravamo tutti di Paganine: Nascimbeni Rolando, Torri Athos, Gibellini
Onorio, Gibellini Zorro, Benedetti Luigi ed io. (Prandini Vittorio) Senza
nemmeno legargli le mani lo portammo in un podere a circa 2 Km, dove il
mezzadro aveva già scavato la fossa. Ricordo che c'era l'erba, era
quindi primavera e che l'erba era bagnata. Quando arrivammo sul posto
lo mettemmo vicino ad un albero per sparargli. A questo punto
accadde qualcosa che non dimenticherò mai: l'episodio è rimasto in mè
come il senso stesso della guerra, degli orrori che porta con se e della
degradazione che opera nelle coscienze di coloro che ne sono coinvolti.
Quando fummo per sparare al prigioniero, cominciammo a litigare tra noi,
a darci spintoni, c'incattivimmo, perché ognuno voleva essere lui a
sparare. Il tedesco non capiva l'italiano, ma sapeva che sarebbe stato
ammazzato, che per lui non c'era scampo e vedeva anche lo squallido
spettacolo che offrivamo; allora gridò "Heil Hitler" e tentò
la fuga: Nel buio lo perdemmo di vista, ma qualcuno di noi sparò una
raffica di mitra e lo colpì a caso. Un altra raffica lo finì."(4) Non
c'è alcun bisogno di commento: ma dallo stesso autore stralciamo un
altro brano significativo: "L'esercito
tedesco era in ritirata. (erano stati catturati dei prigionieri N.d.R.):
A questo punto ci chiedemmo che fare dei due tedeschi. Uno propose di
pugnalarli, per non segnalare la nostra presenza a quella colonna in
marcia, che in linea d'aria era abbastanza vicina; ma tutti gli altri
dissero di no. Decidemmo per un colpo alla nuca e così facemmo. Li
seppellimmo in fretta e ci avviammo verso Paganine.”(5) Era
una lotta micidiale, senza esclusione di colpi, da entrambe le parti. I
rastrellamenti tedeschi e fascisti, in realtà, più che rendere un
contributo sostanziale all’eliminazione del "fenomeno"
banditismo, servivano più a terrorizzare le popolazioni e a portare
acqua al mulino della campagna dell'odio che i partigiani comunisti
alimentavano a più non posso e che loro stessi cercavano di provocare
artatamente con un cinismo programmatico attraverso attentati ed
uccisioni indiscriminate, onde ottenere questi effetti. Conferma
questa realtà il partigiano, giornalista e storiografo della
Resistenza, Giorgio Bocca che, in un suo articolo, parlando
dell’aspetto del terrorismo degli anni settanta-ottanta, così
scriveva: "Il
secondo argomento su cui invito a riflettere è quello riassunto da una
parola che per noi conserva un significato di angoscia e di paura:
rastrellamento. Voglio dire il criterio a cui starebbero approdando
alcuni organi di polizia e di indagine giudiziaria: pescare a mucchio
negli ambienti sospetti, sia a sinistra che a destra, così come il
rastrellamento arrestava in massa quando incontrava nelle zone
perlustrate, e poi vedere se nel mucchio è capitato qualche terrorista
vero. Come
ex partigiano e storico della guerra partigiana vorrei ricordare a chi
riscopre oggi questa tecnica, che l'unico risultato dei rastrellamenti
è stato di aumentare il numero dei partigiani e dei loro simpatizzanti
( ci fu anzi un terrorismo partigiano e rivoluzionario che aveva per
compito precipuo o complementare, proprio quello di provocare
rastrellamenti, di coinvolgere il maggior numero di persone). Il
che non significa che io intendo equiparare i partigiani di allora ai
terroristi di oggi; intendo solo sottolineare dei rapporti di causa ed
effetto."(6) Ma
di questa realtà, che traspare appena tra le righe di ben pochi
storiografi partigiani o di ex partigiani veri se ne è ben poco parlato
e l'opinione pubblica non ne è per nulla a conoscenza. E' stato molto
più facile a tutti i "pennivendoli di regime" di questi
cinquanta anni, servire la verità del padrone, descrivendo episodi
gonfiati, facendo apparire ciò che non è stato, nascondendo le verità
e pertanto facendo credere alle nuove generazioni che la partecipazione
alla lotta partigiana ebbe un adesione pressoché totale della
popolazione e che, quei pochi, pochissimi che si erano legati al
nazifascismo non erano altro che dei venduti, dei violenti o dei
corrotti e alcuni altri, rarissimi, erano solamente accecati da
"ingenua fede".(7) Tutto
questo è stato volutamente falsato poiché la realtà di quel periodo
è stata ben diversa. Furono centinaia di migliaia, come abbiamo visto,
i giovani "accecati", che aderirono al fascismo repubblicano e
tra essi la maggioranza era composta da volontari, che portarono, in
quella terribile lotta, che a molti poteva sembrare illusoria ed
impossibile, la loro disperata ed adamantina fede in quanto non si può
essere ciechi, o corrotti, o ignavi, quando si combatte e si va’ a
morire per un ideale che altro non era che ideale di Patria e di libertà
dai vari eserciti stranieri che calpestavano il suolo italiano. Ed
erano di gran lunga superiori, come numero, a quelli che avevano scelto
la strada della montagna. E'
giunto il tempo di sfatare certi luoghi comuni e vedere la storia di
quegli anni, senza acredine e senza desideri di vendette, nelle giuste
proporzioni, per una migliore conoscenza del proprio passato e delle
proprie origini; per una vera opera educativa in termini storici. Ma
tutta la storia della partigianeria ha molti vuoti e molte lacune,
volute e ricercate. Nella
recensione di un libro di uno storiografo della resistenza del modenese,
l'autore dell'articolo commenta, in modo corretto quelle valutazioni,
con un giudizio che riportiamo, e che vorremmo far nostro: "Il
punto più delicato, quello facilmente destinato ad incontrare la
curiosità di chi legge e, talora, il dissenso di chi ha vissuto negli
anni '30 e'40, è ovviamente la sezione sulla Resistenza (specialità
nella quale l'Alberghi è, per suo conto, versatissimo, avendo già
pubblicato un migliaio di pagine in materia). Si
tratterebbe in primo luogo, di sapere quale fu la reale incidenza del
fenomeno resistenziale sulla durata della guerra: dopo l'effimera
parentesi, seppur d'alto valore morale, della Repubblica di Montefiorino,
l'autore scrive che gli attacchi partigiani alla Via Giardini del 10
Aprile 1945 furono una manovra diversiva (P.157) ed agli insorti rimase
il solo compito di ripulire i territori della residua presenza di
nazifascisti in fuga.(159) Fu vera gloria insomma? In secondo luogo
occorrerebbe conoscere come stavano le cose, e dalla parte dei montanari
c'era effettiva adesione di popolo alla "gravosa necessità delle
requisizioni"(151) o alle azioni partigiane con successivo
"sganciamento" ( quante volte ricorre questo eufemismo! ) che
lasciavano i residenti inermi in balia di rappresaglie, costate
addirittura 80 morti per una fucilata (pag.148)? Perché tanti, in
Frignano se si tenta oggi di farli parlare dei partigiani, se non ti
confidano cose irriferibili commentano epigrammaticamente : "curag,
ca scapuma!". A
queste grosse domande (che si riducono ad una sola: la presa effettiva
del fascismo tra i montanari) l'Alberghi non risponde: anzi non se lo
pone nemmeno: ci sa dire quanti si arruolarono per la Spagna dalla parte
"giusta", ma non dall'altra: parla di un certo interesse per
le vicende etiopiche ma senza scendere nei particolari.(8) Lo
stesso articolista concorda poi che i tempi non sono ancora maturi per
una storia obbiettiva; ma quando si è instaurato per tantissimo tempo,
un clima di omertà e di paura, che ancora oggi permane tra quelle
popolazioni che difficilmente, se vengono interpellate, parlano
apertamente delle "gesta" dei partigiani e tanto meno sono
disposti a rilasciare testimonianze firmate, in clima di tal genere è
estremamente difficile poter fare della storia sulla base di
testimonianze credibili e serene; e purtroppo sarà molto difficile per
gli storici futuri affrontare questo periodo, poiché tutte le
argomentazioni della parte sconfitta o sono andate distrutte o rimangono
nei piccoli ricordi personali. Se il clima di paura e di persecuzione
rimarrà ancora per un certo tempo, gli ultimi testimoni di quelle
tragiche giornate si porteranno i loro ricordi nella tomba e resteranno
così solamente quelli di una sola parte, per di più manipolati e
forzati; la storia verrà così ricostruita in modo parziale e non
obbiettivo. NOTE 1 cfr. Pacor-Casali: "Lotte sociali e
guerriglia in pianura" pag. 99. 2 ibidem pag. 127 3 ibidem pag. 100 4 V. Prandini: "Tra paesani e compagni"
pag.,. 241 5 ibidem pag. 250 6 cfr. articolo di Giorgio Bocca sul settimanale L'
Espresso di Ottobre 1980, dal titolo: " Calunniate, calunniate,
qualcosa resterà" 7 cfr. Pacor-Casali, op. cit. pag. 111 8 cfr. articolo sul quotidiano, "Giornale
Nuovo" del 18 Gennaio 1981, in cronaca modenese, a firma; F.M. e
dal titolo: "Tra le righe si intravedono anche i "compagni
assassini". Recensione del libro di P. Alberghi: "Quaranta
anni di storia montanara."
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