DANTE ALIGHIERI
Quando Dante aveva 12 anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all'età di 20 anni. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune ed era una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti ad un notaio. La famiglia a cui essa apparteneva (i Donati) era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale, che in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, i guelfi neri. Politicamente Dante apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi, che pur trovandosi nella lotta per le investiture schierati col Papa, erano contrari ad un eccessivo aumento del potere temporale papale; Dante in particolare nel De Monarchia auspicava l'indipendenza del potere imperiale dal Papa, pur riconoscendogli una superiore autorità morale.
Dante da Gemma ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia; ma molti bambini finsero di essere suoi figli naturali. Un quarto figlio, Giovanni, è documentato una volta soltanto. Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice sembra nel Convento delle Olivetane a Ravenna. Si dice fosse figlio suo anche un certo Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia, che compare come testimone in un atto del 21 ottobre del 1308 a Lucca.
A Firenze ebbe una carriera politica di discreta importanza: dopo l'entrata in vigore dei regolamenti di Giano della Bella (1295), che escludevano l'antica nobiltà dalla politica, permettendo ai ceti intermedi di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte, egli si immatricolò all'Arte dei Medici e Speziali.
L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, perché i verbali delle assemblee sono andati perduti, comunque attraverso altre fonti si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre 1295 all'aprile 1296; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei Priori, cioè dei massimi rappresentanti di ciascuna Arte; dal maggio al settembre del 1296 fece parte del Consiglio dei Cento. Fu inviato talvolta come ambasciatore, come nel maggio del 1300 a San Gimignano. Lo stesso anno fu priore dal 15 giugno al 15 agosto.
Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII. Con l'arrivo del cardinale Matteo d'Acquasparta, inviato come paciere, almeno nominale (in realtà spedito dal papa per ridimensionare la potenza della parte dei guelfi bianchi, in quel periodo in piena ascesa sui neri), Dante cercò, con successo, di ostacolare il suo operato ed era in carica durante il difficile momento quando il cardinale mosse un esercito da Lucca contro Firenze, venendo però bloccato ai confini dello stato fiorentino.
Quando Dante aveva 12 anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all'età di 20 anni. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune ed era una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti ad un notaio. La famiglia a cui essa apparteneva (i Donati) era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale, che in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, i guelfi neri. Politicamente Dante apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi, che pur trovandosi nella lotta per le investiture schierati col Papa, erano contrari ad un eccessivo aumento del potere temporale papale; Dante in particolare nel De Monarchia auspicava l'indipendenza del potere imperiale dal Papa, pur riconoscendogli una superiore autorità morale.
Dante da Gemma ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia; ma molti bambini finsero di essere suoi figli naturali. Un quarto figlio, Giovanni, è documentato una volta soltanto. Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice sembra nel Convento delle Olivetane a Ravenna. Si dice fosse figlio suo anche un certo Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia, che compare come testimone in un atto del 21 ottobre del 1308 a Lucca.
A Firenze ebbe una carriera politica di discreta importanza: dopo l'entrata in vigore dei regolamenti di Giano della Bella (1295), che escludevano l'antica nobiltà dalla politica, permettendo ai ceti intermedi di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte, egli si immatricolò all'Arte dei Medici e Speziali.
L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, perché i verbali delle assemblee sono andati perduti, comunque attraverso altre fonti si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre 1295 all'aprile 1296; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei Priori, cioè dei massimi rappresentanti di ciascuna Arte; dal maggio al settembre del 1296 fece parte del Consiglio dei Cento. Fu inviato talvolta come ambasciatore, come nel maggio del 1300 a San Gimignano. Lo stesso anno fu priore dal 15 giugno al 15 agosto.
Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII. Con l'arrivo del cardinale Matteo d'Acquasparta, inviato come paciere, almeno nominale (in realtà spedito dal papa per ridimensionare la potenza della parte dei guelfi bianchi, in quel periodo in piena ascesa sui neri), Dante cercò, con successo, di ostacolare il suo operato ed era in carica durante il difficile momento quando il cardinale mosse un esercito da Lucca contro Firenze, venendo però bloccato ai confini dello stato fiorentino.
Quale membro del Consiglio dei Cento, fu tra i promotori del discusso provvedimento che spedì ai due estremi della Toscana, i capi e le "teste calde" delle due fazioni. Questo non solo fu una disposizione inutile (presto essi tornarono alla spicciolata), ma fece rischiare un colpo di stato da parte dei Neri che stavano per approfittarsi della situazione quando i Bianchi erano senza leader, ritardando oltre misura l'inizio del loro esilio. Inoltre il provvedimento attirò sui responsabili, compreso Dante, sia l'odio della parte nemica, che la diffidenza degli "amici", e da lui stesso fu definito come l'inizio della sua rovina.
Con l'invio di Carlo di Valois a Firenze, mandato dal papa come teorico "paciere" (ma conquistatore di fatto), la Repubblica spedì a Roma un'ambasceria con Dante stesso, accompagnato da Maso Minerbetti e il Corazza da Signa.
Dante si trovava quindi a Roma, trattenuto oltre misura proprio da Bonifacio, quando Carlo di Valois, al primo pretesto, mise a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301, Cante Gabrielli da Gubbio fu nominato Podestà di Firenze, dando inizio ad una politica di sistematica persecuzione degli elementi ostili al Papa, che si risolse nell'uccisione o nell'esilio di tutti i guelfi Bianchi. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, il poeta fu condannato da Cante Gabrielli, in contumacia, al rogo ed alla distruzione delle case. Dante fu raggiunto dal provvedimento di esilio a Roma e non rivide mai più Firenze.
Durante l'esilio, Dante fu ospite di varie corti e famiglie dell'Italia centro-settentrionale, fra cui i ghibellini Ordelaffi, signori di Forlì, dove probabilmente si trovava quando Enrico VII entrò in Italia. Qui è possibile che abbia conosciuto le opere del famoso pensatore ebreo Hillel ben Samuel da Verona, che era da poco morto, dopo aver trascorso a Forlì gli ultimi anni della sua vita.
In particolare, falliti i tentati colpi di mano del 1302, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò, insieme a Scarpetta degli Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì, un nuovo tentativo di rientrare in Firenze. L'impresa, però, fu sfortunata: il podestà di Firenze, un altro forlivese (nemico degli Ordelaffi), Fulcieri da Calboli, riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Puliciano.
Dopo ciò, Dante, deluso, anche se tornò a Forlì ancora nel 1310-1311 e nel 1316 (data incerta, quest'ultima), decise di fare "parte per se stesso" e di non contare più sull'appoggio dei ghibellini per rientrare nella sua città.
Morì il 14 settembre del 1321 a Ravenna, città nella quale aveva trovato rifugio presso la corte del signore Guido Novello da Polenta quando, passando dalle paludose Valli di Comacchio prese la malaria, di ritorno da un'ambasceria a Venezia