LA NUOVA METRO
Finalmente la metropolitana era pronta. Erano anni che i cittadini si domandavano
quando sarebbero finiti i lavori che costruivano il tunnel e le stazioni sotterranee;
ora il giorno dell’inaugurazione era arrivato. Io ero alla stazione
10, l’ultima, insieme ad una folla di persone che riempiva completamente
la banchina, pronta ad applaudire l’arrivo della prima corsa.
La prima fila era riservata agli ideatori e finanziatori della metro, al sindaco,
ai suoi stretti collaboratori e a qualche suo amico e politico. Io ero tra
loro, in qualità di personale amico del sindaco. Mi stavo domandando
quando sarebbe iniziata l’inaugurazione, quando il sindaco prese il
microfono e disse che il primo mezzo era partito in quel momento dalla stazione
1 e stava arrivando. Poiché non si sarebbe fermato nelle stazioni intermedie,
in pochi minuti avrebbe raggiunto la folla in attesa. Finalmente si sentì
la corrente creata dal vuoto d’aria che preannunciava l’arrivo
della metro, poi si levò sempre più forte il suo rumore e infine
comparve alla vista, nell’acclamazione generale. Anch’io ero molto
teso.
Quando si fermò e aprì le porte, il sindaco iniziò il
suo discorso, nel quale invitò ognuno ad usufruire del mezzo di trasporto
della città nei giorni seguenti. Mentre finiva il discorso, gli si
avvicinò un uomo della direzione e gli disse alcune parole sottovoce.
Il sindaco ascoltò senza smettere di sorridere, poi concluse il suo
discorso al microfono:
- Lunedì inizieranno regolarmente i viaggi in tutta la città.
Ora se vogliamo trasferirci nella piazza sovrastante, permetteremo ai tecnici
di dare un’ultima controllata alla nostra nuova metropolitana.
La folla iniziò a salire le scalinate, ma il sindaco non la seguì:
fece un cenno a me e ad altri due uomini e salì sul mezzo. Eravamo
in cinque: oltre a me e al sindaco c’erano De Carli, responsabile del
progetto, il macchinista e l’uomo che aveva avvicinato il sindaco durante
il discorso, che mi fu presentato come il signor Marotti.
Quando la stazione fu completamente svuotata dal pubblico, il sindaco chiese
a De Carli cosa fosse successo. Egli rispose:
- Non so assolutamente come sia successo, ma manca una carrozza, la quinta.
- Cosa? – esclamarono all’unisono il sindaco e il macchinista.
Questi uscì subito per contare i vagoni.
Quando tornò esclamò:
- Manca un vagone, è vero, ma sarò partito senza.
- Temo di no. – disse Marotti. – Abbiamo già telefonato
alla stazione di partenza, ma ci hanno confermato che il mezzo è partito
con tutti e sei i vagoni. Dubito che possano aver sofferto di allucinazione
collettiva.
A quel punto il sindaco uscì e lo seguimmo tutti. Contai cinque vagoni,
ma non vidi nessun segno di anomalie nel mezzo: gli ultimi due vagoni erano
uniti tra loro nella normalità più assoluta.
- Siamo sicuri, allora, che è partito con sei vagoni e che è
arrivato senza il numero 5? – chiese il sindaco.
- Si. E c’è di più. – continuò Marotti. –
Avevamo degli uomini ad ogni stazione del tragitto e questi hanno osservato
il viaggio. Nessuno di loro ha notato anomalie.
- Sta dicendo che il vagone è stato rubato tra la stazione 2 e questa?
- Sì, anche se io non userei il termine rubato…
- Cosa intende dire?
- Signor sindaco, il mezzo ha impiegato meno di un minuto dalla stazione 2
a questa. Dubito
che qualcuno in sessanta secondi possa staccare un vagone da una metropolitana
in corsa, senza contare che è proprio il quinto che manca, non l’ultimo,
tutto questo in un tunnel che ha lo spazio giusto per far transitare i mezzi
e basta…
Ci fu un momento di silenzio, poi il macchinista proruppe:
- Che razza di diavoleria è successa?
Il sindaco si rivolse a De Carli:
- Lei cosa dice?
- Ne abbiamo discusso mentre lei teneva il discorso, e siamo giunti ad un’unica
conclusione
ragionevole, anche se può sembrare assurda. – Fece una pausa,
durante la quale mi guardò. – Abbiamo pensato a un passaggio
tra dimensioni, o qualcosa di simile. Per questo le abbiamo chiesto di far
rimanere il suo amico. Sappiamo che è scienziato. Forse ci può
aiutare.
Si girarono tutti a guardarmi, aspettando la mia opinione.
- Il vagone è sparito nel nulla? – chiesi
- Nel nulla. E non è riapparso da nessuna altra parte, per quel che
ne sappiamo.
- E siamo sicuri che sia sparito proprio il vagone numero 5?
- Sì, è sicuro. E come vede i vagoni 4 e 6 sono uniti perfettamente.
Ci vuole qualche minuto
per chiudere tutte le giunture.
Ci pensai su un minuto, pensando cosa dire.
- E’ la prima volta che un mezzo fa questo tragitto? – chiesi
- No, è chiaro. Abbiamo fatto diverse prove prima dell’inaugurazione
ed è sempre stato tutto
perfetto. Solo oggi, passando tra le due stazioni, perdiamo un vagone. Sembra
assurdo!
- Secondo me un varco dimensionale che esce così dal nulla è
da escludere. Piuttosto potrebbe essere stato un campo di forza. Ci sarà
una spiegazione razionale, per forza
- Marco – mi chiamò il sindaco serio. – Tiraci fuori da
questa situazione.
Stetti a pensare un altro po’, poi chiesi di entrare nel tunnel a piedi.
De Carli e Marotti chiesero al macchinista di non fare parola con nessuno
di quanto aveva saputo, quindi lo mandarono a casa. Furono invece chiamati
dei tecnici che fecero luce nel tunnel. Quando tutto fu pronto, Marotti fece
da cicerone al nostro piccolo gruppo.
- La stazione 2 dista meno di un chilometro – ci spiegò all’ingresso
della galleria. – Ci impiegheremo una ventina di minuti a percorrere
la strada a piedi.
Iniziammo il cammino in silenzio. Si aspettavano che io tirassi fuori la soluzione
come un mago tira fuori il coniglio dal cappello, ma non sapevo proprio cosa
potevo dire, era presto per farlo. Marotti, forse per evitare un silenzio
imbarazzato, cominciò a spiegarci cosa si trovava al livello della
città, nominando i nomi dei vari hotel ed edifici che costeggiavano
il corso sopra di noi. Lo ascoltavo con un orecchio solo, perché pensavo
al potente e preciso campo di forza che aveva provocato la sparizione di un
solo vagone.
Intanto camminavamo, preceduti da alcuni tecnici silenziosi. Pensai cosa sarebbe
successo se uno di loro fosse scomparso improvvisamente nel nulla. Ma era
impossibile che accadesse: il vagone era scomparso a causa di fattori molto
precisi. La scomparsa del tecnico sarebbe stata imprevedibile come una vittoria
alla lotteria, a meno che… Mi fermai di colpo. Qualcosa aveva finalmente
attirato la mia attenzione. Gli altri mi guardarono stupiti. Probabilmente
si aspettavano che avessi risolto il problema. E forse avevano ragione.
- Chiedo scusa, - mi rivolsi a Marotti – può ripetere cosa c’è
qui sopra? Ero un po’ distratto.
- Ma certo. Dicevo che a destra c’è il palazzo Corradi, dove
si trovano gli uffici della SIAE.
Dall’altra parte della strada ha sede la filiale della banca…
Smisi nuovamente di ascoltarlo. Il Palazzo Corradi mi suggeriva qualcosa.
- Palazzo Corradi… Dove l’ho già sentito? – pensai
ad alta voce. – Che rabbia essere vicino a un’idea e non riuscire
ad afferrarla… Ecco! Che diamine! Ci sono stato due settimane fa! Come
avevo potuto dimenticarlo? Forse perché non sono abituato a chiamarlo
Palazzo Corradi, né tantomeno sapevo ospitasse la SIAE.-
Feci una pausa, poi esclamai:
- Torniamo in superficie – esclamai .- Devo entrare nel Palazzo Corradi.
Nessuno fece domande. Forse era meglio così, almeno non dovevo spiegare
ciò che avevo nella mia mente: una descrizione molto teorica su ciò
che era successo, che però non avevo nessuna voglia di condividere
con quelle persone.
Tornammo indietro per il tragitto fino alla stazione 1, salimmo le scalinate
e ci ritrovammo in piazza. La folla si era ormai dispersa, era passata quasi
un’ora dall’inaugurazione. C’era solo il normale viavai
di persone che ogni giorno feriale alle sei di sera passeggia per le vie del
centro o esce dagli uffici. Eravamo scortati da guardie del corpo, affinché
nessuno ci importunasse e ritardasse le operazioni. Arrivati al Palazzo Corradi,
entrai io per primo e mi diressi subito verso le scale. Gli altri mi seguirono
senza proferire parola, come se avessero paura di spezzare un incantesimo.
Scendemmo al piano inferiore, dove una segretaria di mezza età ci chiese
in che modo poteva esserci utile. Mi presentai, poi presentai il sindaco.
- Non abbiamo un appuntamento ma speriamo che il professor Laterano ci permetterà
di fargli alcune domande. Se non è troppo impegnato, ovviamente…
- No, penso… penso di no. Lo informo subito.
La segretaria, probabilmente emozionata dalla presenza del sindaco, decise
di andare di persona a chiamare Laterano. Intanto ne approfittai per spiegare
ai miei compagni:
- Laterano è uno scienziato fisico ed è il responsabile dei
laboratori sperimentali APA, il
posto più ambito dai ricercatori italiani. E non solo da loro. E’
un luogo molto prestigioso per la scienza.
Gli altri annuirono, ma evidentemente non capivano perché ci eravamo
catapultati da lui. Non glielo spiegai ancora, un po’ per orgoglio,
un po’ per prudenza.
Quando entrò Laterano mi sorrise, salutandomi con calore. Io gli presentai
gli altri, partendo dal sindaco, dopodiché quest’ultimo spiegò:
- Signor Laterano, saremmo lieti di poter discutere una questione con lei.
Il sindaco non sapeva il perché della nostra presenza, ma così
facendo diede ufficialità al mio agire. Perfetto, pensai.
Laterano si dichiarò disponibile a qualsiasi tipo di aiuto e ci chiese
di seguirlo nel suo ufficio, che era al piano inferiore. I tecnici rimasero
fuori. Ci sedemmo e io presi subito la parola.
- Prima che ti spieghi la situazione, devo chiedere una cosa – Mi rivolsi
a Marotti: - A che ora
esattamente è partita la metro?
- Qualche minuto prima delle cinque. Ed è arrivata a destinazione poco
dopo le cinque.
Guardai il sindaco negli occhi e lui mi fece un cenno affermativo con la testa.
Allora iniziai a raccontare tutta la storia a Laterano. Non mi interruppe
e aspettò la fine per rivolgermi le stesse domande che avevo posto
io pochi minuti prima. Lo lasciai pensare un poco, finchè vidi dal
suo sguardo che iniziava a capire.
- Alle cinque stavate lavorando, vero? – gli chiesi
- Sì, stavamo facendo proprio l’esperimento di cui avevamo parlato
insieme e.. tu credi che ..
ma sarebbe incredibile. Un momento, cosa si trova dall’altra parte del
corso?
- Una banca. – risposi
- Alle cinque. Sarebbe perfetto. Ma è pazzesco… -Laterano scoppiò
a ridere.
- No, è solo scientificamente perfetto.
Ritenni che fosse il momento di rendere partecipi anche gli altri della nostra
intuizione.
- I piani sotterranei del Palazzo sono la sede dei laboratori APA che si occupano
di ricerche in
campo elettromagnetico. Oggi alle cinque hanno fatto uno dei loro esperimenti,
quindi hanno usato un quantitativo molto alto di corrente elettrica, di cui
avevano bisogno. Questo non avrebbe dovuto provocare quello che è accaduto,
ma io penso che la banca abbia fatto da elettrodo: sicuramente alle cinque
di sera la banca ha chiuso e credo abbia chiuso anche il caveau che si trova
nei piani inferiori, oserei dire alla stessa altezza dei laboratori APA, con
un evidente dispendio di energia elettrica. Quello che ho pensato è
che tra le due stanze si sia creato una qualche genere di differenza di potenziale,
un campo di forza che ha provocato la scomparsa del mezzo che è passato
proprio tra i due capi del campo stesso in quel momento.
Feci una pausa per permettere a tutti di assimilare le informazioni.
- Complimenti, Marco – si congratulò Laterano. – Suona
lo stesso incredibile, ma non penso
che potrei trovare una spiegazione migliore. Sei un genio.
- C’è ancora una cosa che non capisco – mi chiese il sindaco.
– Perché è scomparso solo un
vagone? E perché proprio quel vagone?
- Beh, non ho ancora avuto modo di pensarci, in fondo mi è venuta in
mente questa
spiegazione solo pochi minuti fa. Io penso che sia accaduto per una combinazione
di fattori quali la sua massa, il suo volume, la sua posizione lungo la metropolitana
nel suo insieme, la velocità, il tempo… Servirebbero settimane
di calcoli e non sono sicuro che potremmo spiegarlo comunque. Una cosa è
certa, però: ora dobbiamo far tornare il vagone.
- Perché? – chiese De Carli. – L’importante è
che non succeda più questo campo di forza da
una parte all’altra della galleria, ma perché serve far tornare
il vagone?
- Potrebbe essere molto pericoloso – gli rispose Laterano. – Il
vagone potrebbe apparire in
qualsiasi punto della terra in qualsiasi momento, causando caos e scompiglio.
Poiché non sembrava convinto, io aggiunsi:
- Potrebbe provocare degli incidenti e dei morti, con evidente responsabilità
della vostra
metropolitana. E questo sarebbe deprecabile…
- Certo, certo. – tagliò corto De Carli, convinto. – Come
facciamo a far tornare il vagone?
- Ripetendo le stesse condizioni e facendo ripassare il mezzo attraverso il
campo.
Ero di nuovo alla stazione 1, come tre ore prima. Solo che adesso non c’era
pubblico: erano presenti il sindaco, De Carli, Marotti e me. C’era anche
il direttore della banca implicata, che aveva voluto essere presente, dopo
che il sindaco gli aveva esposto il problema e gli aveva chiesto di aprire
e chiudere nuovamente il caveau.
Io avevo insistito che fosse lo stesso macchinista a guidare il mezzo. Quando
arrivò gli spiegai la situazione, lo assicurai che non avrebbe corso
nessun pericolo e gli chiesi di fare esattamente quello che aveva fatto poche
ore prima, mantenendo anche la stessa velocità.
Alle otto meno un quarto tutto era pronto. Eravamo collegati via radio con
Laterano dentro il suo laboratorio, col vicedirettore della banca e naturalmente
con ogni stazione della metropolitana. Il sindaco diede l’ordine di
partenza e l’operazione iniziò.
Erano quasi le otto quando il mezzo partì e gli esperimenti dell’APA
furono ripetuti. Gli operatori presenti ad ogni stazione ci avvisarono quando
il mezzo passò senza problemi davanti a loro. Quando la stazione 2
finì di comunicare trattenemmo tutti il fiato. La metro arrivò
e si fermò. Tutti contammo i vagoni. Uno,due,tre,quattro…quattro!
- Oh mio Dio! – esclamò il sindaco.
De Carli e Marotti mi guardarono con poca benevolenza, come se fossi stato
io a far sparire il vagone. Il macchinista disse che anche questa volta era
sparito il penultimo vagone.
Mi chiesi cosa fosse andato storto: non doveva accadere questo. Le condizioni
erano le stesse di prima, e…ma certo! Erano le stesse identiche condizioni,
quindi non poteva che riaccadere la stessa cosa. Bisognava invertire il procedimento,
trovare la condizione che capovolgeva la situazione per compensare e tornare
alla normalità. Potevamo provare solo un’altra cosa: invertire
il tragitto della metro, farle percorrere il tragitto in senso opposto. Ne
parlai subito con Laterano che ci aveva raggiunto. Non potevamo sbagliare
di nuovo e lo sapevamo. Laterano mi chiese se invece non dovevamo invertire
le posizioni del caveau e del laboratorio. Ci pensai un momento, poi respinsi
l’idea.
- Credo che invertire il tragitto sia una soluzione equivalente. E poi credi
che se glielo
dicessimo ci permetterebbero di farlo? Ci manderebbero a casa e chiamerebbero
altri due scienziati. Non l’hanno già fatto solamente perché
sono amico del sindaco, ma questa è l’ultima possibilità.
- Che Dio ce la mandi buona.
- Lo farà.
Il sindaco ci raggiunse e gli spiegai cosa avevamo intenzione di fare. Annuì
senza dire nulla, poi dopo qualche secondo aggiunse:
- Sai cosa ho pensato? Che in fondo se il vagone è sparito è
colpa tua.
Lo guardai facendo tanto d’occhi, ma lui si affrettò a spiegare,
sorridendo:
- Ma sì, ti ricordi, sei stato tu a insistere quella sera a cena da
Paolo che l’inaugurazione fosse
alle cinque di sera, affinché potessi essere presente tu e tutta la
gente che usciva dal lavoro. Se non l’avessi detto a quest’ora
saremmo di nuovo a cena.
Io sorrisi, un po’ a disagio, e dissi:
- Mi spiace, non pensavo che sarebbe successo tutto questo..
- Ma certo che no! – Il sindaco rise. Poi tornò serio e aggiunse.
– Però ora fai il possibile per
far tornare tutto a posto. Lo sai che non dipende da me: se fallisci, non
avrai una seconda possibilità.
Annuii. Lui si volse e andò a parlare col direttore della banca.
Toccò di nuovo a me parlare col macchinista, ma questa volta non fece
obiezioni, sembrò rassegnato al suo compito nella vicenda.
Erano le undici meno venti quando per la terza volta nella giornata mi trovai
davanti alla nuova metro. Questa volta però partiva dalla stazione
1 e si dirigeva alla stazione 2. Avevamo pensato che sarebbe stato poco saggio
farla andare verso la stazione 2 passando dal tunnel giusto, così il
macchinista aveva fatto manovra in un tratto di binari che si trovava oltre
la nostra stazione, e si era rimesso contromano sugli stessi binari delle
due volte precedenti. L’unico problema era la velocità: il mezzo
doveva passare alla stessa velocità delle volte precedenti, cioè
circa 80 chilometri orari. Per far questo il macchinista portò il mezzo
oltre la stazione, in un deposito (precedentemente liberato) ad una distanza
che gli consentisse l’accelerazione necessaria. Avevo fatto un po’
di calcoli con Laterano e il mezzo avrebbe dovuto farcela senza troppi problemi.
Anche se era tutto pronto qualche minuto prima, il segnale di partenza fu
dato solo alle undici meno cinque, più per scaramanzia che per altro.
Il mezzo partì, dopo poco ci sfrecciò davanti ed entrò
nel buio del tunnel. Sentii il battito cardiaco accelerare. Dalla radio arrivò
un grido. Erano gli operatori della stazione 2. Pensammo subito tutti al peggio.
Iniziai a sentirmi in colpa per aver convinto quel poveretto a guidare attraverso
un campo di forza così potente e pericoloso. Nessuno avrebbe potuto
prevedere quali danni avrebbe provocato, magari la scomparsa della metro o
una deformazione mostruosa del macchinista… Anche se ero stato così
sicuro del fatto mio, poteva essere andato storto qualcosa, ma speravo tanto
che…
Tutti questi pensieri mi occuparono la mente per meno di un secondo, finché
non si sentì dalla radio un grido:
- Sono sei! Sono sei! SEI!
Tirai un sospiro di sollievo. Svuotato dell’adrenalina, mi lasciai cadere
su una panchina. Pensai per la prima volta che avevo saltato la cena e mi
venne una gran fame, ma anche una gran voglia di tornare a casa. Ma aspettai
ancora qualche minuto. Mi raggiunsero De Carli e Marotti, con un sorriso imbarazzato
sui loro volti.
- Dobbiamo ammettere che abbiamo dubitato di lei, ma ci scusiamo e vogliamo
ringraziarla
per quello che ha fatto.
Mi strinsero la mano, mentre io borbottavo qualcosa sul merito che avevamo
avuto tutti, senza crederci troppo. Anche il sindaco venne a congratularsi
con me e mi chiese che compenso avrei voluto per la buona riuscita. Io dissi
che non volevo nulla, tergiversai, poi dissi:
- Veramente una cosa ci sarebbe…
- Dai, dimmela.
- Beh, è una cosa molto difficile, non so se tu puoi aiut..
- Su, smettila e parla. Dopo quello che hai fatto stasera, credo che sarà
più facile saltare
qualche passaggio burocratico…
- Detto sinceramente, mi piacerebbe molto far parte del team di scienziati
dell’APA, dove
lavora Laterano. Ecco, non so cosa si può fare, ma se tu puoi mettere
una buona parola…
- Marco, non ti assicuro niente, ma ti prometto che farò il possibile.
A patto che non facciate
più esperimenti alle cinque di sera… Ci stringemmo la mano, per
siglare il nostro accordo. – A proposito di Laterano, dimenticavo che
ha chiesto via radio se puoi fare subito un salto da lui al laboratorio.
Lo trovai nel suo ufficio che mi aspettava. Gli sorrisi e lui mi sorrise,
ma vidi che aveva qualcosa che lo tormentava.
- E’ andato tutto bene – disse lentamente.
- Sì, fortunatamente.
- Fortunatamente? Non eri certo?
- Certo? Come avrei potuto?
- Beh, ho pensato qualche minuto a tutta la faccenda e ci sono alcune cose
che mi sono
apparse… curiose.
- Ad esempio?
- Ad esempio non sapevo che tu avevi suggerito al sindaco di fare l’inaugurazione
proprio alle
cinque di oggi.
- Ma… in realtà gli ho detto solo che sarebbe venuta più
gente a quell’ora, piuttosto che di
mattina.
- Certo, è solo curioso il fatto che sia stato sempre tu a suggerire
a me di fare l’esperimento
quell’ora, suggerendomi che a quell’ora sarebbe stato meglio…
Fece una pausa. Aspettai un momento, poi gli sorrisi.
- Non penserai mica che abbia fatto in modo di provocare il campo di forza!
Ma è
impossibile! Come avrei fatto?
- Beh, immagino che ci avrai pensato a lungo.
- Ma dai, Riccardo! E’ una cosa assurda! Avrei rischiato la vita di
quel povero macchinista
ben tre volte.. e poi per cosa? Perché avrei dovuto farlo? Cosa avrei
guadagnato?
Laterano pensò ancora un minuto, poi sorrise imbarazzato e si giustificò:
- Hai ragione, scusami. Sono stato uno stupido. Non so cosa mi sia passato
per la mente.
Scusami. E’ che quando ti viene un’idea pensi subito che sia vera
e non rifletti mai sulla sua assurdità. Sai com’è…
- Non ci pensare più, so che non lo pensavi veramente.
La metro iniziò a funzionare regolarmente dal lunedì successivo alla vicenda. Scommetto che i tecnici passarono il weekend a far passare mezzi all’infinito per vedere se c’erano altri problemi possibili. Non ce ne furono, e nessuno nella città venne messo a conoscenza di quello che era successo. Dopo quella sera, per precauzione i laboratori APA furono trasferiti al settimo piano di Palazzo Corradi, prendendo lo spazio degli uffici della SIAE, che furono spostati nei piani sotterranei. Io fui assunto all’APA come scienziato ricercatore tre mesi dopo l’accaduto. Grazie all’aiuto del sindaco arrivai subito anche ad un posto di posizione abbastanza elevata. Quando rividi per la prima volta Laterano ovviamente né io né lui dicemmo nulla a riguardo della metropolitana , ma fui sicuro che il dubbio passò nuovamente nella sua testa, ancora più consistente. Decisi di diventare velocemente amico del Presidente dei laboratori.
Ora è passato un anno e il Presidente, dietro il mio disinteressato
suggerimento, ha nominato Laterano responsabile delle relazioni con i laboratori
scientifici d’oltreoceano. Starà via per un po’. Sono sicuro
che non parlerà a nessuno della metro. E poi, chissà se quando
tornerà Laterano lavorerà ancora per noi?