I contrasti tra le forze partigiane

GUERRA CIVILE NEL MODENESE

 

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 I contrasti tra le forze partigiane

I CONTRASTI TRA LE FORZE PARTIGIANE

 Nell'analisi della storiografia resistenziale, tra i tanti autori che si sono cimentati nella ricostruzione e nell'esame dei fatti di quegli anni, abbiamo potuto costatare che sono sorte dispute accesissime e discussioni a non finire: molte di queste pubblicazioni hanno messo in evidenza le lotte intestine, feroci e violente che sono avvenute tra le varie consorterie che hanno preso parte alla "resistenza". La maggioranza dell'opinione pubblica non n’è mai venuta a conoscenza, anche perché la quasi totalità di tutta questa carta stampata è rimasta nella cerchia ristretta degli "addetti ai lavori".

Le celebrazioni ufficiali e i mass-media hanno sempre concordato le visioni unanimistiche, esaltando l’epopea" nelle celebrazioni ufficiali nei testi che copiosamente hanno prodotto, nei film e nei programmi televisivi visti sempre in un ottica celebrazionistica, dove sono osannati i "valori" della resistenza e demonizzati manicheisticamente gli avversari.

In questo modo, senza produrre nessun serio dibattito, senza aver fatto delle ricerche storiche obiettive, si è presentato in modo scorretto a generazioni e generazioni di giovani quel periodo, facendo loro credere che la "resistenza" sia stata una vera lotta di popolo e che tutti gli italiani vi abbiano partecipato con entusiasmo e piena coscienza mentre solamente una strettissima minoranza spalleggiava l'invasore tedesco.

Niente di più falso poiché la verità sarebbe al suo giusto contrario. Riteniamo sia utile rilevare tutte le contraddizioni e perché nò tutti i falsi che sono evidenziati dalla loro stessa storiografia, affinché il quadro di quella spaventosa guerra civile possa finalmente apparire nella sua giusta luce.

Nel prendere in esame quest’aspetto di quel periodo storico, ci siamo serviti esclusivamente di fonti dichiaratamente antifasciste.

Cominciamo pertanto dal momento in cui, dopo l'8 Settembre, la maggior parte dei militari italiani si trovò sbandata senza più sapere in chi credere e in chi obbedire, e con il rischio di cadere nelle braccia dei tedeschi che, ben organizzati e ancora consci della validità della loro battaglia, in un battibaleno avevano preso in mano la catastrofica situazione italiana.

La prima grossa polemica, all'interno delle forze antifasciste emerge nell'esaminare quale fu la sorte e da chi furono recuperate le armi e le munizioni abbandonate dagli Allievi dell'Accademia Militare di Modena nelle zone attorno a Lama Mocogno dove si trovavano, in quei giorni, per il campo d’addestramento estivo e che si sparsero in mille rivoli in improvvisati nascondigli, ben facilmente identificabili o nelle abitazioni dove si rifugiarono i cadetti alla ricerca d’abiti civili, al momento del "tutti a casa".

E' evidente che questo grosso serbatoio d’armi e materiali faceva gola a molti ed è stato la causa principale per l'insediamento delle bande armate in quelle contrade. I primi "ribelli" che vennero a conoscenza dell'enorme bottino da razziare ebbero la possibilità di armarsi creando poi tutte quelle situazioni conflittuali, anche gravissime, che si vennero a collocare nella zona di Montefiorino.

Gli autori resistenziali, nelle loro storie, si scambiano accuse di vario tipo nel cercare di provare chi furono i primi ad accaparrare le armi, accusando senza mezzi termini, di falso, le affermazioni degli uni o degli altri.(1)

Dissensi dunque all'interno dello stesso schieramento antifascista: i rappresentanti liberali e democristiani del CLN entrarono in urto con quelli comunisti che erano certamente convinti di dover creare, anche nel modenese, i presupposti della guerra civile attraverso azioni violente, mentre i moderati erano sicuramente contrari ad ogni violenza che avrebbe determinato, sicuramente, gravissime ritorsioni da parte dei tedeschi. I rappresentanti socialisti dimostrarono d’essere favorevoli ad una tattica attendista e portarono ad una vera lacerazione, specialmente nei primi tempi, il fronte antifascista.

Quanto poi i partigiani comunisti fossero in contrasto con i pochi gruppi democristiani e li accusassero di vigliaccheria e inettitudine, è dimostrato da innumerevoli scritti e da varie testimonianze riportate dalla storiografia comunista e della quale riportiamo alcuni squarci:

 "Verso l'inverno 1944-45 andammo in montagna con una formazione di perseguitati politici, militari, ebrei, polacchi ecc. Andammo verso Levizzano, poi a Serramazzoni e da quì a Puianello dove ci imbattemmo nella "Brigata Italia", democristiana comandata da "Marcello". Appena giunti, i democristiani ci hanno disarmato dicendo che le nostre armi non ci sarebbero servite a passare il fronte e se proprio c'era bisogno di combattere loro ci avrebbero assistiti e difesi. Poi il comando democristiano mise alla testa del nostro gruppo due staffette con l'incarico di far passare il fronte a tutti gli uomini che avevamo accompagnato fin là.

Dopo un pò nei pressi di Boccasuolo le due staffette si dileguarono piantandoci in asso. Noi non conoscevamo quei luoghi e per timore di portare tutta quella gente nelle mani dei tedeschi, che avrebbero senza dubbio compiuto una strage, tornammo indietro disposti a tutto pur di farci restituire almeno le armi. Giunti di nuovo alla base della Brigata Italia trovammo in un casolare i democristiani ubriachi e non fu difficile prendere loro le armi. Nella nostra formazione tutti avevano fame, ma i democristiani, sebbene avessero cibo in abbondanza (godevano infatti di numerosi e abbondanti lanci paracadutati e tenevano un magazzino custodito da un prete con ogni ben di Dio) si rifiutarono sempre di dar da mangiare a tutti quei poveri sfollati.

Così delusi ed affamati dopo che i DC per l'ennesima volta si rifiutarono di aiutarci anche minimamente, fummo costretti, in parte a riprendere la marcia verso valle."(2)

 Dopo questa dimostrazione di solidarietà e di reciproca stima da parte degli schieramenti partigiani di diversa matrice, ma che avrebbero quantomeno dovuto avere un briciolo di solidarietà, in quanto "combattevano" lo stesso nemico, è interessante sentire anche il parere di uno dei capi comunisti più importanti:

 "Le nostre formazioni si trovavano in condizioni di inferiorità rispetto a quelle poche centinaia di partigiani che erano inquadrati nella Democrazia Cristiana.

Questo partito aveva la possibilità di alimentare in modo regolare le sue poche centinaia di persone, perché pagava direttamente con soldi, cosa che faceva molto piacere alla popolazione in quei momenti di bisogno. Ogni partigiano democristiano era del tutto attrezzato, tanto che il loro sembrava un campeggio estivo in tempo di pace; ognuno mangiava con la sua gavetta regolare. Il ché non era giusto perché noi quello che avevamo lo dividevamo, cosa che non avveniva affatto da parte della Democrazia Cristiana".(3)

 I rapporti, tra le due componenti della sinistra marxista, socialisti e comunisti, che in teoria avrebbero dovuto essere per lo meno univoci, non furono, nel modenese, improntati ad una visione da "fronte popolare" e violentissime accuse si scagliarono queste due fazioni, sino alla rottura all'interno del CLN; a confermare quanto la volontà del PC fosse quella di portare a tutti i costi la guerriglia partigiana sul piano del terrorismo, con il relativo sfruttamento propagandistico della rappresaglia tedesca, scatenando pertanto la guerra civile anche sulle spalle dei loro compagni, è sufficiente citare quanto lo stesso commissario politico che ha bollato di inettitudine i democristiani scrive dei socialisti:

 "Anche i socialisti parteciparono in una certa misura, ma in misura molto lieve. Comunque anche i socialisti e soprattutto i vecchi socialisti, erano del principio di non turbare i tedeschi per impedire delle rappresaglie massicce. C'è un episodio di Mirandola: i vecchi socialisti, con il pretesto di una azione da compiere, si erano fatti consegnare le armi dai comunisti e le avevano nascoste, pensando così di disarmare i comunisti ed impedire le loro azioni. Questo spirito di attesismo, questa paura era anche in parte condivisa da una minoranza di vecchi compagni comunisti che non volevano delle azioni attorno a casa loro; per questo noi dell'organizzazione militare intendevamo agire in piena libertà rispetto anche all'organizzazione politica e demmo l'ordine di operare indipendentemente dalle conseguenze che potevano capitare anche ai vecchi compagni ed alcuni vecchi compagni furono colpiti proprio per non essersi voluti distaccare dalle loro abitazioni per non essere voluti scendere sul terreno della lotta.....La lotta ha delle esigenze crudeli e noi dovevamo essere inesorabili."(4)

 Il cinismo che traspare da queste dichiarazioni stà a dimostrare quanto il disegno comunista fosse preordinato e mirante alla distruzione fisica dell'avversario passando anche sopra ai compagni più tiepidi e meno disposti a cadere nella tragica spirale della guerra fratricida; linea di condotta dell'internazionale rossa perseguita in tanti paesi del mondo, sia prima che dopo il secondo conflitto mondiale e portata avanti sino ai giorni nostri.

Anche altri autori resistenziali insistono sulla scarsa presenza socialista alla lotta partigiana nella Provincia di Modena e sottolineano i dissidi nati tra le due differenti concezioni ideologiche della sinistra marxista.

 "Il partito socialista non sostenuto da una iniziativa internazionale come invece era stato per i comunisti, diviso e frantumato dalle numerose scissioni dei primi anni venti, con gravi difficoltà in merito ad una riflessione sulle cause del crollo del 1920-22, quasi ripiegò su sè stesso riandando (col pensiero) alle antiche battaglie, alle antiche vittorie e attese tempi migliori. L'incarico di riorganizzare il partito modenese fu affidato da Giuseppe Romita a Gaetano Bertelli, il 26 Luglio 1943 da tale data, riprese, sia pure con grosse difficoltà (Alberghi, storiografo della resistenza locale n.d.r. nega qualsiasi presenza socialista organica in tutto il periodo badogliano) la trama organizzativa ed il tesseramento al partito socialista."(5)

 La difficoltà, poi del non aversi saputo creare una classe dirigente giovane, sempre secondo questi autori, bloccò successivamente qualsiasi possibilità di iniziativa da parte dei socialisti. Infatti il 16 Ottobre 1944, il comitato Provinciale socialista non collaborava ancora con i comunisti, rifiutandosi di costituire a Modena la "giunta d'intesa" con il PCI e ancor più nei mesi precedenti aveva messo il bastone tra le ruote all'organizzazione degli scioperi nelle fabbriche e non aveva dato nessun aiuto alle organizzazioni giovanili della sinistra nè ai gruppi femminili.(6)

I contrasti tra le varie componenti locali del CLN furono sempre roventi e, anche a guerra finita, tali controversie continuarono con reciproci scambi di accuse ed insulti vari.

Molti autori resistenziali concordano nel ritenere che l'operato del CLN fu, da un certo punto in poi, praticamente nullo e che pertanto nel movimento partigiano ebbero libera strada le formazioni autonome e le formazioni comuniste(7) e che dalla primavera del 1944 la lotta armata diventò di loro monopolio.

Vediamo anche quale fu e come poi sia continuata, la valutazione delle forze non comuniste del CLN nei confronti di chi perseguì con ostinazione la ricerca della guerra civile e come sia stata condotta con sistemi spietati e fondamentalmente inutili per le operazioni militari sul fronte italiano e di conseguenza sul risultato finale di quel tremendo conflitto.

 " Il partito d'Azione e la Democrazia Cristiana, com' è noto, erano contrari ad ogni tipo di attività condotta dai comunisti in quel periodo. L'uccisione sporadica di qualche milite o di qualche fascista poteva sì seminare la paura nelle file avversarie, ma non era certamente di efficacia risolutiva ai fini della dissoluzione della RSI: poteva anzi alimentare nei fascisti una disperata volontà di resistenza e difesa. Ma soprattutto l'uccisione di semplici militi o di figure di secondo piano, col metodo dell'imboscata, non incontrava l'approvazione della maggioranza della popolazione, anche prima che ad alimentare questa opinione contribuisse lo scatenarsi delle rappresaglie. Per quanto riguarda poi gli ordigni esplosivi collocati sui binari, quasi sempre essi avevano come risultato di arrestare e provocare nei treni viaggiatori, specie quando si trattava delle ferrovie che collegavano Modena con la Provincia, con la conseguenza di provocare lamentele e malcontenti......omissis.....Ecco perché, in una previsione di questo genere, lo stillicidio degli attentati, anche se fossero stati rivolti contro i soldati tedeschi, non avrebbe avuto un grande valore. Partecipi dell'opinione generale, democristiani e azionisti ritenevano che il compito della resistenza, per prepararsi all'imminente passaggio della guerra nella Provincia di Modena, fosse quello di organizzarsi in pianura e di agire in montagna per conquistare la libertà di movimento. Ecco perché il loro interesse, anche nella primavera del 1944 si indirizzava prevalentemente verso la montagna. Ma, dopo il fallimento della iniziativa unitaria della "spedizione Bandiera", i tre partiti (comunista, azionista e democristiano) rivolsero la loro attenzione e la loro attività nei confronti della montagna separatamente, se non in modo concorrenziale."(8)

 Questa interpretazione, oltremodo discutibile e non completamente realistica, è ugualmente importante nel valutare appieno il disaccordo tra le forze partigiane; nello stesso tempo serve per capire quanto fossero succubi della strategia del PCI, cioè della lotta armata fatta di sola violenza e senza esclusione di colpi portata avanti durante la guerra civile, rinvigorita dopo la sconfitta dell'asse e accettata supinamente, con ben pochi "distinguo", negli anni a seguire e ormai data per scontata e del tutto acquisita anche da quelle forze che furono, dalla componente comunista, tenute in ben scarsa considerazione e che, nella realtà, ben poco fastidio diedero sul piano militare.

Lo stesso partito d'Azione, che in una certa misura, almeno all'inizio della guerra civile, ebbe qualche peso nella costituzione delle prime bande di "ribelli", fu praticamente estromesso, in primis, per un 'azione fascista che portò alla cattura dei maggiori esponenti di quel partito, cattura che sempre secondo la storiografia resistenziale avvenne per effetto di una delazione, in secondo luogo per l'uscita di scena dalla lotta, a causa delle ferite sofferte in un combattimento, del Comandante dei raggruppamenti partigiani del Partito d'Azione, Leonida Patrignani.

Ma anche i democristiani non ebbero grande peso a sentire le loro stesse fonti e giustificano il loro insuccesso alla limitatezza dei gruppi ed alla loro inesperienza, precisando invece che i comunisti l'esperienza l'avevano fatta, in particolare in quell'altra carneficina che è stata la guerra civile spagnola, dove, non bisogna dimenticarlo, furono colpiti dagli stessi "rossi", i cattolici, con il massacro premeditato di migliaia di preti e con la distruzione di centinaia di chiese, operazione che era anche nei programmi dei comunisti italiani di quei tempi e che solo parzialmente è stata portata avanti, semplicemente perché la nostra area è rimasta sotto controllo degli anglo-americani.

Ma qui in Italia, con spirito veramente masochistico, i democristiani cospiravano a braccetto con i loro persecutori comunisti di sempre, attraverso i nuclei dell'azione cattolica, nelle sagrestie, nelle chiese e nel CLN.

Difatti a Modena, andando a pescare dalle diverse associazioni giovanili dell'azione cattolica, si formarono gruppi clandestini a San Faustino, a Sant'Agnese, a San Lazzaro, a San Biagio e al Duomo, con a capo principalmente i fratelli Irmo e Giuliano Messori, Gianfranco Ferrari, Gabriele Amorth, Bruno Bonilauri, Germano Chiossi, Gino Giovanardi e Tonino Corni.

Altri piccoli gruppi democristiani si formarono a Corlo, Magreta, Fiorano, Torre Maina, Freto, Pazzano e San Giacomo Roncole. Vennero anche stampati, da queste frange cattoliche, due o tre numeri di un foglio democristiano chiamato: "La Punta".(9)

Malgrado questa attività, i gruppi democristiani, sempre secondo il parere dei loro storiografi, commisero vari errori e compromisero "quell'equilibrio politico che avrebbe potuto rendere evidente agli occhi di tutti il carattere di lotta nazionale della resistenza."(10) 

Da queste considerazioni viene fuori un altra verità molto interessante, che conferma quanto la  resistenza sia stata, oltre che inutile, estremamente crudele, difatti:

 " Da una meno scoperta strumentalizzazione politica, da una più aperta qualificazione nazionale e patriottica, da un contenimento delle manifestazioni di violenza e di crudeltà, la Resistenza avrebbe avuto tutto da guadagnare, specialmente nei confronti di quegli strati della popolazione, le cui simpatie furono alienate proprio dalla politicizzazione e dagli eccessi che caratterizzarono la Repubblica di Montefiorino."(11)

 Ma il discorso si approfondisce maggiormente laddove si lascia intravedere una responsabilità comunista per certi insuccessi degli altri partiti che, sia a Modena che in tante altre zone del Nord Italia, non ebbero alcuna possibilità d'azione a causa della protervia rossa, che ha sempre agito in funzione di una visione esclusiva e particolarista della lotta partigiana al fine del raggiungimento del potere marxista che doveva servirsi anche degli altri partiti, per poi eliminarli. Si intravede, dunque, in tante valutazioni di certa storiografia non comunista, la precisa accusa verso la componente rossa per certe eliminazioni dei vertici partigiani degli altri partiti, fatti dagli attacchi fascisti e tedeschi ma con molta probabilità indirizzati da infiltrati o da delatori messi artatamente tra le file fasciste. Ad esempio:

 "Gli arresti che scompaginarono il Partito d'Azione e della Democrazia Cristiana furono indubbiamente frutto di circostanze sfortunate, ma anche, come si è detto di inesperienza in materia cospirativa. I Comunisti, che in questo campo erano maestri, pur pagando un altissimo contributo di sangue alla resistenza, non subirono mai retate e arresti a catena fra i loro quadri dirigenti."(12)

 Ovviamente il contributo di sangue "rosso" fu pagato, nella maggioranza, dai militanti di base, mentre i caporioni non subirono nessuna persecuzione, come al contrario avvenne per gli altri partiti. Sembra però incredibile che i vari socialisti, democristiani, liberali ecc. non si siano mai chiesto l'esatto perché di tale modo di comportarsi  e tutto questo non può ricadere solamente sulla inesperienza degli uni e della praticità alla lotta clandestina degli altri.

Sarebbe stato sufficiente andare a consultare i fatti della storia per rendersi conto, come in tante altre situazioni analoghe manovrate da Mosca, i compagni di viaggio dei comunisti, dove questi sono andati al potere anche con l'aiuto degli "utili idioti", sono sempre stati scaricati e in malo modo, dall'arroganza e dalla violenza; le strade d'Europa sono disseminate da migliaia e migliaia di fosse di questi occasionali compagni di viaggio dei comunisti ed anche di comunisti in peccato di eresia.

Delle efferatezze e degli eccessi compiuti nella nostra Provincia, in particolare su quelli avvenuti durante il periodo della cosiddetta "repubblica di Montefiorino", avremo modo di trattarli nell'apposito capitolo e in quelli della cronaca: ma va’ pur detto che di questi fatti di violenza, che la componente democristiana attribuisce solamente ai comunisti, molti furono avvallati dai componenti del CLN, dove erano presenti anche i democristiani, che pertanto devono essere ritenuti, quanto meno, complici se non responsabili di tante esecuzioni sommarie.(13)

 NOTE

 1   cfr. E Gorrieri: "La Repubblica di Montefiorino", pag. 32-33.

         L. Casali: "Storia della Resistenza a Modena", pag. 203-204.

         ISR Rassegna di storia, Aprile 1985, pag. 169-187.

2   cfr. Prati-Rinaldi: "Quando eravamo i ribelli" pag. 259.

3   cfr. O.Poppi: "Il commissario", pag. 41.

4   ibidem pag. 30

5   cfr. L. Casali, op. cit. pag. 91

6   ibidem pag. 93

7   cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 244

8   ibidem pag. 245

9   ibidem pag. 252

10  ibidem pag. 253

11  ibidem

12  ibidem pag. 255

13  cfr. "Lotta di liberazione nella bassa" pag. 84 e segg. anche in P. Alberghi. "I Partiti e il CLN"

 

 

 

Manifesto del PCI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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