Agosto

I

Ricordo quei giorni come se li avessi vissuti soltanto ieri, quasi non fossero passati più di vent'anni da quando noialtri ce ne stavano sdraiati a guardare le stelle, sui prati e sulla collina.
Era il tempo del sole, quando i ragazzi gettano i pantaloni pesanti e la manica lunga per salutare le vacanze e il sole caldo di Agosto.
Ancora oggi, dopo tutto questo tempo, io non posso dimenticare quelle facce, stracolme di delirante felicità; i corpi di noi tutti, quindicenni, in fuga da un inverno di gelate, lutti e giornate incolori.
Nel villaggio eravamo in dieci a vederci ogni giorno, consacrati da quell'invisibile e magico rituale che fa di due persone, due amici; ci stringemmo senza quasi accorgercene, ed eravamo quasi tutti insieme nel giro di una sola annata.
Crescemmo velocemente, come le spighe bionde lasciate a maturare, come in un frutteto, le rosse mele piene di succo. E alla fine di quell'anno avreste potuto dire che eravamo dieci fratelli. Li ricordo tutti, mi sarebbe possibile disegnarne anche le più piccole pieghe del viso e, se chiudo gli occhi, stringendoli con forza, posso far apparire le risate e le caratteristiche speciali di ciascuno di loro.
A quindici anni, amavamo la vita.
Più di Billy, grassottello e con una gran macchia rossa al centro della fronte, che quando s'incavolava, quella gli si allargava di più, e più di Robert, che noi però chiamavamo Poppy, per via del rumore che faceva masticando la cioccolata, e ancora, più di Will, Gregory, Spencer, Taylor, Norton, Jud, Mark, la mia mente non può ritornare alla ragazza che, per la prima volta mi fece capire, che ero un ragazzo.
Ellie entrò a far parte d noi per puro caso, anzi, per uno sfortunatissimo episodio che, guardate un po', mi vide "eroe per caso", come oggi si dice. Eravamo a bere al fiume, inginocchiati sulla braccia, sporchi che di più non si poteva e stavamo per accogliere la proposta venuta da Robert il biondo, cioè di gettarci in acqua vestiti, quando sentimmo le prime urla.
Il Vernon è un fiumiciattolo tranquillo che scorre tagliando in due il villaggio ed è profondo non più di un metro, nel suo punto più difficile. Tutto questo, fino ai primi campi coltivati. Per il restante tratto le cose sono ben differenti. Se un adulto del villaggio avesse visto uno di noi giocare vicino al fiume, in quella zona, era molto probabile che quello non avrebbe potuto sedersi per
parecchi giorni, per quante suo glie ne avrebbe date. Naturalmente, tutti noi eravamo dello stesso parere dei nostri genitori, visto che la corrente del Vernon, dopo il tratto di relativa calma, faceva davvero impressione. Taylor diceva che in quelle acque, anche i pesci avevano paura di affogare.
Meno paura di noi ebbe Ellie O'Neil, la ragazzina che sentimmo strillare come una disperata, quel caldo pomeriggio estivo.
Spencer girò la testa di scatto, quando noi ancora ridevamo e ci schizzavamo l'acqua addosso. "Hey, hey ! Sentite", facemmo silenzio e dopo un attimo, potemmo ascoltare anche noi quella voce. Un richiamo d'aiuto, un urlo strozzato. Qualcuno era caduto nel fiume, esattamente dove "anche i pesci avevamo paura di affogare". Corremmo, corremmo, come i disperati, senza curarci del fatto che molti di noi erano scalzi. Taylor si tagliò con un sasso, la pianta del piede, ma c'era una persona, una vita!, da salvare. Posto che fossimo ancora in tempo per fare qualsiasi cosa.
E li ricordo ancora, quei piedi impolverati che sparavamo i sassi a destra e sinistra, quei pantaloni avvolti fino al ginocchio e i capelli, sciorinati sui visi spaventati e rossi di sole. Eravamo dieci, sembravamo cento.
Ellie era effettivamente caduta nel fiume, proprio sotto il grande scoglio, che in realtà era solo un grosso sasso coperto di peluria di muschio e di lei potemmo vedere soltanto il braccio destro, che spuntava dall'acqua; la testa appariva per un istante, e subito affondava. La vidi, persa nelle acque; incrociai gli occhi dilatati e mi rimase impressa nella memoria la sua treccia bionda che, come un galleggiante, segnalava la posizione di tutto quanto il resto. Il fiume era una scuderia di cavalli impazziti: la schiuma violenta delle rapide catturava i lineamenti della ragazzina, spingendola da una sponda all'altra. Capii che se avessimo aspettato ancora un po', l'avremmo persa e lei, sarebbe affogata Alcuni di noi piangevano; non ebbi il tempo per farlo anch'io e non parlo come per sembrare il duro della situazione, soltanto decisi di gettarmi in acqua, perché Ellie non doveva finire cosi. Perché, senza tante storie non c'era altro da fare.
Jud, che un volta era stato capace di tirare un mattone in testa ad un ragazzo molto più grande e molto più grosso di lui, che creava dei problemi a sua sorella, mi guardò mentre mi avvicinavo alla riva e i suoi occhi mi stavano dicendo: "Sei pazzo Roddie ? Sei impazzito o cosa?", perché il Vernon, in quel punto, per tutti noi, significava solo una cosa: lasciarci le penne. E io, stavo per tuffarmici come un pesce gatto.
Di tutto quanto il resto, di quello che successe poi, ricordo le cose meno importanti. La prima di queste è a sensazione della potenza dell'acqua, che
soltanto che ha vissuto un'esperienza come la mia può conoscere, e vi assicuro che essere spinti dalle mani delle onde, verso un addio totale all'esistenza non è il modo migliore per passare un fine settimana. Poi ricordo di averla afferrata (Ellie intendo), per i fianchi e di averla stretta fino a sentirle le costole mentre con il braccio libero mi tenevo alle radici gommose di una pianta, pregando il buon Dio degli alberi, di non farmi perdere la presa. Ellie non aveva perso conoscenza, ma schizzava acqua dappertutto e molte volte fili sul punto di gettare la spugna e lasciarmi andare con lei verso la fine. Fu il braccio di Taylor a salvarci. Le radici della pianta erano sul punto di strapparsi quando il mio amico mi chiuse la mano sul polso e tese il braccio. Poco dopo, tutti e due eravamo fuori da quell'inferno.
Fradici fino alle ossa, col fiato spezzato e le preghiere nella gola, cademmo esausti sulla breccia. Li come un neonato, iniziai a piangere.
E non ricordo quando sorrisi.

II

Fu così che la conoscemmo.
Disse che era scivolata, mentre guardava il fondo scuro del Vernon. Nessuno le aveva mai detto della pericolosità di quelle rapide. Mi guardava, con quegli occhi azzurri circondati da uno spruzzo di lentiggini e io le sorridevo.
Pensavo che fosse soltanto riconoscente perché m'ero gettato nel fiume ma una cosa mi fù subito chiara: Rod Phoenix, per gli amici Roddie, si era innamorato di quella creatura così delicata:
Divenne dei nostri, e con noi partecipava ai giochi, alla raccolta delle pere gialle e a cento altre cose che c'inventavamo per ammazzare il tempo, in quella caldissima estate di tanto tempo fa.
Ovviamente, il motivo per cui mi sono deciso a scrivere questa serie di ricordi, sta nel fatto che uno di quei giorni fu per me indimenticabile, come può esserlo la rivoluzione per un patriota e divenne uno dei ritorni più frequenti a cui mi abbandonavo. Anche quando di tutto non rimase che il profumo. La sera di tutte le sere, la notte con più stelle di ogni altra notte, uscii di casa verso le dieci e galoppando come forsennato stilla mia bicicletta, raggiunsi il resto della banda e li trovai che già erano seduti intorno ad una quercia, vicinissima al prato dei nostri raduni. Gettai la bicicletta dove loro avevano appoggiato i giubbini e, dopo essermi riavviato i capelli con una mano e cercato le gomme da masticare con l'altra, mi sedetti con loro. C'era posto fra Norton ed Ellie e, con un certo imbarazzo, caddi sull'erba, vicino alla manica annodata del maglione di lei. Faceva freschetto e le cicale frinivano dolcemente, invisibili, nascoste sotto le foglie del campo. Avevano tutti in mano una bottiglia di Bud, la birra che Jud era riuscito a sgraffignare dal magazzino del padre e quello si che era un gesto di puro coraggio!
Dovevate vedere il padre di Jud per capirlo.
"Ciao", dissi, sperando che lei mi sentisse di più; cercando di indirizzare soltanto a lei il mio saluto. Mi guardò, a lungo e poi sorrise, scoprendo quei magnifici denti bianchi come l'avorio. Solo il cielo sapeva se non avrei fatto qualsiasi cosa per vederla sorridere sempre. Non aveva la birra. Chi poteva non avergliela offerta?
Pescai dalla cassetta una bottiglia e gliela offrii, mentre tutti gli altri stavano stonando una canzone che non ricordo. Ellie scosse la testa, chiudendo gli occhi e dovetti controllarmi perché la bottiglia non mi cadesse di mano.
Non sono molto forti con la voce. Non credi ?", mi disse.
"No", cercai, provai a non abbassare lo sguardo, ma finii per arrossire e lei se ne accorse.
Intorno a noi, le uniche cose che si muovevano erano i ciuffi d'erba e gli stormi di rondini che solcavano il cielo buio. Ellie si strinse le braccia intorno al corpo e non potei staccare lo sguardo dai i suoi occhi che si strizzavano; aveva freddo. Sfortunatamente, non avevo pensato a portarmi dietro un giubbino o un maglione e quindi non mi veniva in mente niente per cercare di riscaldarla.
"Questa zona è pianeggiante, il vento spazza forte di notte", le dissi. Lei si girò e stette ad osservarmi, seria. Gli altri stavano ballando al ritmo di "Jumpin' at wood side" e non si curavano più di noi, che invece rimanevano seduti sotto l'albero.
"Ci spostiamo più in là?", mi chiese, indicandomi il campo. Era buio e l'erba, scura come un mare di petrolio, fluttuava monotamente.
"Certo", risposi, con il cuore in tumulto. Ci alzammo, scrollandoci la terra dai calzoni. Ellie si girò e io ne approfittai per vuotare d'un fiato la bottiglia: mi veniva coraggio e sicurezza. Capitemi, a quindici anni non mi era mai successo di essere a così stretto contatto con una ragazza e vivevo ancora di immaginazione e ipotesi sulla natura dell'altro sesso.
Un'altra cosa che mi è rimasta impressa nella memoria, marchiata a fuoco, è quell'istante in cui io le presi la mano, piccola e fresca e le feci sentire la mia, che tremava. Camminavamo così, a contatto di spalla e io non avevo il coraggio di girarmi verso di lei per provare quello che tante notti avevo sognato, sospirando perché un giorno si avverasse. Le labbra di Ellie erano rosse e coperte di un lucidante e le teneva socchiuse; tutto questo io lo vidi con la coda dell'occhio. Mentre stavo ancora pensando ad un veloce
stratagemma per avvicinarmi ancora di più al suo viso, sentii uno scoppio, molto in lontananza e questo mi fece involontariamente girare verso di lei. Mi stava guardando, con il suo viso dolce e malinconico.
"Sei stupenda Ellie. Io credo di essere..."
lei annuì. "Anch'io credo di essere".
Poi la baciai e scoprii che un uomo poteva anche morire pur di non dover rinunciare a quello. Capii il cosmo e la logica delle stagioni e tutto quello che era importante e quello che invece non serviva a niente. La baciai, le mie labbra che tremavano sulle sue, morbide e socchiuse. Quella notte fu magica e rimanemmo nel campo per molte ore ancora, a dirci ingenuamente cose da grandi, come "ti amo"; ci stringemmo e vi posso assicurare che poche altre volte fili così contento di vivere come quella notte.
Quando venimmo fuori di lì, con i capelli infilzati dalla paglia, il gruppo non c'era più. La cassa di birra era vuota e noi capimmo che doveva essere veramente tardi.
Il tempo accelerò, come puoi capire chi conserva un ricordo simile al mio; caricai Ellie sulla bicicletta e spinsi sui pedali fino ad indolenzirmi le caviglie e la riportai a casa. i suoi genitori non c'erano, per fortuna di entrambi, e ci salutammo li, davanti alla porta di casa sua con un altro piccolo bacio.
"Ti amo Roddie. Conservati cosi", mi disse e fu un colpo doversene andare così alla svelta. La guardai nello specchietto che traballava e rimase sulla porta fin quando non mi fui completamente allontanato.
Le conseguenze di quello che successe fra noi furono tre: la mia testa si perse fra le nuvole per tutto il resto della notte; mia madre me le suonò così forte per essere tornato tardi a casa che quasi me ne pentii (quasi!); lo scoppio che avevo sentito era la macchina di quel tizio che un giorno aveva molestato la sorella di Jud, il quale si era piantato contro un muro. L'auto era esplosa e lui, aveva salutato il mondo. L'estate passò troppo in fretta, io e Ellie restammo insieme e gli altri amici ci presero in giro continuamente, perché era successo qualcosa di nuovi in quel gruppo di scapestrati.
Roddie era cresciuto.

III

Quando Ellie partì, per tornarsene in città, non ci dicemmo niente di particolare. Finimmo così come avevamo cominciato, con lo stesso imbarazzo iniziale. Ma quando mi resi conto che non l'avrei mai più rivista il cuore mi si indurì e piansi a lungo. Non era finito un amore; ci eravamo lasciati come due fidanzati.
Prima spostavo una pietra, da una regione all'altra, proprio attraverso il cartello di confine. Soltanto quando lei fu partita capii il dramma di quella pietra, scalzata da casa sua, per essere gettata in un universo di desolazione e solitudine. Cominciavano ad aprirsi mille porte, crebbi velocemente, soffrii troppo. Tutti quelli che c'erano stati intorno a me, pian piano scomparivano, lasciandomi le loro qualità migliori, i sorrisi, gli affetti.
È questo il dramma dell'adolescenza; quando si cambia binario e si cerca ostinatamente di convincersi che nulla è successo, che tutto può ripetersi. Non so dove mi mossi, perché ancora oggi desidero più di ogni altra cosa dire alla gente che sono diverso da loro, dalle abitudini imposte.
Le persone a cui voglio bene lo sanno e mi capiscono. E ancora oggi, mi fa piacere quando mi chiamano Roddie, come i miei dieci amici facevano, quando un bacio di un angelo, ci scuoteva il cuore.