Dio
non tiene mai le porte chiuse
Immaginiamo
la scena riportata da san Luca:
Avvenne
che, mentre stavano a pregare in un luogo, alla fine uno dei discepoli
disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni insegnò ai
suoi discepoli» (Lc 11, l).
Gesù
si avvale, nella sua meravigliosa lezione, di un paragone così semplice,
a tutti comprensibile.
Non
un figlio che chiede al padre né un bisognoso che chiede per i suoi
figli, ma un amico che chiede a un altro amico e chiede per un viandante
con il quale non ha alcun vincolo di amicizia.
Si
presenta e chiede a mezzanotte, ora importuna e inopportuna, quando la
porta è chiusa, quando incombe il silenzio della notte, quando il padrone
di casa e i suoi dormono o, almeno, sono a letto. Non chiede una medicina
per un malato né un aiuto per salvare la vita a chi si trova in pericolo,
ma chiede tre pani.
Queste
circostanze, ben meditate, ci aiutano a conoscere l'efficacia della
preghiera, anche se pronunciata in simili condizioni di luogo, di tempo,
da simili persone e per questi motivi. Ma la considerazione di ciò che
consegue e la differenza di situazioni, danno più forza alla sua
efficacia. Perché quando noi preghiamo, non è come se un amico chiedesse
ad uno per un altro, ma è il figlio che chiede al padre, giacché nella
preghiera ci rivolgiamo a Dio, che è nostro Padre; e non ci rivolgiamo a
lui in ora inopportuna, poiché per Dio tutte le ore sono opportune: egli
sempre si compiace nell'ascoltare le sue creature [...]. Noi, invece,
tralasciamo di chiedere a Dio, che è nostro Padre [...].
Ha
una giustificazione il nostro comportamento? Con quali argomentazioni
sosteniamo la nostra mancanza di preghiera?
La
perseveranza ottiene quanto si
propone
L'amico
insiste nel chiamare: sembra non far caso al silenzio dell'amico.
Questi,
non per il desiderio di accontentarlo, ma per liberarsi dal fastidio che
gli procura l'insistenza di chi chiede, si alza e gli dà, non solo tre
pani, ma tanti quanti ne ha bisogno. [...]
Se
la perseveranza, pur trattandosi di un semplice amico, e per una ragione
così egoista, come è quella di non volere essere disturbato, ottiene
ciò che chiede e anche di più, che cosa non otterrà la preghiera
assidua e perseverante rivolta da un figlio al padre e per ottenere non
pochi pani, ma doni e grazie spirituali, consolazioni, pazienza, fortezza
e tutte le virtù?
Che
cosa ci trattiene?
Molte
volte rileggiamo questo o quel capitolo dei libri sacri, ma leggiamo in
modo tale da abituarci ad ascoltare parole di tanta trascendenza, come
quelle che stiamo meditando, senza trarre da queste lezioni divine il
dovuto profitto.
Che
cosa ci trattiene dal pregare? Perché non insistiamo nella nostra
preghiera? Quale povero smette di chiedere quando ha la sicurezza di
ottenere quanto chiede? Forse non importuniamo fino alla noia gli amici
per ottenere un bene materiale?
Trattandosi,
poi, di grazie e di favori così necessari, perché veniamo subito meno?
Perché,
pur avendo l'assoluta certezza di essere ascoltati tralasciamo di
chiedere? [...]
Avete
necessità? Chiedete
Dico
a voi [ai miei discepoli, a coloro che sono miei, a coloro che tanto amo;
N.d.A.]: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi si
aprirà» (Lc 11,9).
Non
è più possibile dirlo con maggior chiarezza né in modo più
determinato.
Avete
necessità? Perché vi sia dato non occorre altro che chiedere. Che cosa
vorreste trovare? Ciò che pretendete trovare lo troverete cercandolo.
[...]
Quindi,
quando non ho più ricevuto ciò di cui avevo bisogno è stato perché ho
omesso di chiedere, tutte le volte che non ho più trovato quanto
desideravo è stato perché non l'ho cercato, quando ho trovato le porte
chiuse è stato perché non ho chiamato.
I
sorprendenti paragoni di Cristo?
E
se qualcuno di voi chiedesse pane a suo padre, forse questi gli darebbe
una pietra? O se un pesce, per caso gli darebbe un serpente al posto di un
pesce? O se gli chiedesse un uovo, forse gli porgerebbe uno scorpione?
Quindi,
se voi, pur essendo cattivi, sapete dare regali buoni ai vostri figli,
quanto più il vostro Padre celeste darà spirito buono a quanti glielo
chiederanno? (Lc 11, 11-13).
Perché
Cristo utilizza paragoni così sorprendenti? Solo per convincerci meglio
di ciò che vuole insegnarci. Dice un padre e non un fratello né un
parente né un amico perché si veda con chiarezza maggiore
l'impossibilità; perché, trattandosi di un padre, sarebbe impossibile
che accadesse ciò che in un'altra persona, se fosse cattiva, si potrebbe
sospettare.
Chiediamo
tutto
Inoltre,
i discepoli sapevano, e lo sappiamo anche noi, che Dio, colui al quale ci
rivolgiamo quando preghiamo, è nostro Padre, e, essendolo, ci ama come
padre, perciò non potrà non comportarsi con noi come sarebbe capace di
comportarsi un padre, per quanto cattivo. [...]
Abbiamo
peccato, siamo stati ingrati, perfidi, traditori, figli snaturati, però,
la misericordia di questo Padre non è forse più grande della perfidia
dei suoi figli? Non ricordiamo che, pur essendo noi suoi nemici, egli è
venuto a spargere il proprio sangue per salvarci?
La
concessione arriverà a tempo debito
Potrà
succedere, e succede di fatto, che le nostre richieste non siano logiche,
che chiediamo quello che non ci conviene, che, in preda ad ignoranza o a
passione, crediamo di chiedere bene quando, invece, chiediamo male; ma
anche in questi casi, Dio nostro Signore, che conosce quello che ci
conviene e desidera il nostro bene, correggerà la nostra richiesta,
concedendo ci quanto è più vantaggioso per la nostra salvezza eterna.
[...]
Preghiamo
con assiduità, presentiamo le nostre miserie, mettiamoci nelle braccia
della provvidenza e aspettiamo con fiducia il rimedio migliore, ma non
quello che ci piace di più né quello che, per nostra ignoranza o per
passione, consideriamo il più opportuno e tutto ciò senza mettere
scadenza ai favori del Signore e senza lasciarci prendere dallo
scoraggiamento quando si dilaziona la concessione. Perché la concessione
giungerà a tempo debito, secondo i piani del Signore e giungerà
migliorata dalla sua bontà infinita.
Giungerà
migliorata
Un
Padre, che ama come nessun altro, che può come nessun altro, che è buono
come nessun altro, perché lui solo è buono, è potente, è amante, che
farà con chi gli chiede qualcosa? Che cosa concederà Dio a chi si
rivolge a lui nella preghiera?
Darà
lo spirito buono. Non gli darà solamente quanto possono dare gli uomini;
questo è poco, questo è nulla davanti a lui. Egli gli darà spirito
buono, la infusione dello Spirito Santo, la grazia, i suoi doni, le sue
virtù, qualcosa che supera ogni regalo umano e ogni sapienza umana, la
santificazione, la vita eterna, una felicità infinita. Questo, e più di
quanto noi siamo capaci di dire e di pensare, questo dà il Padre celeste
a chi si rivolge a lui; però bisogna pregare, bisogna implorare la
misericordia del Signore.
La
preghiera, debolezza di Dio nostra unica forza
Dice
il Padre sant'Agostino che la preghiera è la forza dell'uomo e la
debolezza di Dio; io vi dico, per manifestare quanto penso e quanto sento,
che la preghiera è l'unica forza di cui dispone l'Opera teresiana e che,
poiché non disponiamo di altra forza, vinciamo l'Invincibile e otteniamo
dalla sua infinita misericordia una serie ininterrotta di prodigi che sono
la nostra vita. Vi assicuro, inoltre - e desidero che questa mia
affermazione sia conosciuta da tutti e resti sempre come espressione della
volontà di vostro Padre - che se qualcuno cerca un'altra forza o si
affida a qualcosa che non sia la preghiera, non conosce l'Opera né vive
del suo spirito [...].
Non
vogliamo disporre di altri mezzi. Chiedo a Dio, nostro Signore, dal
profondo del cuore, che non conceda a quest'Opera, fondata per dare gloria
al suo santo nome, nessuna forza umana, ma che aumenti quella già
concessale, facendo sì che i suoi membri siano sempre più anime di
preghiera.
L'importanza
dell'impresa nella quale siamo impegnati, la necessità di virtù, di
talento, di laboriosità e di perseveranza nelle persone, l'imprescindibilità
dei mezzi materiali per la realizzazione dell'Opera lasciano sempre più
esterrefatti quanto più si conosce il fine che essa si propone.
Ora,
se pensate che, per superare tutto, non disponiamo né vogliamo disporre
di nessun altro mezzo che della preghiera, capirete bene che cosa essa
significhi nella vita teresiana.
Se
la nostra forza avesse le sue radici nel talento, nella posizione sociale,
in qualcosa di umano, ci sarebbe chi potrebbe cooperare e chi no; però,
siccome esse sono poste nella preghiera, tutti possono cooperare allo
stesso modo, e, se non pregano allo stesso modo, sarà o perché non tutti
amano allo stesso modo l'Opera o perché non tutti hanno il suo spirito.
Ma
soprattutto vi prego che vi esercitiate nella preghiera, ne facciate una
necessità della vostra vita, vi impegniate tanto nel praticarla da non
esserci motivo, materia o ragione sufficiente per farvi trascurare, anche
per un solo giorno, la preghiera; che portiate a Dio i vostri allievi solo
per questa via dolce e soave. Vi prego che, nello studio, nella malattia,
nel lavoro, nelle tentazioni, nelle tribolazioni di ogni genere, in tutte
le vostre imprese, nel compimento dei vostri doveri, ogni volta che il
mondo, il demonio e la carne vi esporranno a pericoli, quando avrete
bisogno di qualche grazia, per voi, per il prossimo, per l'Opera, per
perseverare nella vostra vocazione, conoscerla e seguirla, insomma, per
ottenere ogni bene, per liberarvi da ogni male, per trionfare su tutto,
ricorriate alla preghiera con una sicurezza e una costanza tali che, dopo
aver pregato, possiate essere così soddisfatti come se aveste messo in
pratica tutti i mezzi idonei ad essere conosciuti e praticati dai più
saggi e dai più potenti. [...]
Il
rimedio è nella preghiera
Nella
preghiera abbiamo la medicina contro i nostri mali.
La
vita cristiana senza meditazione è vita militare... senza armi. Se con i
molti e tanto frequenti buoni propositi tu pecchi ancora molto, che
succederebbe se tu non ti proponessi nulla?
Per
piccolo che sia, vale più un proposito concreto adempiuto, che molti
propositi generali ed eroici non mantenuti.
La
meditazione sulla passione di Gesù Cristo prepara l'animo a soffrire
bene. Hai molto bisogno di ciò, poiché le sofferenze abbondano nella
vita dell'uomo.
Non
avrai vita spirituale senza l'eucaristia. Vivi in modo che, ogni giorno,
tu possa ricevere il Signore.
Prima
di prendere una decisione su un problema importante, fai una visita a
Gesù Cristo che è un consigliere infallibile.
L'assolutamente
necessario: Uniti alla Vite
Rimanete
in me ed io in voi. Come il tralcio non può dare frutto da se stesso, se
non rimane nella vite, così neppure voi, se non rimanete in me (Gv 15,4).
Rimanete
in me.
Questo
ve lo chiede Gesù stesso. Egli vi offre ospitalità, vi chiama, vi
invita, vi sollecita. Non state - vi dice - nel mondo né con il mondo, ma
in me. Stare in Gesù. Quale fortuna incomparabile! E aggiunge: «E io in
voi». Lui sì, compie la promessa.
Se
ci consegnassimo completamente a Gesù, nella misura in cui lui si dona a
noi! Purtroppo noi, avari e meschini, in rapporto a quanto lui ci dona,
tutto di valore infinito, gli concediamo qualcosa e crediamo sia grande
cosa quanto diamo e persino chiediamo immediatamente una ricompensa.
Bisogna dare secondo quanto si riceve.
Come
il tralcio non può dare frutto da se stesso, se non è unito alla vite [...].
Quando
il tralcio si stacca dalla vite, è strappato, è tagliato, subito secca.
Finché stava unito alla vite era verde, fresco, portava frutto; era
qualcosa di apprezzabile perché riceveva dalla vite la linfa, il frutto,
la vita vegetativa; poi marcisce, secca ed è buono solo ad essere gettato
nel fuoco. Quanto è fondamentale questo insegnamento!
Così
voi, se non rimanete in me.
Bisogna
rimanere in Cristo; quanto più si è uniti alla vite, tanto maggiore
sarà il frutto del tralcio. Questa è la misura del frutto: l'unione. Non
dà più frutto quello di maggior talento, il più simpatico, il più
prudente secondo il mondo, il più studioso, il più amabile; lo dà
quello che è più unito a Cristo; quello che vive l'unione perfetta,
completa e perseverante.
Sono
concetti così fondamentali, che lo Spirito Santo, tramite san Giovanni,
li ripete più volte nello stesso capitolo, quasi ad indicare quanto
dobbiamo fissare su di essi la nostra attenzione.
Prosegue
nel versetto seguente: chi rimane in me e io in lui, costui porta molto
frutto, perché senza di me non potete far nulla.
Non
dice «senza di me» potete fare poco, farete meno; dice che senza di lui
non possiamo fare nulla.
Senza
di lui non si può far nulla, assolutamente nulla; quello che si può
fare, si può fare solo per lui ed a lui si deve dare gloria e azione di
grazie.
Orbene,
chi sta in lui, questi porta molto frutto. Non dice qualche frutto né
frutto soltanto, ma molto frutto. È chiaro che, se uno sta in Dio e Dio
sta in lui, è Dio che fa tutto e la linfa divina scorre in questo
tralcio. Come si vedono queste cose! Come si notano i frutti delle persone
che vivono unite a Dio, compenetrate, inondate, possedute dallo spirito di
Dio! Quanto dicono, fanno, insegnano, pur apparentemente uguale a quanto
dicono, fanno o insegnano gli altri, ha in sé tutta una virtualità, la
linfa di Dio, una modalità, un quid inconfondibile che edifica,
attrae, eleva, perfeziona.
La
nostra ragione di essere, lo spirito
Se
viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito (Gal 5, 25).
La
nostra vita non ha altra ragione di essere che lo spirito. Lo spirito ci
ha convocati, lo spirito ci unisce, lo spirito ci incita, lo spirito ci
assiste, lo spirito ci promette il premio.
Se
siamo qualcosa, lo dobbiamo allo spirito
Togliamo
alla nostra Opera lo spirito. Che rimane? Se siamo qualcosa lo dobbiamo
allo spirito.
Umanamente
non rappresentiamo nulla, non possiamo nulla, non abbiamo alcuna
importanza. Altre associazioni sono potenti e forti per il loro capitale,
per le capacità dei propri membri, per la protezione di uomini potenti,
però alla nostra che è priva di tutto, che cosa rimarrà se le manca lo
spirito? D'altronde, poiché non c'è stato altro motivo per fondarla che
quello squisitamente spirituale, non avrebbero un significato plausibile
la vita di sofferenze, il lavoro e le privazioni se non fossero dettate
dallo spirito.
Viviamo
di spirito?
Vivere
di spirito e non camminare secondo lo spirito è inconcepibile. Se Dio
trova posto nel cuore [dei membri dell'Istituzione], se in esso, nella sua
intelligenza regna Cristo, questo spirito si manifesterà in ogni nostra
azione e penseremo, parleremo e agiremo, cioè, cammineremo dietro gli
impulsi dello spirito. [...]
Le
persone di spirito
Non
camminiamo secondo lo spirito quando siamo spinti da qualche motivo umano,
quando nelle nostre azioni manca quel quid speciale che si
riscontra nelle persone di spirito; quando ci spinge il vento della
vanità, quando procediamo in modo scomposto, disordinato e mutevole;
quando curiamo con esagerazione le nostre cose, quando operiamo non con
l'impegno di chi vuole compiere il proprio dovere, ma fiduciosi nelle
forze umane, nelle nostre capacità, nel nostro saper fare, nella
simpatia, nei doni di natura. Non camminiamo secondo lo spirito quando le
difficoltà ci schiacciano, quando i fallimenti ci confondono, le
delusioni ci irritano, quando le lodi ci stimolano, l'applauso ci carica
di energia. Riflettiamo su tutto ciò [...].
La
nostra Opera è un organismo vivo animato da uno spirito
La
nostra Opera è un organismo vivo, animato da uno spirito; noi siamo
plasmati da questo spirito, lo spirito si manifesta in tutte le nostre
azioni. Ogni società ha uno spirito particolare, quelli che ne fan- no
parte hanno il medesimo spirito o lo acquisiscono, e, se ciò non accade,
non sono veri membri di quella società né la rappresentano.
Quanto
facciamo, apparentemente lo fanno tutti; se il lavoro che essi fanno non
ha importanza, non è qualificato, manca di valore, è freddo, arido,
infruttuoso, lo è perché non è suggerito né realizzato dallo spirito,
gli manca lo spirito.
Lo
spirito non si misura dall'esterno
Il
valore dello spirito non si misura dalla grandezza esteriore né
dall'apparato esterno. «Tutta la gloria della figlia del re procede
dall'interno» (Sal 45, 14). Lo spirito più elevato, infinitamente grande
e perfetto, è nascosto nell'uomo Dio, e Gesù Cristo, che apparentemente
è un uomo come gli altri, ha dentro di sé lo Spirito divino. Per ciò,
le parole di quell'uomo, la sua presenza, le sue opere, apparentemente
comuni, sono feconde in prodigi ed esuberanti in miracoli di ogni genere.
Cosa ammirabile è la sproporzione che esiste tra il valore intrinseco
dello spirito e l'apparente semplicità e insignificanza. A maggiore
apparato esterno, minore valore interno, a maggiore semplicità e
apparente insignificanza, maggiore merito interiore.
La
forza risiede nell'unione
"Ogni
regno diviso in se stesso andrà in rovina" (Lc 11, 17). La forza
risiede nell'unione, se l'unione è il risultato della carità, la forza
è invincibile.
I
regni, i popoli, le società, le comunità più forti, sono le meglio
unite, le più unite.
Cristo
disse nel Vangelo ogni regno, per farci capire che non si riferiva
a questo o a quel genere di società, ma a tutte; dove alcuni si
riuniscono per fare qualcosa, per custodirlo o per farlo progredire, deve
esistere l'unione.
Se
noi vogliamo che la nostra Opera sia solida, dobbiamo impegnarci molto a
vivere molto uniti; se desideriamo che si estenda e progredisca, dobbiamo
consolidare questa unione.
Regno
diviso, regno che va in rovina. La parola di Cristo è infallibile. Non
preannuncia un male probabile, ma un male sicuro, che succede
immediatamente alla divisione. Quante società e quanti regni sono andati
in rovina, pur avendo forza, ricchezza, talenti, numero, perché in essi
si è determinata la divisione, che è la rovina.
Questa
divisione ci aiuta a capire ciò che diversamente rimarrebbe un mistero e
quanto più occulta è la divisione, tanto più veloce avviene la rovina,
perché è meno facile trattenerla. Prosperità non giustificate dalla
povertà o dalla mancanza di mezzi di ogni tipo, trovano il segreto della
loro forza nell'unione.
Conosciamo
anche le legittime conseguenze, che sono l'impegno che dobbiamo avere per
conservarla e l'attenzione per evitare l'introduzione di divisioni e di
partiti nella nostra Opera. Se trascuriamo queste precauzioni, dimostriamo
con fatti che non l'amiamo, che non ci interessa il suo bene. [...]
L'origine delle divisioni si trova sempre nell'amor proprio; se mettiamo
questo da parte, eviteremo le divisioni.
Pregare
e confidare in Dio
Ammettiamo
umilmente che non siamo grande cosa in tutti i sensi, perché non
preghiamo come dobbiamo e quanto dobbiamo. Per me questo è un assioma.
Conclusione:
pregare con fede viva, con fiducia assoluta e perseverare nella preghiera
sempre.
Dinanzi
ad avvenimenti umanamente inspiegabili, saremo così ciechi da porre la
nostra fiducia in ciò che è umano?
Viviamo
con la preparazione necessaria a chi vive in terra di missione. Anche se
non dovessimo agire come loro, ne avremmo comunque un guadagno; ed in caso
contrario non saremo impreparati.
Allo
stesso modo dobbiamo fare per quanto concerne l'Opera, non retrocedere
nelle precauzioni che, se non sono necessarie, comunque non potranno
esserci pregiudizievoli. [...]
Senza
timori infondati
Crediamo
che le vocazioni appartengono a Dio, perciò, la prima cosa da farsi e la
più sicura è pregare nostro Signore. Non abbiamo timori infondati,
perché suscitare una vocazione è quanto di meglio si possa fare: far del
bene ad una persona è buono, fame un apostolo è ancora meglio.
Non
siamo noi a decidere. «Né chi pianta né chi irriga, ma Colui che fa
crescere» (l Cor 3, 7).
È
necessario essere forti
Il
tesoro che l'Istituzione teresiana possiede è la preghiera. L'Opera ha
bisogno di un grande tesoro, perché ogni giorno ha maggiori e più
numerose necessità. Si devono apportare aiuti; obbligati sono i membri,
per ciò i membri devono essere anime di preghiera.
L'Opera
ha una sua fisionomia specifica e un suo spirito. Lo spirito di santa
Teresa, maestra di preghiera.
L'Opera
ha bisogno di essere forte e la fortezza, l'autorevolezza, il prestigio,
il valore, l'influsso, tutto dipende dall'unione e dalla carità fraterna.
Se
i membri vivono intimamente uniti a Dio nella preghiera e intimamente
uniti tra loro nella carità fraterna, l'Opera otterrà da Dio quanto
desidera ed eserciterà sul mondo l'influsso di cui ha necessità.
Se
manca la preghiera, se i suoi membri non sono uniti, l'Opera sarà
qualcosa di umano, ma non l'Opera di Dio.
Non
condizionati dal potere e dalla forza
Perché
le nostre armi non sono carnali. Se
lo fossero sarebbero impotenti, sarebbero condizionate al potere e alla
forza umana, sarebbero volubili, dipenderebbero da molte cause naturali,
sarebbero limitate. Ma hanno da Dio la potenza: perché tutta la
nostra forza, il nostro potere sono fondati in Dio, nel quale abbiamo
posto la nostra fiducia [...]. Le nostre vittorie non sono frutto della
virtù di ciascuno di noi né delle nostre forze, della nostra posizione
né della scienza, perché è Dio che fornisce le armi e mette la vittoria
nelle mani di colui del quale si compiace la sua onnipotenza.
|
|
|