Per la Chiesa di oggi  

San Pedro Poveda è il fondatore dell'Istituzione Teresiana, Associazione di laici approvata da Pio XI nell'anno 1924, attualmente presente in 30 Paesi

        

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Segni antichi e nuovi per la Chiesa di oggi

 

Il ricordo di don Pedro Poveda è rimasto unito alla fama della sua santità, alla novità di aver dato un decisivo e concreto impulso alla missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, al suo qualificato contributo all'educazione, e alla possibilità di generare progetti apostolici dinamici, capaci di rispondere, secondo il proprio carisma, alle necessità circostanti.

L'Istituzione Teresiana, fondata da Pedro Poveda, è un'Associazione di Laici, di diritto pontificio, presente oggi in 30 paesi di quattro continenti, che offre la possibilità di una formazione solida per vivere a fondo le esigenze del battesimo, anche con una donazione totale a Cristo, e per realizzare, come Chiesa, una missione al servizio del Regno di Dio.

Cerca la promozione umana e la trasformazione sociale mediante l'educazione e la cultura e , come le prime comunità cristiane, i suoi membri illuminano la loro vita con la Parola di Dio, la alimentano con l'Eucaristia, vivono l'amore fraterno e fanno della condivisione la loro norma di vita.

 

Si compiono ora i cent’anni da quando il giovane sacerdote Pedro Poveda cominciò la sua evangelizzazione nelle grotte di Guadix. Allora "la prima cosa che facemmo fu portare Gesù Sacramentato nella nostra cappella delle grotte" scriveva nel 1904, perché "il fondamento di ogni progresso morale e materiale è Gesù Cristo". E dopo, in giusta coerenza con la vocazione ricevuta davanti alla Madonna delle Grazie della "Ermita nueva", affermava con forza davanti ai membri dell’Istituzione Teresiana da lui fondata: "Nessuno, per quanta autorità abbia, per quanta sapienza possieda, con le migliori virtù di cui sia pieno, nessuno può ne potrà mai porre altro fondamento che quello posto sin dal principio: che è Cristo". Questa è la nostra Opera, questa è la dottrina che abbiamo professato, e con nessun pretesto dobbiamo ammettere elementi umani in quello che è stato fondato in Cristo, per Cristo e attraverso Cristo".

 

Ai sacerdoti che come lui sono stati chiamati ad una speciale configurazione con Cristo, unico Mediatore, don Pedro Poveda continua ad offrire la testimonianza del proprio atteggiamento, espressa in una nota personale del 1933: "Signore, che io pensi ciò che tu vuoi che io pensi; che io desideri ciò che tu vuoi che io desideri; che io parli come tu vuoi che io parli; che io operi come tu vuoi che io operi. Questa è la mia unica aspirazione". O detto più brevemente in tante occasioni: "ogni giorno desidero di più compiere in me la tua Volontà sempre e in tutte le cose";" tutte le mie preghiere si indirizzano a: "doce me facere volumtatem tuam" (insegnami a fare la tua volontà).

L’Eucaristia era, e non poteva essere diversamente, l’autentico centro della sua vita sacerdotale, per cui abbondano nei suoi scritti suppliche come questa: "Signore, possa io celebrare ogni giorno meglio la Santa Messa"; "sono trascorsi già 36 anni da quando sono stato ordinato sacerdote. Quanto vivrò ancora? Solo Dio lo sa. A Lui chiedo la grazia di non tralasciare di celebrare un solo giorno con fervore la S. Messa".

 

Non gli rimanevano molti anni di vita, ma in essi si compì precisamente quello che era stato per lui un atteggi amento costantemente mantenuto, perché il sacerdote è un uomo di Dio per gli altri: "Bisogna farsi tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo. Se c'è da vegliare si veglia; se c'è da soffrire, si soffre; se c'è da umiliarsi, ci si umilia; se c'è da chiedere l'elemosina la si chiede, se c'è da ammalarsi ci si ammala; se c'è da morire, si muore".

"lo vi chiedo un sistema nuovo, un nuovo metodo e procedimenti tanto nuovi quanto antichi ispirati all'amore" soleva dire agli educatori. E ancora, già alla fine della sua vita nel 1935: "con dolcezza si educa, con dolcezza si insegna, con dolcezza si ottiene la correzione, con dolcezza si evitano molti peccati, con dolcezza si governa bene, con dolcezza si fa bene ogni cosa". E' questa la chiave della più genuina pedagogia povedana, l'unico metodo che volle e seppe offrire, affermando, sin dagli inizi (1912): "Bisogna fare in modo che ogni alunno dia di sé tutto ciò che di buono può dare e non è facile ottenerlo senza un clima di libertà. Per educare bisogna conoscere la persona che si educa; senza questa conoscenza i mezzi più eccellenti risulteranno infruttuosi".

Don Pedro Poveda, educatore convinto ed efficace, con una sicura abilità nel dare orientamento, prudentemente audace, amabile e cordiale, ebbe sempre fiducia nei giovani. "Chi sono i più valorosi, intrepidi, coraggiosi, audaci? I giovani. Chi sono coloro che hanno ideali, coloro che dimenticano se stessi? I giovani. Voi mi chiederete ora cosa potete fare. Oh gioventù, arma potente, braccio quasi onnipotente, forza del mondo! Questa sia la vostra prima riflessione. Siamo giovani: possiamo tutto. Siamo di Dio: possiamo fare tutto ciò che è buono". Scriveva queste parole nel 1933, quasi alla fine della sua vita, sintetizzando un itinerario nel quale la gioventù aveva sempre occupato il suo interesse e la sua attività.

"Credere fermamente e tacere non è possibile. Ho creduto, per questo ho parlato. Cioè, la mia convinzione, la mia fede non è vacillante, è ferma, incrollabile, e perciò parlo. Coloro che credono di poter conciliare un silenzio riprovevole con la fede sincera pretendono l'impossibile", diceva nel 1920 a tutti coloro che si consideravano discepoli di Cristo Gesù, e aggiungeva: "I veri credenti parlano per confessare la verità che professano, quando devono, come devono, davanti a chi devono e per dire ciò che devono". In questo modo: "seriamente, senza provocazione, ma senza vigliaccheria; senza petulanza, ma senza pusillanimità; con carità, ma senza adulazione; con rispetto, ma senza timidezza; senza ira, ma con dignità; senza ostinazione, ma con fermezza; con coraggio, ma senza temerarietà".

Poteva esprimersi così perché questa era stata e continuava ad essere la sua esperienza personale.

 

Si riferiva a una manifestazione della propria fede che in molte occasioni doveva essere espressa con parole e con fatti e sempre come il tralcio che è unito alla vite, lasciando scorrere la vita che circola nel suo interno: "Gli uomini e le donne di Dio sono inconfondibili - sosteneva don Pedro nel 1925 - non si distinguono perché sono brillanti, né perché splendono, né per la loro forza umana, ma per i frutti santi, per quello che sentivano gli apostoli sulla strada di Emmaus quando camminavano in compagnia di Cristo risorto, che non conoscevano, ma sperimentavano gli effetti

della sua presenza". La stessa cosa potrebbe dire a noi, cristiani di oggi.

 

   Sede internazionale a Roma. Foto MIT
          Incontro ia Roma. Foto MIT
Ragazze universitarie. Foto MIT
   Centro educativo in Venezuela. Foto PR
      Ragazzi MIT Foto PR
 

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