STEFANO PISTILLO

LA NUOVA METRO

Finalmente la metropolitana era pronta. Erano anni che i cittadini si domandavano quando sarebbero finiti i lavori che costruivano il tunnel e le stazioni sotterranee; ora il giorno dell’inaugurazione era arrivato. Io ero alla stazione 10, l’ultima, insieme ad una folla di persone che riempiva completamente la banchina, pronta ad applaudire l’arrivo della prima corsa.
La prima fila era riservata agli ideatori e finanziatori della metro, al sindaco, ai suoi stretti collaboratori e a qualche suo amico e politico. Io ero tra loro, in qualità di personale amico del sindaco. Mi stavo domandando quando sarebbe iniziata l’inaugurazione, quando il sindaco prese il microfono e disse che il primo mezzo era partito in quel momento dalla stazione 1 e stava arrivando. Poiché non si sarebbe fermato nelle stazioni intermedie, in pochi minuti avrebbe raggiunto la folla in attesa. Finalmente si sentì la corrente creata dal vuoto d’aria che preannunciava l’arrivo della metro, poi si levò sempre più forte il suo rumore e infine comparve alla vista, nell’acclamazione generale. Anch’io ero molto teso.
Quando si fermò e aprì le porte, il sindaco iniziò il suo discorso, nel quale invitò ognuno ad usufruire del mezzo di trasporto della città nei giorni seguenti. Mentre finiva il discorso, gli si avvicinò un uomo della direzione e gli disse alcune parole sottovoce. Il sindaco ascoltò senza smettere di sorridere, poi concluse il suo discorso al microfono:
- Lunedì inizieranno regolarmente i viaggi in tutta la città. Ora se vogliamo trasferirci nella piazza sovrastante, permetteremo ai tecnici di dare un’ultima controllata alla nostra nuova metropolitana.
La folla iniziò a salire le scalinate, ma il sindaco non la seguì: fece un cenno a me e ad altri due uomini e salì sul mezzo. Eravamo in cinque: oltre a me e al sindaco c’erano De Carli, responsabile del progetto, il macchinista e l’uomo che aveva avvicinato il sindaco durante il discorso, che mi fu presentato come il signor Marotti.
Quando la stazione fu completamente svuotata dal pubblico, il sindaco chiese a De Carli cosa fosse successo. Egli rispose:
- Non so assolutamente come sia successo, ma manca una carrozza, la quinta.
- Cosa? – esclamarono all’unisono il sindaco e il macchinista. Questi uscì subito per contare i vagoni.
Quando tornò esclamò:
- Manca un vagone, è vero, ma sarò partito senza.
- Temo di no. – disse Marotti. – Abbiamo già telefonato alla stazione di partenza, ma ci hanno confermato che il mezzo è partito con tutti e sei i vagoni. Dubito che possano aver sofferto di allucinazione collettiva.
A quel punto il sindaco uscì e lo seguimmo tutti. Contai cinque vagoni, ma non vidi nessun segno di anomalie nel mezzo: gli ultimi due vagoni erano uniti tra loro nella normalità più assoluta.
- Siamo sicuri, allora, che è partito con sei vagoni e che è arrivato senza il numero 5? – chiese il sindaco.
- Si. E c’è di più. – continuò Marotti. – Avevamo degli uomini ad ogni stazione del tragitto e questi hanno osservato il viaggio. Nessuno di loro ha notato anomalie.
- Sta dicendo che il vagone è stato rubato tra la stazione 2 e questa?
- Sì, anche se io non userei il termine rubato…
- Cosa intende dire?
- Signor sindaco, il mezzo ha impiegato meno di un minuto dalla stazione 2 a questa. Dubito
che qualcuno in sessanta secondi possa staccare un vagone da una metropolitana in corsa, senza contare che è proprio il quinto che manca, non l’ultimo, tutto questo in un tunnel che ha lo spazio giusto per far transitare i mezzi e basta…
Ci fu un momento di silenzio, poi il macchinista proruppe:
- Che razza di diavoleria è successa?
Il sindaco si rivolse a De Carli:
- Lei cosa dice?
- Ne abbiamo discusso mentre lei teneva il discorso, e siamo giunti ad un’unica conclusione
ragionevole, anche se può sembrare assurda. – Fece una pausa, durante la quale mi guardò. – Abbiamo pensato a un passaggio tra dimensioni, o qualcosa di simile. Per questo le abbiamo chiesto di far rimanere il suo amico. Sappiamo che è scienziato. Forse ci può aiutare.
Si girarono tutti a guardarmi, aspettando la mia opinione.
- Il vagone è sparito nel nulla? – chiesi
- Nel nulla. E non è riapparso da nessuna altra parte, per quel che ne sappiamo.
- E siamo sicuri che sia sparito proprio il vagone numero 5?
- Sì, è sicuro. E come vede i vagoni 4 e 6 sono uniti perfettamente. Ci vuole qualche minuto
per chiudere tutte le giunture.
Ci pensai su un minuto, pensando cosa dire.
- E’ la prima volta che un mezzo fa questo tragitto? – chiesi
- No, è chiaro. Abbiamo fatto diverse prove prima dell’inaugurazione ed è sempre stato tutto
perfetto. Solo oggi, passando tra le due stazioni, perdiamo un vagone. Sembra assurdo!
- Secondo me un varco dimensionale che esce così dal nulla è da escludere. Piuttosto potrebbe essere stato un campo di forza. Ci sarà una spiegazione razionale, per forza
- Marco – mi chiamò il sindaco serio. – Tiraci fuori da questa situazione.
Stetti a pensare un altro po’, poi chiesi di entrare nel tunnel a piedi.
De Carli e Marotti chiesero al macchinista di non fare parola con nessuno di quanto aveva saputo, quindi lo mandarono a casa. Furono invece chiamati dei tecnici che fecero luce nel tunnel. Quando tutto fu pronto, Marotti fece da cicerone al nostro piccolo gruppo.
- La stazione 2 dista meno di un chilometro – ci spiegò all’ingresso della galleria. – Ci impiegheremo una ventina di minuti a percorrere la strada a piedi.
Iniziammo il cammino in silenzio. Si aspettavano che io tirassi fuori la soluzione come un mago tira fuori il coniglio dal cappello, ma non sapevo proprio cosa potevo dire, era presto per farlo. Marotti, forse per evitare un silenzio imbarazzato, cominciò a spiegarci cosa si trovava al livello della città, nominando i nomi dei vari hotel ed edifici che costeggiavano il corso sopra di noi. Lo ascoltavo con un orecchio solo, perché pensavo al potente e preciso campo di forza che aveva provocato la sparizione di un solo vagone.
Intanto camminavamo, preceduti da alcuni tecnici silenziosi. Pensai cosa sarebbe successo se uno di loro fosse scomparso improvvisamente nel nulla. Ma era impossibile che accadesse: il vagone era scomparso a causa di fattori molto precisi. La scomparsa del tecnico sarebbe stata imprevedibile come una vittoria alla lotteria, a meno che… Mi fermai di colpo. Qualcosa aveva finalmente attirato la mia attenzione. Gli altri mi guardarono stupiti. Probabilmente si aspettavano che avessi risolto il problema. E forse avevano ragione.
- Chiedo scusa, - mi rivolsi a Marotti – può ripetere cosa c’è qui sopra? Ero un po’ distratto.
- Ma certo. Dicevo che a destra c’è il palazzo Corradi, dove si trovano gli uffici della SIAE.
Dall’altra parte della strada ha sede la filiale della banca…
Smisi nuovamente di ascoltarlo. Il Palazzo Corradi mi suggeriva qualcosa.
- Palazzo Corradi… Dove l’ho già sentito? – pensai ad alta voce. – Che rabbia essere vicino a un’idea e non riuscire ad afferrarla… Ecco! Che diamine! Ci sono stato due settimane fa! Come avevo potuto dimenticarlo? Forse perché non sono abituato a chiamarlo Palazzo Corradi, né tantomeno sapevo ospitasse la SIAE.-
Feci una pausa, poi esclamai:
- Torniamo in superficie – esclamai .- Devo entrare nel Palazzo Corradi.

Nessuno fece domande. Forse era meglio così, almeno non dovevo spiegare ciò che avevo nella mia mente: una descrizione molto teorica su ciò che era successo, che però non avevo nessuna voglia di condividere con quelle persone.
Tornammo indietro per il tragitto fino alla stazione 1, salimmo le scalinate e ci ritrovammo in piazza. La folla si era ormai dispersa, era passata quasi un’ora dall’inaugurazione. C’era solo il normale viavai di persone che ogni giorno feriale alle sei di sera passeggia per le vie del centro o esce dagli uffici. Eravamo scortati da guardie del corpo, affinché nessuno ci importunasse e ritardasse le operazioni. Arrivati al Palazzo Corradi, entrai io per primo e mi diressi subito verso le scale. Gli altri mi seguirono senza proferire parola, come se avessero paura di spezzare un incantesimo. Scendemmo al piano inferiore, dove una segretaria di mezza età ci chiese in che modo poteva esserci utile. Mi presentai, poi presentai il sindaco.
- Non abbiamo un appuntamento ma speriamo che il professor Laterano ci permetterà di fargli alcune domande. Se non è troppo impegnato, ovviamente…
- No, penso… penso di no. Lo informo subito.
La segretaria, probabilmente emozionata dalla presenza del sindaco, decise di andare di persona a chiamare Laterano. Intanto ne approfittai per spiegare ai miei compagni:
- Laterano è uno scienziato fisico ed è il responsabile dei laboratori sperimentali APA, il
posto più ambito dai ricercatori italiani. E non solo da loro. E’ un luogo molto prestigioso per la scienza.
Gli altri annuirono, ma evidentemente non capivano perché ci eravamo catapultati da lui. Non glielo spiegai ancora, un po’ per orgoglio, un po’ per prudenza.
Quando entrò Laterano mi sorrise, salutandomi con calore. Io gli presentai gli altri, partendo dal sindaco, dopodiché quest’ultimo spiegò:
- Signor Laterano, saremmo lieti di poter discutere una questione con lei.
Il sindaco non sapeva il perché della nostra presenza, ma così facendo diede ufficialità al mio agire. Perfetto, pensai.
Laterano si dichiarò disponibile a qualsiasi tipo di aiuto e ci chiese di seguirlo nel suo ufficio, che era al piano inferiore. I tecnici rimasero fuori. Ci sedemmo e io presi subito la parola.
- Prima che ti spieghi la situazione, devo chiedere una cosa – Mi rivolsi a Marotti: - A che ora
esattamente è partita la metro?
- Qualche minuto prima delle cinque. Ed è arrivata a destinazione poco dopo le cinque.
Guardai il sindaco negli occhi e lui mi fece un cenno affermativo con la testa. Allora iniziai a raccontare tutta la storia a Laterano. Non mi interruppe e aspettò la fine per rivolgermi le stesse domande che avevo posto io pochi minuti prima. Lo lasciai pensare un poco, finchè vidi dal suo sguardo che iniziava a capire.
- Alle cinque stavate lavorando, vero? – gli chiesi
- Sì, stavamo facendo proprio l’esperimento di cui avevamo parlato insieme e.. tu credi che ..
ma sarebbe incredibile. Un momento, cosa si trova dall’altra parte del corso?
- Una banca. – risposi
- Alle cinque. Sarebbe perfetto. Ma è pazzesco… -Laterano scoppiò a ridere.
- No, è solo scientificamente perfetto.
Ritenni che fosse il momento di rendere partecipi anche gli altri della nostra intuizione.
- I piani sotterranei del Palazzo sono la sede dei laboratori APA che si occupano di ricerche in
campo elettromagnetico. Oggi alle cinque hanno fatto uno dei loro esperimenti, quindi hanno usato un quantitativo molto alto di corrente elettrica, di cui avevano bisogno. Questo non avrebbe dovuto provocare quello che è accaduto, ma io penso che la banca abbia fatto da elettrodo: sicuramente alle cinque di sera la banca ha chiuso e credo abbia chiuso anche il caveau che si trova nei piani inferiori, oserei dire alla stessa altezza dei laboratori APA, con un evidente dispendio di energia elettrica. Quello che ho pensato è che tra le due stanze si sia creato una qualche genere di differenza di potenziale, un campo di forza che ha provocato la scomparsa del mezzo che è passato proprio tra i due capi del campo stesso in quel momento.
Feci una pausa per permettere a tutti di assimilare le informazioni.
- Complimenti, Marco – si congratulò Laterano. – Suona lo stesso incredibile, ma non penso
che potrei trovare una spiegazione migliore. Sei un genio.
- C’è ancora una cosa che non capisco – mi chiese il sindaco. – Perché è scomparso solo un
vagone? E perché proprio quel vagone?
- Beh, non ho ancora avuto modo di pensarci, in fondo mi è venuta in mente questa
spiegazione solo pochi minuti fa. Io penso che sia accaduto per una combinazione di fattori quali la sua massa, il suo volume, la sua posizione lungo la metropolitana nel suo insieme, la velocità, il tempo… Servirebbero settimane di calcoli e non sono sicuro che potremmo spiegarlo comunque. Una cosa è certa, però: ora dobbiamo far tornare il vagone.
- Perché? – chiese De Carli. – L’importante è che non succeda più questo campo di forza da
una parte all’altra della galleria, ma perché serve far tornare il vagone?
- Potrebbe essere molto pericoloso – gli rispose Laterano. – Il vagone potrebbe apparire in
qualsiasi punto della terra in qualsiasi momento, causando caos e scompiglio.
Poiché non sembrava convinto, io aggiunsi:
- Potrebbe provocare degli incidenti e dei morti, con evidente responsabilità della vostra
metropolitana. E questo sarebbe deprecabile…
- Certo, certo. – tagliò corto De Carli, convinto. – Come facciamo a far tornare il vagone?
- Ripetendo le stesse condizioni e facendo ripassare il mezzo attraverso il campo.

Ero di nuovo alla stazione 1, come tre ore prima. Solo che adesso non c’era pubblico: erano presenti il sindaco, De Carli, Marotti e me. C’era anche il direttore della banca implicata, che aveva voluto essere presente, dopo che il sindaco gli aveva esposto il problema e gli aveva chiesto di aprire e chiudere nuovamente il caveau.
Io avevo insistito che fosse lo stesso macchinista a guidare il mezzo. Quando arrivò gli spiegai la situazione, lo assicurai che non avrebbe corso nessun pericolo e gli chiesi di fare esattamente quello che aveva fatto poche ore prima, mantenendo anche la stessa velocità.
Alle otto meno un quarto tutto era pronto. Eravamo collegati via radio con Laterano dentro il suo laboratorio, col vicedirettore della banca e naturalmente con ogni stazione della metropolitana. Il sindaco diede l’ordine di partenza e l’operazione iniziò.
Erano quasi le otto quando il mezzo partì e gli esperimenti dell’APA furono ripetuti. Gli operatori presenti ad ogni stazione ci avvisarono quando il mezzo passò senza problemi davanti a loro. Quando la stazione 2 finì di comunicare trattenemmo tutti il fiato. La metro arrivò e si fermò. Tutti contammo i vagoni. Uno,due,tre,quattro…quattro!
- Oh mio Dio! – esclamò il sindaco.
De Carli e Marotti mi guardarono con poca benevolenza, come se fossi stato io a far sparire il vagone. Il macchinista disse che anche questa volta era sparito il penultimo vagone.
Mi chiesi cosa fosse andato storto: non doveva accadere questo. Le condizioni erano le stesse di prima, e…ma certo! Erano le stesse identiche condizioni, quindi non poteva che riaccadere la stessa cosa. Bisognava invertire il procedimento, trovare la condizione che capovolgeva la situazione per compensare e tornare alla normalità. Potevamo provare solo un’altra cosa: invertire il tragitto della metro, farle percorrere il tragitto in senso opposto. Ne parlai subito con Laterano che ci aveva raggiunto. Non potevamo sbagliare di nuovo e lo sapevamo. Laterano mi chiese se invece non dovevamo invertire le posizioni del caveau e del laboratorio. Ci pensai un momento, poi respinsi l’idea.
- Credo che invertire il tragitto sia una soluzione equivalente. E poi credi che se glielo
dicessimo ci permetterebbero di farlo? Ci manderebbero a casa e chiamerebbero altri due scienziati. Non l’hanno già fatto solamente perché sono amico del sindaco, ma questa è l’ultima possibilità.
- Che Dio ce la mandi buona.
- Lo farà.
Il sindaco ci raggiunse e gli spiegai cosa avevamo intenzione di fare. Annuì senza dire nulla, poi dopo qualche secondo aggiunse:
- Sai cosa ho pensato? Che in fondo se il vagone è sparito è colpa tua.
Lo guardai facendo tanto d’occhi, ma lui si affrettò a spiegare, sorridendo:
- Ma sì, ti ricordi, sei stato tu a insistere quella sera a cena da Paolo che l’inaugurazione fosse
alle cinque di sera, affinché potessi essere presente tu e tutta la gente che usciva dal lavoro. Se non l’avessi detto a quest’ora saremmo di nuovo a cena.
Io sorrisi, un po’ a disagio, e dissi:
- Mi spiace, non pensavo che sarebbe successo tutto questo..
- Ma certo che no! – Il sindaco rise. Poi tornò serio e aggiunse. – Però ora fai il possibile per
far tornare tutto a posto. Lo sai che non dipende da me: se fallisci, non avrai una seconda possibilità.
Annuii. Lui si volse e andò a parlare col direttore della banca.
Toccò di nuovo a me parlare col macchinista, ma questa volta non fece obiezioni, sembrò rassegnato al suo compito nella vicenda.
Erano le undici meno venti quando per la terza volta nella giornata mi trovai davanti alla nuova metro. Questa volta però partiva dalla stazione 1 e si dirigeva alla stazione 2. Avevamo pensato che sarebbe stato poco saggio farla andare verso la stazione 2 passando dal tunnel giusto, così il macchinista aveva fatto manovra in un tratto di binari che si trovava oltre la nostra stazione, e si era rimesso contromano sugli stessi binari delle due volte precedenti. L’unico problema era la velocità: il mezzo doveva passare alla stessa velocità delle volte precedenti, cioè circa 80 chilometri orari. Per far questo il macchinista portò il mezzo oltre la stazione, in un deposito (precedentemente liberato) ad una distanza che gli consentisse l’accelerazione necessaria. Avevo fatto un po’ di calcoli con Laterano e il mezzo avrebbe dovuto farcela senza troppi problemi.
Anche se era tutto pronto qualche minuto prima, il segnale di partenza fu dato solo alle undici meno cinque, più per scaramanzia che per altro. Il mezzo partì, dopo poco ci sfrecciò davanti ed entrò nel buio del tunnel. Sentii il battito cardiaco accelerare. Dalla radio arrivò un grido. Erano gli operatori della stazione 2. Pensammo subito tutti al peggio. Iniziai a sentirmi in colpa per aver convinto quel poveretto a guidare attraverso un campo di forza così potente e pericoloso. Nessuno avrebbe potuto prevedere quali danni avrebbe provocato, magari la scomparsa della metro o una deformazione mostruosa del macchinista… Anche se ero stato così sicuro del fatto mio, poteva essere andato storto qualcosa, ma speravo tanto che…
Tutti questi pensieri mi occuparono la mente per meno di un secondo, finché non si sentì dalla radio un grido:
- Sono sei! Sono sei! SEI!
Tirai un sospiro di sollievo. Svuotato dell’adrenalina, mi lasciai cadere su una panchina. Pensai per la prima volta che avevo saltato la cena e mi venne una gran fame, ma anche una gran voglia di tornare a casa. Ma aspettai ancora qualche minuto. Mi raggiunsero De Carli e Marotti, con un sorriso imbarazzato sui loro volti.
- Dobbiamo ammettere che abbiamo dubitato di lei, ma ci scusiamo e vogliamo ringraziarla
per quello che ha fatto.
Mi strinsero la mano, mentre io borbottavo qualcosa sul merito che avevamo avuto tutti, senza crederci troppo. Anche il sindaco venne a congratularsi con me e mi chiese che compenso avrei voluto per la buona riuscita. Io dissi che non volevo nulla, tergiversai, poi dissi:
- Veramente una cosa ci sarebbe…
- Dai, dimmela.
- Beh, è una cosa molto difficile, non so se tu puoi aiut..
- Su, smettila e parla. Dopo quello che hai fatto stasera, credo che sarà più facile saltare
qualche passaggio burocratico…
- Detto sinceramente, mi piacerebbe molto far parte del team di scienziati dell’APA, dove
lavora Laterano. Ecco, non so cosa si può fare, ma se tu puoi mettere una buona parola…
- Marco, non ti assicuro niente, ma ti prometto che farò il possibile. A patto che non facciate
più esperimenti alle cinque di sera… Ci stringemmo la mano, per siglare il nostro accordo. – A proposito di Laterano, dimenticavo che ha chiesto via radio se puoi fare subito un salto da lui al laboratorio.

Lo trovai nel suo ufficio che mi aspettava. Gli sorrisi e lui mi sorrise, ma vidi che aveva qualcosa che lo tormentava.
- E’ andato tutto bene – disse lentamente.
- Sì, fortunatamente.
- Fortunatamente? Non eri certo?
- Certo? Come avrei potuto?
- Beh, ho pensato qualche minuto a tutta la faccenda e ci sono alcune cose che mi sono
apparse… curiose.
- Ad esempio?
- Ad esempio non sapevo che tu avevi suggerito al sindaco di fare l’inaugurazione proprio alle
cinque di oggi.
- Ma… in realtà gli ho detto solo che sarebbe venuta più gente a quell’ora, piuttosto che di
mattina.
- Certo, è solo curioso il fatto che sia stato sempre tu a suggerire a me di fare l’esperimento
quell’ora, suggerendomi che a quell’ora sarebbe stato meglio…
Fece una pausa. Aspettai un momento, poi gli sorrisi.
- Non penserai mica che abbia fatto in modo di provocare il campo di forza! Ma è
impossibile! Come avrei fatto?
- Beh, immagino che ci avrai pensato a lungo.
- Ma dai, Riccardo! E’ una cosa assurda! Avrei rischiato la vita di quel povero macchinista
ben tre volte.. e poi per cosa? Perché avrei dovuto farlo? Cosa avrei guadagnato?
Laterano pensò ancora un minuto, poi sorrise imbarazzato e si giustificò:
- Hai ragione, scusami. Sono stato uno stupido. Non so cosa mi sia passato per la mente.
Scusami. E’ che quando ti viene un’idea pensi subito che sia vera e non rifletti mai sulla sua assurdità. Sai com’è…
- Non ci pensare più, so che non lo pensavi veramente.

La metro iniziò a funzionare regolarmente dal lunedì successivo alla vicenda. Scommetto che i tecnici passarono il weekend a far passare mezzi all’infinito per vedere se c’erano altri problemi possibili. Non ce ne furono, e nessuno nella città venne messo a conoscenza di quello che era successo. Dopo quella sera, per precauzione i laboratori APA furono trasferiti al settimo piano di Palazzo Corradi, prendendo lo spazio degli uffici della SIAE, che furono spostati nei piani sotterranei. Io fui assunto all’APA come scienziato ricercatore tre mesi dopo l’accaduto. Grazie all’aiuto del sindaco arrivai subito anche ad un posto di posizione abbastanza elevata. Quando rividi per la prima volta Laterano ovviamente né io né lui dicemmo nulla a riguardo della metropolitana , ma fui sicuro che il dubbio passò nuovamente nella sua testa, ancora più consistente. Decisi di diventare velocemente amico del Presidente dei laboratori.

Ora è passato un anno e il Presidente, dietro il mio disinteressato suggerimento, ha nominato Laterano responsabile delle relazioni con i laboratori scientifici d’oltreoceano. Starà via per un po’. Sono sicuro che non parlerà a nessuno della metro. E poi, chissà se quando tornerà Laterano lavorerà ancora per noi?