Il problema è che sono tutti morti.
Oramai dopo quasi sessant’anni:
Quelli che non cedettero; nel sangue
dei compagni per terra, sotto il piombo
dei miliziani; i duri combattenti;
quelli che resistettero via via
ai malanni acquisiti
e a quelli ereditati
nelle bufere della Resistenza.
Finchè furono vivi uno alla volta
o in coro raccontarono le cose,
gli antefatti, i soprusi, lo sgomento.
Pochi ebbero il coraggio di smentirli.
Ma gli uomini che portano la Storia
poi muoiono. E la Storia non si ferma.
Va con le gambe di chi resta. E infine,
ci piaccia o non ci piaccia, questo accade.
Ora che sono morti proprio tutti
più nessuno ricorda quasi niente:
qualche luogo comune, qualche frase
di circostanza, libri, vecchi film.
E spesso viene addirittura a noia rileggere
i romanzi e le poesie che qualche saggio e
i molti opportunisti
scrissero all’occasione.
E’ quindi l’ora
dei nuovi opportunisti. Quelli che
erano altrove. Pronti a reclamare
il loro prezzo per tacere.
Per invocare un silenzio ingannatore.
Ma non sono cambiati: fanno sempre
le stesse cose: Chiamano Progresso,
Democrazia, Decoro ciò che invece è aggressione e povertà.
Così saranno uguali: i vivi e i morti;
i massacrati ed i massacratori.
E invece non si è mai del tutto uguali.
Fra noi qualcuno soffre. Non ha pace.
Siamo fuori dal coro. Abbiamo ancora
categorie di vita da trincea.
che dividono a spicchi l’esistenza.
Ora si finge che più non accada
quel che successe allora. E non è vero.
Ma poi si muore tutti. Anche gli eroi
sono stanchi di dire vecchie cose.
Di ripetere i loro raccontini
Resta chi vuole che dimentichiamo.
Immortale. Perché dimenticare è la loro vittoria
Maria Maddalena De Franchi –
Genova
Lulù
Canzonandoti così io ti chiamavo,
Madre, come fossi una bella parigina,
perché vecchia monella ti facevi,
con le bizze improvvise e le sgridate
sulle inezie che a te parevan sassi.
Ho dismesso quel nome bohèmien,
quando fiocco di neve
ti ridussero gli anni,
rarefatto merletto d’ossatura.
Sono rimasta, io madre tua,
a cogliere nel cavo delle mani
congiunte quella tua debolezza,
simile ad acqua che in silenzio dilaghi
e si disperda in rivoli,
da nessuno raccolta per paura
dell’essere che siamo e che saremo.
Tacito fu l’accordo di ignorare
quell’ora in cui l’amore
cerca la via di un sotterraneo estuario
per confluire nel più vasto mare,
prima di perdersi, o divenire tutto.
Guizzi d’intesa negli occhi sonnolenti
mi avvisavano che avresti poi cercato
un modo sovrumano per parlarmi.
Jessica Di Fraia – Arcofelice
– Napoli
La farfalla di ossidiana
Le mie farfalle non sanno dormire.
Non hanno rifugio, non hanno letto.
Son venute dall’isola dei pirati, cercano la loro dimora.
Alle volte danzano sulle braccia di chi non le conosce,
si stampano sui sorrisi di chi mi guarda
e non può fare a meno, perché nei miei occhi son dipinte
mille ed una farfalla di ossidiana.
E sanno di cose di ragazze e di un pò di cose di donne,
di sirene e di saturno,di miele e di impazienza,
di lacrime e di partenze.
E sanno di sapere di ogni sapore perché si leccano le labbra
da sole quando nessuno le vede.
Le mie farfalle han pochi anni e stendono le loro ali,
in punta in punta di albero,
per non cadere,
affinché il veleno del tentativo non le prenda.
E san fare le capriole, sotto le lenzuola di foglie,
perché io ho saputo accudirle e raccoglierle,
prima ancora che mi spuntassero le ali.
Giovanni Caravello – Padova
Carnia
La strada tra i pini
sale a Zovello
paese d’oltremondo.
Le navate di Cercivento
gemiscono in gregoriano
e più lontano i troni
dei santi benedettini.
Limpiando laggiù
i suoi gradini di sasso
Lete il But
macina il tempo,
figura natura trascende,
trae da tronchi colonne,
solo la mia casa in pianura
sfumando resiste.