PAOLO PERGOLARI
IL VECCHIO FIUME
E’ il vecchio fiume, quasi l’ultimo cristiano che é rimasto
a far da guardia a qual pezzo di prato alla fine del Paese.
Prima della guerra c’erano tutti campi, ma poi le case se la sono bevuta
e mangiata la terra e adesso anche quel fiume lì dà fastidio.
Dà fastidio al nuovo parcheggio che sorgerà attaccato all’Ipermercato.
In fondo, da quella parte non é rimasto niente, solo lui. Lui, quella
strada d’acqua segnata da alberi con le foglie antiche e con la corteccia
a croste sul tronco. Croste che segnano gli anni pazienti, trascorsi a guardare
la vita, ogni giorno.
Sì, il vecchio fiume, che una volta era maestoso con le sue acque profonde,
che si presentava presuntuoso come una chioma di pavone agitata al vento.
Che era stato il caro amico dei nostri giochi bambini. Tanti bambini che nella
stagione giusta si trasformavano in discepoli per catturare i pesci più
grandi, regalati così, senza nessuna pretesa, a mani fragili ma sincere.
E poi non so perché lo facevamo, ma eravamo attratti da quei rami che
penzolavano sulla corrente… Era come una specie di sfida, bisognava
salirci su quei rami, perché lassù si stava bene, ci si sentiva
leggeri, si guardava l’acqua dall’alto, come un paesaggio nuovo
e diverso, e ci sentivamo eroi per una capacità che i grandi non avevano,
quella capacità di spostarsi da un ramo all’altro senza pensare
alla paura dei gorghi.
Sì, il vecchio fiume ha guardato intorno con braccia e mani protese.
Ha guardato i nostri sogni casuali, le nostre fantasie fanciulle, così
come ha illuminato i cuori innamorati. Cuori scolpiti sulla corteccia da segni
primitivi ed eterni.
E poi, anno dopo anno, sornione ha sopportato il Paese che si é ingrandito
fino ai suoi piedi e, di certo, si ricorda com’é cresciuto quel
Paese, come é stata maltrattata la campagna, quando é stato
chiuso il canale di scarico, in quale punto é stato messo il primo
picchetto dell’Ipermercato. E, preoccupato, ha seguito il cuore in tumulto
delle case e la distesa di fabbriche e capannoni il cui profilo dentato e
minaccioso allungava la sua ombra, ogni domenica, sulle gite familiari. Ma
ha sorriso all’euforia di noi bambini impegnati a correre dietro una
palla di gomma.
E, sicuramente, di noi tutti il fiume discreto si é sentito fratello,
sia quando seguiva con timore la nostra corsa spericolata, sia quando, nell’oscurità
della notte, parlava alle stelle e, nudo di parole, curiosava sulle rive,
tra le nidiate dei passeri assonnati raccontando storie.
Così, solo lui poteva parlare dell’attimo di sollievo che aveva
dato al passo solerte dell’operaio ammaliato dalla sirena della fabbrica
o del passo lento del vecchio claudicante abbarbicato al bastone e ai ricordi.
E poi solo lui poteva dire quanto avesse consolato le litanie delle bigotte,
testimoniato sulle ingenue promesse d’eternità degli amanti e
protetto il cuore freddo di lucciole dai corpi stanchi e sazi di amori ibridi.
E solo lui poteva raccontare di anni prima, di quando aveva avuto successo
come un attore, quando passando tutti l’indicavano come un personaggio.
Perché si era fatto un gran parlare di quella storia…
Aristide lo scopino, il commesso e il “tuttofare” del Comune m’aveva
detto, nella sua confessione alcolica, che non era stata la prima volta, che
invece era già successa una cosa simile, che già durante la
guerra dalla sponda più alta i tedeschi avevano lasciato cadere uno
che pensavano fosse un partigiano. Ma questo lo sapevano solo i più
vecchi, mentre quell’altra storia tutti sembravano conoscerla ma, in
realtà, nessuno aveva mai visto niente.
Sicché é stata mia madre, tra un sospiro e l’altro, a
dirmi che anni prima era tornato al paese un orfano, Giacomino l’emigrante,
che era partito che non aveva nemmeno un pezzo di stoffa per mettere una toppa
e proprio per questo quando era ritornato non era passato inosservato. Si
era ripresentato tutto in ghingheri e con una bella fuoriserie sotto al sedere,
qualcuno diceva che fosse una mercedes, invece altri giuravano che fosse una
di quelle macchine americane che si vedevano nei film, fatto sta che lui spendeva
e spandeva a man bassa. Spesso invitava a cena chiunque e al bar pagava da
bere a tutti come fosse un riccone. Sicché le ragazze del Paese se
lo mangiavano con gli occhi, perché quando era partito povero nessuno
se l’era filato ma adesso, con quei soldi in tasca, s’era fatto
bello e affascinante.
Comunque, tra tanta concorrenza, Ines riuscì a spuntarla.
Con una lacrimuccia che le rigava il viso, mia madre m’aveva detto che
Ines era una ragazza solare, che aveva accolto la proposta di fidanzamento
a braccia aperte. Ne andava così fiera che s’era messa a rifinire
la dote di buzzo buono, agli asciugamani ricamava le iniziali, alle lenzuola
finiva gli orli e alle tovaglie sistemava la frangia per la sua futura felicità.
Voleva sposarsi presto perché aveva già venticinque anni e i
figli voleva averli non da vecchia.
Ma la scelta di Giacomino non era passata inosservata e non tutte le ragazze
s’erano messe l’anima in pace. E anche Lisetta aveva messo gli
occhi su Giacomino e, purtroppo, quell’amica che teneva dentro se stessa,
la sua cattiva coscienza aveva consigliato a Lisetta che le conveniva darsi
da fare in fretta… e poi…
E poi l’altro pezzo della storia me l’ha finito di raccontare
Aristide, lo scopino, il commesso e il “tutto fare” del Comune…
Sicché, una sera, Lisetta vide da lontano Giacomino che scendeva giù
per la strada, allora Lisetta lo chiamò da lontano e quando Giacomino
le arrivò lemme lemme a tiro di schioppo, iniziò ad implorarlo
che le scappato il gatto, il gatto s’era preso quella libertà
in mezzo alle cannucciole del fiume… Ti prego aiutami, aiutami implorava
Lisetta … Salva il gatto mio…
E subito Giacomino s’adoperò ma pare che quell’opera di
salvazione durò così a lungo che ci vollero almeno un paio d’ore
ma, alla fine, Giacomino era uscito un po’ meno pimpante di come prima
fosse entrato tra le braccia accoglienti di quell’erba alta.
Ma certo ancor meno entusiasta si dimostrò Ines quando venne a saperlo,
ma si comportò da gran signora e per amore dell’omosuo fece finta
di non saperlo, anche se lo sapeva benissimo quanto fossero state accoglienti
quelle braccia del fiume.
E la cosa sembrava fosse finita lì, adesso Ines non era felice, era
raggiante, però dopo quattro o cinque mesi la storia del fiume ritornò
di nuovo a galla per via di strane voci che circolavano sempre più
insistenti e rumorose.
Ma soprattutto ritornò a galla per via di un’evidente gravidanza
di Lisetta. Eppure Giacomino non perdeva occasione per giurare che lui non
c’entrava per niente, che é proprio vero che la gente é
maligna, che una come la Lisetta per lui contava meno del due di coppe quando
briscola é spada, ma anche se Lisetta di carte non capiva niente, affrontò
lo stesso Giacomino davanti al bar e gli disse… Ah, sì, per te
non rappresento niente, però le cannucciole del fiume ti sono piaciute,
nevvero?...
E quando Ines seppe di quella scenata sulla piazza, cadde sulla sedia e svenne
e così Giacomino messo alle strette, o meglio, preso tra due fuochi,
non confessò, però fu come se l’avesse fatto perché
se ne tornò da dove era venuto, a notte fonda partì, il Pilato,
e sparì per sempre… Insomma, Giacomino se ne lavò le mani
e lasciò due poveracce con le croci addosso. Anzi, tre.
Perché un pargolo già da tempo aveva iniziato a fare capriole
alla vita.
Così Ines, senza più marito, non sopportò l’affronto
e con uno scatto d’orgoglio radunò il corredo e gli dette fuoco
con la benzina e poi, mentre tutti s’impegnavano a spegnere l’incendio
di casa, perché dopo il corredo avevano preso fuoco il letto e le tende
e poi il resto, bè, intanto Ines era andata a dire due parole al fiume
galeotto e poi s’era lasciata andare nella corrente attaccata all’ultimo
lenzuolo di cui aveva ricamato l’orlo per la sua futura felicità,
e i paesani l’avevano ritrovata un chilometro più a valle, proprio
come anni prima il partigiano era stato ritrovato nella stessa situazione,
e siccome come si dice : chi muore giace e chi vive si dà pace, la
Lisetta non s’era potuta permettere nemmeno tante lacrime di rimorso
per via del pargolo da crescere…. Così m’ha raccontato
Aristide…
E adesso che anche Lisetta se n’é andata dieci anni fa, é
rimasto solo lui il fiume, a parlare in un silenzio denso di grida e di sussurri.
Così, anche quel vecchio fiume, prima allegro rifugio di giochi bambini,
é diventato un simbolo di dolore e di tristezza e la gente, sì,
ancora quella benedetta gente, quando passa da quelle parti dice di tristi
eventi borbottando e sparlando. Sicché c’é ancora chi
si ferma ad indicare timidamente il punto come a lasciar credere … C’ero
anch’io e ho visto tutto…E invece non é vero niente. Però
adesso c’é un cartello appeso per scoraggiare altri cattivi pensieri….
VIETATO SCENDERE SUGLI ARGINI – I trasgressori saranno puniti…
Così é rimasto solo, il fiume, E’ rimasto a ricordare
i volti impressi nel suo sguardo, il chiacchiericcio primaverile della poca
terra rimasta, il sorriso estivo dei bimbi, i patemi autunnali, il freddo
sonno dell’inverno.
Sì, é rimasto sempre lì, con gli stessi ricordi che tornano
a farmi male, e spesso tento di evitarlo, cerco di girarmi dall’altra
parte e passo di corsa o guardo l’orologio ma non perché m’interessa
l’ora…
Ma oggi é diverso, oggi é il nostro ultimo incontro e mi sembra
da bastardi lasciarlo morire da solo, quel fiume…
Gli operai del Comune sono già arrivati, alzeranno un muro lungo l’argine
per via del parcheggio… E gli operai tirano giù gli attrezzi
dal furgone come chirurghi prima dell’operazione, ed é la stessa
cosa, anche il fiume sarà fatto a pezzi. D’altronde tutto finisce
e anche la Lisetta se n’é andata dieci anni fa lasciandomi per
ricordo solo un nome. Il nome di mio padre Giacomino. Per il resto nemmeno
lei sapeva che fine avesse fatto, quel Pilato non l’ha più rivisto
da quella volta, me l’ha giurato…
Accarezzo un tronco screziato e rugoso, aspiro il profumo di polvere e degli
anni pesanti, e non m’importa di quello che possono pensare i due operai.
Il più giovane dà segni di strafottente impazienza e si sistema
alla bell’e meglio sulla ruspa e si avventa sulla terra e i rami cadono
recisi come braccia spente e rotola il cartello…. VIETATO SCENDERE…
I trasgressori saranno puniti…
Ma qualcuno dirà che il vecchio fiume é ancora vivo, che non
era morto nemmeno quando noi avevamo smesso di salirci sopra per sparare sassi
e per dondolarci al vento. E nemmeno é morto ora che l’hanno
nascosto per fare un parcheggio sull’ultimo pezzo di terra alla fine
del Paese.
E qualcuno giurerà ancora di aver sentito un urlo, un grido selvaggio,
come quando era morta la Ines, e al bar si arrivò a dire che il vecchio
fiume non aveva sopportato il pensiero di aver abbracciato il corpo di quella
bella ragazza… Qualcuno dice, ma esagera, io lo so, adesso che la Lisetta
se n’é andata e un padre, in fondo, io l’ho sempre avuto,
là, alla fine del Paese.