Si svegliò di soprassalto nel mezzo della notte. Forse
uno degli incubi che la tormentavano da tempo? Dopo pochi attimi di confusione,
si ricordò. Alla fine, lo aveva ucciso. La sera prima aveva finalmente
trovato il coraggio, o forse semplicemente la rabbia necessaria per fare
ciò che avrebbe voluto fare già tante altre volte. Lo aveva
ucciso, sgozzato, guardato morire, senza provare nessuna pietà, né
per le sue grida strazianti, né per il sangue che sgorgava dalla
sua gola. “Finalmente, finalmente!” ripeté dentro sé.
Nel profondo, non poteva ancora credere di essere stata capace di una cosa
simile. Non era certo la prima volta che uccideva un essere vivente, sia
chiaro, ma una persona, una persona, questa è tutta un’altra
cosa. Ciò nonostante, aveva accumulato troppe sofferenze, troppa
paura, ma soprattutto troppo odio, in quegli ultimi anni, per potersi pentire
di ciò che aveva ormai compiuto.
Non era stato sempre così, Bianca ricordava bene. Il primo periodo
i cui aveva vissuto in quella casa era stata felice. Lui non era certo quello
che si direbbe un uomo affettuoso ma, per quanto non particolarmente ricco,
non le aveva mai fatto mancare nulla. Poi, tutto era cambiato. Lui aveva
iniziato a bere, e assieme all’alcol erano arrivati anche gli attacchi
di collera e le violenze. La picchiava. In principio, solo qualche spintone
un po’ ruvido, poi erano iniziati i pugni, i calci, e persino le percosse
con un bastone. Ora tutto ciò era finalmente finito. Non l’avrebbe
mai più picchiata, su questo non c’era alcun dubbio.
Ancora un po’ confusa dagli ultimi eventi, Bianca si guardò
intorno, indecisa su cosa fare. La sala da pranzo, sebbene così familiare,
le faceva ora un po’ paura. I mobili le sembravano più grandi
e più sporchi del solito, i tappeti, che le erano sempre piaciuti
tanto, meno vivaci e gioiosi di come li ricordasse. Bianca si sentiva osservata
da ogni riflesso di luce, intimorita dai fucili chiusi nell’armadio
a vetri. Le uniche cose che sembravano in qualche modo rassicurarla erano,
diversamente dal solito, gli animali imbalsamati appesi alle pareti. Forse
questi ultimi, felici per la morte del loro spietato assassino, stavano
cercando di consolarla?
Una borsa da viaggio, di stoffa nera, era appoggiata in un angolo della
sala. La tasca principale era aperta, e si potevano intravedere alcuni vestiti
gettati dentro senza alcun ordine.
Forse lui stava per partire? Era una cosa che non le aveva mai dato pace,
il non riuscire a capire in anticipo quando lui sarebbe partito, né
quanto sarebbe stato via. Al centro della sala erano sparsi i cocci del
vaso che aveva rotto la sera prima. Quel vaso, che era stato l’origine
dello scatto di collera per cui era stata aggredita. Ora, il cadavere dell’uomo
giaceva supino in una pozza di sangue, vicino all’uscita posteriore
della sala da pranzo, verso il giardino.
Stringeva ancora in pugno il bastone con cui l’aveva aggredita la
sera prima , quasi come se quello fosse l’unico amico con cui aveva
condiviso gli ultimi istanti della sua vita. Un amico che, se non fosse
stato troppo ubriaco, gli avrebbe persino potuto salvare la vita, pensò
Bianca, che iniziava fra l’altro ad avere forti dolori allo stomaco
per la fame. Quasi se ne era dimenticata, ma il giorno prima non aveva mangiato
praticamente nulla.
La fame si faceva sempre più acuta. Considerata la mancanza di rimorsi
per ciò che aveva fatto, iniziò persino a chiedersi se si
fosse svegliata nel mezzo della notte proprio per il bisogno di cibo.
Sapeva che in casa avrebbe potuto trovare solamente bottiglie vuote di whisky
o di birra. Decise quindi di uscire. Il sole stava ormai sorgendo, ed in
paese avrebbe certo potuto trovare qualche cosa da mettere sotto i denti.
Uscì di casa, prese la strada che portava al più vicino centro
cittadino, ed iniziò a correre. Aveva sempre amato stare all’aperto.
Il sole stava sorgendo all’orizzonte ed i suoi riflessi facevano luccicare
i campi ancora coperti dalla rugiada. Le foglie, cadute dagli alberi e scosse
dal vento, emettevano un forte fruscio. Bianca corse più forte che
poteva. Scappava dal suo passato, quella casa in cui aveva deciso di non
tornare mai più. Correva, correva, sempre più veloce, con
il respiro affannoso e con la gola sempre più secca. Nella sua testa,
un vortice di pensieri e di paure. Cosa avrebbe fatto ora? L’avrebbero
cercata in tutto il paese. Pochi dubbi, l’avrebbero uccisa, senza
tante esitazioni, come era già successo ad altre nella sua stessa
situazione. Tutto le era ormai chiaro, c’era una sola alternativa
per lei. Doveva fuggire, andare il più lontano possibile, vivere
nei boschi, almeno per qualche tempo.
Smise di correre, con quelle ultime parole che ancora le rimbombavano nella
testa “fuggire, andare lontano, vivere nei boschi”. Certo, la
cosa migliore era evitare le strade principali, spostarsi solo tramite gli
stretti sentieri di campagna, stare lontana dai centri abitati. Mezza intontita,
forse per la fame, forse per il mal di testa, o forse solo per un brutto
scherzo del destino, non si accorse di essersi pericolosamente fermata proprio
nel mezzo di una strada provinciale. Né si accorse della macchina
che, ad alta velocità, sopraggiungeva alle sue spalle. Fece appena
in tempo ad udire il rumore di un clacson, una brusca frenata, ed il suo
corpo investito e gettato di lato da un miscuglio di ferro ed aria gelida.
Dalla macchina scesero una coppia di anziani. Subito dopo, dai sedili posteriori,
apparvero, pieni di paura, anche due bambini, facile immaginare una coppia
di nonni ed i loro nipotini. L’uomo le si avvicinò, procedendo
cautamente, a piccoli passi. “Non è nulla di grave, solo qualche
graffio” gridò, con estremo sollievo, verso i due bambini,
i quali, non avendo osato avvicinarsi oltre, stavano osservando la scena
da lontano, stretti alle gambe della loro nonna.
Bianca giaceva a terra, svenuta, con alcune leggere contusioni al collo
ed al torace. Sarebbe guarita nel giro di qualche giorno. Anche i due bambini
si avvicinarono a lei. D’improvviso, un grosso sorriso apparve nei
loro occhi. “Si chiama Bianca” esclamarono, con sguardo supplichevole
verso i loro nonni. L’uomo la prese in braccio, e la depositò
con cura nel baule. Bianca era finalmente felice. Mentre le accarezzavano
dolcemente il muso, sapeva che stava iniziando una nuova vita, una vita
con dei padroni che l’avrebbero amata come nessuno aveva mai fatto
prima.