Mezzanotte passata. Non riuscivo ancora a dimenticare quei
profondi occhi tristi. Sdraiato sul mio letto senza neanche disfare le lenzuola,
cercavo di penetrare la fitta oscurità della mia camera per arrivare
a scorgerne la fine nei contorni rassicuranti di un soffitto. Le mani dietro
la nuca, il mio corpo cercava di convincere la mente a staccare temporaneamente
le terminazioni nervose per concedersi un meritato riposo dopo una giornata
tanto intensa.
L’avevo vista per la prima volta quello stesso pomeriggio di una fredda
giornata d’inverno. Una di quelle giornate che mi convincono del fatto
che anche l’essere umano dovrebbe andare in letargo fino al risveglio
della natura. Non so esattamente a che cosa stavo pensando quando i miei
occhi incrociarono quelli suoi. Stavamo aspettando lo stesso autobus e io,
nel vento gelido di un clima siberiano, speravo che l’autobus non
arrivasse.
Aveva occhi intensi e scuri che parevano guardare il mondo con l’innocenza
e la curiosità di un bambino nei suoi primi anni di vita. L’elegante
forma degli occhi, le lunghissime ciglia nere e le graziose e sottili sopracciglia
ricurve ad arco conferivano al viso l’eleganza di una fiera gazzella.
Bianco purissimo il viso, come una statua marmorea scolpita da un artista
mai esistito. Rimasi ipnotizzato da tanta bellezza. Impossibile staccare
il mio sguardo da lei. La sua figura sinuosa e seducente aveva occupato
ormai l’intero orizzonte. Il mondo era scomparso. Il tempo solo un
lontano ricordo.
Non mi accorsi neppure quando l’autobus giunse e silenziosamente si
fermò davanti a noi. Tutto ciò che feci fu di seguirla quando
lei salì. Il bus era affollato, come sempre nelle ore di punta. Fui
sospinto da un angelo verso il suo corpo sensuale e mi riempii completamente
del suo profumo. Sapeva di grazia e determinazione. La mia mano sinistra
sfiorò morbidamente la pelle vellutata della sua piccola mano. Sentivo
chiaramente anche in mezzo alla folla ignota il ritmico respiro che proveniva
dal suo naso incantevole. Cercai di sincronizzare il mio respiro con il
suo affinché si fondessero in un suono solo, una sola melodia. Impossibile.
Il mio ritmo era troppo veloce. Cercai un respiro lungo. Profondo…
Mi fu spezzato da uno spintone della folla che mi fece perdere per un attimo
l’equilibrio. L’autobus era ripartito.
Mi chiedevo a che cosa stesse pensando. I suoi occhi meravigliosi si erano
persi nel vuoto e la sua mente sondava mondi lontani anni luce dal mio.
Avrei voluto conoscere anch’io quei mondi. Anche per poco. Poi, improvvisamente,
come richiamata dal mio sguardo insistente, ritornò nel mio mondo.
La guardai. Volse via lo sguardo. Quanto avrei voluto sapere se lei mi trovava
attraente almeno la metà di quanto la trovassi io. Il mio cuore cominciò
a martellare velocemente, come impazzito. La gola si gonfiava e si sgonfiava
seguendo il ritmo delle pulsazioni. Il respiro si fece silenzioso. Temeva
evidentemente di rivelare i miei sentimenti agli altri. Quanto più
mi immergevo nei suoi letali occhi color oblio, tanto più forte era
per lei la tentazione di guardare nei miei e tanto più cresceva il
disagio fra noi. E quanto più i nostri occhi si incrociavano, tanto
più cresceva in me il desiderio di conoscerla, parlarle, trovare
un pretesto, anche banale, per iniziare una conversazione. Ma la folla mi
era ostile. Se solo avessi potuto farla sparire in un istante a un mio comando….
Sentivo, attraverso quel dolce sguardo, di avere qualche possibilità
su quella splendida visione. Ma non ne ero sicuro. Un rifiuto sarebbe stato
più doloroso del silenzio. Perciò esitai… Quel che seguì
accadde così repentinamente da non lasciarmi neppure il tempo di
rendermi conto di quel che stava capitando. L’autobus si arrestò.
La sua fermata. Scese lentamente e una volta toccato il marciapiede si voltò
lanciando un ultimo sguardo verso di me. Ebbi l’impressione che i
suoi occhi tristi mi implorassero di fermarla per prolungare quell’intenso,
magico momento. Un tacito invito che mi implorava di scendere ad una fermata
che non era la mia. O forse lo era e non l’avevo riconosciuta. Non
so se per paura o per orgoglio la lasciai andare via. Non riuscii a chiamarla
né a trattenerla. Il destino ripartì inesorabile e pagai cara
la mia esitazione. Dietro i vetri appannati la sua figura stette lì,
immobile, per un momento che mi parve eterno. Un dolore mi trafisse, come
un taglio dentro il cuore. Come sempre succedeva nel vedere una ragazza
che mi piaceva ad un’altra fermata in questo mondo troppo grande.
La splendida visione si allontanò lentamente, elegantemente, senza
più voltarsi. Lasciò nella mia mente la dolce fragranza di
un profumo che non avrei scordato più…
Sdraiato sul mio letto, me ne stavo con le mani dietro la nuca accerchiato
dal silenzio più assoluto. Sentivo la sua mancanza e, con gli occhi
aperti, sognavo un passato diverso in cui le mie mani andavano leggere ad
accarezzare i suoi soffici capelli neri, il mio corpo si stringeva dolcemente
alle sue curve sinuose e la mia bocca baciava teneramente le sue labbra
immortali. Ero convinto che non sarei riuscito ad addormentarmi quella notte.
Il ricordo dolce e malinconico dei suoi occhi che mi imploravano di fermarla
tornava come un’ossessione a torturarmi. Quegli occhi intensi e pieni
di amarezza erano gli unici miei compagni nella mia oasi di tristezza. Ma
quello era stato un giorno molto duro per me. Il mio corpo, più stanco
di quanto avessi immaginato, ebbe il sopravvento sulla mente. Un sonno profondo
mi colse proprio quando ormai non l’aspettavo più.
Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in un posto bellissimo che non avevo
mai veduto prima. Ero nel centro di un piccolo parco verdeggiante in una
splendida città soleggiata. La prima cosa che notai di quel luogo
era che in quella strana città tutto era incredibilmente silenzioso.
Non si udivano voci, eppure una marea di gente affollava i marciapiedi correndo
e affrettandosi in ogni direzione come formiche impazzite. Non rumori, eppure
fiumi di macchine, camion e autobus scorrevano incessantemente avanti e
indietro lungo le strade. Ero diventato sordo, oppure laddove mi trovavo
le orecchie avevano una funzione puramente estetica?
Non tardai molto a capire la ragione di quel silenzio. In quella città
la gente non parlava attraverso le onde sonore. Al posto delle parole le
loro bocche producevano fumetti tridimensionali che si fermavano a galleggiare
sopra le loro teste. Mi chiesi in quale luogo fossi mai capitato e nello
stesso momento in cui lo pensai una nuvoletta uscì dalla mia testa
e si fermò a mezz’aria poco sopra di me. Alzai lo sguardo e
vidi scritto all’interno il mio pensiero. Sorrisi divertito da quella
buffa apparizione. Volli tentare di parlare per chiedere ad uno dei passanti
quale città fosse mai quella. Non un filo di voce uscì dalla
mia bocca. Invece produssi un altro fumetto tridimensionale che leggero
andò a sostituirsi a quello precedente e nel quale ancora una volta
era impresso il mio desiderio.
Vidi una marea di fumetti sovrastare le teste di tutti i passanti, fumetti
che riportavano frammenti di discorso, idee, pensieri e persino immagini.
Alcuni di essi apparivano per periodi brevissimi, poiché venivano
cancellati o inglobati immediatamente da altri. Non riuscii a trattenermi
dal ridere e simultaneamente una nuvoletta apparve sopra di me recando la
scritta: “Ah! Ah! Ah”. Non avrei mai immaginato di ridere così
male.
Mi ci volle un po’ di tempo per abituarmi a quella nuova forma di
comunicazione. Era un’esperienza divertente quella di leggere i pensieri
altrui. Tutto ciò poteva avere i suoi lati positivi. In quella città
doveva ben essere difficile avere un segreto, perché ci si sarebbe
traditi immediatamente. Nella consapevolezza di non riuscire a tenere un
pensiero magari incriminante, la gente sarebbe stata meno propensa nel tentare
atti di violenza o altri generi di crimini.
Mi misi in marcia tra la folla e mi resi conto molto presto che era troppo
difficile cercare di leggere i fumetti delle persone che stavano intorno
a me. La via principale era così affollata che le nuvolette si compenetravano
le une nelle altre, disperdendosi e spesso confondendosi tra di loro, fino
a formare talvolta un megafumetto collettivo pieno di frammenti di notizie,
sogni, idee che non si sapeva più bene a chi appartenessero, se alla
mente di singoli individui oppure al prodotto della commistione generata
dall’intensa vita di relazione di quella moltitudine di menti in lavorio
frenetico. Ben presto cominciai a sentirmi la testa pesante e sentii il
bisogno di isolarmi dalla gente. Non riuscivo neanche più ad isolare
i miei pensieri in mezzo a quelli degli altri.
Voltai al primo incrocio e poi ancora ad un paio di altri, incamminandomi
in una serie di vie secondarie, molto meno gremite della prima. Nell’ultima
via in cui entrai era molto più facile distinguere i vari fumetti
dagli altri poiché si mantenevano a distanza sufficiente per non
essere inglobati dalla prepotenza altrui. Guardai sopra la mia testa e,
confortato, rividi i fumetti generati dalla mia mente intatti. Mi fermai
un momento per riprendere fiato e decidere che cosa avrei fatto in seguito.
Parlare a quel modo non era certo facile per me che non vi ero abituato.
Costava una fatica enorme. O forse erano state tutte quelle nuvolette nella
via principale a creare quella sensazione di nausea in me. Però a
poco a poco mi stava passando.
Sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla, da dietro, che mi fece sobbalzare
allarmato. Non avevo sentito nessuno avvicinarsi. Poi ci ripensai. Come
potevo sentire rumori in quella città senza suoni? Mi voltai e vidi
un uomo di mezz’età che muoveva la bocca senza produrre parole.
Alzai lo sguardo (cominciavo ad abituarmici ormai) e lessi nel fumetto che
il signore mi offriva il suo aiuto poiché aveva letto in uno degli
ultimi fumetti che avevo generato che non sapevo dove andare. Approfittai
della sua gentilezza spiegandogli che ero uno straniero e chiedendogli in
che città fossi capitato e per quale misterioso prodigio avessero
sviluppato un sistema di comunicazione simile.
L’uomo, stupito dalle mie domande, cominciò a parlarmi con
il tono (che indovinai dalle scritte nei suoi fumetti) di chi sta spiegando
pazientemente le cose della vita ad un bambino ingenuo. Disse che ci trovavamo
a Bubbleland e che in quella regione, a sua memoria e detta di tutti i libri
di storia, si era sempre comunicato a quel modo. Vi erano altri tipi di
codice, certo, però quello attraverso le bubbles, come le chiamava
lui, si era rivelato di gran lunga il più pratico ed efficiente.
Gli dissi che era certamente un modo molto comodo per esprimere, oltre alle
parole vere e proprie, anche pensieri, idee, sogni. Quanto avrebbe dato
Freud per essere lì..
In quell’istante il signore cambiò improvvisamente atteggiamento.
Da persona estremamente cordiale divenne burbero e scorbutico, senza un
motivo apparente. Mi disse che ero maleducato, che ero peggio di un bambino
e totalmente incapace di controllare i miei pensieri. Gli chiesi che cosa
avevo fatto e mi disse che avrei trovato la risposta proprio sopra la mia
testa. Nel fumetto che costantemente ormai aleggiava sopra di me, vi era
un naso dalle dimensioni abnormi in un viso che assomigliava a quello dell’uomo
che avevo di fronte. Evidentemente il mio inconscio aveva lavorato, mentre
il mio interlocutore mi stava parlando, nell’ingrandire il suo naso,
che non era proprio piccolo, fino ad ingigantirlo in modo spropositato.
L’uomo se ne andò insultandomi mentre io rimasi a bocca aperta
cercando di pensare a qualcosa d’altro per cancellare quell’ultimo
pensiero. Non era certo facile controllare i pensieri come lo era con le
parole.
Ripresi il mio cammino tra le vie secondarie di Bubblelend, dimenticandomi
ben presto della mia piccola disavventura. Ero curioso di scoprire i segreti
altrui e dunque procedevo con la testa rivolta verso l’alto nel tentativo
di leggere quanto più potevo. Solo a tratti, quando mi trovavo a
percorrere delle zone isolate, abbassavo la testa e cercavo di memorizzare
gli edifici per tornare eventualmente indietro da dove ero venuto se mi
fossi perso.
Fu in quell’istante che incrociai una donna bellissima, il cui vestito
rosso attillato metteva in notevole risalto le curve perfette. La fissai
per un attimo, come sempre facevo quando una bella ragazza mi passava vicino.
La sua reazione fu del tutto inaspettata. Tutto ad un tratto si fece rossa
in viso e si mise a chiamare immediatamente aiuto (naturalmente con un fumetto).
Due poliziotti giganteschi, due autentici colossi, accorsero in un baleno
verso di me e mi afferrarono per le braccia prima ancora che mi rendessi
conto di ciò che stava accadendo.
Che cosa avevo fatto? Perché quelle guardie ce l’avevano con
me? Mi venne un sospetto. Alzai lo sguardo sopra la mia testa e vidi il
fumetto che la mia mente aveva generato. In esso vi era l’esatta riproduzione
della donna che avevo appena incrociato, solo che era completamente nuda.
Nel mio inconscio avevo spogliato quella bellezza dei suoi abiti provocanti.
Non avevo mai provato tanta vergogna in vita mia.
I poliziotti intrappolarono il fumetto in una sfera di cristallo opaco,
prima che io avessi il tempo di sopprimerlo o di sostituirlo con un altro.
Una nuvoletta apparve dalla bocca di uno di loro e mi intimò di seguirli,
perché ero in stato di arresto per pensieri osceni in luogo pubblico.
Preso dal panico, pensai di svignarmela, ma, ahimè, i miei pensieri
mi tradirono un’altra volta, rivelando alle guardie le mie intenzioni
ancor prima che decidessi di attuarle. I due gorilla in uniforme si arrabbiarono
della mia idea di fuggire a tal punto, che mi stesero per terra con la forza
e, sotto lo sguardo atterrito della donna in rosso, presero a colpirmi a
bastonate e a calci con tanta di quella violenza, che mi misi a urlare per
il dolore. Chiusi gli occhi istintivamente nella speranza che con la vista
scomparisse anche il dolore delle percosse. Li implorai di smettere, che
non avrei opposto resistenza. Non avrei più tentato la fuga. Ma non
mi ascoltavano. Tra le mie lacrime e le urla di disperazione, continuarono
a bastonarmi, e pensai che mi avrebbero ucciso…
Quando riaprii gli occhi mi guardai attorno e non vidi che buio. Mossi a
tentoni la mia mano che guidata dalla memoria riuscì a trovare l’interruttore
della luce. L’accesi. Riconobbi le familiari pareti della mia stanza.
Respiravo affannosamente ed ero madido di sudore. Mi imposi di calmarmi.
Ci riuscii.. lentamente. Il respiro si fece più lungo e regolare.
Quando mi fui calmato in maniera ragionevole mi alzai dal letto e scoprii
di non essermi neppure tolto i vestiti che avevo indossato per l’ufficio.
Avevo sete. Andai in cucina, aprii il frigorifero e mi versai del succo
d’arancia in un bicchiere. Tornai con il bicchiere nella stanza e
mi sedetti sul letto.
Sorrisi mentre sorseggiavo lentamente il contenuto acre del bicchiere. Sorrisi
pensando che forse in quel preciso istante la ragazza che avevo incontrato
sull’autobus stava cercando di immaginare che cosa avevo pensato di
lei quando l’avevo guardata negli occhi quel pomeriggio. Sorrisi perché
sapevo che non lo avrebbe mai saputo con certezza.