San Pedro Poveda è il fondatore dell'Istituzione Teresiana, Associazione di laici approvata da Pio XI nell'anno 1924, attualmente presente in 30 Paesi

        

                                                   

 

"Un ritratto ideologico di Pedro Poveda"

…In "Modernidad y pedagogia", libro di Armando Pego Puigbò, di prossima pubblicazione nella collezione della Cattedra Pedro Poveda (Madrid, gennaio 2004).

 

L'Autore, sebbene non abbia conosciuto di persona Pedro Poveda – è nato quasi cent’anni dopo – è entrato così profondamente nel suo pensiero, nella sua vita e nella sua epoca che si è arrischiato a fare un ritratto di lui.

Nel suo libro "Modernidad y pedagogia en Pedro Poveda – l’esperienza di Covadonga", questo giovane professore dell’Università Ramon Llull (Barcellona), cerca di presentare ciò che egli chiama "un ritratto ideologico" del Santo, in cui egli vuole mostrare come Poveda si pone di fronte alla situazione sociale, politica e culturale del cambiamento di epoca agli inizi del sec. XX (1906-1916), e "come il giovane sacerdote andaluso cerca di dare risposte e contribuire a costruire la modernità che sta vivendo intorno a lui, senza fermarsi in atteggiamenti negativi o ostruzionisti".

Ancora adolescente, Pego Puigbò si rese conto "che nella sua vita non poteva fare altro che scrivere ". Ora ha 35 anni e persevera in questa vocazione che concilia con le sue lezioni di latino, filosofia e letteratura all’università. Dice: " Ho scritto molto e qualche volta male", ma annota anche che a volte, nel rileggere i suoi poemi e saggi, " scopro in alcuni un raggio di bellezza che racchiude la misteriosa forza che mi spinge a scrivere sulla letteratura spirituale o, adesso, sul posto di Pedro Poveda nella cultura spagnola del secolo XX".

 

Per l’autore, "Poveda era realmente un uomo che esercitava attrattiva in un mondo instabile e contraddittorio, al quale egli si è avvicinato come persona estranea al movimento delle Accademie Teresiane – a cui aveva dato inizio il sacerdote martire nel 1911 – oggi associazione internazionale di fedeli con il nome di Istituzione Teresiana."

 

Questo è il quarto libro di questo autore e il secondo in cui parla di Poveda. Anteriormente, in "La scrittura ardente" (Quattro spagnoli nella Chiesa) Barcellona 2005, egli dichiarava: "Mi provo a tracciare un ritratto ideologico (non ideologizzante) del Poveda che comincia a fondare Accademie Teresiane, da una prospettiva storica, politica, antropologica."

 

Riconosce che ha scritto sul protagonista con entusiasmo, però senza cadere nell’agiografia. Lo ha interessato la genesi della sua biografia intellettuale, e non come è stata reinventata o modificata in seguito, e ha voluto mostrare che "i grandi santi non pensano sempre in termini soprannaturali, ma di solito stanno con i piedi a terra, scendendo a questa realtà per cercare di incarnare, in questo mondo, l’idea che gli ha ispirato lo Spirito".

 

Sposato con Cristina Soler, ingegnere industriale, credente come lui, "che mi legge e apprezza quello che faccio, perché mi ha accettato tutto intero", e padre di Inés e Miguel, di meno di tre anni, Pego Puigbò riconosce che "sudai fino alle viscere per ritornare alla Chiesa e scoprire a che cosa Egli mi chiamava". Ripete che non voleva essere sacerdote, ma servire Nostro Signore e che lo attirava di più l’avventura del mondo, che era la sua casa.

 

Nel suo focolare domestico egli cambia panni, fa la spesa e cucina, grazie ai due anni che visse da solo in Inghilterra, con una borsa di studio postdottorale del Ministero dell’Educazione.

 

Educato in ambiente cattolico, rimase lontano dalla Chiesa senza riuscire a trovare il senso della sua vita. Partecipava a ritiri e gli piaceva andare a Messa. Terminò il dottorato in Filología Hispánica, con un premio straordinario nell’Università Complutense di Madrid (1997) e dice che già allora si preoccupava per il dialogo fede-cultura in modo embrionale. Una parte della sua tesi, "La proposta estetica" di Benjamìn Jarnés: un progetto narrativo, fu dedicata a una revisione laica del termine teologico "grazia", applicato al fenomeno poetico nelle avanguardie.

 

A 24 anni, ancora celibe, ebbe un incontro con Cristo. Si rese conto che non si trattava di qualcosa di intellettuale, ma di "una persona che parlava a me, non alla mia mente né attraverso i libri". Dopo un’esperienza così, "uno si pone la questione: e ora che cosa faccio? Perché io sapevo che quell’esperienza era per qualche cosa", confessa. Furono anni di una ricerca difficile, di crisi religiosa ed esistenziale senza trovare appoggi o comprensione nella gente di chiesa. Si dichiarò obiettore di coscienza e lo mandarono ad un’associazione di quartiere in una borgata emarginata. Lì fu testimone dell’integrità della gente e paradossalmente, lì, "compresi che l’impegno che Dio voleva da me era scrivere sulla letteratura spirituale."

 

Ed è quello che fa, malgrado sia cosciente che il suo campo non è la teologia e che il suo forte è la critica letteraria e la storia.

 

Nel suo libro non ha situato Poveda in termini di destra o sinistra: lo colloca nel suo momento storico. Non fa di lui un ritratto ideologizzatore, perché questo supporrebbe assimilare il personaggio al proprio punto di vista, ma piuttosto cerca di lasciare che Poveda dica chi è e quello che pensa, attraverso ciò che scrive e ciò che dicono gli altri. Ha voluto "lasciar parlare lui, ma anche quelli che entrarono in contatto con lui, contemporanei suoi, Come Andrés Manjón, Ramón Ruiz Amado e gli uomini dell’Istituzione Libera dell’Insegnamento".

 

E poiché non dubita di affermare che "Poveda non solo parlò di dialogo, ma seppe dialogare", per questo sottolinea che "questo libro cerca pure di dialogare, utilizzando come strumenti di analisi

le correnti intellettuali che possano apportare qualcosa, siano o no cattoliche".

 

Nello scrivere sul suo protagonista sa che non può dimenticare chi è: un sacerdote della Chiesa Cattolica che, malgrado le difficoltà "non se ne va, non appende la tonaca ed è molto contento di essere sacerdote". E siccome lo è, Pego Puigbò afferma che Pedro Poveda deve parlare e costruire una modernità, dall’interno della Chiesa, non al di fuori o dai margini. "Deve agire a partire dall’ideologia cattolica dell’epoca (visse dal 1874 al 1936), cercando nuove strade che si aprano verso il mondo laico, lasciando da parte quello che non si concilia, come il laicismo che vuole ritirare Dio dalla società".

 

L’autore sottolinea che come cornice di tutto il libro, "opera Covadonga e la reinvenzione personale di Poveda dopo gli avvenimenti di Guadix" dove, al culmine del suo successo pedagogico-sociale e del suo impegno con gli abitanti delle grotte, nel 1906 deve lasciare tutto – aveva trent’anni – costretto dalla polemica, dall’invidia, dalla mancanza di fiducia del suo stesso vescovo.

 

Da quando, nel 2004, la Cattedra Pedro Poveda dell’Università Pontificia di Salamanca gli chiese di scrivere il libro, Pego Puigbò è vissuto immerso in Poveda e ha visitato periodicamente l’Archivio Storico dell’Istituzione Teresiana, dove è entrato in contatto diretto con i suoi scritti. Lì, circondato da testi e carte, si è lasciato intervistare per parlare dell’opera ancora incompiuta.

 

Per cominciare si affretta a chiarire che gli è stato possibile scrivere il libro grazie all’incarico che gli era stato dato dalla Cattedra Pedro Poveda. Nel novembre del 2004 era stato invitato a tenere la conferenza di fine di corso, col tema "San Pedro Poveda alle soglie della sua modernità". La proposta seguente fu ampliare, in un libro, le idee della sua conferenza.. Un libro che vedrà la luce nel 2006, anno centenario dell’arrivo di Poveda a Covadonga.

 

Vuole sottolineare, "per giustizia", che la sua ricerca è stata finanziata dalla Cattedra e commenta che "il fatto che una istituzione si renda conto che uno ha bisogno di mangiare e di far mangiare la sua famiglia e che inoltre gli lascino completa libertà intellettuale di trattare a modo suo l’argomento, o che si tratti del Fondatore o dell’ultimo dei suoi membri, è, semplicemente, miracoloso. E’ veramente fiducia evangelica".

 

La sua ricerca lo portò anche a Covadonga, dove ha immaginato che cosa abbia significato per il suo protagonista andaluso trovarsi fra le montagne delle Asturie e circondato da nebbie. Un’esperienza a cui l’autore dà un valore simbolico.

"Utilizzo questa immagine della "soglia", dice, per cercare di far comprendere questo passaggio che si trova nella sua esperienza biografica fra le scuole di Guadix e la fondazione delle prime Accademie".

 

Colloca questa esperienza sotto il nome di Giano, il dio latino che dà il suo nome al mese di gennaio (ianuarius) e che rimanda direttamente al simbolo della porta (ianua- jamba).

E’ un’immagine già utilizzata in "La escritura encendida", per parlare della letteratura povedana. Nel tempio di Giano, a Roma, secondo la tradizione, c’erano due porte, l’una di fronte all’altra, sempre aperte, tranne che in tempo di guerra.

Pego Puigbò è attratto dalla visione delle porte aperte, perché lasciano vedere "molto più in là di quello che gli occhi fisici ci permettono". Aprirle, aggiunge, "è un vero servizio etico e civico che, nel caso mio, è anche animato da un forte impulso religioso, nel suo senso etimologico di legame con il carattere sacro della realtà".

Con l’opera già quasi terminata, l’autore commenta soddisfatto: "Ho parlato di quello che volevo e mi sono lanciato con quello che desideravo". Il suo "lanciarsi" lo ha condotto a mettere in risalto come Poveda si colloca in mezzo al dibattito ideologico del suo tempo, "aprendosi alle novità tecniche e professionali che la "Institución Libre de Enseñanza" stava difendendo da circa trent’anni" e mette in risalto anche "il debito del Poveda pedagogo" verso questa stessa Istituzione.

 

Si è arrischiato a scrivere sulla sua relazione con un altro sacerdote innovatore, Andrés Manjón, "senza rifugiarmi nel luogo comune che questi non comprendeva Poveda". E sostiene che le proposte che fa Poveda "sebbene non sempre riescano, tuttavia sono completamente moderne".

 

Però soprattutto, dice, "mi sono azzardato a parlare del luogo da cui credo che sorga l’Istituzione Teresiana e del suo carisma, nel cammino iniziale fra le Accademie e la Institución Católica de Enseñanza (ICE)".

 

Confessa che "nello scrivere alcuni capitoli mi sono ritrovato alla fine esausto", per l’esigenza di dover attendere alle ragioni dei suoi interlocutori, e perché "dialogare con Poveda richiede prestare molta attenzione al senso dei suoi silenzi".

 

Ora si domanda se, una volta pubblicato, il suo libro avrà un’eco, però afferma che almeno bisognerà fare i conti con esso. "Sono sicuro che è una messa a fuoco nuova", aggiunge.

Non è vanità né orgoglio di padre intellettuale, ma semplice gratitudine verso un Padre Poveda estremamente generoso con me".

Testo e foto, ARACELI CANTERO GUIBERT

Traduzione Maria Cimino

        Originale nella pagina Web dell'Istituzione Teresiana.
 

 

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