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Dalla rivista “SPAZIO & FUTURO”, Aprile 2003, Anno II n°1

SETI: Search for Extra-Terrestrial Intelligence”

Nel 1959 un astronomo dell'Osservatorio di Radioastronomia di Green Bank nel West Virginia, il Prof. Frank D. Drake, presentò al mondo scientifico internazionale il "Progetto Ozma". Il nome derivava dalla favolosa principessa di un immaginario paese di Oz: un luogo remoto, inaccessibile e abitato da creature esotiche. Lo scopo era rilevare possibili segnali intelligenti dallo spazio attraverso il paraboloide di 25 metri di diametro di Green Bank secondo una lunghezza d'onda ben precisa, suggerita poco prima dai ricercatori Cocconi e Morrison: quella dell'idrogeno neutro, pari a 1.420.405.752 cicli al secondo. Il progetto concentrò la sua attenzione sui sistemi solari di Tau Ceti ed Epsilon Eridani, rispettivamente nello zone astrali delle costellazioni della Balena e dell'Eridano. E nel 1960, dopo un totale di 150 ore di ascolto sistematico, le ricerche furono sospese senza risultati concreti. Un fallimento? No, era solo un inizio. Come aveva sottolineato Drake alla vigilia dell'esperimento "...Quanti pensano che la meta giustifichi l'entità degli sforzi richiesti proseguiranno le indagini, sostenuti dalla speranza che in futuro, fra centro anni o fra una settimana, questa ricerca sarà coronata da successo...". E nel 1965 gli scienziati sovietici captarono i segnali regolari emessi dal corpo stellare "CTA-102",e i professori Iosif S. Shklovsky, Gennadi Sholomitzky e Nikolai Kardasciov parlarono di possibili messaggi intelligenti inviati da una super-civiltà. In breve l'episodio fu ridimensionato e riportato ad un fenomeno di radioemissioni astronomiche naturali, com'è noto; ma la notizia suscitò in tutto il mondo scalpore e sensazione dalle prime pagine dei quotidiani, e questo falso allarme valse a far prendere coscienza dell'importanza del problema di un possibile contatto, anche se solo via radio, con civiltà extraterrestri. Da allora la comunità scientifica si è aperta a tale prospettiva, secondo un'idea ben precisa, alla base della quale vi è la teoria (formulata dal russo Kardasciov) che le civiltà cosmiche siano di tre tipi: le civiltà di tipo 1, che si trovino al nostro stesso (limitato) livello tecnologico; le civiltà di tipo 11, che hanno imparato a dominare e sfruttare l'emissione energetica del loro sole, disponendo pertanto di risorse atte a inviare segnali a milioni di anni-luce di distanza; e le civiltà di tipo III, in grado di ricavare energia in quantità colossali dalle stelle in formazione e dalle altre potentissime fonti radianti concentrate specialmente nei nuclei galattici, caratterizzate da inimmaginabili possibilità tecnologiche, compresa la capacità di realizzare viaggi interstellari. Da parecchi decenni dalla Terra partono segnali radio o radar di grande potenza che si propagano in tutto l'universo. Il che vuol dire che eventuali esseri intelligenti su pianeti extrasolari nell'ambito di 20 anni luce sarebbero già in grado di percepire strumentalmente la nostra presenza. Sempre che ci si sintonizzi sulla frequenza giusta al momento giusto. Ed è appunto su quella dell'idrogeno, propria delle radiazioni emesse dalle nubi di questa sostanza che permea lo spazio fra le stelle in tutto l'Universo, che gli americani, nel 1974, hanno effettuato un test mirato. In occasione dei festeggiamenti per la ristrutturazione del colossale radiotelescopio di Arecibo, a Puerto Rico, fu infatti inviato verso lo spazio un messaggio diretto ad altri esseri in eventuale ascolto, trasmesso sulla lunghezza d'onda dei 21 centimetri dell'idrogeno, ritenuta "la più probabile lunghezza d'onda che due esseri intelligenti che volessero comunicare potrebbero utilizzare". Il messaggio conteneva una serie di informazioni di ordine matematico, chimico, biologico, astronomico e tecnico sulla specie umana. E a credere che di ascoltatori ce ne siano, lassù, sono parecchi.

"Sono convinto che sia in corso da sempre" è l'opinione del celeberrimo cosmologo inglese Fred Floyle "uno scambio di messaggi su vasta scala e che noi non ce ne rendiamo conto, come un pigmeo delle foreste africane non si rende conto dei messaggi radio che sfrecciano attorno alla Terra alla velocità della luce. Secondo me, gli iscritti a tale “elenco telefonico” galattico sono un milione e anche più. Il nostro problema è di inserire in quell'elenco è il nostro numero". Nulla di strano, quindi, che fin dall'esperimento di Arecibo la NASA, l'Ente Spaziale degli USA, avesse lanciato il Programma CETI ("Communication with Extra-Terrestrial Intelligence"), mentre ricerche analoghe venivano sviluppate in URSS. La prima conferenza internazionale sul problema delle civiltà extraterrestri si è tenuta dal 5 all' 11 Settembre 1971 presso l'Osservatorio Astrofisico di Byurakan dell'Accademia Armena delle Scienze, in URSS, riunendo attorno agli astrofisici Carl Sagan e losif S. Shklovsky il meglio dei ricercatori dell'Occidente e dell'Est che si occupano del problema. Per la prima volta gli scienziati dibatterono la questione sotto molteplici punti di vista, non soltanto di carattere strettamente tecnico. Da allora le ricerche si sono sviluppate un po' dappertutto. Bernard M. Oliver, già direttore di uno studio finanziato dall'Ames Research Center della NASA, ha progettato in via preliminare l'audace Progetto Ciclope, relativo alla installazione di 1.500 antenne radio di 100 metri di diametro ciascuna, collegate, oltre che fra di loro, con un colossale sistema di computer. L’effettiva area di raccolta dei segnali del sistema supererebbe di centinaia di volte quella di ogni radiotelescopio esistente, e consentirebbe il rilevamento di segnali relativamente deboli, quali le comunicazioni radio interne di civiltà distanti perfino parecchie centinaia di anni luce. Il solo ostacolo è dato dal costo dell'impresa, pari a non meno di 10 milioni di dollari. Inizialmente appoggiato dalla presidenza Reagan, successivamente il miope intervento del Congresso USA ha letteralmente tarpato le ali a tale ricerca, azzerando i fondi pubblici ad essa inizialmente destinati. Ricerca che ha dovuto, dagli anni Novanta in poi, sostenersi solo con donazioni e fondi privati. Il disimpegno dei politici USA, d'altronde, era ed è dovuto anche al timore di trovarsi di fronte ad un evento decisamente scomodo e di difficile gestione. E cioè il momento in cui si verificherà "il grande evento": quando, in altre parole, rileveremo un vero segnale extraterrestre emesso da una fonte intelligente, ovvero quando sarà segnalata inequivocabilmente una presenza ( sonda teleguidata o mezzo spaziale pilotato che sia) originaria di un altro mondo. Cosa succederà, allora?

La verità è che non lo sappiamo. E che nel frattempo abbiamo paura delle conseguenze. L’uomo ha sempre temuto ciò che non conosce. "Se continuiamo su questa strada, va a finire che qualcuno fuori del nostro pianeta si accorge che la Terra esiste; magari gli piace, arriva qui e ci fa fuori tutti" è l'opinione di Sir Martin Ryle, premio Nobel per la fisica nel 1974, che riecheggia il parere espresso nel corso di una conferenza stampa a latere del Congres so dell'Unione Astronomica Internazionale di Brighton del 1970 dal Prof. Anthony Hewish, dell'Università di Cambridge, secondo il quale gli eventuali messaggi extraterrestri rilevati dovranno essere tenuti nascosti al mondo; solo dopo che gli scienziati e i governanti delle principali potenze avranno avuto modo di studiare a fondo le conseguenze dell'esistenza di altre civiltà in rapporto a noi la notizia potrà essere resa nota. E come lo scopritore delle pulsar, si sono pessimisticamente espressi un altro astronomo inglese, Zdenek Kopal ("... Una civiltà extraterrestre potrebbe anche trattarci alla stessa stregua di come noi trattiamo gli animali..."), e l'astronomo americano Clyde Tombaugh, scopritore del pianeta Plutone ("...Potrebbe essere un disastro entrare in contatto con un'altra civiltà..."). Considerazioni fondate forse su un'inconscia paura dell'ignoto, più che su una distaccata analisi scientifica della questione; ma che sono già valse a bloccare iniziative entusiastiche e non meditate di trasmissione di segnali da parte nostra, atte a farci localizzare facilmente nell'Universo. Così, per evidenziare il ruolo per il momento passivo che nei confronti del problema la comunità scientifica internazionale ha preferito assumere, si è deciso di cambiare di nome l'acronimo CETI, che è così diventato SETI ("Search", ricerca, ha sostituito la precedente dizione "Contact", contatto; in altri termini si preferisce ascoltare eventuali segnali piuttosto che trasmetterli). Per cercare fra tutte le radiazioni naturali che investono quotidianamente la Terra un eventuale messaggio intelligente, occorre non solo puntare l'antenna del radiotelescopio su ciascuna dei milioni di stelle che hanno qualche probabilità di avere attorno dei pianeti, ma anche sintonizzarsi su almeno un milione di frequenze, su una delle quali un extraterrestre potrebbe aver trasmesso un messaggio. Per poter affrontare con qualche speranza di successo un'impresa di questo tipo è necessario automatizzare al massimo tutte le necessarie operazioni. E alla NASA i due laboratori californiani dell'Ames Research Center di Mountain View e del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena sono in grado di sviluppare apparecchiature dalle capacità incredibili. Ma non basta né poteva bastare il successivo sviluppo dell'informatica a livello popolare ha così visto imporsi il progetto SETI@HOME, che utilizza innumerevoli volontari con i loro PC collegati attraverso Internet in una unica rete globale "on line" atta a monitorare, attraverso programmi preconcordati ad hoc, una regione stellare dopo l'altra.

Comunque, come insegna il caos generale indotto nel pubblico americano nel 1938 dal realistico radiodramma di Orson Welles tratto da "La Guerra dei Mondi" di H.G. Wells, è opinione comune che la conferma dell'esistenza di creature aliene non sarebbe una notizia di poco conto; gli scienziati sono certi - come pure gli psicologi e i sociologi - che l'umanità si troverebbe, nel caso della scoperta di altre civiltà nello spazio, di fronte a uno shock enorme, a un vero e proprio "trauma socio-culturale". Non a caso, fin dal 1970, su mozione del Prof. Anthony Hewish, scopritore delle pulsar, il Congresso della Unione Astronomica Internazionale ha infatti stabilito la necessità di tenere almeno momentaneamente segreta alle masse la eventuale esistenza di creature extraterrestri per tema delle ancora imprevedibili, ma non certo irrilevanti, conseguenze che la notizia potrebbe avere, a tutti i livelli, su un'opinione pubblica mondiale impreparata. La reazione del pubblico è una grossa incognita. Nel 1965, ad esempio, il rilevamento in URSS di un segnale regolare emesso dalla fonte stellare denominata "CTA 102" fece pensare a radioemissioni intelligenti e la opinione pubblica reagì con emozione ed entusiasmo. Poi si capì che ci si trovava di fronte ad un fenomeno naturale, proprio delle quasar e delle pulsar. Dal 1956 a oggi, comunque, i "falsi allarmi" sono stati ben 35, e sono comunque stati registrati oltre 100 radiosegnali extraterrestri di origine misteriosa, apparentemente non più ripetutisi. Fra questi vi sono delle emittenti artificiali? Nell'ambito del Progetto SETI si va comunque sviluppando una nuova branca denominata SETV ("Search for Extra-Terrestrial Visitation", ovvero "Ricerca di Visite Extra-Terrestri"), ovvero lo studio, con mezzi tecnico-scientifici, di possibili evidenze di visite aliene al nostro pianeta. A ciò si è arrivati sviluppando l'ipotesi SETA ("Search for Extra-Terrestrial Artifacts"), ossia quella che contempla la "Ricerca di Manufatti ExtraTerrestri" presenti sul nostro pianeta. In tal senso gli studi condotti in località quali la valle norvegese di Hessdalen si sono rivelati quanto mai stimolanti.

Comunque sia, dal 1990 un "SETI Post Detection Protocol" indica cosa fare in caso di ricezione effettiva di un messaggio extraterrestre. Si tratta di un protocollo che prevede di informare il pubblico, certo. Ma solo dopo verifiche e consultazioni varie e complesse, beninteso. Piaccia o no, gli alieni fanno ancora e più che mai paura. E al riguardo quanto lascia trasparire il bel film di Robert Zemeckis Contact (tratto dal romanzo omonimo di Carl Sagan) con la brava Jodie Foster è illuminante.

di Roberto Pinotti

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