QUESTO PICCOLO ANGOLO DI PARADISO

Questa piccola oasi di verde circondata dai pini sopravvive immutata, incurante dell’incedere del tempo, dei diciannove anni che le sono passati accanto.
Lei. Quanto sono cambiata io, invece.
La prima volta che scoprimmo questo angolo di paradiso, io e vostro padre, era aprile. La luna piena ci indicò il sentiero.
Tu, Marco, decidesti che questo posto ti piaceva e lo scegliesti per intrufolarti dentro di me. Fosti un ospite inatteso e sulle prime, perdonami amore mio, non gradito. Eravamo troppo giovani. Io studiavo ancora e tuo padre non aveva ancora un lavoro fisso. Ci prendesti alla sprovvista però, te lo giuro, mai, nemmeno per un istante, pensammo di rinunciare a te.
Ci amavamo davvero io e tuo padre e quell’amore l’avremmo condiviso con te.
E così affrontammo le ire dei miei genitori, i rimproveri dei suoi, le minacce di entrambi di abbandonarci al nostro destino. Non sapevamo cosa fare e dove andare, e quindi rimanemmo nelle rispettive case. E io, oltre alle nausee mattutine, dovetti sopportare l’ostinato silenzio e il risentimento dei miei genitori. Sarebbe stata davvero dura se alla fine, quando tu cominciasti a farti notare, impedendomi di indossare i soliti jeans, mia madre non avesse smesso di evitarmi.
Quel pomeriggio di fine estate, mi sorprese a frugare nell’armadio per cercare qualcosa da indossare. Ricordo che sorrise di tenerezza e mi abbracciò, assicurandomi che potevo contare su di lei. Mi accompagnò a comprare dei vestiti e poi si occupò di te, cominciando a ricamare senza sosta il tuo corredino, e in breve mi aiutò a preparare tutto l’occorrente per accoglierti come si doveva.
L’idea di diventare nonno finì con l’addolcire anche mio padre, anche se ci volle più tempo. Si sentiva tradito. Non poteva accettare che la sua unica bambina fosse cresciuta così in fretta. Troppo in fretta. Ma quando gli presi la mano e gliel’appoggiai sul mio ventre perché sentisse quanto ti muovevi, una lacrima, una sola piccola lacrima che gli sfuggì suo malgrado, fece la mia felicità.
Quanto a tuo padre, fu assalito da un’incredibile energia. Si mise a fare due lavori e nonostante quelli, ogni giorno trovava il tempo per venire a casa mia, per accarezzarmi e accarezzare te che ti rotolavi instancabile dentro di me.
Ci sposammo poco distante da questa piccola oasi di verde, nella piccola chiesa a ridosso della montagna, ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo che c’eri anche tu, forse per pudore, o forse per paura che crescendo ci avresti giudicato male, non lo so. E così abbiamo sempre festeggiato l’anniversario quattro mesi dopo il giorno esatto nel quale ci siamo giurati amore eterno..
La luce del giorno si è fatta flebile. Ho perso la cognizione del tempo. Dovrei tornare a casa, ma ci riesco. Qui tutto è silenzio.. gli unici rumori sono quelli impalpabili della natura. Non voglio andarmene. Vorrei restare qui per sempre.. Vorrei essere uno di questi alberi o uno dei ciuffi d’erba che sopporta, come nulla fosse, il peso del mio corpo.
Non lo voglio più questo corpo di cui sono sempre andata fiera, vorrei scomparire, fondermi con gli elementi di questo angolo di paradiso e smetterla di soffrire.
Io, che ero figlia unica, avevo sempre pensato che prima o poi avrei avuto un altro figlio, ma anche tu, Luca, così come aveva fatto tuo fratello, decidesti senza interpellarci il momento in cui venire al mondo, e noi ti accogliemmo con lo stesso amore che avevamo riservato a tuo fratello che aveva soltanto diciotto mesi.
Certo non furono anni facili. Io rinunciai a lavorare per passare le mie giornate con te che pretendevi continuamente il mio seno e tuo fratello che, geloso del piccolo intruso, esigeva ancora più di prima le mie attenzioni.
Tuo padre mi aiutava come poteva ma rincasava sempre tardi dal lavoro e i tuoi nonni, che lavoravano ancora, non avevano molto tempo da dedicarvi.
Ogni tanto mi sembrava di impazzire. Passavo le mie giornate tra pannolini e pappe, reclamata in continuazione dall’uno o l’altro di voi. Non avevo più un attimo per me. Ero esausta.
Eppure mi bastava guardarvi, addormentati come piccoli angeli smarriti in chissà quali sogni, perché un’ondata di calore invadesse ogni fibra del mio corpo cancellando in un istante la peggiore delle giornate.
Mi bastava vedere i vostri occhi illuminarsi al mattino incontrando i miei e stringervi al petto e sentirmi chiamare “mamma” e coccolarvi, asciugando le vostre lacrime, mi bastava soltanto guardarvi per esserne certa: eravate il dono più prezioso che avessi mai ricevuto.
Non ho dimenticato nulla, ricordo tutto come fosse ieri, i vostri primi passi, le vostre prime parole, persino i primi litigi tra di voi.
Tu, Luca, che eri per natura più timido e remissivo di tuo fratello, lasciavi che lui ti dominasse. Ti impegnavi con tutte le tue forze per imitarlo, per essere più bravo di lui, prima nei giochi, poi a scuola, ma non ci riuscivi quasi mai e alla fine, forse, ci rinunciasti. Hai sempre creduto che noi amassimo lui più di te, perché era più forte, e lo credevi naturale visto che tu per primo lo ammiravi tanto. Invece, piccolo mio, ti amavo proprio perché eri il più debole, perché avevi bisogno di me più di quanto ne avesse Marco.
Di te Marco, invece, amavo la generosità, la spontaneità, l’irruenza, e persino le tattiche un po’ sleali che usavi per farti perdonare dopo averne combinata una delle tue.
Eravate inseparabili.

Si è alzata una leggera brezza che scivola sul mio corpo inerme e mi accarezza i capelli.
Sì, forse potrei restare qui per sempre.
Ma senza questo cuore che sanguina e con la testa vuota da qualsivoglia pensiero…
Poi sono venuti gli anni migliori, quelli in cui io e vostro padre ci siamo divertiti insieme a voi, ritornando bambini. Gli anni dei giochi, delle corse al parco, dei luna park, gli anni delle gite in bicicletta, dei week-end al mare e dei pic-nic in montagna.
Ve la ricordate la prima volta che vi abbiamo portato in questo angolo di paradiso? Ne eravate entusiasti, gli alberi fungevano da recinto naturale e potevate giocare col pallone senza rischiare di non ritrovarlo più, potevate urlare, ridere e scherzare senza infastidire nessuno. E poi, mentre io preparavo i panini, vi avventuravate nei boschi con vostro padre alla ricerca di funghi o di quant’altro e tornavate sempre indietro con dei fiori per me “Sono belli vero mamma? Sono per te” Sento ancora la vostra voce “Sono i più belli che abbia mai visto!” Vi rispondevo.
Mentivo. Eravate voi due i fiori più belli, eravate per me il giorno e la notte, il sole e la luna, la vita stessa.

Ormai è buio, fuori.
E dentro di me.
Sarebbe così facile lasciare che il buio mi avvolga per sempre.
Ma che ne sarebbe di vostro padre? Lui che si sente in colpa, lui che si sta consumando giorno dopo giorno nel rimorso. Ed è inutile che io gli ripeta che non è stata colpa sua, è chiuso nel suo dolore, in una dimensione dove non vi è posto per nessuno.
Però lo so che ha bisogno di me. Io che silenziosa presenza gli gravito intorno aspettando che torni a vivere.
Lui non lo sa che anche io mi sento in colpa, anche più di lui.
Se non fossi partita, se solo non avessi deciso di fare quella maledetta vacanza, non faccio che ripetermi, avremmo cenato a casa e vostro padre non vi avrebbe proposto di mangiare fuori, aspettandovi inutilmente.
Non potevate raggiungerlo, non lo avreste mai più raggiunto.
“Se non li avessi chiamati sul cellulare per sapere come mai tardavano tanto, non avrebbero corso ed ora sarebbero ancora qui .”
“Avrebbero corso comunque,” non faccio che ripetergli “lo sai che Marco correva sempre”.
Eri sempre stato così tu, non avevi paura di niente e tuo fratello, che non voleva essere da meno, non osava dirtelo che lui un po’ di paura l’aveva, che stavi andando troppo forte, che quella curva era pericolosa..
Vostro padre straziato dal dolore, mi aveva chiamato subito, per dirmi che avevi perso il controllo della macchina e che al tuo fianco c’era Luca.
Ricordo quel momento come fosse ora. Ricordo che il pavimento perse di consistenza sotto i miei piedi e la testa prese a girarmi. Dalle mie labbra, fattesi di marmo, non usciva più alcun suono.
Avrei voluto riattaccare e fingere di non aver mai ricevuto quella telefonata, avrei voluto credere di averla soltanto immaginata.
Ma vostro padre continuò a parlare:
“Devi venire subito Nora”.
“Ma sono vivi?” E quella fu l’unica cosa che riuscii a dire, poi le labbra tornarono di marmo.
“Sì,”mentì lui “ma sono molto gravi”.
Non me l’aveva detto, non poteva dirmelo che i miei ragazzi, i miei bambini non ce l’avevano fatta.
Presi il primo volo e per tutto il viaggio non feci che piangere e pregare Dio di trovarli ancora vivi. Vi avrei accuditi, curati e coccolati, proprio come quando eravate bambini, quando stavate male e vi rifugiavate tra le mie braccia trovando conforto.
Voi dovevate solo aspettarmi.
E invece no, cocciuti testardi, avete fatto di testa vostra!
L’avevate deciso voi quando venire su questo mondo, e allo stesso modo avete deciso quando andarvene, senza chiederci il permesso, senza nemmeno salutarci.
Ve ne siete andati insieme, come avete sempre vissuto. Inseparabili.
E’ successo proprio oggi, un anno fa.
Un anno che è stato eterno, ogni singolo giorno è stato eterno.
Mi svegliavo al mattino, intontita dai farmaci, pensando solo al momento in cui sarebbe sopraggiunta nuovamente la notte e con la notte i sogni.
Venivate a trovarmi spesso la notte ed io potevo illudermi che non fosse cambiato niente, che fosse tutto come prima.
Al mattino mi alzavo e andavo in camera vostra. Dovevo svegliarvi o avreste fatto tardi a scuola.
Solo allora, con gli occhi ancora pieni di sonno, vedevo quei letti vuoti, e d’improvviso ricordavo, una fitta mi trapassava il cuore, mi accasciavo per terra, piangevo, imprecavo contro Dio e poi lo pregavo. Sì, lo pregavo di portarsi via anche me, perché voi avevate ancora bisogno della vostra mamma e io che ci stavo a fare qui, sola senza i miei bambini.
Volevo raggiungervi, venire da voi. Lo voglio ancora.
Sarebbe così facile. Basterebbe ingoiare le pastiglie che tengo sempre nella borsa e lasciare che sopraggiunga quel sonno che non ha risvegli.
Ma non posso. Non posso perché devo restare accanto a vostro padre, non posso perché se lo facessi potrei forse non riabbracciarvi più.
Io non lo so se è vero quello che scrivono sui libri, quello che raccontano i film e dicono i preti, non so se è vero che i suicidi rimangono sospesi per l’eternità in una specie di purgatorio..
Non so se è vero, ma non posso correre un rischio così grande.
Vorrebbe dire non abbracciarvi più , non rivedere più i vostri amati volti.
Le cicale hanno preso a frinire, qualche lucciola illumina la notte con piccoli bagliori.
Devo tornare a casa ora.
Vostro padre mi starà aspettando, sarà preoccupato.
Ma quando glielo dirò capirà, capirà che ho dovuto farlo, che ho dovuto venire quassù.
Lui lo sa che qui, più che in ogni altro luogo, sento la vostra presenza, perché è così che me lo immagino il vostro paradiso, una piccola oasi circondata dai pini dove voi giocate ancora a pallone, ridete, scherzate e andate alla ricerca di funghi o di quant’altro e raccogliete fiori per me.
E un giorno, quando Dio lo vorrà, verrò a prenderli quei fiori e ve lo dirò ancora.
Vi dirò che sono i più belli che abbia mai visto.