Immobili le foglie degli alberi. Ossessivo il canto delle cicale. Case e
pioppi sparirono. I solchi erano umidi, carnosi gli steli del granturco e
insidiose le sue foglie, aperte come lame sulle mie braccia. Scivolai ed una
pianta si schiantò.
- Chi è là ? –
- Io.., ma risposi con vergogna.-
- Io chi? ..-
- Io, io..-
- Allora vieni qua… -
Oltre quel mare di verde, punteggiato di rosa e di giallo, si apriva un pescheto
dai frutti maturi. –
- ..E vieni ! –
Faustina stava con un piede sulla scala e l’altro su di un ramo. Aveva
in capo un fazzoletto annodato sotto il mento e i suoi capelli parevano un
mazzo di fiori.
Breve la scala, non più di dieci pioli. Fresca la gonna di Faustina,
aperta a ventaglio su me. Afferrai le pieghe di quella gonna. Un tonfo sordo
e le pesche rotolarono fuori dal paniere . Uno schiaffo, poi, dolce, una carezza.
Un salto, una corsa fra gli alberi e un fitto solletico d’erbe sulla
terra morbida e profumata.
Le tue grazie sanno ancora di frutta non colta. La sera, tu al mio braccio,
tua sorella al braccio di Guido. Tu con il caldo dei girasoli nei capelli,
tua sorella con la gioia dell’uva fragrante negli occhi. Tre i vostri
fratelli contadini: Elio, Giovanni e Sandro. Elio lasciò che nella
sua parte di terra crescessero gli sterpi. Fa il capotreno e, impegnando i
campi, è riuscito a comprare un impiego anche a Sandro. Nella vecchia
casa resta solo Giovanni. Guida il trattore e lavora la terra senza maledirla.
Non ha inventiva – direbbe Elio. Sta con la moglie e dormono nella stanza
dove voi sorelle scioglievate al sole i capelli. In quella accanto si agita
vostra madre. Tu ora provi terrore di colei che una volta apriva per prima
l’uscio di casa per salutare il giorno e che si coricava a notte tarda
quando già dormivate. Madre di cinque figli, bella come te e tua sorella,
più ancora forse.
La vecchiaia le ha dato alla testa, ha rimescolato nella sua mente gli affanni
di una vita. Timorata di Dio dice parole strane, insolenti. E’uscita
dal tempo e canta le storie di quand’era fanciulla.
Elio e Sandro sono spesso lontani, ma le spose abitano a due passi. Quella
di Sandro non l’hai mai potuta vedere, perché ti rubò
il fratello prediletto. Sei una che non riesci a vincere i sentimenti, ma
solo a nasconderli.
Mi piacevi e frequentavo la tua casa. La mamma ci seguiva dalla finestra e
ci preparava fette di pane con sopra conserva di pomodoro. Arrivavo in bicicletta,
sempre di corsa. Una volta sbagliai e la chiamai col tuo nome. Voltandosi
mi parve felice.
Sei rimasta sola a dipanare una matassa di fili spezzati. Capelli di girasole,
bocca di corallo… Quanta commiserazione per la sposa di Giovanni, quattr’ossi
vestiti.. Suggeristi ad Elio una mogliettina degna del suo rango di capotreno.
Non ti rivolge mai la parola, disprezzando la tua misera condizione di contadina.
Però invidia il tuo corpo, i tuoi occhi, che Elio non trova in lei
e va a cercare altrove. Tra i fratelli e le cognate sei rimasta come un viandante
a metà strada. Provi fatica a seguitare ma resisti, perché sai
che gli altri hanno imparato ad aver bisogno di te.
Quanti anni da una sera che tornammo insieme! Camminavamo a distanza. Tua
sorella attendeva da Guido una stretta. Guido diceva cose fantastiche e tu
coglievi granelli di sogno carezzandomi la mano. Dicesti: - Se ci sposeremo,
andremo a Verona, nella casa di Giulietta… -
Avevi nei capelli una spiga di grano matura. L’hai passata a tua nipote,
la figlia di Sandro, che ha diciassette anni. Hai carezzato quella spiga da
quando ti divertivi a renderne morbida l’onda con un pettinino di tartaruga.
Ed ora è esplosa, come una manciata di sole. Non dirmi che te ne sei
privata per farne dono alla nipote . Sarebbe un’offesa alla bellezza
che non posso dimenticare. Il tuo letto resta un campo fiorito di margherite..
Le cognate piangono e attendono te. Entri senza nulla sapere. La sposa di
Sandro, che odiavi, ti abbraccia.
- Da due giorni la bimba non torna ! –
Ti senti morire.
- Ti vuole bene più che a sua madre! – singhiozza.
- Non può essere affogata come tua sorella nel canale – mugolano
col pianto strozzato le altre due cognate , - hanno cercato da tutte le parti
… -
- A diciassette anni non si deve morire! – gridano schiacciate contro
il muro come secchi scarafaggi.
- Fatemi passare – dici. Poi ti prendi la testa fra le mani. Ti guardano
spaurite
- Anche tu, come noi, non sai cosa fare ! –
Non hai mai sopportato quella donna ed ora il disordine dei suoi capelli ti
fa ribrezzo.
- Perché chiedere aiuto proprio a me- rispondi con un’occhiata
– a me che sono l’unica ad essere sola? –
I visi delle cognate si macchiano di disperazione . Tu resti fredda. Vedi
la bimba seduta sulle panchine della città e un giovane che le sta
vicino. Senti il fremito di quelle carezze . Margherite, papaveri, rose nei
capelli. Sfiori con la mano la tua ciocca bianca: una spiga del colore dell’oro
che seccò da quando non ebbe più baci. Cerchi il volto di quel
giovane ed io sento su me la tua carezza muta, fredda, accusatrice. Volevi
portarmi sul balcone di Giulietta ed io infransi lo specchio dei sogni.
Urlano le cognate:
- La bimba non torna, è fuggita ! –
E tu pensi a Verona, all’amore, alla gioventù.
Quattro cognate con i capelli grigi. Mani segnate dal tempo. Ma tu insegui
quel balcone. Le cognate si disperano, pensano ai propri mariti che non sanno
ancora niente…
Rochi dei passi si muovono al piano di sopra. Un silenzio di gelo invade la
stanza. Starà a te salire, parlare con la mamma che farnetica, portarle
l’acqua e il pane, dirle che guardi nei campi dove il grano è
maturo.
Una nera figura pende sul pianerottolo mentre tu imbocchi le scale. Ha lasciato
il bastone. Le mani brancolano nel vuoto. Solo gli occhi scintillano, come
i tuoi, come quelli di tua sorella affogata nella gora, e di tua nipote fuggita
lontano. Prima che debba precipitare gridi anche tu disperata :
- Mamma ! –
E mamma ti risponde: - Puttana! -