Impermeabile
A parlarne per primo è stato un cronista straniero, poi l'inchiostro
ha mosso altro inchiostro e le parole sono divenute immagini, cibo per i telegiornali.
Desideravano intervistarmi e sarebbe stata l'occasione per demolire tutte
le ipotesi e le teorie, anche le più oneste, però non avevo
voglia di raccontare e non mi è venuta in seguito.
Ieri ha telefonato un vecchio amico per chiedermi: come va? Andava meglio
quando il mio lavoro era solo un hobby che nessuno poteva conoscere e tanto
meno sospettare. Ora invece mi assillano con offerte in dollari, in sterline,
in euro e in monete mai sentite. Non capiscono che sono uno studioso o al
limite un collezionista. Mi trattano come un mercenario e ricevo diverse minacce,
ma dormo sereno perché la mia attività è indispensabile.
Sta suonando il campanello, un suono lungo e leggero. Finisco di scrivere
il sei orizzontale, poso l'enigmistica sul tavolo e vado ad aprire; completerò
più tardi il cruciverba.
L'uomo sulla soglia mi saluta e come vuole il regolamento mi mostra il suo
tesserino: è l'ispettore Castelli, ci siamo conosciuti lo scorso inverno.
Anche lui si ricorda e cammina davanti a me, fino al salotto. Si toglie l'impermeabile
e lo appoggia su una sedia, poi, senza attendere il mio invito, si accomoda
al centro del divano. Si liscia la barba con due dita e spiega a voce bassa:
"Stavolta la faccenda è più delicata, è stato un
politico a denunciarla, uno famoso..."
"Che differenza fa?" Chiedo rimanendo in piedi, a un metro da lui.
"Non riesce a capire? Lei forse gli ha rubato segreti importanti!"
"Io non rubo, raccolgo."
L'ispettore sorride, chinando leggermente il capo.
"Mi parli della sua attività..." L'ha proposto senza ironia,
mi sembra anzi un invito amichevole e l'accetto stappando la bottiglia che
avevo preparato sul tavolino di cristallo. Verso la birra nei boccali e ne
porgo uno all'ispettore, che ringrazia e assaggia.
Mi accosto alla finestra, bevo una sorsata e avvio il mio racconto:
"Ho cominciato a dieci anni. Facevo la raccolta di notte, utilizzando
la gerla di mia madre. Mi alzavo dal letto in punta di piedi, aprivo la finestra
e saltavo giù planando fra i ceppi di lattuga o sopra le foglie di
rucola. Il nostro paese contava cinquecento abitanti che andavano a dormire
presto e durante il sonno perdevano, inconsapevoli, i loro ricordi. Io trovavo
i ricordi davanti alle case e sapevo riconoscerli e catalogarli, li distinguevo
dal colore e dalla luce che sprigionavano e avevo già intuito questa
regola banale ma infallibile: i ricordi buoni sono grandi e leggeri, mentre
i ricordi tristi sono piccoli e pesanti.
Non mi hanno mai scoperto, anche se una notte due ragazzi che tornavano dalla
sala da ballo mi hanno visto all'opera, davanti alla villa del dottore. Stavo
riempiendo la gerla, ma a loro dovevo sembrare un mimo, un mimo con scarso
talento giacché adoperava una gerla vera. Sono scoppiati a ridere e
al più grande dei due è cascato qualcosa da una tasca della
giacca, ma io non gli ho detto niente.
Il materiale che raccoglievo lo portavo in fondo al paese, dove cominciava
il bosco. Mi addentravo in una baita abbandonata e rimanevo delle ore fra
quelle pareti di pietra spiando, con l'aiuto di una pila, i ricordi degli
altri. La gente non si accorgeva della mia attività e anche i miei
genitori non immaginavano nulla; avevo dei segreti e a tavola sfoggiavo lunghi
silenzi, ma non ero poi diverso dagli altri ragazzini.
A Natale mi hanno regalato la bicicletta che desideravo, così ho iniziato
a esplorare i paesi attorno. Ero diventato più esigente ma forse non
è questo l'aggettivo adeguato, diciamo che mi stavo oltremodo appassionando
al mio hobby. Evitavo solo di raccogliere i ricordi della mia famiglia, per
pudore o per altri intuibili motivi.
Avevo sedici anni quando l'ente delle ferrovie ha concesso a mio padre il
trasferimento. Ci siamo spostati in città e per mio padre si trattava
di un ritorno alle antiche abitudini, mentre mia madre, che in campagna era
nata, non pareva contenta della nuova sistemazione. Mio fratello era troppo
piccolo per esprimere un giudizio, ma piangeva più del solito. Io?
Ero curioso di vedere cosa sarebbe cambiato.
In città, ovviamente, la raccolta è aumentata, anche se per
ragioni di tempo mi occupavo solo del mio quartiere. Stavamo al quinto piano
e non potevo calarmi dalla finestra perché sotto c'era l'asfalto del
marciapiede. Scappavo dalla porta e scoprivo che le notti non erano più
deserte; le auto passavano ad ogni ora e chi si trovava a bordo riusciva a
vedermi dai finestrini. Scorgevano un ragazzo magro che, fermo davanti all'ingresso
dei palazzi, fingeva di riempire una grossa valigia (non usavo più
la gerla perché mia madre l'aveva lasciata in paese, a una cugina).
Avrei voluto attaccare un cartello sui portoni: Giovedì Raccolta Ricordi,
come si fa con gli abiti smessi. Ma la gente non avrebbe capito.
Il materiale che trovavo lo portavo in cantina, non conoscevo altri posti
dove nascondermi. Mi sedevo in cima a un materasso arrotolato e legato con
lo spago, guardavo il vino imbottigliato da mio padre e pensavo che io sarei
un giorno riuscito a imbottigliare i ricordi e avrei scritto sulle etichette
la data e la provenienza. Ricordi DOC, insomma.
A parlare per primo della mia attività è stato un giornalista
francese, non so come abbia saputo la storia; avevo trent'anni e stavo ancora
coi genitori.
Poi le televisioni si sono tuffate sulla notizia e la gente ha iniziato a
chiamarmi. Qualcuno ha preteso che gli restituissi i ricordi, ma non sempre
ho potuto farlo perché i ricordi peggiori ho l'abitudine di bruciarli.
Esiste perfino chi vorrebbe acquistare i ricordi degli altri, tuttavia un
simile trapianto non potrebbe funzionare e non parliamo dei rischi connessi...
Adesso abito da solo e ho aperto un officina, appena fuori città, dove
riparo i ricordi guasti. Le richieste sono tante ma ho solo due braccia e
non riesco a trovare un aiutante, sembra sia l'unico in grado di fare questo
mestiere, o forse sono l'unico che ne ha voglia."
"O magari l'unico che ha il coraggio di farlo." Ha dichiarato l'ispettore,
concludendo il mio racconto. Mi ha ascoltato con interesse e ha gradito la
birra sebbene fosse un po' calda, l'ha bevuta a piccoli sorsi senza mai posare
il bicchiere sul tavolino.
Ora, ci scommetto, soffierà a labbra strette e accarezzandosi le sopracciglia
parlerà dell'uomo politico che mi ha denunciato.
"E' in mezzo agli scandali da quando è nato, chissà quanti
scheletri tiene nascosti nei suoi mille armadi! Lei, col suo furto o la sua
raccolta, la chiami come crede, lo ha posto in una situazione precaria."
L'avevo immaginato, anche stavolta l'ispettore è dalla mia parte. Ma
all'improvviso smette di parlare, il suo sguardo s'indurisce e i muscoli del
suo viso si contraggono. Vedo i suoi ricordi che svolazzano per la stanza
e poi crollano ai piedi del divano; sembrano sbiaditi e confusi. Mi avvicino
all'ispettore e gli riempio il bicchiere. Mentre beve, raccolgo i suoi ricordi
con un gesto rapido e provo a riordinarli e a metterli a fuoco.
La ragazza è giovanissima, potrebbe essere sua figlia. No, è
un ricordo di tanti anni fa, è carico di polvere ma non sembra deteriorato,
forse posso aggiustarlo. Mi piacerebbe aiutare l'ispettore.
"Perché è così attratto dalla vita altrui?"
Lo ha chiesto con un filo di voce, quasi vergognandosi della sua curiosità
e senza aspettarsi una spiegazione, poi si è curvato in avanti e ha
perso altre immagini del suo passato. Ricordi nitidi, stavolta.
Vedo il mare, un terrazzino e l'insegna spiritosa di un ristorante. Sopra
il tavolo, accanto ai fiori, quattro mani sono intrecciate. Gli occhi s'incontrano
paralizzandosi, oppure scivolano assieme verso il medesimo orizzonte. Un'onda
immensa si spacca contro il terrazzino ed è già salita la luna.
Le parole sono l'inutile didascalia degli sguardi. Ma una forbice, sbucata
da chissà dove, inizia a recidere quelle immagini, che subito si anneriscono
perché il ricordo diviene insopportabile.
L'ispettore comincia a pormi domande inutili e perfino insensate. Non si accorge
di quanto gli sta accadendo: ciò che perde adesso è forse smarrito
per sempre. Mi chiedo cosa sia giusto fare. Per molti anni ho creduto a una
specie di algebra dei ricordi, dove alla fine prevale il segno positivo; ma
ai piedi del divano ho raccolto immagini orribili, scorciatoie per la follia.
E la follia potrebbe causare un vuoto di memoria, o esprimere l'ossessione
per un ricordo breve come un battito d'ali e lungo come l'infinito, breve
come un battito d'ali e lungo come l'infinito, breve come...
Chiedo scusa, vado in bagno e chiudo a chiave la porta. L'acqua fredda mi
sciacqua le mani e il viso. La lampadina dello specchio ha ripreso a tremolare
e dà noia agli occhi, dovrò sostituirla.
Saranno passati due minuti, forse meno. L'ispettore se n'è andato senza
salutarmi, una scelta bizzarra. Ha dimenticato sulla sedia l'impermeabile;
potrei frugare nelle tasche.
Il mio tesserino dell'autobus: che faccia sconvolta! La licenza di pesca scaduta
da diversi anni: avevo i capelli ricci e scuri. E queste? Devono essere le
chiavi del mio appartamento al mare. Nel taschino interno scovo l'ultima foto
che ancora rimane di lei, l'ultima foto assieme a lei: siamo dentro al mare.
Lentamente, mi sposto in cucina. Da un cassetto prendo i fiammiferi, ne accendo
uno e rimango impassibile mentre noi bruciamo nel lavandino e in mezzo alle
onde.
Era l'ultimo ricordo. Posso tornare di là, riaprire l'enigmistica e
terminare il cruciverba.