Il
ricordo di don Pedro Poveda è rimasto unito alla fama della sua santità,
alla novità di aver dato un decisivo e concreto impulso alla missione dei
laici nella Chiesa e nel mondo, al suo qualificato contributo
all'educazione, e alla possibilità di generare progetti apostolici
dinamici, capaci di rispondere, secondo il proprio carisma, alle
necessità circostanti.
L'Istituzione
Teresiana, fondata da Pedro Poveda, è un'Associazione di Laici, di
diritto pontificio, presente oggi in 30 paesi di quattro continenti, che
offre la possibilità di una formazione solida per vivere a fondo le
esigenze del battesimo, anche con una donazione totale a Cristo, e per
realizzare, come Chiesa, una missione al servizio del Regno di Dio.
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la promozione umana e la trasformazione sociale mediante l'educazione e la
cultura e , come le prime comunità cristiane, i suoi membri illuminano la
loro vita con la Parola di Dio, la alimentano con l'Eucaristia, vivono
l'amore fraterno e fanno della condivisione la loro norma di vita.
Si
compiono ora i cent’anni da quando il giovane sacerdote Pedro Poveda
cominciò la sua evangelizzazione nelle grotte di Guadix. Allora "la
prima cosa che facemmo fu portare Gesù Sacramentato nella nostra cappella
delle grotte" scriveva nel 1904, perché "il fondamento
di ogni progresso morale e materiale è Gesù Cristo". E dopo, in
giusta coerenza con la vocazione ricevuta davanti alla Madonna delle
Grazie della "Ermita nueva", affermava con forza davanti ai
membri dell’Istituzione Teresiana da lui fondata: "Nessuno, per
quanta autorità abbia, per quanta sapienza possieda, con le migliori
virtù di cui sia pieno, nessuno può ne potrà mai porre altro fondamento
che quello posto sin dal principio: che è Cristo". Questa è la
nostra Opera, questa è la dottrina che abbiamo professato, e con nessun
pretesto dobbiamo ammettere elementi umani in quello che è stato fondato
in Cristo, per Cristo e attraverso Cristo".
Ai
sacerdoti che come lui sono stati chiamati ad una speciale configurazione
con Cristo, unico Mediatore, don Pedro Poveda continua ad offrire la
testimonianza del proprio atteggiamento, espressa in una nota personale
del 1933: "Signore, che io pensi ciò che tu vuoi che io pensi;
che io desideri ciò che tu vuoi che io desideri; che io parli come tu
vuoi che io parli; che io operi come tu vuoi che io operi. Questa è la
mia unica aspirazione". O detto più brevemente in tante
occasioni: "ogni giorno desidero di più compiere in me la tua
Volontà sempre e in tutte le cose";" tutte le mie preghiere si
indirizzano a: "doce me facere volumtatem tuam" (insegnami a
fare la tua volontà).
L’Eucaristia
era, e non poteva essere diversamente, l’autentico centro della sua vita
sacerdotale, per cui abbondano nei suoi scritti suppliche come questa:
"Signore, possa io celebrare ogni giorno meglio la Santa
Messa"; "sono trascorsi già 36 anni da quando sono stato
ordinato sacerdote. Quanto vivrò ancora? Solo Dio lo sa. A Lui chiedo la
grazia di non tralasciare di celebrare un solo giorno con fervore la S.
Messa".
Non
gli rimanevano molti anni di vita, ma in essi si compì precisamente
quello che era stato per lui un atteggi amento costantemente mantenuto,
perché il sacerdote è un uomo di Dio per gli altri: "Bisogna farsi
tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo. Se c'è da vegliare si
veglia; se c'è da soffrire, si soffre; se c'è da umiliarsi, ci si
umilia; se c'è da chiedere l'elemosina la si chiede, se c'è da ammalarsi
ci si ammala; se c'è da morire, si muore".
"lo
vi chiedo un sistema nuovo, un nuovo metodo e procedimenti tanto nuovi
quanto antichi ispirati all'amore" soleva dire agli educatori. E
ancora, già alla fine della sua vita nel 1935: "con dolcezza si
educa, con dolcezza si insegna, con dolcezza si ottiene la correzione, con
dolcezza si evitano molti peccati, con dolcezza si governa bene, con
dolcezza si fa bene ogni cosa". E' questa la chiave della più
genuina pedagogia povedana, l'unico metodo che volle e seppe offrire,
affermando, sin dagli inizi (1912): "Bisogna fare in modo che ogni
alunno dia di sé tutto ciò che di buono può dare e non è facile
ottenerlo senza un clima di libertà. Per educare bisogna conoscere la
persona che si educa; senza questa conoscenza i mezzi più eccellenti
risulteranno infruttuosi".
Don
Pedro Poveda, educatore convinto ed efficace, con una sicura abilità nel
dare orientamento, prudentemente audace, amabile e cordiale, ebbe sempre
fiducia nei giovani. "Chi sono i più valorosi, intrepidi,
coraggiosi, audaci? I giovani. Chi sono coloro che hanno ideali, coloro
che dimenticano se stessi? I giovani. Voi mi chiederete ora cosa potete
fare. Oh gioventù, arma potente, braccio quasi onnipotente, forza del
mondo! Questa sia la vostra prima riflessione. Siamo giovani: possiamo
tutto. Siamo di Dio: possiamo fare tutto ciò che è buono". Scriveva
queste parole nel 1933, quasi alla fine della sua vita, sintetizzando un
itinerario nel quale la gioventù aveva sempre occupato il suo interesse e
la sua attività.
"Credere
fermamente e tacere non è possibile. Ho creduto, per questo ho parlato.
Cioè, la mia convinzione, la mia fede non è vacillante, è ferma,
incrollabile, e perciò parlo. Coloro che credono di poter conciliare un
silenzio riprovevole con la fede sincera pretendono l'impossibile",
diceva nel 1920 a tutti coloro che si consideravano discepoli di Cristo
Gesù, e aggiungeva: "I veri credenti parlano per confessare la
verità che professano, quando devono, come devono, davanti a chi devono e
per dire ciò che devono". In questo modo: "seriamente, senza
provocazione, ma senza vigliaccheria; senza petulanza, ma senza
pusillanimità; con carità, ma senza adulazione; con rispetto, ma senza
timidezza; senza ira, ma con dignità; senza ostinazione, ma con fermezza;
con coraggio, ma senza temerarietà".
Poteva
esprimersi così perché questa era stata e continuava ad essere la sua
esperienza personale.
Si
riferiva a una manifestazione della propria fede che in molte occasioni
doveva essere espressa con parole e con fatti e sempre come il tralcio che
è unito alla vite, lasciando scorrere la vita che circola nel suo
interno: "Gli uomini e le donne di Dio sono inconfondibili -
sosteneva don Pedro nel 1925 - non si distinguono perché sono brillanti,
né perché splendono, né per la loro forza umana, ma per i frutti santi,
per quello che sentivano gli apostoli sulla strada di Emmaus quando
camminavano in compagnia di Cristo risorto, che non conoscevano, ma
sperimentavano gli effetti
della
sua presenza". La stessa cosa potrebbe dire a noi, cristiani di oggi.