25 Luglio 1943

GUERRA CIVILE NEL MODENESE

 

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 Tra cronaca e storia

25 LUGLIO 1943

Per una congiura di palazzo crolla il Regime Fascista; quel regime che aveva fatto uscire l’Italia dalla drammatica crisi del primo dopoguerra e che, nei suoi venti anni di vita ebbe, per un lunghissimo periodo, il consenso della maggioranza del popolo italiano. (1)

Nella notte tra il 24 e il 25 Luglio, il Gran Consiglio del Fascismo approvò un ordine del giorno proposto da Dino Grandi (2), che diede la possibilità a Vittorio Emanuele III*, di procedere alla destituzione del Capo del Governo, Benito Mussolini, sostituendolo con il Maresciallo Pietro Badoglio. (3)

Il colpo di Stato, ordito nel bel mezzo di un conflitto mondiale e con la presenza del nemico sul nostro territorio, fu voluto da pochi dissidenti fascisti che si ripromettevano di sostituire il “Duce” con il triumvirato, Ciano-Grandi-Federzoni; ma il piano in parte fallì per il drastico intervento del Re e del Maresciallo Badoglio. (4)

La Monarchia, decisa a porre fine al Regime Fascista, già da tempo manovrava a tal fine, una volta effettuato il “golpe”, non si servì dei congiurati che l’avevano programmato e tanto meno fece appello, per la formulazione del nuovo governo, a personalità politiche antifasciste per la paura di un’immediata e violenta reazione tedesca. Provvide, di conseguenza, a creare un governo transitorio composto, in gran parte, da funzionari ministeriali. (5)

Malgrado quest’atteggiamento, la reazione tedesca fu immediata e ragionevolmente prevedibile. Già il 26 Luglio, sotto l’impressione di quanto era accaduto, è bene non scordarsi che i tedeschi, sino a quel momento, erano legati agli italiani da uno stretto patto di alleanza, Hitler disse di voler far marciare su Roma la 3* Divisione Panzergranadieren, per catturare Badoglio ed entrare in Vaticano; tuttavia, nei giorni successivi, si rese conto che la situazione italiana era molto seria e di conseguenza si sarebbero dovute inviare in Italia truppa ideologicamente sicura e solamente le Divisioni SS potevano dare tale garanzia. (6)

Fu crisi interna al Regime, determinata e dallo sfavorevole andamento della guerra e dalle preoccupazioni della Monarchia di salvare la corona; nessun intervento di altre forze e tantomeno delle varie componenti antifasciste che si trovarono di fronte ad una realtà nemmeno da loro stessi ipotizzata.

Promotore dell’iniziativa destinata a far cadere, dopo venti anni d’assoluto potere, il Fascismo, fu il Conte Dino Grandi, che era stato uno dei principali protagonisti della Rivoluzione Fascista e che ricoprì la carica di Ministro degli Esteri, oltre a quelle di: ambasciatore a Londra, Presidente della Camera dei Fasci e componente del Gran Consiglio del Fascismo per molti anni. Dopo il 25 Luglio abbandonò ogni attività politica, rifugiandosi prima in Portogallo, poi in Sud America. E’ interessante rilevare come questo personaggio, che tanta parte ha avuto nella storia d’Italia in quegli anni, sia approdato, al suo ritorno, nelle nostre terre e qui, ad Albareto, vicino a Modena, ha sviluppato una tenuta agricola “modello” tra le più importanti e conosciute d’Europa, poi portata avanti dal figlio. (7)

In Provincia di Modena, come in tutto il resto d’Italia, gli abitanti appresero la notizia della caduta del Fascismo, con incredulità e sbigottimento, in quanto nessun sintomo, in quei giorni, lasciava intravedere un evento così dirompente. (8)

Dominava in tutti un senso di panico; pochissime furono le minoranze che si abbandonarono a particolari azioni organizzate o ad atti vandalici; pochi i cortei, qualche comizio veloce,  quà e là, ed alcune effigi mussoliniane fatte a pezzi dai più facinorosi.(9) La situazione rimase complessivamente calma, gente per le strade, nella speranza che quel fatto potesse preludere alla fine della guerra, ma, come si è detto limitate le manifestazioni; nella zona di Modena, l’unico episodio di un certo rilievo fu l’incendio alla casa del Fascio di Portile ad opera di un gruppetto di comunisti che spararono anche qualche colpo di pistola contro l’abitazione del Segretario del partito di quel piccolo centro.(10)

Come si vede, ben poca cosa. In realtà, nessuno era preparato a tale incredibile evento, tantomeno coloro che, come si legge in tante pubblicazioni apologetiche, “tramavano da tempo”, contro la “tirannia.” (11)

Si è affermato che il popolo era stanco e che gli entusiasmi con cui l’Italia era entrata in quella che avrebbe dovuto essere una guerra breve, si stavano affievolendo; effettivamente i bombardamenti su molte città italiane, una serie di rovesci sui vari fronti dove erano impegnate le truppe dell’Asse, lo sbarco delle truppe angloamericane in Sicilia, avevano gradualmente logorato il morale della nazione. Ma quel fatidico 25 Luglio nessuno poteva prevederlo, né i fascisti e tantomeno gli antifascisti, ed il popolo, senza capi e senza direttive non ebbe nessuna capacità di agire in un senso o nell’altro, subendo passivamente tutti gli avvenimenti successivi. (12)

Si sviluppa così il breve periodo, quarantacinque giorni, del cosiddetto “Governo Badoglio”, e ben presto gli italiani si resero conto che, anziché migliorare la situazione, si andava incontro a periodi sicuramente molto più drammatici.

Le truppe tedesche stavano velocemente occupando tutto il paese, convinti che l’operazione Badoglio, nonostante le promesse di continuare la guerra al loro fianco, avrebbe avuto sviluppi non propriamente favorevoli alle truppe dell’Asse. La presenza delle truppe angloamericane sul nostro territorio con buona parte della Sicilia già occupata, senza che l’esercito italiano avesse predisposto una linea difensiva degna di tal nome, permise ai tedeschi di far entrare in Italia e molto velocemente, un congruo numero di Divisioni che, allo sfacelo dell’8 Settembre ebbero buon gioco nel prendere in mano la situazione italiana completamente franata. (13)

Il nuovo Governo Badoglio nella sua prima riunione del 27 Luglio 1943 emanò una serie di provvedimenti che sanzionavano la nuova realtà. Venne decretato lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista e di tutte le organizzazioni dipendenti; la Milizia veniva integrata nelle Forze Armate; veniva soppresso il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato e tutti i gerarchi fascisti vennero richiamati alle armi; i prefetti furono rimossi dai loro incarichi. Furono congelati i fondi del PNF e, come ultima decisione fu vietata la ricostituzione dei partiti politici per tutta la durata della guerra. Erano inoltre vietate tutte le manifestazioni e si faceva assoluto divieto ai cittadini di portare distintivi, di esporre bandiere e di riunirsi in pubblico in più di tre persone. (14)

Il Governo Badoglio, almeno inizialmente, fu dichiaratamente anticomunista e in quel periodo i Tribunali Militari condannarono molti comunisti o presunti tali, per azioni che violavano le norme dello stato d’assedio in cui ci si trovava. (15)

Tra tutti i partiti che operavano nella clandestinità, quello comunista, indubbiamente, aveva l’organizzazione più capillare.

Nonostante lo stato d’assedio e le varie normative emanate dal nuovo Governo, qualche riunione d’antifascisti si tenne anche a Modena. Gli storici della “resistenza” collocano la prima riunione in territorio modenese tra i partiti antifascisti, al 28 Luglio e precisamente nella casa del Dott. Luigi Lorenzo Tardini in Corso Canalgrande con la presenza dei rappresentanti del PCI, del PSI e del Partito d’azione. (16)

Anche in Provincia qualche gruppo tenta di organizzarsi; a Spilamberto fu indetto alla SIPE (17), dietro sollecitazione del PCI modenese, uno sciopero tendente a mobilitare tutti gli antifascisti della zona. (18)

Il Comandante del Presidio Militare di Modena, (aveva sede a Palazzo Ducale sede dell’Accademia Militare) Matteo Nigro, ricevette i rappresentanti del “Comitato modenese dell’Italia libera”, appena costituitosi, e li autorizzò alla stampa di un manifesto. (19)

I fini che si proponeva tale comitato erano i seguenti:

 “ a) la cacciata dello straniero dall’Italia”;

  b) lo scioglimento del Partito Fascista;

  c) la punizione dei responsabili di venti anni di crimini, di ruberie e di tradimento della Nazione;

  d) la liberazione immediata di tutti i detenuti politici.”(20)

 Ma il Governo Badoglio non cedeva ancora alla pressione comunista, e ciò si poteva costatare dalla discriminazione che era operata nei confronti degli antifascisti che al 25 Luglio si trovavano ancora in carcere o al confino: furono, inizialmente, liberati i non comunisti, mentre restavano agli arresti i comunisti.

La Provincia di Modena era ancora sotto il controllo delle Forze Armate, ma già un nutritissimo contingente di formazioni tedesche stava ramificandosi su tutto il territorio.(21)

Non si verificarono grossi incidenti come invece avvennero nella vicina Reggio Emilia, dove la truppa sparò su di un gruppo di operai delle “Reggiane” che cercavano di attuare una manifestazione, o come nella lontana Bari dove si verificò un episodio analogo; vi furono molti morti, tra i dimostranti, in entrambe le città.(22)

Nel frattempo, il Partito Comunista Italiano, che aveva come obiettivo principale, secondo gli ordini di Stalin e dell’internazionale rossa, di arrivare ad una lotta armata contro i tedeschi e contro i fascisti, sul suolo italiano, doveva a tutti i costi recuperare molti dei caporioni ancora imprigionati, o al confino, o rifugiati all’estero. La situazione economica si era fatta molto pesante; si andava incontro ad una paurosa inflazione; il debito pubblico ammontava a 406 miliardi; se, oltre al dissesto finanziario ed al fatto di trovarsi già sull’orlo della sconfitta militare, si fossero aggiunti grossi scioperi a sfondo economico, l’Italia sarebbe caduta nel caos più completo. Per dimostrare al nuovo Governo che la loro organizzazione era in grado di paralizzare la vita del Paese, i comunisti, che cercavano di sfruttare a fondo questa drammatica realtà, tentarono la carta della grossa dimostrazione di piazza.

Il giorno 8 Agosto, a Torino, venne organizzato uno sciopero generale che bloccò produzione e servizi pubblici. I rappresentanti delle delegazioni operaie chiedevano la pace e la liberazione di tutti i detenuti politici; queste pressioni diedero i loro risultati.

Il Governo Badoglio, messo alle strette, dovette liberare i prigionieri politici comunisti, così il PCI ebbe, dalla metà del mese d’Agosto, tutti i suoi capi reinseriti nell’organizzazione del partito, con la collaborazione anche, di alcuni di questi a livello governativo. (23)

Contemporaneamente si scatenava il terrorismo aereo degli angloamericani sulle città italiane; il 14 e 15 Agosto, Roma, Milano, Torino, subirono massicci bombardamenti miranti a stroncare ogni resistenza italiana e che provocarono migliaia di vittime.

Queste incursioni, terrorizzando le popolazioni civili, contribuirono indubbiamente a fiaccare ancor più il morale degli italiani, morale che era già in parte compromessa dall’avvicendarsi degli avvenimenti, in chiave negativa, sia sui fronti di guerra sia sul fronte interno. (24)

Molte città furono distrutte, oltre alle bombe venivano lanciati dagli aerei, manifestini che incitavano la popolazione alla ribellione contro i tedeschi e davano istruzioni sul come dovevano agire.

Mentre le truppe angloamericane risalivano, sia pure con molta lentezza, il territorio italiano occupando buona parte della Sicilia, il Governo Badoglio iniziava le trattative per la resa. I tedeschi, rendendosi conto del tracollo della situazione italiana, inviavano sul nostro territorio contingenti di truppe sempre più numerosi.

Ci avviamo così a quella triste pagina della storia italiana che porta la data dell’otto Settembre. Tutte le fasi della resa italiana, firmata a Cassibile, sono state a lungo esaminate e vivisezionate. Fiumi d’inchiostro sono corsi per descrivere quello che si può considerare il giorno più infausto dall’unità d’Italia in poi, peggiore ancor più della tragedia di Caporetto della prima guerra mondiale, dato che ebbe inizio il dramma del popolo italiano che si è trovato invischiato in una delle più sanguinose guerre civili dell’epoca moderna. (25)

Cosa fecero i fascisti in quei quarantacinque giorni? La seduta del Gran Consiglio, con la sua risoluzione, fu un fatto talmente traumatico che lasciò tutti sbigottiti per la rapidità con cui avvenne e per l’assoluta mancanza di una prospettabile ipotesi in merito. La situazione di grave emergenza per la guerra in atto che teneva impegnata tutta la classe dirigente fascista, fece sì che l’insanabile contrasto con la monarchia, in atto già da tempo, scoppiasse con tutta la sua virulenza, lasciando completamente scoperte, al gioco oscuro della casa regnante e della massoneria, tutte le forze valide del fascismo. (26)

Sia in Italia sia in Germania esistevano, nonostante l’apparente solidità dei regimi, forze contrarie che aspettavano il momento buono per ritornare alla ribalta: in modo particolare nel nostro Paese, vi erano tutte quelle forze legate alla vecchia concezione liberal-monarchica, al Vaticano, alla massoneria ed al capitalismo internazionale che, dalla piega che stavano prendendo gli avvenimenti bellici, si andavano sempre più svincolando dalle forme di collaborazione che, anche se fredda e sempre distaccata, avevano dato negli anni di fulgore del Fascismo. (27)

Assieme a queste forze esisteva, all’interno del fascismo stesso, quella componente genericamente nazionalista e borghese, ma fortemente egoista che, della Rivoluzione Fascista aveva solamente scelto la facile strada dell’opportunismo e dell’aggregazione al carro del vincitore.

In quel Luglio 1943, realmente, com’è già stato sottolineato, le forze vitali del Fascismo erano, nella quasi totalità impegnate sui vari fronti e in Italia la macchina del Partito era portata avanti dall’apparato burocratico assistenziale nel quale erano sostanzialmente presenti le componenti sociali che abbiamo citato.

Sia i vertici del Partito, che i responsabili dei reparti militarizzati della MVSN, non mossero dito, per una ragione abbastanza ovvia. Le voci che correvano in quei giorni facevano presumere che Mussolini avesse concordato le dimissioni con il Re, il chè ovviamente non era vero e quelle erano notizie false sparse artatamente, e in più si nutrivano grosse preoccupazioni per la sorte stessa del Capo del Fascismo del quale non si sapeva nulla.

Non bisogna poi trascurare la concezione di vita dei fascisti ed il rispetto della disciplina e dei valori gerarchici ai quali erano abituati, oltre a tutte quelle forme d’obsolete tradizioni borghesi che la Rivoluzione Fascista non ebbe il coraggio di demolire nel momento del suo trionfo, pertanto quegli uomini, cresciuti in quel clima, mai avrebbero potuto imbracciare le armi così, improvvisamente contro gli alleati o contro gli stessi connazionali, specialmente nel momento in cui si stava svolgendo una guerra entro i confini della Patria. Creare i presupposti di una guerra civile, assumendosene la responsabilità direttamente, non entrò mai nella mentalità dei fascisti, furono rarissimi i casi di ribellione che si verificarono in Italia. (28)

Inoltre, nonostante la destituzione di Mussolini, il proclama Badoglio ribadiva l’alleanza con la Germania ed insisteva sulla continuità della guerra al fianco di Hitler. Tale mossa tattica, da parte della Monarchia e del Governo Badoglio, riuscì ad evitare l’immediatezza dell’eventuale reazione tedesca e probabilmente fascista. I Comandi tedeschi rimasero pertanto imbrigliati dalla manovra attendista di Badoglio e lo stesso Hitler, che sarebbe voluto intervenire subito, di fronte alle promesse che la guerra sarebbe continuata in assoluta lealtà con i tedeschi, dovette fare marcia indietro. Difatti il Capo tedesco aveva ipotizzato di far muovere su Roma per catturare tutto il Governo, la Divisione corazzata che si trovava a circa due ore di distanza dalla capitale; unica sua preoccupazione era la possibilità di resistenza del Fascismo e la sorte di Benito Mussolini. Infatti in quella circostanza ebbe a dire:

 “Spero soltanto che non abbiano arrestato il Duce. Ma se lo hanno fatto è ancora più importante che interveniamo.”   

 La politica di Badoglio si muoveva intanto su due fronti; un incontro tra italiani e tedeschi avvenne a Tarvisio il 6 Agosto. Tra mille sospetti e in un clima tutt’altro che amichevole, s’incontrarono la delegazione italiana con a capo il nuovo Ministro degli Esteri, Guariglia (30) e il Generale Ambrosio (31) e la delegazione tedesca guidata da Ribbentrop (32) e Keitel (33).

Il nostro Ministro aveva dato, nel frattempo, istruzioni al suo inviato a Lisbona affinché avvertisse gli angloamericani dell’incontro e ne minimizzasse la portata. A Tarvisio, ad una precisa domanda di Ribbentrop:

 “Se conversazioni avevano avuto luogo con inglesi e americani”,

 Il ministro Guariglia rispose negativamente. (34) Era dunque già in atto il tradimento che si sarebbe poi reso concreto gradualmente, ma che diede, nello stesso tempo, la possibilità ai servizi segreti tedeschi di scoprire le mosse del Governo Badoglio, così come riuscirono a seguire le tappe della prigionia di Mussolini, permettendo così al Generale tedesco Student di preparare il piano per la sua liberazione. (35)

A Modena, nei 45 giorni badogliani, non vi furono sostanziali cambi della guardia ai vertici delle istituzioni; solamente alcuni gerarchi furono esautorati dalle loro funzioni, ma la maggioranza della classe dirigente rimase quella precedente al 25 Luglio.

Il Podestà di Modena, Avv. Carlo Vandelli, fu sostituito dal Rag. Giuseppe Giannuzzi, ragioniere capo della Prefettura; il Podestà di Carpi, Bonfiglio Tesi fu sostituito dal Rag. Romolo Vezzani. Altri funzionari della Prefettura andarono a sostituire i Podestà in alcuni Comuni della Provincia. La carica di Commissario Prefettizio dell’Amministrazione Provinciale fu assunta dal Dott. Letterio Biondo. Il Prefetto Vincenzo Vella rimase al suo posto sino al 20 Agosto e fu sostituito dal Dott. Luciano Li Castri, in un normale avvicendamento di Prefetti. (36)

L’irrazionalità del Governo Badoglio sta’ proprio in questo; in fondo è la vecchia classe dirigente, quella degli imboscati e dei possibilisti che rimane al proprio posto; in più, pur mantenendo un certo rapporto con i partiti “democratici”, che si erano di nuovo affacciati sulla scena politica,   non dava loro alcuna possibilità di manovra, dato che non riconosceva ai partiti politici responsabilità civili, non accettava le offerte di collaborazione, oltre a non dar loro incarichi e funzioni importanti; inoltre lasciò il tempo ai tedeschi di entrare con ingenti quantitativi d’uomini e d’armi in Italia, facendo sì che all’otto settembre costoro ebbero buon gioco ad impadronirsi di un’Italia completamente sfasciata.                     

 NOTE

 1    cfr. Renzo De Felice: Mussolini il Duce - Gli anni del Consenso.

2    Dino Grandi, nato a Mordano (Bologna) nel 1895; fu combattente degli alpini durante la prima guerra mondiale, capo del fascismo emiliano e quadrunviro della Marcia su Roma.

3   Pietro Badoglio; (Grazzano Monferrato, Asti, 1871-1956); Maresciallo d’Italia, partecipò alla prima guerra mondiale, dove ottenne sei promozioni sul campo; Capo di Stato Maggiore dell’Esercito nel 1919; Ambasciatore in Brasile nel 1924, Governatore di Libia, fu nominato Maresciallo d’Italia nel 1925 e Duca d’Addis Abeba nel 1936. Fu dimesso da Capo di Stato Maggiore durante la campagna di Grecia e ritornò, per richiesta di Vittorio Emanuele al 25 Luglio 1943. Dopo aver ceduto il Governo ad Ivanoe Bonomi in seguito alla caduta di Roma il 5 Giugno 1944, si ritirò a vita privata.

4    cfr. Pierre Renouvin: “Storia Politica del mondo”, Vol. 8*, pag. 295.

5   cfr. Indro Montanelli: “L’Italia della disfatta.”

6   cfr. Franco Bandini: “Vita e morte segreta di Mussolini”

7   I presenti alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo nella notte tra il 24 e 25 Luglio 1943, oltre al Capo del Governo, Benito Mussolini erano 28. Furono presentati tre ordini del giorno. Il primo, a firma Dino Grandi, prevedeva attraverso varie motivazioni, le dimissioni del Capo dello Stato; il secondo a firma Carlo Scorza, si differiva dal primo nel passo più scottante, pur mantenendone sostanzialmente la forma.; il terzo a firma Roberto Farinacci era favorevole a Mussolini. La votazione sull’ordine del giorno Grandi ebbe il seguente esito: 19 voti favorevoli, 8 contrari, 1 astenuto. La posizione di ciascun membro del Consiglio durante le votazioni e le conseguenze che portò loro il successivo Processo di Verona del Gennaio 1944, lo possiamo vedere dal quadro riassuntivo che di seguito riportiamo:

A)   Voto favorevole all’ordine del giorno Grandi; presenti al Processo di Verona e condannati alla pena capitale:

1) Galeazzo Ciano, Ambasciatore presso la Santa Sede.

2) Emilio De Bono, quadrunviro della Marcia su Roma.

3) Carlo Pareschi, Ministro dell’Agricoltura.

4) Giovanni Marinelli, Segretario Amministrativo del PNF.

5) Luciano Gottardi, Presidente della Confederazione lavoratori dell’Industria.

 

B) Ha firmato l’ordine del giorno Grandi ma, con un’accorata lettera a Mussolini, il giorno successivo, sconfessava il suo voto; presente al Processo di Verona fu condannato a 30 anni.:

6) Tullio Cianetti, Ministro delle corporazioni;

 

C) Diedero voto favorevole all’ordine del giorno Grandi; assenti al Processo di Verona, furono condannati a morte in contumacia:

7) Giuseppe Bottai, Membro di diritto del Gran Consiglio;

8) Giuseppe Bastianini, Sottosegretario al Ministero degli affari Esteri;

9) Umberto Albini, Sottosegretario al Ministero dell’Interno;

10) Edmondo Rossoni, Ministro di Stato;

11) Alberto De Stefani, membro di diritto;

12) Annio Bignardi, Presidente della Confederazione lavoratori dell’agricoltura

13 Giovanni Balella, Presidente della confederazione degli industriali;

14) Luigi Federzoni, Presidente dell’Accademia d’Italia;

15) Giacomo Acerbo, Ministro delle Finanze;

16) Dino Grandi, Presidente della Camera dei Fasci;

17) Dino Alfieri, Ambasciatore a Berlino;

18) Cesare Maria De Vecchi, quadrunviro della marcia su Roma;

19) Alfredo De Marsico, Ministro di Grazia e Giustizia;

 

D) Astenuto dalla votazione:

20) Giacomo Suardo, Presidente del Senato.

 

E) Voto sfavorevole all’ordine del giorno Grandi:

21) Carlo Scorza, Segretario del PNF;

22) Gaetano Polverelli, Ministro della Cultura Popolare;

23) Enzo Galbiati, Comandante della Milizia;

24) Roberto Farinacci, membro di diritto;

25 Ettore Frattari, Presidente della Confederazione Agricoltori;

26) Guido Buffarini Guidi, membro di diritto;

27) Antonino Tringali Casalinovo, Presidente del Tribunale Speciale;

28) Carlo Alberto Biggini, Ministro dell’Educazione Nazionale.

 

8   cfr. W. Deakin: “La Repubblica di Salò”: lettera di Dino Grandi

9   cfr. E. Gorrieri: “La Repubblica di Montefiorino”

10   cfr. V. Prandini: “Tra paesani e compagni”, pag.64.

11   cfr. G. Silingardi: : “I giorni del fascismo e dell’antifascismo”, pag. 127. A Modena vi fu un corteo che preceduto da una bandiera tricolore, passò per la Via Emilia con slogan contro la guerra ed evviva all’Italia e al Re. Il Professor Giacomo Ravazzini tenne un brevissimo discorso davanti al monumento dei caduti. Poi i comizi furono sciolti e i dimostranti dispersi dalla polizia, alcuni furono fermati ma subito rilasciati. In Piazza Grande venne appostata una mitragliatrice.

12 cfr. I. Montanelli, op. cit.

13   ibidem

14   cfr. G. Pisanò: “Storia della Guerra Civile in Italia”.

15   ibidem

16   cfr. L. Casali: “Storia della Resistenza a Modena, pag. 114. Il comitato Italia libera, era così composto: Carlo Baroni, Confucio Basaglia, Luigi Benedetti, Gaetano Bertelli, Vincenzo Chiossi, Aurelio Ferrari, Albano Franchini, Odoardo Francia, Oberdan Golfieri, Bruno Lusvardi, Ennio Pacchioni, Gino Sintini, Arnaldo Zanuccoli.

17   cfr. V. Venturi: “Zona 5 - Antifascismo e resistenza nel Vignolese” pag. 3; si trattò di un’agitazione organizzata dal nucleo comunista presente nella fabbrica; lo sciopero non si svolse com’era stato previsto, anche perché un reparto dell’esercito, schieratosi vicino alla fabbrica bloccò i lavoratori e dopo alcuni spari il corteo si sciolse.

18   SIPE , Società Italiana Prodotti Esplosivi.

19   cfr. E Gorrieri, op. cit. pag. 18.

20   cfr. articolo: “I quarantacinque giorni badogliani a Modena” in: “Rassegna ISR” n.2 (1961) pag. 24; viene precisato che la distribuzione non poté avvenire regolarmente poiché alcuni diffusori furono fermati dalla polizia e il Dott. Ennio Pacchioni, al quale venne attribuita la paternità del volantino, venne fermato dai carabinieri e trattenuto per una giornata.

21   Erano presenti a Modena reparti italiani del 36* reggimento di Fanteria e del 6* Reggimento d’artiglieria pesante campale, nelle caserme della “Cittadella “ e in quella di Via Emilia Ovest, oltre ai mille allievi ufficiali presenti all’Accademia Militare; parecchi reparti erano schierati nelle zone pedemontane come a Castelvetro ed in altri paesi: notevoli erano anche le forze tedesche nella nostra Provincia: risulta però estremamente difficile reperire dati precisi circa la consistenza delle truppe tedesche, anche per i periodi successivi.

22   cfr. G. Pisanò, op. cit.

23   ibidem

24   ibidem

25   ibidem

26   cfr. P. Rauti: “Storia del Fascismo”.

27   ibidem

28   cfr. Bruno Spampanato: “Contromemoriale” e A. Tamaro: “Due anni di Storia” pag. 59 e seguenti.

29   cfr. F. Deakin in: “Storia della Repubblica di Salò” pag. 657

30   Raffaele Guariglia, (Napoli) (1889-1970) diplomatico; fu ambasciatore a Madrid, Buenos Aires, Parigi, Santa Sede, e Ankara. Ministro degli Esteri del Governo Badoglio; nel dopoguerra fu anche parlamentare come senatore del Partito Monarchico.

31   Vittorio Ambrosio, (Torino 1879-1958) Generale, fu a capo della seconda armata e Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.

32   Joachim Von Ribbentrop, uomo politico e diplomatico; fu consigliere di politica estera di Hitler, Ambasciatore a Londra e Ministro degli Esteri dal 1938 al 1945. Venne processato e condannato a morte al processo di Norimberga.

33   Wilhelm Keitel, generale e Capo di Stato Maggiore; fu tra i firmatari della resa tedesca; venne impiccato dopo il processo di Norimberga.

34   cfr. F. Deakin, op. cit.

35   Esiste una sterminata letteratura sulle tappe della prigionia di Mussolini, del suo arresto e della sua liberazione che non ci pare opportuno citare.

36   cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 15.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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