note biografiche su claudio Costa

Claudio Costa nasce a Tirana in Albania il 22 giugno del 1942 da genitori italiani.

Nel ’62 vince a Milano il premio Diomira per il disegno e nel ’63 il premio S. Fedele.

Dal ’62 al ’65 studia architettura al politecnico di Milano.

Nel ’64 vince la borsa di studio per l’incisione indetta dal governo francese e si

trasferisce quindi a Parigi presso l’atelier di S. W. Hayter (dal ’65 al ’68) dove ha l’occasione di incontrare Marcel Duchamp, punto di riferimento importante per il suo lavoro in bilico tra la scattante forza dell’idea e la calda materialità dell’oggetto trovato.

A Parigi, nel’68, vive la rivoluzione del maggio francese che condizionerà fortemente il suo stile di vita; partecipa agli ateliers liberi che si sono formati per stampare le affiches del movimento studentesco. Nell’autunno torna in Italia, a Rapallo, dove approfondisce la figura di Ezra Pound che lì aveva soggiornato per parecchio tempo.

Nel 69 inizia un lavoro con riferimenti all’antropologia e alla paleontologia (ricostruzione degli uomini primitivi). E’ di quest’anno la sua, importante, prima personale alla galleria genovese La Bertesca, spazio che ha visto nascere (un anno prima) il gruppo dell’Arte Povera. Conosce gli artisti di questo movimento con cui ha alcune affinità di materiali ma obiettivi diversi. Inizia infatti una ricerca  su materiali non specifici in arte, usati allo stato puro, senza implicazioni simboliche che individua in grafiti, amido, colla di pesce o di coniglio, acidi, fotocopie, argille.

Nel 71 pubblica per le edizioni Masnata il testo teorico “Evoluzione Involuzione” in cui scandaglia aspetti antropologici.

Nel ’72 si apre ad amicizie Fluxus, di cui condivide l’equazione arte-vita, in particolare con Filliou, Brect, Chiari, Ben, Vostell.

Nel ’73 l’interesse antropologico lo porta a studiare i riti e i miti delle popolazioni primitive  attraverso un viaggio in Marocco e contatti col museo di Wellington per la realizzazione di un lavoro sulla popolazione neozelandese dei Maori

Nel ’74 è presente con una personale al museo Ludwig di Aachen, poi ad Amburgo e a Monaco con la mostra collettiva  del Gruppo Arte Antropologica in “Spurensicherung” (= Arte delle tracce) - teorizzata   da Gunter Metken - insieme agli artisti Christian Boltanski, Roger Welch, Didier Bay, Nancy Kitchel, Jean Le Gac, Anna e Patrick Poirier, Charls Simonds, Nancy Graves, Jean Marie Bertholin, Nikolaus Lang, Paul-Armand Gette, Jochen Gerz.

 Nel 1975 studia la cultura contadina e fonda a Monteghirfo, paese dell’entroterra ligure vicino ai luoghi della sua infanzia, il “Museo di antropologia attiva” basando il suo pensiero teorico sul rovesciamento del “ready made” : infatti, se Duchamp dichiara opera d’arte l’oggetto spostato nel museo, Costa - al contrario - applica lo spostamento del museo attorno all’oggetto dichiarando museo il contesto attorno all’oggetto (oggetto che rimane quindi fermo nel luogo di appartenenza mentre chi si sposta è il museo).Un museo della civiltà contadina, dunque, ma anche museo della memoria quale recupero di una civiltà in estinzione da consegnare a future generazioni.

Nel ’77 si trasferisce a Genova e teorizza l’ “Work in regress”, un lavoro nato in contrapposizione all’ “Work in progress” di James Joice; è anche invitato ad esporre a Documenta 6 di Kassel dove nella sezione “Archeologia degli umani” , curata da Gunter Metken, conclude il ciclo strettamente antropologico col lavoro intitolato “Antropologia riseppellita”.

 Nel 1978 partecipa a Bologna alla mostra “Metafisica del quotidiano”  con opere di matrice alchemica. La scoperta della tradizione ermetica lo indirizza verso lo studio “della filosofia e della magia naturali” con cicli di lavoro dal titolo: “il giallo come materia”, “Il nero come sostanza”, “la calcinazione del bianco”, “Le meduse del tempo”.

L’alchimia, in questo momento si fa oggetto di studio che concluderà nell’86 con la sua partecipazione alla Biennale di Venezia nella sezione curata da Arturo Swarz. Nell’ultimo periodo di vita Claudio Costa spiega l’intero suo percorso artistico attraverso una visione alchemica del mondo essenzializzata nei quattro elementi Terra, Acqua, Aria, Fuoco, corrispondenti alla suddivisione del suo lavoro in 4 cicli. Questo in adesione ad una lettura che esula da pratiche protoscientifiche (ormai desuete), ma che si pone idealmente come simbolo della trasformazione che l’uomo opera in sé durante il cammino della propria vita.

Un cammino che dalla nigredo della Terra arriva alla rubedo, o al fuoco dello spirito.

Nel 1981 è invitato alla mostra “Mithos e Rituals” alla Kunstalle di Zurigo dove ha occasione di conoscere Joseph Beuys che, dopo Duchamp, diventa punto di riferimento non indifferente, specie nel tipo di fede riposta nella natura e nell’uomo, in particolare nella qualità di una comunicazione  rivolta all’altro da sé.

Nell’85 è invitato alla mostra “Museo immaginario dell’Archeologia” nei pressi di Lascaux: la visita alle grotte di questo luogo lo impressiona. D’ora in poi richiami ai graffiti rupestri saranno presenti nei suoi lavori come mezzi per evocare le origini dell’uomo e come riflessione sull’origine dell’arte: egli ritiene che per vivere il presente e proiettarsi nel futuro sia fondamentale conoscere il proprio passato, specie quello remotissimo. Questo per recuperare una conoscenza sapienzale perduta nel tempo.

Nel 1986 conclude il lavoro strettamente alchemico con l’opera intitolata “Diva bottiglia (per un Museo dell’Alchimia)”, esposta alla Biennale di Venezia nella sezione “Arte e Alchimia”.

Intanto trasferisce il suo studio nell’ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto dove inizierà un proficuo rapporto di arte-terapia coi pazienti.

Nei lavori dell’87 si evidenziano, su fondi bianchi, forme totemiche nere (con richiami a mostruosi “insettacci”, maschere tribali, robot) come espressioni di paure tratte dall’ombra dell’inconscio e  trasferite nella luce della coscienza. Vengono usati altri materiali: lamiere, legni anneriti, terre rosse, così da definire un’iconografia hard, priva di compiacimenti, meccanomorfa. Nascono in questo momento lavori in  pseudo- bronzo: oggetti rivestiti di pittura dagli effetti bronzei così da memorizzare nel presente quella mitica età storica.

Espone al Mercato del Sale la personale il “Corpo alchemico primitivo” e alla galleria La Polena, a Genova, la mostra “Bronzea, gli ultimi lavori conosciuti”.

Un granello di sabbia è diventato una pietra: nell’88 fonda nell’ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto, l’Istituto delle Materie e Forme Inconsapevoli (Arte della persona,  ed esercita la professione di arte-terapeuta in collaborazione col centro Diurno di salute mentale.

Questo Istituto si concentra soprattutto sulle problematiche volte allo sviluppo della creatività nell’ambito psichiatrico ed incentiva incontri, relazioni, con personalità della cultura.

Nell’89 codifica una nuova materia: la ruggine, considerata cifra espressiva del suo lavoro. Egli sottolinea la naturalità di questo fungo del ferro perché è mirabilmente capace d’irradiare qualità pittoriche  oscillanti tra l’oro e i rossi bruciati e di evocare fortemente l’elemento fuoco. L’artista, per l’uso, confeziona una sorta di “ruggine prefabbricata” stendendo al sole lamine di ferro bagnate con acqua e sale.

Alla fine dell’89, inizio ’90, prendono avvio i viaggi in Africa: è  invitato da Claudio Spadoni a Malindi, in Kenya, all “African dream Village” (di Giulio Bargellini), con l’opera “L’albero della cuccagna” (tema ricorrente in quattro sue installazioni).

La cultura africana lo induce a un critico confronto con se stesso portandolo inoltre a lavorare nelle dimensioni molto grandi.  Fa uso di materiali del posto (maschere, totem, oggetti naturali e artigianali) che reinventa con libertà interpretativa. Nascono quantità di lavori tuttora inediti.

Nel giugno del ’90 è ancora a Malindi, invitato dall’amico veronese Nino Pezzino che lo soprannomina “Claudio l’africano”, nella cui casa esegue grandi installazioni.

In Italia partecipa inoltre a una serie di mostre intitolate “Arte come Evocazione” (a cura di Miriam Cristaldi, ’90-’92).

E’ presente a Parigi con la personale “Prehistorie ed anthropologie”, alla Galerie 1900-2000 con testi di Flaminio Gualdoni ed Enrico Pedrini.

A Milano , alla galleria Cavellini-Cilena,  espone “L’assedio instancabile del fare” a cura di Flaminio Gualdoni.

Nel luglio del ’91 è di nuovo a Malindi, invitato da Nino Pezzino, dove crea altri lavori africani.

A dicembre è a Kampala, in Uganda. Tornato in Italia, a Verona, presso la galleria La Giarina, espone la mostra “Africa” con testi di Giorgio Cortenova e Miriam Cristaldi.

Nel ’92 fonda nell’ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto il Museo attivo delle Materie e Forme Inconsapevoli (naturale emanazione dell’Istituto omonimo) insieme a Miriam Cristaldi (critico d’arte), Luigi Maccioni (psichiatra) e Antonio Slavich (direttore dell’ospedale). E’ questo un museo-attivo di espressioni artistiche che raccoglie opere di artisti professionisti e pazienti psichiatrici. Costa espone i lavori di Davide Raggio,  un lungodegente psichiatrico considerato genius loci dell’ospedale genovese.

A Torino, alla galleria Tauro Arte, presenta “Lavori africani” con testi di Francesco Poli e Miriam Cristaldi.

I simboli accoppiati del cuore e del cervello entrano da questo momento con frequenza nei suoi lavori come metafora della Maestà dell’uomo che fa uso sapiente di questi organi dosando con oculatezza ragione e sentimento.

E’ invitato a Dakar, in Senegal, presso l’Istituto Italiano di Cultura.

E’ inoltre invitato alla V° Biennale d’Arte di Dakar.

Per la terza ed ultima volta è ancora a Malindi per lavorare, ospite, da Nino Pezzino.

 Nell’ospedale psichiatrico vede la luce il lavoro “Terre emerse” composto di lamiere di ruggine affogate nella cera liquida per simulare isole nell’oceano.

Nel ’93 espone  alla galleria Soave “Terre emerse”, a cura di Marisa Vescovo.

Inizia a Sarzana il ciclo della Virtualità ( trilogia sull’ “Arte come pre-“ a cura di Miriam Cristaldi) ove è presente con l’opera “Il sonno sospeso degli angeli”.

Per la seconda volta è invitato a Dakar dall’Istituto Italiano di Cultura con il compito di insegnare alla scuola d’Arte della città. Qui,  alla Galleria Nazionale di Dakar, allestisce una mostra pubblica con tutti i pezzi creati sul posto.

Promuove, in collaborazione con l’IMFI, nell’ex ospedale psichiatrico di Genova, il convegno”Arte: luoghi, percorsi e voci, arte tra virtualità e oggetto estetico”.

Nel ’94 è a Milano, da Massimo Valsecchi, con la mostra personale intitolata “Claudio Costa”.

Esegue la performance dell’ “Appeso” alla cava di marmo La Piana (Massa Carrara), in occasione dell’ultima operazione sulla trilogia della Virtualità, con commento di Bruno Corà.

In luglio, inscena la sua ultima performance intitolata “Arcimboldo evocato” nella piazza di Sarzana (La Spezia).

Nel ’95 si delinea il progetto “Skull Brain Museum – Africa ‘95” = “Museo del cranio e del cervello” che dichiara opera d’arte l’Africa Settentrionale.

Questo progetto evidenzia che il profilo di un cranio preistorico combacia perfettamente col profilo dell’Africa settentrionale. Nei 34 paesi, compresi in questo profilo geografico, l’artista avrebbe dovuto fondare altrettanti Musei con presenze europee e africane unite in un unico abbraccio universale.

Il 2 luglio scompare improvvisamente.

Miriam Cristaldi

  libro di     

miriam cristaldi:

Cluadio Costa attraverso i quattro elementi

 pubblicato da ediz.Parise(Verona)

 

 

 

 

                                                1986

                               

E' un pomeriggio d' agosto del 1986 quando, per un'intervista a Claudio Costa,  oltrepasso i pesanti cancelli dell'ex ospedale psichiatrico, un'enorme costruzione ottocentesca intonacata d'un rosso stinto con aggettante pronao  fornito di luminose colonne in marmo bianco, elevato su candidi gradini. 

Questa struttura si trova circondata da vasti giardini con magnolie, tigli, alberi d'alto fusto e da frutto, rigogliose palme, siepi di pitosforo, entro cui si snodano lunghi viali, spaziose aiuole,  geometrici prati.

Dal corpo centrale si diramano altre costruzioni, simili ad un Falansterio per severità e grandezza, arricchite da lunghi porticati entro cui s' annidano pesanti ombre  in netto contrasto coi piani-luce che ritagliano  profili architettonici.

Muovendoci in direzione verso sinistra, si accede al padiglione che contiene i saloni della Biblioteca e da qui, proseguendo ancora, si entra in un ampio porticato con giardino, protetto da un alto muro di cinta, dove prende corpo, maestoso e fatiscente,  un altro padiglione, quello "degli agitati", attrezzato già dalla fine dell'800.

Questo edificio, evacuato negli anni '70 per la graduale messa in atto della riforma psichiatrica, nei primi anni '80 diventa sede di gruppi artistici del Centro Culturale del Levante.

Qui, nell'85 nasce "Lo spazio Paradigma" , per la sola durata di un anno. In seguito, dopo una completa ristrutturazione di un'ala viene anche ospitato il Nuovo Centro diurno di Salute Mentale a cui si aggiungono le sedi dell'ALFAP e della "Scopa Meravigliante".

Il primo luogo-studio di Costa (quello definitivo sarà al primo piano coincidente con la sede dell'Istituto Materie e Forme Inconsapevoli, qualche anno dopo) s'innesta sul precedente Spazio Paradigma, al piano terra.

 

Una robusta porta di legno scuro con finestrina incorporata, protetta da inferriate, si apre sul laboratorio dell'artista e un arcano scenario si offre alla vista: falci, badili, setacci, rastrelli, attrezzi contadini sono disseminati ordinatamente e per classificazione, sulla parete di fondo a destra, mentre a terra sono accumulati arbusti, legni, ferri .

Su di un lungo tavolo stanno, in ordine sparso, tubetti di colore, pennelli di tutte le misure, ossa di animali, scatole di bitume , vernici, brandelli di pelliccia, pezzi di cuoio, forbici di varie grandezze, vasetti di colla, vetri accatastati, stracci  e quant'altro ancora.

Le altissime pareti di questo grande ambiente sono ancora nude, dai toni bianco-calcinati con macchie d' umidità mista a polvere .

Ampie e alte finestre, protette da inferriate con rispettivi riquadri in vetro, illuminano l'ambiente in un bagno di luce e le sterpaglie che danno sul giardino antistante rallegrano la vista come se si fosse sperduti in una immaginaria campagna, vicinissima al mare di Quarto.

Appoggiati al muro vi sono alcuni frammenti di legno carbonizzato con intarsi di ferri anneriti così a formare delle strane , terribili maschere apotropaiche e tavolini neri (in lavorazione) allineati sotto le finestre. Il tempo sembra essersi fermato o, meglio ancora, tornato indietro per recuperare la concretezza odorosa d'un perduto mondo contadino commisto a magiche ritualità d'una natura sciamanica.

Queste pareti nude diventano presto solo un ricordo: con la famelicità di un animale onnivoro Claudio occupa le pareti imbiancate abitandole fino all'inverosimile ( una specie di horror vacui) con strani personaggi antropomorfi  e biomorfi, incisi con segni scarnificati - evocanti le incisioni rupestri -  capaci di richiamare la violenza espressionista di un Penck o le taglienti stilizzazioni di un Wilfred Lam, interpretati nelle asciutte cromie dei neri (nigredo) depositati sulla fluttuante mota d' algido "fango" (albedo).

 

Fresco della XLII Biennale di Venezia, invitato da Arturo Schwarz per "Arte e Alchimia" con l'opera "Il museo dell' alchimia", Claudio chiude il capitolo su questa proto-scienza e, pur mantenendo una visione del mondo in tal senso, abbandona le farraginose  e colorate pigmentazioni che hanno caratterizzato questa fase per giungere a una maggior concettualizzazione dell'opera secondo nuovi contesti operativi ed espressivi.

D'altra parte, da qui a breve termine anche sulla scena artistica nazionale si assiste ad un azzeramento cromatico per privilegiare le gamme dei neri, come succede ad esempio a Ragalzi, Nunzio, Mainolfi,  Burri, ecc...

Claudio azzera drasticamente la tavolozza nelle esclusive cromie dei bianchi e dei neri, così come la luce esiste  in virtù dell'inevitabile ombra.  Attraverso quest' altra formulazione linguistica egli compie una sorta di cammino sotterraneo, nelle viscere della terra, nelle ombre dell'inconscio e nelle paure stratificate dal tempo, in una specie di purificazione e di catarsi liberatoria che coincide con l'impatto esistenziale provocato dalla venuta dell' artista ( ben presto anche nella veste di arte-terapeuta) nello spazio 'altro' dell' ex ospedale psichiatrico.

Una presenza durata sino alla fine dei suoi giorni.

"Un artista deve usufruire della scena in cui vive perché il suo lavoro venga confrontato, virtualmente conosciuto e ne riceva una ragione d'essere; nel caso dell'arte il contesto è imprescindibile dalla sua fruibilità", così scrive l'artista parlando dei nuovi spazi abitativi.

 Riguardo questa nuova esperienza mi ha detto:" Da quando sono arrivato qui ho cambiato il mio approccio con lo spazio: in questi grandiosi ambienti luminosi sento che posso guardarmi dentro senza timore, lasciando "venire fuori" le mie antiche paure e allora mi getto su tutto quello che trovo trasformandolo in opera esorcizzante. Un'opera che invade le pareti, come un animale che cresce nutrendosi di spazio...".

Nascono in questo periodo i lavori di grandi dimensioni che raggiungeranno il culmine con le installazioni africane, realizzate attraverso personali contatti con l'amata "terra delle origini".

 

Ecco, l'ex o. p. diventa per Claudio un contesto ineliminabile e imprescindibile dal suo lavoro: d'ora in avanti si dovrà assolutamente tenere conto di questi enormi, caratteristici spazi , "chiusi" da poderose mura di cinta ma "aperti" alle nuove istanze delle riforme, alla comunicazione interpersonale, alla stretta collaborazione  tra psichiatri, psicologi, psicanalisti, artisti, critici, degenti, operatori culturali e tessuto urbano esterno, mediante l'organizzazione attiva di convegni, mostre, fondazioni di istituti, musei e atelier di "tecniche espressive" e, non ultima,   l' apertura dei giardini al pubblico.

Questo, ripeteva l'artista "...nel tentativo di incidere sempre più profondamente nel territorio della follia e di sviluppare ulteriormente le forme di comunicazione proprie dell'arte risvegliando la creatività in chi si è assopita".

 

In "appunti di percorso", nell'89, in un dialogo tra noi due, Claudio sottolinea : " ... un cambiamento di vita porta senza dubbio a una nuova dimensione nella ricerca artistica... ora lavoro in un luogo molto particolare, l'ospedale psichiatrico.... questi spazi enormi sono stati predisposti per contenere, arginare e nascondere il magma fluente della follia... oggi l'urgenza è quella di ripercorrere questi spazi come evento transitivo, pensando e parlando di salute mentale come concetto di rifiuto della vecchia condizione manicomiale... personalmente avverto questi antichi luoghi come corpo vivente continuo, organismo attivo, con le sue luci aperte e le sue ombre profonde, grande animale che si è fermato per riorganizzarsi e muoversi in una direzione diametralmente opposta e che, in questo momento, sta compiendo una ricostruzione dell'anima e del corpo a guisa di un respiro lungo... questo spazio è corpo alchemico primitivo, casa lesa/illesa della psiche...".

 

In quell'assolato agosto Claudio sta girando un film a soggetto, realizzato dal cineamatore regista Claudio Martinengo (fraterno amico) e Paolo Martinelli (amico, tecnico e videomaker), tratto da un romanzo radiofonico intitolato "La garrula vita".

Egli interpreta la parte d' un folle che è scappato di casa per sfuggire alle ossessive invadenze della moglie e della figlia e si è rifugiato in ospedale psichiatrico dove si affeziona a un altro folle, suo segretario personale. Insieme reciteranno una storia che si concluderà nel dramma.

Nel film, Claudio si rappresenta come "scultura vivente" e indossa un caratteristico cappello di paglia in stile tailandese, a larghe tese, acconciato con misteriosi oggetti intrecciati a foglie. Ciò richiama stranamente l'ultima performance interpretata a Sarzana con l" Arcimboldo evocato" in cui, anche qui, egli mette in scena se stesso come statua vivente, addobbata con foglie di palma miste a fango...

 

Forse è un gesto simbolico come a voler suggerire l'equazione arte=vita. In questo senso si è sempre sentito vicino alla filosofia del movimento Fluxus e spesso mi ha detto:  "L'arte è imprescindibile dalla vita, tutto quello che faccio si nutre di pensiero artistico; persino quando mangio, quando dormo, quando m'intrattengo coi degenti, quando attraverso questi ambienti così specifici, tutto si svolge nell' incredibile esperienza creativa  e tutto, prima o poi , filtrato dalla mente, finisce nel mio lavoro. A questo proposito non sarò mai sufficientemente grato ad Antonio Slavich che mi ha permesso di poter usufruire di queste strutture e che mi ha accolto, da subito, con affetto."

Antonio Slavich, fiumano di nascita (allora direttore della Salute Mentale della 16° USL), è all'apparenza una persona burbera, dall'aspetto severo. Con voce tonante egli s'aggira per i padiglioni affinché nessuna manchevolezza sfugga al suo controllo, ma quando s'attarda a parlare con qualche paziente del suo problema personale allora si trasforma: la sua espressione si scioglie in un dolcissimo sorriso e una luce infantile gli illumina il viso.

Politicamente impegnato, seguace di Basaglia, sensibile alla democratizzazione del sistema psichiatrico, Antonio Slavich è sempre stato fermamente convinto che l'ambiente creativo degli artisti potesse giovare e arricchire , in reciproco scambio, la personalità dei pazienti psichiatrici e in tutti i modi ne ha favorito la presenza all'interno dell'istituzione manicomiale, specificando le ragioni "...per comprendere il nodo ancora irrisolto, se il fare arte  insieme, fra artisti, folli e psicoperatori , risponda ad un bisogno individuale di espressività catartica e autoliberatoria o sia anche riconducibile al canone di una tecnica arteterapeutica unidirezionale, ma in certa misura "efficace"; spiegherà più tardi, nel '93, con la presentazione degli atti del convegno tenuto a Quarto "Arte: luoghi; percorsi e voci".

Riferendosi a lui , in un' occasione, Claudio mi ha confessato:" Per me  Antonio è come un padre".

Nutre per lui affetto anche se qualche volta hanno avuto divergenze di vedute, ma entrambi accomunati dalla passione per tutto ciò che ha a cuore la salute mentale, sia per ciò che riguarda le tecniche riabilitative che gli aspetti della creatività.

Grazie a lui, Claudio ed io abbiamo potuto lavorare a Quarto con tranquillità , spronandoci a intervenire, tutti insieme, nelle "attività ricostruttive della personalità" attraverso fondazioni, mostre, convegni, feste, ecc.

 

Tra un intervallo e l'altro del lavoro filmico di questa estate, Claudio  si muove  all'interno dell'o. p. con circospezione, attento a recuperare materiali di scarto da trasformare in opera poiché, come recita il titolo di una sua mostra, "i veri oggetti producono esseri mirabili..." (Piero Cavellini '83).

  I padiglioni completamente abbandonati, diventano in quest'ottica fertile "terreno da caccia".

Grande è la sua  felicità quando, dopo aver girovagato nel padiglione a fianco ( evacuato da anni e perciò abitato da topi, da scarafaggi e persino da un porcospino) tra letti arrugginiti, mobili rovesciati, libri strappati o materassi scuciti, riesce a recuperare oggetti per  fantasmatici riciclaggi.

La sua gioia doveva essere forte quando trovò sei tavoli da disegno arrugginiti con cui ha composto l'installazione "Musei senza oggetti", esposta a Monaco nella mostra "Kraftzellen ( Energia delle cellule) alla Galerie der Kunstler ('87) e,  ancora, a Milano nella mostra "Il corpo alchemico primitivo", al Mercato del Sale ('87), infine a Verona con la personale "Dalle memorie del mondo" alla galleria La Giarina ('88).

Questi tavoli allungati, verniciati di nero,  possono proporsi idealmente come micro-musei o come pseudo-laboratori scientifici  con piani d'appoggio  simili a "vetrini" da microscopio su cui vengono effettuate analisi di laboratorio.

Su di essi l'artista ha deposto, come "reliquie", corpi metamorfizzati autosignificanti, composti con materiali eterogenei come radici, corna di cervo, forconi, bottiglie,  scale, alambicchi, bottiglie, fotografie, ossa, maschere.

 

 Nello stesso momento personaggi luciferini, ricchi di pungente magia, cominciano ad affollare le pareti dell' antro-fucina ( che di lì a poco si trasformerà in atelier d'arte-terapia e negli ultimi anni si proporrà come laboratorio di Davide Raggio).

Si concretizzano così maschere carbonizzate, "insettacci" (così chiamati da Claudio), forniti di affilati aculei e denti a sega , profilati da taglienti cocci in vetro.

 Ampolle e dive-bottiglie sottolineano la dinamica dei corpi.

Qui l'innesto della cultura alchemica coi simboli della "diva bottiglia" (metafora dell'androgino poiché rappresenta il maschile quando versa, e il femminile quando contiene) e quelli di "ampolle per trasformazioni", si fa citazione di un nuovo codice espressivo, concettualmente duro e di forte impatto visivo, con richiami a violenze espressioniste.

Claudio, per il grande quadro intitolato "Macchina alchemica" (m. 2 x 2) raccoglie con "sapiente accattonaggio" svariati materiali,  sia rovistando nei rifiuti accatastati in padiglioni sgombri che nelle discariche accumulate nelle periferie del grande parco dell'ex o. p. racimolando tombini di ferro, fogliame, legni schiodati, vetri rotti, pale, canne, tronchi di ramo, parti di motore, pelli, ecc.

 

Chinato a terra, con martello e vinavil (barattolo da chili) e sigaretta in bocca (fuma esclusivamente le "Colombo" che allo spaccio dell'ex o. p. tengono solo per lui) Claudio inizia un corpo a corpo con l'opera: inchioda forme lignee, sconquassa tronchi , infrange vetri , spezza canne, frantuma mattoni, sfrangia pelli, stratifica materiali eterocliti, controlla la distribuzione delle masse, sempre attento a non perdere l'effetto d' insieme...

Intanto, lentamente, emergono   mostruose "zampe d' insetto" fornito di taglienti aculei.

Chinata anch'io (la mia presenza si fa quotidiana ), porgo materiali fantasticando sulle possibili forme che materializzeranno l'inquietante totem.

Alla fine, plasmata con mani nude la calcinata mota del fondo, l' artista stende , con gesti carezzevoli, una vernice nerastra che agglutina sotto un' unica pelle, i materiali componenti l'invadente bestiario.

Ultimi e violenti strattoni di pennello, imbevuto di pittura, incidono nell'opera staffilate di vernice che si stende in spruzzi e bave nere.

All'elevazione dell'opera gli ultimi ritocchi.

 

Mentre rimette scrupolosamente in ordine, chiudendo i tubetti di colore e lavando con alcool le macchie sul pavimento di graniglia (l'ordine e la pulizia sono le costanti del suo carattere), Claudio intona scherzosamente, con voce abbassata di tono, l'onomatopeico suono "... namiorenghecchioo..." un mantra che Paolo, tecnico della "Garrula vita" e seguace delle filosofie orientali, recita ossessivamente ogni pomeriggio (nello spazio di fronte al nostro) per sei mesi filati.

 

Ha preso parte di questo dramma radiofonico anche Davide Raggio, un paziente psichiatrico divenuto in seguito grande amico di Claudio e legittimato da tutti come "genius loci" di Quarto.

A quel tempo Davide custodisce il suo lavoro in uno stanzino che è diventato covo di topi e ha perfino preso fuoco. Slavich e Claudio gli forniscono un nuovo spazio, aperto sul grande corridoio cui ha accesso anche il nostro laboratorio.

 Inizia da questo momento una fattiva collaborazione artistica, vincolata da strettissima amicizia, tra Claudio e Davide che crescerà continuamente, fino alla fine.

Davide ha due grandi occhi azzurri, un grosso naso sporgente e un corpo magro, segaligno, perennemente chinato in avanti, con le mani visibilmente scosse da un tremore continuo.

Anche lui, come Claudio, è "facitore instancabile di opere".

Pian piano riempie il suo nuovo vano-laboratorio con dipinti, sculture insieme ad oggetti, bastoni, canne, arbusti, pietre, fogliame, cartoni, carte,  noccioli di frutto, pigne, rami di datteri, raccolti nei giardini dell'ex o. p., tanto da rendere impraticabile e inestricabile l'ambiente.

Un ambiente simile ad una capanna africana, stracolmo di elementi naturali essiccati, paragonabile a una selvaggia wunderkammer.

Ogni tanto si vede spuntare, tra questo intrico di fogliame e sculture, il suo viso sornione mentre le mani, bruciacchiate di sigaretta, "pescano" nel caos di quel luogo per estrarre materiali da trasformare in "creature vive".

Davide ha spesso occasione di dire: "Le mie opere sono creature vive e do loro la vita come un padre la dona ai propri figli.

Quando scorgo una radice d'albero, un ramo o una pietra, io ci vedo già gli occhi, la bocca, il naso, devo solo farli venire fuori, metterli in mostra. Addirittura molti dei miei personaggi li faccio appoggiati a fili di ferro che, toccandoli, oscillano, facendoli sembrare "vivi" nell'atto di muoversi. Anzi,  quando passo loro vicino, sembra che essi vogliano essere "accarezzati", proprio come i figli vogliono essere accarezzati dal loro padre e così non c'è volta che io passi dinanzi a loro senza che io li "culli" oscillando il filo di ferro che li sostiene.

Inesorabilmente, quando giunge davanti a loro, si prodiga nel farli "dondolare", proprio come fili d'erba mossi dal vento.

Inoltre Davide infila collane con  nocciole e pigne, intreccia cestini, crea composizioni di conchiglie, costruisce "omini" con noccioli di ciliegio e "furie" con radici d'albero e, gradatamente, comincia ad esporre nel vasto corridoio, ricoprendo le pareti in breve tempo.

 

Scrive di lui Claudio Costa: "Davide è certamente di legno. Un legno antico, lavorato dal gelo, dal sudore e da un tempo che si perde lontano, nei meandri della memoria e dei ricordi. Quel legno che può sembrare ferro ossidato o biscotto secco. Quel legno dell'albero senza nome, dai grossi piedi e dai rami nodosi, che porta incisi sulla pelle i segni di una vita sottoesposta in penombra, fra poche luci di anfratti e di risvolti, sospesa appena sopra gli angusti confini del mondo di nessuno...

E' col legno delle sue mani (anche quando usa i materiali più eterogenei - sassi, colori, conchiglie - le sue mani non cessano mai di essere splendido legno industrioso) che Davide ha steso la funambolica costruzione del suo possibile rapporto con l'astrusa realtà dell'essere. E', la sua, un'intatta dichiarazione di poetica per un amore ormai misconosciuto dai più: quello intrecciato a filo doppio con l'oggetto manufatto che diventa parte del suo io e, attraverso di lui, vive e resta vivo fra i viventi della terra".

E ancora aggiunge: "L'oggetto di Davide s'identifica con l'idea di uno stato dell'essere o delle cose: con le ghirlande e le collane, coi burattini e le maschere di corteccia, con gli elfi dei campi e le furie dei boschi, coi guerrieri di ghiande e i cestini intrecciati di castagne... Eppure quel tempo doloroso della sua difficile vita, trascorso quasi interamente sotto il segno del fare, del rifare e del proseguire, lo ha arenato dentro il cerchio magico dell'arte, ha fecondato l'humus del suo istinto facendogli acquistare dimestichezza con l'uso del processo primario, addolcendo le turbolenze dell'inconscio e favorendo in massima misura il passaggio dall'atto all'essere....

Nelle molte ore trascorse insieme a parlare dei suoi e dei miei lavori, ho udito spesso Davide affermare con convinzione di essere non l'artefice delle sue opere, ma un semplice intermediario tra le forme già esistenti, che tutti potrebbero percepire, e una non meglio identificata "natura dei saperi" (tratto dal catalogo della mostra "Raggio", al centro d'arte La Maddalena , a Genova nel '93).

 

A Sella di Borgo Valsugana, Claudio esegue la prima installazione dell"Albero della cuccagna".

 In questo caso gli alberi sono quattro e corrispondono metaforicamente alle ruote di un carro agricolo.

Avviene allora una trasposizione mentale: gli "alberi" proiettati verso il cielo creano una spinta ascensionale nella categoria dello spirito.

In questo senso l"agricoltura terrestre" si trasforma in "agricoltura celeste" diventando, per analogia, la "Costellazione del grande carro".

 

L'"albero della cuccagna" rappresenta un tema particolarmente caro a Claudio, affrontandolo più volte nel suo lavoro.

Infatti le installazioni riferite a questo tema sono quattro: la prima è questa a Sella di Borgo Valsugana ('86); la seconda sempre a Sella ('88); la terza nell'ex o.p. di Genova- Quarto ('88); l'ultima a Malindi in Kenia ('90).

 

L'albero della cuccagna simboleggia l'ascesi verso il cielo, in antitesi con l'ascesi mistica espressa dal simbolo della croce.

Il termine "cuccagna" deriva dal francese "cocaigne" che a sua volta deriva dall'olandese "kokenye" (una cicca fatta di zucchero cotto e di sciroppo) che sta a indicare un premio di natura alimentare meritato dopo grandi fatiche.

Questo lavoro si presenta come recupero, e a salvaguardia, di una tradizione campestre ormai in disuso:  l'albero della cuccagna è un albero altissimo, a cui sono stati tagliati i rami e alla cui sommità stanno appese leccornie, salumi e ogni "ben di dio" da offrire al vincitore che riuscirà a salire fino alla sua cima. Per rendere più difficile l'impresa si usa cospargere la superficie del tronco con grassi di animali che rendono scivolosa e più ardua la "salita".

Gli "alberi " di Claudio consistono in pali piantati nella terra ; in cima è fissata una ruota da carro alla quale sono appesi oggetti contadini trasformati, mentre - per quello africano - oggetti originari di quella terra, in una sorta di  rituale "elevazione" verso metafisiche altezze.

Per l'albero della cuccagna di Quarto, Claudio ha realizzato solamente il "personaggio" che vi si appoggia, ripromettendosi, in futuro, di completare l'installazione aggiungendovi un lungo palo fornito di ruota alla quale si sarebbero dovuti appendere oggetti contadini.

 Il "personaggio" è costituto da stanghe di un carro da buoi (prese nella campagna ligure a Gavi) alla cui cima si usa fissare il giogo.

Nell'opera i pali costituiscono i limiti facciali di una maschera ricorrente, per fattezze e stile, nei lavori di questo periodo a Quarto.

L'albero della cuccagna africano è particolarmente affascinante: maschere locali, bucrani, strumenti musicali locali e altro ancora, sormontati dal caratteristico "Makuti", (tetto  keniota fatto di paglia), nella mobile condizione di oggetti sospesi,  paiono intrecciare danze tribali, sospinti da infuocati venti di laggiù...

 

 

 

 

                                                              1987   

Le escursioni nella campagna ligure si fanno sempre più frequenti: si va a visitare i paesini di Cicagna, Moconesi, Rossiglione, Gavi e altri fino a quelli più lontani, nel chiavarese (Monleone), cari ai ricordi di Claudio

Lo scopo è quello di raccogliere materiale per il lavoro artistico e in questi luoghi è facile trovare oggetti contadini in disuso, invecchiati dal tempo e corrosi dalla ruggine.

Il "bottino" è sempre più che soddisfacente cosicché le "missioni lampo" si fanno ravvicinate nel tempo.

Abbiamo percorso paesaggi ricoperti di neve o fioriti di viole, margherite e mimose ; avvolti in fosche nebbie o rinvigoriti da smaglianti alberi, colmi di ciliege e fichi.

Per l'occasione ci equipaggiamo quasi sempre con gli stessi indumenti, giacca a vento e jeans.

Ci muoviamo con circospezione: raccogliamo i vecchi utensili trovati e li carichiamo in macchina senza indugi.

Incominciamo a prestare attenzione anche a splendide lamiere arrugginite, erose dagli agenti atmosferici e abbandonate nei cortili, la cui superficie metallica si è trasformata in curioso "pizzo" traforato.

Vengono in tal modo recuperati diversi oggetti, tutti riutilizzati nel lavoro: incudine, pentole sbrecciate, mestoli forati, catene di vacca, caldaie di ghisa, pale di legno, grattuge, lavatoio in legno marcito, forbici per tagliare la lana di pecora, teschi di coniglio, pali per carro da buoi, animali essiccati...

Claudio ritrova l' ambiente amato da piccolo e riconosce il nome degli attrezzi ; ricorda quando ha abitato a Monleone ( paesino nell'entroterra di Chiavari in Fontanabuona) e la sera quando i contadini raccontano, attorno al desco fumante, orribili storie di paura.

Monleone è stato il luogo magico delle sue prime esperienze di vita e di vagabondaggio tra i sogni e la realtà della terra e della natura.

A Monleone - qui Claudio ha soggiornato fino all'età di 5 anni, subito dopo il rientro in Italia dall'Albania - c'è un vecchio pozzo pieno d' argilla umida; Claudio-bambino raccoglie a piene mani questo tesoro della terra.

Con l'argilla preziosa modella animali conosciuti nel sogno, forme antiche e preistoriche, docili serpenti e virtuosi cavalli, raccolti da un'immaginazione fertile e sovrabbondante.

Le future mappe craniche e i cuori/cervelli prendono avvio da qui...

Poi lascia essiccare le forme al sole per potervi giocare.

E' quella una realtà diurna, dove i campi dorati delle ginestre (ricorderà in futuro la luce di questo fiore) gli profetizzano il mondo arcano della sua professione : "Io voglio illuminare il mondo come la luce di questi fiori illumina la terra..." dice un mattino fissando estasiato quel mare di petali gialli. L'artisticità diverrà il suo mezzo per illuminare il mondo (da una testimonianza raccolta dalla sorella Maiba Costa).

L'amore per la civiltà contadina, da conoscere e da salvaguardare come propria radice ritrovata in questi luoghi e spazi d'aria, diventa per lui segno di una trasformazione: l'"agricoltura terrestre" (lavoro dei contadini) si muta in "agricoltura celeste" (colui che lavora all'opera "del cielo", l'artista).

Agricoltura celeste come alfabeto di un linguaggio fissato dentro la struttura medesima delle cose, che rimane modello mitico e magico della natura umana e che, anzi, è parte integrante dell'uomo, inteso nella sua interezza, ma da intendere anche come simbologia dell'Opera.

La scissione tra ragione e sentimento, tra scienza e realtà interiore non può essere colta e misurata con le bilance della misura quotidiana.

Claudio cerca di superarla, cerca costantemente la cerniera che può chiudere questa spaccatura, fondere in qualche modo le due parti ( negli anni '90 le chiamerà "cuore" e "cervello") perché possa affermarsi la "totalità della persona".

Gli oggetti contadini diventano segno di questa fusione, segno del ricongiungimento tra spirito antico e materialità della vita.

Quell'argilla dei giochi infantili è la stessa argilla conosciuta dalle pratiche mediche contadine per le sue virtù terapeutiche e che verrà eletta nel suo lavoro adulto a materiale privilegiato e ricorrente, a corteccia tellurica delle sue creazioni, a pelle e materiale delle sue creature per le sue "ricostruzioni del mondo".

Quante volte mi ha detto: "Il mio essere tende continuamente a spostarsi indietro, in un tempo remoto, anzi remotissimo, per cogliere le istanze del presente. Le ragioni del presente stanno nelle origini dell'uomo, che sono identiche per tutti. Esse sono il DNA che ci accomuna e che contengono quella conoscenza sapienzale che abbiamo perso. E questa è ciò che vado cercando perché costituisce il "cemento" necessario per le mie "ricostruzioni del mondo".

I materiali scelti dall'artista per la realizzazione del suo lavoro non corrispondono a canoni estetici, anzi, pare proprio che vadano contro tali principi.

Mi ha detto in diverse occasioni : "Il "brutto" estetico del mio lavoro sarà il "bello", la forza crescente del mio lavoro. Cerco gli oggetti diventati scarti, rifiuti, perché sono impregnati di storia dell'uomo e perché - in modo naturale, con l'usura del tempo - rappresentano il frutto di una prima "trasformazione".

Su questa trasformazione naturale io compio una seconda trasformazione di carattere linguistico: fornisco loro funzioni nuove e significati altri così che l'oggetto possa diventare segno significante carico di senso". E aggiunge ancora : "Voglio consegnare all'oggetto una proprietà rigenerativa così come dalla morte nasce la vita e dalla vita la morte, un po' come il serpente che muta la pelle e rinasce , con pelle nuova, a nuova vita".

Difatti l'immagine simbolica del serpente appare spesso nel lavoro di Claudio.

Se in una prima fase del suo operare (anni '70) egli non potenzia le capacità simboliche dell'oggetto precisando che: "...da un'indagine antropologica passo all'espressione estetica, cioè costruisco oggetti, non li sento più costruiti nelle categorie di spazio-tempo o causalità come appaiono i miti o i simboli studiati, ma li riferisco solo alla mia coscienza..."(I978, catalogo mostra Alessandria).

In seguito amplificherà l'uso del simbolo come espressione inscindibile dal suo fare.

Mi suggerisce: "...Con l'epoca postmoderna abbiamo perso "il senso" delle cose; sta a noi, oggi, recuperarne il senso intrinseco attraverso un linguaggio capace di collocarsi nelle "piccole narrazioni", nelle 'invenzioni immaginative", nelle "paralogie dei paradossi" o nelle "risonanze meta-logiche" delle metafore...". E ancora: " la specificità dei linguaggi post-moderni, è poco interessata agli strati profondi dell'essere, ne esplora la superficie solo come vuota esibizione di un reale simulato, affidando il sapere alle intelligenze artificiali... l'arte è il respiro della vita... oggi molti artisti non riescono più a respirare... occorre ritrovare il senso che è stato delegittimato..."(Miriam Cristaldi, trilogia della Virtualità, ed. Parise, Verona).

 

Mi spiega ancora "...Il mio lavoro viene generalmente letto come opaco, pesante poiché giocato sovente sui toni delle ocre, dei bianchi e dei neri: al contrario di una lettura apparente, il mio lavoro vorrebbe fornire una lettura trasparente, illuminata , in cui l'oggetto viene percepito grazie alla sua ombra... io cerco quell'ombra che sta nel significato retrostante delle cose...".

 

A Monaco, Claudio presenta i nuovi lavori (nati nell'ex o. p.) con l'esposizione "Kraftzellen" ( Energia delle Cellule), alla Galerie der Kunstler : sulle grandi superfici allineate a muro, calcinate di mota bianca, si stampano incisive, violente e stilizzate, complesse forme totemiche, fuori da schemi precostituiti. Come gigantesche icone bizantine, frontali maschere-insetto paiono sfilare una minacciosa, antropomorfa parata.

Angoscianti paure si proiettano sul corpo dell'opera per andare a comporre ossessivi ritmi tribali.

 

Più tardi, in marzo, Claudio espone a Milano con la mostra "Il corpo alchemico primitivo" al "Mercato del Sale", un' associazione culturale gestita dall'amico artista Ugo Carrega.

Un' imponente carrellata di lavori in bianco e nero, a parete, uniti all'installazione "Museo senza oggetti" (già esposta a Monaco con "Kraftzellen" e alla mostra "Dalle memorie del mondo" alla galleria La Giarina di Verona l'anno successivo), costituisce il "corpus" capace di generare violenti impatti visivi e al contempo di far conoscere i nuovi orientamenti linguistici in atto.

Dice Claudio nella conversazione con Flaminio Gualdoni, insieme con lo stesso Carrega (testo pubblicato su manifesto del "Corpo Alchemico Primitivo" Milano '97), riferendosi a questa installazione : "E' un'idea alla quale ho lavorato fin dall' 85. Ne ho esposto una prima versione all'interno dell'ex o. p. di Genova-Quarto . Ora lavoro là e mi sembra che l' ospedale stesso, miniera inestinguibile di possibilità, sia un Museo dove non ci siano oggetti veri e propri, ma uno spazio affollato di idee represse e ordinate a barriera contro il caos del mondo. "Museo senza oggetti" risulta quindi un lavoro di accumulo sul mio spazio/tempo/luogo e vorrei in seguito tentarne una terza versione per far meglio capire le varie stratificazioni che vanno a saldarsi più con l'idea del Museo che con gli oggetti presentati.

Un'opera quindi generata dal nuovo rapporto col contesto ospedaliero in cui la malattia non crea sensazioni d'"ingombro" , ma semmai di "vuoto", di "mancanza" e quindi da "proteggere" e da codificare con la specifica classificazione del "Museo". Alcuni di questi lavori vengono esposti anche a Villa Borzino, a Busalla (Genova), su invito dell'amico Giovanni Bruno, con la personale "Dalla foresta pietrificata" e a Kassel col Group Art Works, su invito di El Hattar.

 

Ancora a Kassel, col gruppo "Kraftzellen" , Claudio, insieme a Jakob De Chirico, Peter Strauss e Igor Sacharov realizza la performance "Generator K 18".

Qui hanno scavato una grande fossa entro cui hanno piantato quattro tralicci della corrente elettrica .

La cima di ogni traliccio è fornito di lamina d' oro a guisa di antenna rice-trasmittente, come a voler captare possibili energie cosmiche sciolte nell'etere.

Nella fossa, invece, ognuno ha seppellito oggetti d'affezione, quasi a nascondere e conservare un prezioso tesoro personale, proprio come usavano fare le popolazioni primitive.

Claudio, in particolare, ha sotterrato ossa e attrezzi contadini.

 

Sempre col gruppo "Kraftzellen", insieme ad Antonino Bove, Jakob De Chirico, Igor Sacharov e Peter Strauss, Claudio partecipa a un seminario di lavoro promosso a Pistoia e a Firenze.

A Pistoia, a Villa Puccino nella natura il gruppo raccoglie materiale che servirà per realizzare un'edizione unica, in 9 cartoni da 70xI00, composta da collage di frammenti naturalistici, da testimonianze scritte e da fotografie del luogo, esposti alla Limonaia di Villa Romana a Firenze, nella sede dell'Istituto Tedesco di Cultura a cura di Alessandro Vezzosi.

 

Partecipa, inoltre, alla collettiva "Scultori genovesi a ingegneria" a Villa Giustiniani, Genova, invitato da Germano Beringheli.

"...I suoi lavori, condotti in "regressione", puntano ad una sorta di coscienza della trasformazione per la ricerca dell ' identità e la sua successiva antropologia fantastica porta con sé una sorta di antropomorfismo da reinterpretare come risultato dell' immaginario...". scrive Germano Beringheli riguardo l'esposizione "Claudio Costa" (Castello di Rapallo, '83)

 

Già dal lontano '69 Claudio inizia un' operazione di stacco dalla tradizione con l'uso di materiali cromaticamente autosignificanti, intesi allo stato puro, con la funzione di antipittura anti-estetica.

Materiali che non vogliono rappresentare lo specifico dell'arte ma che si propongono essi stessi come eventi espressivi autonomi e autosignificanti.

Nascono in quegli anni le "grafiti ", tele ricoperte da segni di grafite; gli "amidi ", tele bianche, dure e increspate dall'azione dell'amido; le "rankxerox ", fotocopie in cui l'immagine seriale scompare con l'uso prolungato; le "colle " di pesce e di coniglio, tele ricoperte di colla marrone indurita; le "argille ", terra umida spalmata sugli oggetti; le "tele acide ", piccoli riquadri di tela uniti da graffette metalliche su cui agisce l'azione di acidi corrosivi.

In seguito arricchisce l'uso dei materiali con gli utensili contadini, come segno e come recupero di una civiltà in estinzione.

Più avanti ancora allargherà la conoscenza con i simboli alchemici mentre, con l'approdo a Quarto, tale uso si amplifica al massimo, specie quando affronta i lunghi viaggi per l' Africa.

 

Ora, il suo campionario si arricchisce di una nuova cifra espressiva : lo "pseudo-bronzo ".

Si tratta di una leggera pasta composta col solfato di rame misto a colore acrilico che si stende sulla superficie degli oggetti con l' uso di un pennello, proprio come ci si comporta con le patine per i metalli.

L'idea è nata per caso, ma riconosciuta da Claudio come un passaggio significativo, tanto che allestisce una mostra alla galleria La Polena intitolata "Bronzea: gli ultimi lavori conosciuti" ('87) a Genova, e un "Museo Bronzeo"('92) a Porto Compiani di Cellatica accanto al "Museo etnologico di civiltà contadina"('92) contenente al suo interno elementi rivestiti di pseudo-bronzo.

L'idea nasce durante la lavorazione di un vecchio lavatoio in legno che Claudio cerca di trasformare in qualcos'altro, di aggiungere un senso al senso stesso dell'arnese.

Questa forma squadrata, rettangolare, viene trasformata in "Maschera" con la semplice aggiunta di un palo centrale ( il naso) e due piccoli bastoni (gli occhi).

Il problema nasce con il colore perché il legno in alcune zone è marcito e continua a spurgare aloni nerastri che macchiano le ocre.

Si pensa allora ad un blu cobalto, ma in questo caso la maschera assumerebbe un aspetto troppo artificiale e asettico, fuorviante dagli intenti del suo lavoro.

Infatti il lavatoio, così squadrato e duro, deve assumere una fisicità più naturale che lo ammorbidisca e allora... dal blu cobalto all' azzurrino del verde-rame... il passo è breve.

"Certo" mi spiega Claudio, " trasformare gli oggetti in pseudo bronzo significa per me spostarmi verso una ricerca che, come tutto il mio lavoro, mi conduce alle origini, in questo caso alle origini della storia, all'età del bronzo. Un'epoca , questa, che richiama la preistoria dell'uomo; là s'incominciano a creare le prime città, a formarsi le prime dinastie, a esplorare le prime scritture... io lavoro sempre sull'origine...".

E per rendere meglio l'effetto-bronzo, pennelliamo gli oggetti rivestendoli di sottile pellicola grumosa mista a calce, colore acrilico e verde-rame.

Ad aiutarci in questa delicata e paziente operazione è presente l'amico Mauro Marcenaro, un artista che Claudio ha invitato a lavorare a Quarto additandogli i valori dell'arte.

Particolarmente efficace risulta l'installazione "Bronzea: gli ultimi lavori conosciuti" realizzata per Edoardo Manzoni alla galleria genovese La Polena.

Un largo e vecchio tavolo fa da base ad un grosso palo che si erge ritto e perpendicolare al piano, quale possibile antenna e, meglio ancora, quale simbolica espressione dell'"albero" come ideale congiunzione tra terra e cielo....

Sempre sul piano-tavola sono disposti in una sorta di camminamento alambicchi, maschere, legni ricurvi, in stretta correlazione col pavimento mediante un lungo collo ligneo che, partendo dal piano superiore, si allunga fino a intingere la punta nella cavità d' un crogiolo (posato a terra) sottolineando in tal modo l'ipotetico abbraccio tra l'alto e il basso, tra spirito e materia..

Nasce un intenso gioco pittorico tra la raffinatissima patina bronzea azzurro-verdolina e la scura tavolaccia in legno grezzo su cui è piantato l'alto palo, anch'esso sfibrato dal tempo.

 

 

 

                              1988

Un granello di sabbia è diventato una pietra.

Da un piccolo progetto tra pochi amici, sorretto dai suggerimenti di Antonio Slavich, si giunge alla fondazione dell'"Istituto per le Materie e Forme Inconsapevoli" con Claudio Costa, Antonio Slavich, Sergio Guerrieri, Fabio Gavazzi, Giorgio Odone.

L'istituto nasce come organizzazione di volontariato convenzionata con l'U.S.L. e si propone come fucina di idee che sostiene anche la loro realizzazione all'interno dell' ex o. p.

L'artista si fa promotore di attività creative e di tecniche espressive, crea occasioni d'incontro invitando nell'ex o. p. amici artisti (Antonino Bove, Claudio Olivieri, Giuseppe Spagnulo), critici (Giampiero Vincenzo, Andrea Del Guercio ) psicanalisti ( Giovanni Sias), psicologi ( Giorgio Odone), filosofi (Raffaele Perrotta), arte-terapisti (Milli Bellon), danza-terapisti ( Cristina Garrone, Claudia Monti ), operatori culturali (Paolo Minetti) insieme ai medici, e psicologi dell'ospedale come Lia Oelker, nell'intento di far convivere il linguaggio simbolico dell'arte con quello analitico-interpretativo delle tecniche espressive

Il nome dell'Istituto nasce per differenziare questa fondazione dall'Istituto dell'Incosciente, fondato da una psichiatra di Rio De Janeiro. Claudio in verità vuole diversificarsi dagli intendimenti di quell' istituzione che basa il suo operare sull'inconscio junghiano, preferendo parlare di "inconsapevole" riferendosi a quella parte della persona che ancora non è conosciuta razionalmente ma che, attraverso l'esercizio catartico e liberatorio della creatività, può venire alla luce e diventare "consapevole".

Per ciò che attiene al significato del nome, riguardo al Museo omonimo (che fonderemo con Antonio Slavich nel '92) Claudio, negli atti del convegno "Arte: luoghi, percorsi e voci" (Genova-Quarto, '93) spiega che "...avvicinandosi a materie e forme inconsapevoli ( opere dei degenti) che non hanno modelli, prassi e consenso con cui paragonarsi, interagire e confrontarsi, il Museo delle Materie e Forme Inconsapevoli potrà trovare una sua interna consapevolezza e una capacità operativa solo nel definire proprio quella teoria della complessità, riguardo l'incolpevole inconsapevolezza di chi fornirà almeno le principali ragioni della sua esistenza".

Mentre alcune esperienze si rivolgono al mondo dell'arte, altre hanno stretto contatto con la malattia mentale ma, inscrivendosi in un nuovo contesto comune, diventano allo stesso modo propositive di nuove istanze culturali, spaziando in un "sincretismo dialogico riguardante in primo luogo l'aspetto polifonico" (Massimo Canevacci) della totalità della persona.

Claudio da questo momento s' impegna quotidianamente (al mattino), da artista, a insegnare discipline artistiche a un ristretto numero di pazienti.

Inizialmente fa eseguire copie dal vero o nature morte; in seguito stimola nell'allievo un linguaggio a lui più consono, mettendo alla portata di tutti alcune sue tecniche specifiche come il collage o il metodo di distribuzione del colore, sempre tenendo presente un personalissimo rapporto affettivo con ciascuno di loro.

Sarà, questa, un'attività a cui dedicherà molto del suo tempo e della sua vita.

L'arte-terapia è una tecnica che invita il terapeuta ad ascoltare il mondo interiore del paziente anche attraverso l'aiuto degli elaborati.

Claudio, in questo senso, mi spiega che il suo operare"... si discosta dal sistema arteterapeutico canonico per basarsi invece su metodi personali legati alla mia professione di artista, per risvegliare nel paziente la sua parte creativa e nascosta...".

Egli chiarisce il suo nuovo rapporto artista/paziente scrivendo negli "atti del convegno" sopra citato : "Il problema sarà quello di fornire un nuovo "tono", una diversa "lunghezza d'onda" ai pazienti, ricostruendone la carica empatica e, attraverso un'ermeneutica del "cuore a cuore", ricondurli a quella spontaneità cosciente, propria della sanità negli esseri umani...".

Quello che a lui preme è il rapporto interpersonale coi pazienti: un rapporto dove l'uno si lascia un po' contaminare dall'altro, ascoltandosi a vicenda con la tecnica del "cuore a cuore", simile al "bocca a bocca" d' una respirazione salvatrice.

Dice ancora Claudio a proposito degli allievi-degenti: "Lo sforzo che un malato di mente deve compiere per esprimersi graficamente non è meno arduo di quello che un individuo qualsiasi deve fare per dichiararsi Artista "(ib.).

E aggiunge, riferendosi alla qualità delle opere plastico-pittoriche di alcuni di essi: " ...possiamo dire che è la qualità dell'intenzione che ci interessa e ci guida più che la qualità estetica in sé e per sé: fortunatamente "il Bello in arte, come in amore, è soggettivo e non si può discutere..." (ib.).

Il termine di arte-terapia sta un po' stretto a Claudio e all' I.M.F.I.: si preferisce sostituirlo con la denominazione "tecniche espressive", termine allora nascente ma ben accetto dall'ambiente degli addetti ai lavori, poiché i vecchi modelli terapeutici si sono trasformati e amplificati attraverso differenti espressioni tecniche.

Ricordo un pomeriggio nel nostro laboratorio: Claudio ed io siamo seduti a terra per progettare il logo dell'istituto delle Materie e Forme Inconsapevoli, con in mano diversi simboli grafici tratti dai linguaggi della scienza, dell'alchimia, delle religioni e delle scritture antiche.

Dopo aver girato e rigirato tra le dita quei fogliettini bianchi, segnati da geroglifici neri, finalmente, con casuale rovesciamento sovrapponiamo due simboli: immediatamente appare ai nostri occhi ciò che andiamo cercando... il logo perfetto dell'Istituto costituito dalle sue iniziali.

 

 

 

 

Il suo lavoro in questo momento rimane teso in una dimensione di alta drammaticità riscontrabile più con il linguaggio interiore dei simboli che non con l'aspetto estetico-formale evidenziatosi nella fase precedente.

Ne è un esempio la "Crocifissione": una pedana da doccia, fracassata, diventa corpo di due delle tre croci: addossata alla scala con due pali obliqui e uno verticale, essa si trasforma in maschera guerriera o in ladrone con braccia tese verso l'alto, mentre la figura centrale, composta da una maschera stilizzata, s'inscrive nel profilo essenziale di una croce a T.

Il trittico, interamente dipinto di nero, si staglia sulla parete bianca con la violenza di un alfabeto tribale che stigmatizza la sacralità del trapasso nelle lame tese di affilate spade.

Anche l'opera "L'osso, la maschera" evidenzia una forma a croce su cui posano due ossa iliache, trasformate in orbite vuote, accanto a legni carbonizzati.

La candida struttura organica assume connotazioni simboliche di morte nel livido accostamento coi brutali fondi bituminosi.

Penso che nella produzione di Claudio vi siano opere riconducibili alla simbologia della Grande Madre, espressione e immagine della trasmissione di vita ".... che se ne sta grandiosa e durevole al sorgere della nostra esistenza e riempie la nostra infanzia...".

La Grande Madre è la genitrice universale, la terra che ci racchiude e ci nutre coi suoi frutti.

Il culto di questo archetipo la mette in relazione col simbolo dell'albero. La religione cristiana descrive Maria come "l' albero della vita".

Nelle antiche religioni gli alberi sono considerati vitali e abitati da "folletti" coi quali l'uomo nutre un rapporto affettivo.

Ma la grande madre contiene anche un aspetto negativo terrifico: può divorare i propri figli e distruggere la vita con terremoti, maremoti, alluvioni...

Sovente nei lavori di Claudio, lunghi pali, come immagine essenzializzata dell'albero, fanno da ponte elastico per una armonica congiunzione tra ciò che è celeste (spirituale) e ciò che è terrestre (materiale) e la stessa terra spesso è usata come "pelle" capace di rivestire l'intera opera al pari di una mota alluvionale carezzevole ma travolgente; altre volte, invece, i tronchi lignei assumono morfologie di maschere terribili, quali simboli d'un inconscio primordiale riconducibile all'archetipo negativo della Grande Madre.

Correlata a questo tema appare l'opera "Animale ferito" dove l'arcaica simbologia del dio morente è associabile al culto della Grande Madre.

Questo lavoro descrive l'immagine di un quadrupede che cede su di un fianco a causa d'una ferita mortale.

Il robusto corpo si struttura con un complesso meccanismo di pali inchiodati tra loro; il capo prende forma da robuste corna taurine saldate a un tronco.

Infine, un lungo e possente palo sembra conficcarsi nella cervice dell'animale, proprio come fanno i toreri quando piantano la spada nel collo taurino.

L'opera, smaltata di nero lucente, pare assumere le sembianze d' un toro morente che cede la sua regale maestà a chi è origine della vita, a chi detiene il potere della rinascita.

In questo senso il palo scarnificato, simbolo dell'albero come elemento unificante del cielo con la terra, può elevare la materia all'olimpo della divinità.

Ma anche albero come icona drammatica, associabile al simbolo terrifico della Grande Madre, causa di ferita mortale.

 

Nel lavoro "Totem e Tabù" l'artista tiene conto degli insegnamenti di Freud, esposti nel libro omonimo, riferiti alle civiltà primitive coi riti e miti che le caratterizzano.

Consiste in un grande libro alto circa un metro, le cui pagine contengono disegni unici capaci di illustrare simbolicamente citazioni ( scritte a mano) tratte dal testo freudiano.

Le tavole disegnate sono gremite di ombrosi personaggi costiani, colti nell'atto di visualizzare il senso della scrittura e forniti di occhi/naso a sagoma di maschere totemiche.

In questo frangente ricordo la nostra visita a Milano, di qualche mese prima, alla mostra di disegni eseguiti da Giacometti.

Claudio rimane affascinato da quel segno grafico così straordinariamente morbido e arricciato e cerca di interpretarlo nei suoi lavori, riuscendovi egregiamente come appunto avviene nelle raffinate elaborazioni di "Totem e Tabù".

 

Intanto nel vasto atelier ospedaliero egli continua a lavorare febbrilmente producendo opere che vengono prontamente smistate nelle varie mostre in Italia e all'estero:

ad Arte Sella, in Borgo Valsugana, con il già citato "Albero della cuccagna"; ad "Assemblaggi", nella Rocca Paolina di Perugia, invitato da Giampiero Vincenzo e Anna d'Elia, con opere installate in antichi ambienti in cotto e in pietra; è pure invitato ad intervenire al 1° e 2° simposio internazionale d'"Arte e realtà invisibile" tenuti nel castello di Schloss Elmau vicino a Monaco, in Germania , e a New York (a questo secondo simposio non partecipa), spiegando in una conferenza tutto il suo percorso artistico e i progetti del momento; è presente anche nella mostra collettiva di "Borderline" nel caratteristico e vetusto spazio di Monteciccardo (provincia di Pesaro), chiamato dall'amico Andrea del Guercio.

 

E ancora partecipa ad "Arte Bicipite", invitato dall' amico Danilo Eccher, a Borgo Valsugana; alla personale "Dalle memorie del mondo" realizzata per l'amica Cristina, titolare della galleria La Giarina, a Verona, con le installazioni "Il museo senza oggetti" e "Bronzea: gli ultimi lavori conosciuti" (questa già esposta alla galleria La Polena l'anno precedente). Proprio davanti all'atrio della galleria veronese viene collocato un originalissimo, gigantesco insetto (andato distrutto dalle intemperie), dipinto in bianco e nero, costituito da lunghe zampe in ramo d'albero e fornito di altissime, sottili antenne, come paradigmatica immagine capace di visualizzare una contaminazione tra natura e cultura.

Altra opera significativa qui esposta è il "Vascello che trasporta la palla d' oro", composto da un'imbarcazione, lucente nella vernice nera, costruita con due mascelle di bucranio collegate a un palo centrale, dove le parole "vascello" e "mascella" stanno tra loro secondo un caratteristico gioco duchampiano.

"Mascella" da intendere anche come soggetto che stritola (uccide) per nutrire il corpo quale metafora dalla vita e della morte, nell' infinito ripetersi anellare. In cima all'asta-pennone sta, allora, la "palla d'oro" riferibile alla simbologia della nascita così come l' uovo cosmico è metafora dell' origine della vita.

 

A Reggio Emilia partecipa ad "Umori naturali", invitato dall'amica Rosanna Chiessi e ad "Alta Stagione", a Villa Gavotti ad Albissola, in una collettiva curata da Caprari, Casati, Maggiani, Rescio.

 

Si sviluppano intanto grandi formati in tela grezza, alcune volte ricoperta da un foglio trasparente di p.v.c. , su cui Claudio scioglie larghi gesti con "graffi" in pennarello nero.

Il segno, eccitatissimo, scorre veloce sulla bianca tela o sulla lucente e scivolosa plastica: la sensazione visiva è quella di una tempesta gestuale composta da gesti ininterrotti e oscillanti in tutte le direzioni, capaci di materializzare campi energetici mobili, sostenuti da voltaggi incandescenti.

E in questa spazialità vibratile (elemento aria) s'innestano figuralità dionisiache scandite in sarabande indiavolate.

Animali boschivi come antilopi e gazzelle sembrano intrecciare frenetiche danze nere con longilinei e dinoccolati guerrieri, nascosti da maschere tribali e forniti di scudi allungati.

Nasce la configurazione empirica di un eden selvaggio, una chiara pre-veggenza riguardante i viaggi che l'artista intraprenderà, due anni dopo, nel cuore dell'Africa ( viaggi non previsti).

Si realizzano anche grandi disegni su carta da spolvero intelaiata dove longilinee figure maschili e femminili, alternate a maschere-totemiche, si librano aeree negli affondi spaziali della superficie; macchie circolari, come simboli di alveoli nucleari trapuntano il supporto in un immaginifico, fantastico, universo stellato.

 

Sempre in quest'epoca sono frequenti le performance di Claudio realizzate in Italia e all'estero col gruppo "Kraftzellen": nasce il progetto "Macinatore dello spirito" per la stazione Metropol di Barcellona, adibita a spazio espositivo in occasione della mostra organizzata da Handi El Attar (in gennaio), e da realizzare per El Attar a Kassel, in febbraio.

Questo progetto è composto da vari disegni dov' è spiegata l'operazione (non realizzata).

Il cappotto di Marcel Duchamp, prestato da Francesco Conz, dovrà essere steso sul grande oblò di vetro della stazione come sul "vetrino" di un laboratorio scientifico - così spiegano i numerosi disegni progettuali - quale oggetto di studio da scandagliare col radar parabolico (m. 3 di diam.), virtualmente consistente nella nota macchina "cioccolatrice" (in versione tecnologica) del Grande Vetro duchampiano.

 

In aprile , a Carrara si attua la performance di Kraftzellen "Il pneuma del cavatore" con Claudio, Antonino Bove, Jacob De Chirico, Anghelika Thomas.

In questa visione poetica la parola pneuma sta per spirito, apospasma per anima mundi, hilé per materia inerte, daimon per scintilla, pyr technikon per fuoco artista, dynamis per parola energia.

Nella performance Claudio, in piedi su di un alto sperone marmoreo, declama testi rituali e frasi terapeutiche di rilassamento, mentre un' eco suggestiva rimanda le parole nello spazio, moltiplicandole all'infinito.

 

In maggio è pronto il progetto (non realizzato) "Geist-masse Transformator" per Salisburgo , mentre in luglio, nella piazza Battisti di Trento, viene presentata la performance "Lo spirito della saldatrice" con Claudio, Philip Corner, Antonino Bove, Jacob De Chirico, la sciamana coreana Hi Ha Park e Anghelika Thomas.

Recita il documento di presentazione : "Questo lavoro, da intendere come un' installazione animata, s'ispira al rito coreano d'iniziazione sciamanica "Kut kilgarugi" (visione della Lunga Strada attraverso lo Spirito). L'intento è di ricondurre l'Arte a quei momenti estremi in cui, abbandonate le fraseologie formali, interrotto il gioco caleidoscopico delle immagini e l'operetta dei colori, sciolti i lacci retinici, entra in contatto col movimento che sta all'"origine" dei fenomeni. Un' arte produttrice di concentrazioni di energie essenziali, generatrice e captatrice di svelatori campi di forze cosmiche...".

Al centro della piazza è sistemata un'enorme cisterna arrugginita, posata su alti isolatori così da evocare l'arcaica struttura del Dolmen.

Mentre Hi Ha Park effettua un metaforico viaggio sulla "scacchiera duchampiana" , nel simbolico centro coincidente col Dolmen-cisterna (rappresentante la montagna sacra, il pleroma primordiale) viene inscenato il sacrificio : un "toro" infiocchettato (una moto bardata a festa come simbolo tecnologico del sacrificio) viene spinto da Claudio e condotto all' "offerta". Anghelika, l'officiante, col flessibile decapita il "toro" ( taglia alcune parti anteriori della moto) per offrire la testa, posata su un'ara triangolare, alla divinità.

In quest'operazione torna la metafora del toro che muore, realizzata in questo stesso anno con l'opera "Animale ferito", riconducibile alla simbologia del sacrificio.

Sacrificio in correlazione con la romantica figura dell'artista quale "salvatore" del mondo.

Una figura rituale , arcaica simbologia divina che tornerà più avanti , prima della morte, con la figura dell' "Appeso" che Claudio rappresenterà con il suo corpo rovesciato e legato a una fune, alla cava di marmo di Carrara ('94) e, prima ancora, a Sassuriano Terme (Pasqua '94).

I piedi sono legati a una corda e ad essa è appeso con la testa in giù, secondo una visione sacrificale del mondo in cui l'"offerta" di sé vale il riscatto della collettività, quale "vittima che si immola".

Ma anche come concreta , inequivocabile ed ultima espressione figurata del suo dichiarato pensiero sul "rovesciamento del vivere" e dell' "ordine rovesciato delle cose" (enunciato preso a prestito per il titolo della mostra postuma a Villa Croce, curata da Sandra Solimano, Genova 2000).

Dirà infatti in queste performance: "Com'è bello vedere il mondo a rovescio, con i piedi piantati in cielo... l'artista è il dono della terra al cielo...".

In questo senso, a livello inconscio, pre-figura i piedi posati in cielo come ad esso pre-destinato : siamo a un anno della sua morte ('95).

 

In novembre , sempre col gruppo "Kraftzellen" attua la performance "Gri gri vè vè" (testo wudu scelto da Claudio per significare "dalle ceneri dell' iperuranio") a Monaco, presso l'atelier Bereiteranger, con Antonino Bove, Jacob De Chirico e Anghelika Thomas.

Mediante azioni ispirate ai rituali spiritualistici Wudu, il gruppo si concentra sulla resurrezione.

Infatti Jacob , morto e racchiuso in un sarcofago, risorge tra le ossa attraverso ispirate azioni sciamaniche.

  1.                     Calendario

redatto

da

Claudio Costa, I989

 

 

        lavoro nei materiali dell'umano

I970 lavoro nelle circonvoluzioni cerebellari

        lavoro nell'antropologia attiva

        lavoro nella terra trasformata

        lavoro nel mondo di mezzo primitivo

        lavoro nella cultura classificata

        lavoro nel regresso regredente

        lavoro nell'antropologia riseppellita

        lavoro nel margine dell'alchimia

        lavoro nella caverna del fango

        lavoro nell'arcobaleno del mito

1980 lavoro nelle meduse orbitanti

        lavoro nell'innesto dell'oggetto

        lavoro nella notte dell'acqua profonda

        lavoro nel cristallino del giallo

        lavoro nel pneuma alchemico

        lavoro nella materia del nero

        lavoro nella coscienza fluidica

        lavoro nel vortice morbido del soffio

        lavoro nel volatile coagulo di rebeus

        lavoro nel glauco della pupilla stellare

1990 lavoro nel corpo astrale ramificato

        lavoro nel solstizio del raggio

        lavoro nella causa dell'entelechia

        lavoro nel bianco risveglio colloidale

        lavoro nel piano akasico

        lavoro nel baleno dell'arca

        lavoro nel fuoco della liquidità

        lavoro nella reintegrazione mutevole

        lavoro nella cascata dell'aria potente

        lavoro nell'umidità del felice

2000 lavoro nel postutto

        lavoro nel fiume planetario

        lavoro nel piccolo sole

        lavoro nel tema accecante del vento

        lavoro nel grande seme

        lavoro nel lavoro del lavoro

        lavoro nelle sostanze vergini

        sostanze vergini

                                        (fare la cornice intorno a questo elenco)

 

Questo simbolico "calendario", pensato da Claudio in occasione della pubblicazione editoriale del volumetto  "L'assedio instancabile del fare" (contenente una conversazione fra Claudio Costa e il critico d'arte Flaminio Gualdoni), può essere letto come una "tavola magica" ove ciascuno è libero di trovare significati corrispondenti.

"L'alchimia non è più un riferimento... La metafora, il simbolo vogliono essere proprio ora non mediati. Essa è piuttosto il puro innesco di una fantasticheria il cui corso non è più d'obbligo, ma ne costituisce l'anima stessa... I segni per lui sono davvero segni, le cose sono cose, i corpi sono corpi... Fa e facendo sa.  Non tenta di mimare il nome del dio, ma avverte il dàimon correre nelle vene delle sue lunghe braccia e il senso vitale animare le fibre del suo corpo...", dice di lui Flaminio Gualdoni.

Scritto quest'anno, non è difficile trovare nel calendario analogie col passato, ma quello che sorprende  è la correlazione esistente tra il lavoro immaginato nel futuro e la realtà che si concretizzerà nel tempo : in alcuni casi facilmente evidenziabili, in altri solamente immaginabili poiché riferibili alla sfera personale.

 

Il "lavoro nella pupilla stellare" può riguardare il presente ('89) con un l'opera esposta alla mostra "Conspiratio Omnium, Signatura Rerum ", alla galleria di Daniele Crippa, a Portofino (siamo anche stati ospiti nella sua casa rivierasca, col rituale del bagno di mezzanotte in piscina).

Si tratta di 99 lavagnette, piccole e nere come "pupille" e al contempo numerose come  le "stelle" , ognuna da intendere quale pezzo unico, ma da esporre tutte insieme quasi a voler suggerire l'immagine infinita della volta celeste.

Per la realizzazione di questi piccoli formati siamo stati una settimana in val d'Aosta, a Brusson (vicino a Champoluc), con le lavagnette procurateci da Daniele.

 Qui, rovistando in cascinali abbandonati e baite sbaraccate, abbiamo stanato vecchi utensili e attrezzi contadini desueti, presto combinati con radici, rami, erbe intrecciate, ossa di animali, lische di pesce, farfalle essiccate, antiche lucerne, pietre, corteccia, mescolati con oggetti industriali in disuso come una radiolina transistor, ingranaggi di macchinari, ritagli fotografici ecc.

 Abbiamo trovato anche stupende porte di legno, con cui sono stati creati differenti lavori nell'atelier di Quarto,  dalle fibre arse dal vento e stinte alle azioni corrosive della pioggia e del sole, sui toni abbassati di grigi polverosi e, ancora, vecchie slitte appese al chiodo d' un casolare sgombro.

Funghi essiccati, tondini di vimini, insieme a piccole ossa, piume di gallina, manciate di fieno, trovati nei campi o nei cortili, diventano magici elementi da comporre sul corpo nero della piccola lavagna.

In poco tempo nasce un pezzo, poi un altro, un altro ancora, con la gioia crescente di farne sempre più...

Durante un'escursione in pineta trovo un tronco d'albero, a cui è stata piallata la corteccia, tagliato all'altezza di circa 40 cm..

Il tronco è già di per sé un capolavoro della natura: la sua superficie è quasi interamente rivestita di complesse ramificazioni vegetali che vi si sono fissate a guisa di uno splendido merletto.

Lo consegno a Claudio.

 All'istante egli crea il "pezzo": prende una grossa pietra bianca lì vicino e la colloca, a mo' di testa reclinata, sulla sommità del tronco. L'opera è compiuta, e sarà esposta da Franco Balestrini nella sua galleria di Albissola (Savona) nella mostra "Differenze comunicative"('89) da me curata, con questa motivazione: "la scultura presentata ci propone i termini della continuità del suo linguaggio che spazia tra l'antropologia, la cultura materiale contadina e i miti primitivi.

 Indica alla fine dell'epoca postmoderna un'attenta osservazione sulla natura di un passato lontano e recente, alla quale poter attingere oggi, per una "ricostruzione" e reinvenzione più umana della vita".

Negli "appunti di percorso" pubblicati per il manifesto della mostra "Conspiratio Omnium, Signatura Rerum", a Portofino scrivo rivolgendomi a Claudio : " ...l'opera ti permette di "reincarnarti" continuamente, come tu dici, e noi con te, nell'attimo in cui ci volgiamo a quel tempo remotissimo (work in regress), quasi limite e soglia, di una fantasia paleontologica che, nella sua curvatura elastica è sincronica a quella trasformazione umana che avverrà nel futuro (work in progress)... in alcuni tuoi lavori i bianchi totali si oppongono a neri totali, e lo sfondamento urla contro l'ermetica chiusura; la durezza della fisicità metallica e della calcificazione ossea contrasta con la liquidità molle della cera e della sfibratura lignea; unghiate segniche si alternano a morbidi gonfiori materici; la tensione vitale dialoga con l'oscura pregnanza della terra; scheletrici graffiti convivono con ridondanze iconografiche; l'idea di "evoluzione" implica necessariamente quella dell'"involuzione"; al principio concettuale corrisponde una materia lenta e gravida; la pittura si contamina con la scultura che vive in funzione dello spazio...".

"E ancora: la scultura cede allo spazio che frana fondendosi con la parete, mentre il suo volume si appiattisce e le sue ombre si ritirano..." continua Claudio: " hai descritto gli ossimori che nutrono fin dall'inizio il mio lavoro. Sai, intorno ai primi anni '70 scrivevo proprio sull'evoluzione e sull'involuzione, sul tempo trasportato e sullo spazio perduto, dove affermavo che evolvendoci perdiamo in realtà qualcosa...".

"Per esempio...", continua Claudio, "...viene a mancare quel rapporto profondo e partecipativo con la Natura, intesa come Magia naturale, Anima Mundi, "principio di individuazione" dell'essere nel pianeta, mentre l'evoluzione del sapere si è così tanto allargata e al contempo parcellizzata che va sempre più affidata alle memorie elettroniche...".

 

Qualche anno prima Claudio ha potuto visitare le grotte di Lascaux, ('85) in Francia, che lo hanno molto impressionato e da cui ha tratto insegnamenti per ciò che concerne la pittura rupestre: da allora nel suo lavoro appaiono dipinti arricchiti di graffitismi preistorici come testimonianza e recupero del nostro comune, primordiale,  patrimonio artistico.

 

 In questo momento la sua tavolozza si amplifica con tonalità bianche (nascono lavori giocati esclusivamente sui bianchi): la pittura interagisce con la scultura, le "cere" (un linguaggio costantemente presente nel suo lavoro)  continuano a inglobare oggetti affogati, conservandoli ipoteticamente, nella funzione museale, fuori dal tempo e dallo spazio.

Qualche tempo dopo, svilupperà questa tecnica in formati giganteschi, tanto da occupare intere pareti, attraverso l'uso inconsueto del colore blù-cobalto (mai utilizzato per le cere e in generale nel suo lavoro) col quale si creeranno straordinari effetti di glaciazione marina e terrestre.

 

 

Nasce in questo periodo una nuova consapevolezza: per la prima volta, la materia della "ruggine " viene considerata cifra espressiva  del lavoro.

La ruggine è frutto della fioritura del ferro causata dall'azione corrosiva del tempo e degli agenti atmosferici.

Su questa prima trasformazione naturale, Claudio, come sempre, applica una seconda trasformazione culturale: con interventi formali dona alla ruggine qualità evocative di carattere simbolico riconoscendo contemporaneamente a questa  materia la proprietà di colore allo stato puro, con qualità simboliche  e in continua trasformazione a causa dell' azione del tempo.

L'anno successivo dedicherà a questa "polvere d'oro" un'intera mostra intitolata "Per case di ruggine" (Balestrini '90, Albissola).

La scoperta di questa materia-colore, così calda e luminosa,  è avvenuta girovagando per i litorali tra Genova e Quarto, in cerca di "rifiuti" delle risacche marine da reintegrare nel lavoro.

La ruggine di mare, infatti, è qualcosa di incredibilmente splendido: là, dove troviamo ferri arrugginiti, corrosi dalla salsedine, sembra brillare una pelle dorata, quasi elisir di purissimo polline ...

Nei suoi lavori anteriori sono presenti oggetti industriali in ferro arrugginito, ma ancora non è stata individuata la qualità cromatica  ed evocativa di questa materia e perciò viene usata accidentalmente.

Solo la ruggine di mare gli ha fatto capire la potenza di tale elemento.

E così inizia la caccia alle ruggini marine: con la macchina parcheggiata nelle vicinanze, le incursioni sulle spiagge si fanno sempre più frequenti e il bottino incomincia ad ammucchiarsi in grosse pile sul pavimento.

Più avanti stendiamo lamiere di ferro sul terrazzo come bucato al sole, su cui depositiamo acqua e sale per fabbricare velocemente  una sorta di "ruggine prefabbricata".

Nasceranno ruggini davvero eccezionali.

 

Un giorno di primavera, andando  ai bagni S. Nazaro per abbronzarmi un po', ho scoperto , accatastati in un angolo, una cinquantina di "coppi", vecchi tubi in ferro (o ghisa) per acquedotti, di un colore straordinariamente dorato.

Ho subito telefonato a Claudio che è corso con la macchina: dopo circa due ore avevamo già trasportato tutti i pezzi sui terrazzi dell'ex o. p.. Qualche mese dopo questi tronchi di tubo sono diventati una  specie di lunga salamandra dorata con la testa di candido  bucranio.

 

Ora, dall'estate scorsa, abitiamo un altro atelier, al piano di sopra: un enorme spazio corrispondente a un' intera corsia sgombra, fornita, appunto, di ampi terrazzi con vista mare.

Pasquale Ranieri (padre di un paziente) ha imbiancato le vastissime pareti, costruendo anche un piccolo soppalco in legno.

Questo ambiente, tutto finestroni esposti a mezzogiorno e inondato di luce, coincide con la sede dell'Istituto delle Materie e Forme Inconsapevoli.

Viene subito  arredato con oggetti in disuso trovati nell' ex o. p. come divani, poltrone, tavolini, grandi tavolacci, comò, bauli, a cui aggiungiamo una cassettiera metallica e qualche tappeto. Riusciamo pure ad attrezzare un piccolo cucinino fornito d' un vecchio frigo, anch'esso trovato lì.

Qui Claudio consuma i pasti quotidiani, io arrivo puntualmente per il caffè del dopo-pranzo e rimango fino a tarda sera.

Ricordo gli inizi, quando lavoriamo ancora nel primo laboratorio e alla sera andiamo a cena da amici, spesso da Claudio e Anna Martinengo o da Adriano e Francesca Rollero, con loro trascorriamo serate tranquille.

 .

Intanto, i lavori si moltiplicano incredibilmente.

Io aiuto Claudio a stendere il colore, a fondere la cera con la fiamma ossidrica, a cercare i materiali da reinventare, a controllare le forme che iniziano a connotarsi, a prendere contatti con le gallerie per le sue mostre e, al contempo, continuo a scrivere articoli d'arte per la mia rubrica settimanale de "Il Giornale", nella redazione genovese.

 Claudio , a sua volta, si prodiga per aiutarmi a scrivere, dandomi suggerimenti, spunti, giudizi, ampliamenti di vedute, tenendoci contemporaneamente informati sul panorama artistico nazionale, qualche volta internazionale, con viaggi a Monaco, Kassel, Parigi, andando sovente a visitare le gallerie di  Milano, le mostre al Castello di Rivoli a Torino, al museo Pecci di Prato, e a Roma.

Inoltre iniziamo a discutere sulle teorie dell' "Evocazione" ("Arte come Evocazione" a cura di Miriam Cristaldi, 6 volumi con edizioni varie) che ci darà la possibilità di fondare, insieme, il gruppo omonimo ('90 - '92).

 

 

Le mostre si moltiplicano: presenta il progetto dell'"Albero della cuccagna" creato per l'ex o.p. nell'88 (illustrando anche gli altri lavori riguardanti questo tema) all'Accademia Ligustica di belle Arti per l'esposizione "Artisti e territorio, progetto speciale", con la direzione di Gianfranco Bruno.

 

"Testa con oggetto" è l'opera esposta a "Differenze comunicative",(già citata) da Balestrini ad Albissola,  formata da un tronco di ramo fantasticamente ricamato da viluppi vegetali, su cui  è posata una bianca pietra, segnata con carattetistiche di  maschera.

 

Ed ancora, partecipa alla mostra da me curata "Aspre pianure, dolci vette", al museo S. Agostino di Genova.

Un' esposizione di ampio respiro nella medioevale architettura del vasto porticato del palazzo,  con gli amici invitati Giorgio Cattani, Alan Castelli de Capua, Claudio Olivieri, Pietro Perrone, Renzogallo, Giuseppe Spagnulo.

Claudio ha qui installato "La crocifissione" (già citata nel capitolo precedente) posando la croce centrale su due capitelli, in marmo nero, lì giacenti.

Il trittico crea un forte suggestione emotiva, accentuata dal contrasto  tra la parete in calce bianca e l'opera in nero ad essa appoggiata

L "Animale ferito" (anch'esso già descritto), viene invece deposto nel chiostro centrale, all'aperto, accanto ad una fontana  di marmo bianco, come se idealmente la bestia tentasse di abbeverarsi...

A proposito di queste installazioni Claudio mi spiega : "Vorrei fare un lavoro di fronte al quale l'occhio si debba abbassare, un lavoro che sarebbe saggio non vedere, perché è qualcosa che può rappresentare l'origine del fantasma quando vede se stesso mentre guarda, mentre si vede vedere..." (dal testo di Miriam Cristaldi in "Aspre pianure dolci vette").

 

Ad Alatri, Andrea Del Guercio invita Claudio alla 25° Biennale d'arte intitolata "Scultura per la città", ospitandoci per qualche giorno.

Claudio elegge a Museo di attrezzi contadini una vecchia cantina situata in una piazzetta, entro cui dipinge (su muro) un disegno in stile preistorico, mentre due grandi lamiere arrugginite sembrano schiacciare, distruggendoli, altri oggetti contadini: una precisa indicazione sulla civiltà industriale nell'atto di sostituire quella precedente, la contadina.

Oggi questo lavoro è in esposizione permanente nel parco della fonderia Immart a Roma, dall' amico Pietro Caporrella.

 

 

H. El Hattar,  lo inserisce in "Vortasten Annaherung an das unsichthare", delle ed.  Projekt Gruppe, Kassel (Germania).

Partecipa ad "Affinità selettive", edizione galleria La Loggia, Bologna

con "Ciclope bianco" appartenente al ciclo di opere al bianco ('87).

Si tratta di una tavola in candida calce , simile a mota, su cui posano composizioni di arbusti e dive-bottiglie che vanno a strutturare una maschera costiana , giocata sulle sapienti gamme dei bianchi.

 

 Invitato da Francesco Conz, a Verona, Claudio prepara una grande installazione che verrà esposta nell'ingresso del teatro lirico Carlo Felice per la mostra Fluxus curata da Joe Di Maggio, nel '90 a Genova.

E' composta da una gigantesca pentola arrugginita, a guisa d' un enorme turibolo contenente, in posizione verticale, un pianoforte usato ed attrezzi contadini, rivolti verso il cielo in simbolica "offerta"  da bruciare idealmente sulla fiamma di un' ara.

 

Inoltre, Claudio partecipa anche ad "Arte Sella", col gruppo Amici di Borgo, a Selva Valsugana, in provincia di Trento e a Berlino con W. Kahlen (Uber Zeit ) dell'edizione Ruine der Kunst.

 

Nell' atelier di Claudio e sede dell' I.M.F.I. , ospitiamo la mostra "Yuppara" dislocata negli spazi di Quarto dal nascente gruppo "Arte e dissipazione" composto dai giovanissimi genovesi Formento e Sossella, Cesare Viel (recentemente l'artista ha dedicato a Claudio la performance "La morte di Zenone" nell'ex o.p.di Quarto) e Luca Vitone, che interagiscono con gli spazi e con i lavori dei pazienti qui esposti, attraverso interazioni minime ma incisive.

 

Con il gruppo "Kraftzellen" Claudio continua a lavorare;  in marzo è a Treviso con "Mekané Makom,  Mekané Mazol" (che significa: cambi luoghi, cambi stella), nello spazio suggestivo della chiesa sconsacrata di S. Teonisto, con Antonino Bove, Jacob De Chirico e Anghelika Thomas.

Al centro dell'area rituale, in una pentola di rame bolle del vino quale fermento energetico dell'universo (evidenti i richiami alle ritualità celtiche).

 L 'officiante vi attinge col mestolo per offrire il liquore bollente,  riferibile simbolicamente al dono di nuova vita,  allo schermitore, immolato nella battaglia terrena ( Claudio da ragazzo era abile nuotatore, ma anche schermitore ) e trasformato in "risorto".

Anche qui ricorre il tema  dell'eroe che entra nell'eternità attraverso il sacrificio di sé.

"Tutti noi siamo collegati, nella vita e nella morte, l'uno all'altro e alle entità e singolarità energetiche presenti nel Cosmo. E' indispensabile sintonizzarsi con questo potente generatore di forze per dare vita ad un'estetica dell'ultrasensoriale..." (tratto dal testo  di Fatma Lootah per Kraftzellen) , recita un brano dedicato a questa azione, quasi a stigmatizzare l'osmosi esistente tra materia e spirito, tra caducità e immortalità.

In giugno è a Berlino, sempre con Kraftzellen, con la performance "Restituzione dell'ossigeno alla Natura" per l'imponente mostra "Ressource Kunstad, die elemente neu gesehen", curata da Georg Jappe,

 alla quale sono presenti, tra gli altri, Tony Cragg, Fischli/Weiss, Anselm Kiefer, Nikolaus Lang, Richard Long, Gina Pane, Giuseppe Penone, Bill Viola, Joseph Beuys.

Per questo evento, Anghelika, Antonino e Jacob vengono a Quarto, all' ex o. p., da Claudio per accordarsi sui particolari della performance. Decidono di utilizzare il carrello ospedaliero della biancheria che presto si trasforma in "Macchina che produce ossigeno".

 Il carrello, composto da una ringhiera in legno, viene  fornito di quattro tubi in rame, lunghi 4 m. ciascuno, fuoriuscenti da esso in forma di croce e direzionati verso i punti cardinali corrispondenti agli elementi terra, acqua, aria, fuoco.

Elementi rappresentati visivamente con oggetti simbolici come la fiamma ossidrica, il vaso di terra , il phon e il secchio d'acqua.

L'azione si svolge attorno al carrello-vagone dove un officiante dorme materializzando il suo sogno in frammenti oggettuali.

Claudio, in un secondo tempo,  raccoglie questi "frammenti"del sogno per ricostruire una nuova realtà.

Ancora in giugno dovrà essere realizzata la performance "Amore vince" che non è stata attuata per disguidi temporali e logistici del gruppo.

                              1990

 

Su invito di Claudio Spadoni , Claudio deve partire per Malindi, in Kenia. Siamo a cavallo tra il Natale scorso e Capodanno del '90, ma lui sta comprando vestiti estivi per il lungo viaggio, una sahariana e scarpe di tela blu.

Sa già il lavoro che dovrà realizzare: l' albero della cuccagna.

Ne ha già installati tre, questo è l'ultimo della serie.

Dovrà essere innalzato proprio in Africa, un luogo che lo affascina da sempre.

L' Africa l' ha conosciuta nel '74 quando è stato in Marocco per studiare sacche di popolazioni primitive, ma il Kenia, nella zona equatoriale, proprio lo emoziona in modo speciale perché corrispondente a quel luogo magico, ancestrale, dove, quando si arriva, ciascuno può dire: " Sono a casa mia...".

Ed è proprio questa emozione che lo coglie confidandomi : "... mi sembra di essere arrivato a casa... questo odore dolciastro, così caldo e selvatico è veramente afrodisiaco: sembra muschio di savana mista a saliva di belva... sento che qui ha origine la vita... ora incomincio a capire cosa può essere il "mal d' Africa", è una lusinga incredibile, una seduzione infinita a cui è difficile dire di no...".

E "NO" all' Africa Claudio non l'ha mai detto.

Anzi, l'ultimo suo lavoro consiste proprio in un coraggioso e disperato "SI' ", un grande abbraccio a quella parte settentrionale di terra che, geograficamente, corrisponde al profilo d' un cranio...

Una possibile, inconscia, ombra di morte... poiché dalla vita nasce la morte... e dalla morte la vita...

Mi spiegherà al suo ritorno riferendosi a quei luoghi: " Sento una forza antica che sa di pianto e di latte, che m'inebria e mi trascina via... partecipo con tutto il mio essere a questa magica dimensione dell'origine... le cose mi spingono lontano...".

Trova laggiù un caldo intenso dato che il nostro inverno corrisponde al massimo del calore keniota.

Il villaggio turistico "African dream" che lo ospita, proprietà dell'amico Giulio Bargellini, è veramente accogliente: alla sera bagno in piscina e spettacolo della tribù Masai: bellissima popolazione dove i maschi, magri e dinoccolati, portano in mano una sottile mazza nera come segno distintivo di appartenenza alla tribù, mentre le donne, come contrassegno, hanno il collo allungato a causa di decine di anelli sovrapposti, così da poterlo avvolgere e stirare.

Ma Claudio, a questo, preferisce la verginità di certi villaggi dell'entroterra, nel "bush" o visitare la "valle dei fuochi" o , ancora, cercare carcasse di animali nelle sabbie delle savane...

 

Sei mesi dopo , in giugno, Claudio è ancora a Malindi, siamo ospiti dell'amico Nino Pezzino, un collezionista di Verona che lo ha soprannominato "Claudio l'Africano", mecenate moderno, "amante" degli artisti che invita nella sua casa affacciata sull'Oceano Indiano, per favorirli nell'opera creativa.

"Un artista così non può non venire in Kenia", dice Nino. "Deve assolutamente lavorare qui... gli metterò a disposizione i miei uomini per trasportare il materiale e degli scultori per materializzare i suoi progetti con questo odoroso legno africano..." , spiega ancora l'amico veronese.

E così è stato.

Malindi è sogno che diventa realtà.

Le donne del posto sono minute e non eccessivamente belle (stupende sono invece le donne senegalesi conosciute a Dakar), e attorniate da grappoli di bambini, con i neonati sulle spalle, fasciati nel pareo e più grandicelli, per mano.

Piccoli meravigliosi, con occhi dilatati e denti smaglianti, felici (non si vede piangere nessuno) e bilingue: parlano swahili nelle capanne e inglese a scuola.

Quelli abitanti nel "bush"( bosco-foresta) sono più selvatici e molto espressivi, sovente avvolti da sciami di mosche e pronti a nascondersi nel buio di case terrose.

Con Nino e l'amico Riccardo Princivalle, ci spingiamo nei luoghi interni, isolati.

Lì le donne attingono l'acqua dal pozzo e allattano i piccoli mentre i fratellini giocano con la ruota di bicicletta (recuperate chissà come) facendola correre nel bush, con un bastoncino sottile.

Donne e uomini vecchi stanno seduti su una specie di brandina, all'interno della capanna, o sull'uscio di casa, a terra, intenti a spaccare le noci di cocco e a berne il succo. I giovani presenti sono pochissimi: la maggior parte sono a caccia o a intagliare legno.

"Io guardo al passato, a un passato remotissimo che scivola nel presente attraverso lo spazio curvo di un cerchio, inscritto in un tempo dilatato a dismisura...", aggiunge Claudio, proprio come recita un suo titolo degli anni '70 sui Maori "Il tempo ruota in tondo".

 

Lo affascina il ritrovamento di un bucranio di bisonte affiorante dalla sabbia coi denti bianchissimi ancora conficcati negli alveoli.

Nel giardino di Nino, questo trofeo fossile diventa segno regale del maschio nell' installazione "I letti africani", esposta alla galleria "Giarina" di Verona (' 92).

Un lavoro composto da autentici letti giryama , idealmente corrispondenti alle figure del capo-branco attorniato dalle sue femmine.

A ogni letto fa riscontro un bucranio bruciacchiato (patina del tempo che trasforma e consuma) posato davanti, a terra.

La forza virile è messa in evidenza dalla posizione sollevata del letto contrassegnato dal bucranio-regale: immagine simbolica del maschio-guida : " Una figura selvaggia e primitiva di capo branco paragonabile all'uomo primitivo non tanto governato dagli istinti ", dice Claudio, " quanto in sintonia con la vita ancestrale, affidata all'ordine naturale del mondo, in cui le leggi sono chiare e i meccanismi semplici".

Giunti a osservare l'alta marea, Claudio improvvisa una performance sulla spiaggia deserta (è nuvolo con forte vento): s'inginocchia sulla sabbia bianca e traccia con l'indice la silhouette di un lungo osso. Vi si corica dentro e con gli occhi chiusi e le mani dietro la nuca dice : " Vedete, non c'è bisogno di possedere ville e palazzi, qui e ora, la mia abitazione coincide con questo segno ... perché è dentro di noi ...è l'asse del mondo ... axis mundi... e appartiene a tutti...".

Claudio, davanti a pochi amici, tra cui Nino e Riccardo, attua una seconda performance nella "valle dei fuochi", così da lui denominata, riguardante quella zona di raccolta dei rifiuti, costantemente accesa in caratteristici falò.

Mentre carboni accesi arroventano l'aria calda e nauseabonda, miriadi di mosche ronzano intorno.

Claudio, avvolto da una fitta nebbia cinerina, sale su un gigantesco pietrone e sullo sfondo d' un cielo limpido, attraversato da centinaia di corvi in volo, traccia gesti nell'aria e dopo una pausa di silenzio, spiega: "Vorrei che il mio lavoro corrispondesse alla drammaticità di questi corvi, che si nutrono di carogne ma volano su in cielo...." e tende le lunghe braccia verso l'azzurro.

Poi i corvi, all'improvviso, tutti insieme, scendono in picchiata, per andare a posarsi sui rami d' un grosso baobab, lì vicino.

Guardandoli ancora, egli aggiunge sottovoce: "... come i corvi di Vincent...".

 

Ancora una volta è il litorale dell'oceano causa di emozione intensa come quel giorno in cui , appena fuori Malindi, rinveniamo, semisepolto nella sabbia, un centenario guscio di testuggine marina.

Questo guscio , al contatto con le mani di Claudio, si scompone all'istante in pezzi.

Pezzi corrispondenti allo schema naturale dell' originaria struttura ossea, così che, numerando ogni frammento, Claudio potrà ricomporre il corpo, sul tavolo di casa.

La sabbia, nel tempo, ha protetto questo reperto, tenendolo insieme miracolosamente, ma al primo contatto con l'aria e con la presa delle mani, le componenti ossee hanno subito un improvviso "scollamento".

 

L' emozione è grande quando, in una tappa nello Tzavo, Claudio arriva a una tavolaccia di legno su cui sono esposti, allineati, decine di bucrani di tutte le grandezze e sfumature, dai bianchi ai marroni bruciati: credo che l'installazione dei "Letti" sia nata da questa forte suggestione visiva.

Per realizzare "Sei pelli", anch'esse esposte dalla "Giarina", Claudio raccoglie lamiere arrugginite che trova disseminate in capanne: nei luoghi africani le lamiere di ferro sono utilizzate come attrezzi da riparo ad uso di abitazioni povere.

Lamiere arrugginite o virtuali pelli africane sono così lavorate in condensati rilievi sabbiosi, misti a terra rossa, per evocare nodose cortecce d'albero, ruvide mura in cotto, striate pezzature di zebra, imponenti porte di città, vetrose macchie di leopardo.

"Il mio lavoro è difficile, antiestetico, a volte brutale come un pugno allo stomaco. E' impensabile che possa entrare nelle raffinate strategie di mercato... Il mondo dell'arte, fai attenzione: non l'arte", mi chiarisce scandendo le parole, "distrugge chi non fa parte dell'ingranaggio... il mio lavoro crea resistenze, ma io continuo, continuo a muovermi nella ricerca, quando scopro qualche verità non mi fermo, cerco ancora... quando codifico un linguaggio lo abbandono e ne ricerco altri... so di lavorare in una dimensione alta...".

E' infatti consapevole della sua qualità artistica: "I miei lavori hanno tutti le date giuste, non sono un epigone ma uno che si guarda attorno e che cammina , da solo, per la sua strada. Sarò importante, verrò studiato nelle università, ma io, allora, non ci sarò più ... ".

Al contempo, è estremamente semplice, povero, con un conto in banca quasi a zero, e una macchina sgangherata di seconda mano.

Vive in un ex manicomio, ma è felice.

Non prende medicine se si escludono quelle per la pressione.

 

 

Al suo ritorno a Quarto le attività s'intensificano e i progetti si moltiplicano.

L' insegnamento ai pazienti psichiatrici lo coinvolge tutte le mattine. Al pomeriggio ci occupiamo della realizzazione di opere con lastre arrugginite, trasformandole in pagine di pittura: molte di queste fanno parte della mostra "Per case di ruggine", ad Albissola dall'amico Balestrini.

Scrive Sandro Ricaldone in catalogo: "L'oggetto... recupera nel lavoro di Costa non soltanto il proprio statuto di cosa, ma un riflesso vivente, un'individualità che gli è conferita dall'uso e dal suo stesso logoramento, quasi una memoria depositata in superficie...".

Claudio col Vinavil crea su metallo scie di terra rossa e incide nella polvere d'oro arcaici graffiti, su cui deposita frammenti oggettuali come arcane reliquie. Sovente, queste materie arrugginite, friabili nella loro consistenza, poggiano su lastre di cristallo creando attivi rapporti ossimorici: la trasparenza con l'opacità, il "freddo" dell'elemento siliceo col "caldo" della materia ferruginosa, la perfezione dell' elemento industriale con l'irregolarità della sostanza, elaborata dagli agenti atmosferici. Prende avvio una dichiarata estetica degli opposti.

 

Poi scriviamo appunti, note, articoli, prepariamo mostre e discutiamo animatamente sul termine evocazione , sulla teoria da codificare attorno a questa parola trasferita nel pensiero artistico.

Alla domenica, saliamo a Sant'Ilario, e da lì a piedi c' incamminiamo per le crose e per i sentieri, scambiando opinioni a voce alta, per fare chiarezza nella mente a contatto con la natura, suo parametro di confronto e, sempre, punto di partenza dei suoi ragionamenti.

A questo proposito, rammento una vivace discussione riferibile al significato dell'"intuizione" e alla sua modalità d'inverarsi, sia per quanto riguarda il campo delle scienze che per lo specifico dell'arte.

Claudio afferma che l'intuizione arriva come un fulmine, quindi improvvisa, ma sostiene di essere indeciso (e lo è rimasto) riguardo alle modalità con cui essa avviene : è frutto di un ragionamento precursore o invece un evento a sé, avulso da tutto?

Ci siamo addentrati così specificamente in questo argomento che siamo arrivati alla sera sfiniti.

I giovani artisti genovesi Franco Arena, Antonella Spalluto e Vittorio Valente vengono nell'atelier per chiederci una mostra: noi rispondiamo con la fondazione del gruppo "Arte come Evocazione"(I99O - 1992) e con gli amici di Torino, Leandro Agostini, Carlo Cantono, Giuseppe Bonetti e Giancarlo Norese di Novi Ligure, iniziamo una serie di mostre itineranti in luoghi non canonici per l'arte, fuori dalle gallerie.

Preferendo così pensare all'opera in funzione dello spazio installativo come fabbriche dismesse, stalle, fornaci, cartiere, mercati, ospedali psichiatrici.... Spazi, questi, ricchi di qualità evocative poiché "...l' evocazione è un'energia, non dice ma suggerisce, non dichiara ma sussurra, non è determinazione ma indeterminazione...".

Questo atteggiamento non è contestatario poiché all' ufficialità ci rivolgiamo in un secondo momento allo scopo di far conoscere i lavori eseguiti.

 

Per la Fornace di Castello D'Annone (Asti), Claudio installa un lavoro da intendere come campo energetico sollecitato dall'evocazione stessa dell'ambiente: una fabbrica di mattoni.

Si compone di una grande tela bianca su cui giganteggiano maschere costiane, carbonizzate e sciolte in motivi ritmici, secondo una linea orizzontale che separa la superficie in due poli energetici.

Una trave del luogo, bloccata da un masso di pietra, va a congiungersi in diagonale con questa linea d'orizzonte creando un' eccitata comunicazione di forti tensioni.

 

Siamo invitati a Parigi per l'inaugurazione della mostra "Prehistoire et Antropologie" alla galleria I900 - 2000 , in rue Bonaparte.

Questa esposizione è stata vissuta febbrilmente. Anzi, sembrava saltasse tutto a causa d' un intreccio di telefonate roventi tra il signor Fless (proprietario della galleria) e Pedrini (collezionista ), se non sbaglio, ma non ricordo più le motivazioni.

Claudio s'infuria con tutt' e due ed è preoccupatissimo per la riuscita della mostra che ritiene qualificante e di prestigio; aspetti che si sono puntualmente verificati.

Per questo evento presenta alcuni lavori corrispondenti alle varie fasi del suo cammino artistico, dagli anni '70 ad oggi, così differenti nelle diversità dei contenuti e al contempo così totalmente intrisi di storia dell'uomo da essere paragonabili ad eccezionali ed esclusive "sindoni".

Si tratta di un' esposizione di opere realizzate con vecchi legni frammisti a collages di oggetti contadini con i relativi calchi in terracotta e cera, e a ingiallite fotografie di popolazioni primitive.

A ciò si aggiungono piccole capanne in creta, maschere costiane inquiete e ruggini raschiate con incisioni rupestri contemporanee, tutto concretizzato in dissonanze materiche armonizzate da suadenti cromie di ocre antiche miste a tonalità di fango.

All'inaugurazione moltissimi sono i visitatori: dagli amici Jean Jacques Lebel ai coniugi Poirier , e conoscenti dei tempo addietro.

All'apertura, la galleria si riempie all'istante: la gente, per tutta la durata della mostra, fluisce ininterrottamente con andirivieni continuo.

Uno spettacolo mai visto e mai più ripetuto.

E quello che ancora stupisce è l'incredibile moltiplicarsi dei bollini rossi accanto alle opere: si vende quasi tutto.

Certo, molti collezionisti ricordano il lavoro di Claudio degli anni '70 e la sua riscoperta è accolta come fatto estremamente positivo, dimostrata con l' acquisizione subitanea delle opere.

Ma di lì a poco, il meccanismo dell'arte s' inceppa (è il momento della crisi del Golfo), crolla il mercato dell'arte contemporanea e inizia la lunga crisi, tanto che solo oggi, pare, si possa intravederne la fine con qualche spiraglio di ripresa.

 

Con "Ex hora , prae historia" Claudio presenta i suoi lavori alla galleria "Il cenacolo" di Trento, a cura di Danilo Eccher che precisa in catalogo: " ...L'arte di Claudio Costa non è facile, avvicinarsi al suo mondo significa compiere un complesso itinerario... nelle viscere di una creatività che attinge a un incommensurabile patrimonio visionario. E' un'arte da conquistare, vivere, non si può limitare alla contemplazione....impone un atto di "comunione...".

Nell'opera "Tracce dei ricordi", qui esposta, una lamina di cristallo si fa traccia evocativa di memorie preistoriche; su di essa è deposto una sottile foglia di ferro arrugginito, traforato, in alcuni punti polverizzato in larghi fori.

Su questa superficie rossastra, a guisa di finissimo trine, pare intravedere la mappa del mondo nella fisicità delle macchie, simili a rocce, vaste pianure, letti di fiumi... E in questa geografia s' incidono totem, segni rupestri, maschere costiane, nell'urlo discreto d'una magica evocazione...

 

In luglio siamo sul Monte Forato, nelle Alpi Apuane, vicino a Carrara con la performance "Rovesciare gli eventi", eseguita da Claudio con Antonino Bove ed altri amici toscani (esiste la documentazione video).

Un'azione che vuole rappresentare concretamente la realtà astratta attraverso l'unione delle due nature: umana e divina.

Claudio si serve della figura simbolica del pesce , appeso all' amo (ne abbiamo comprati due, freschi, a Carrara) che, dall'alto del Monte Forato, oscillante nel vuoto d' un oblò naturale intagliato nella roccia, cerca di infilare nella struttura perfetta di un cerchio ( tenuto con un filo da Antonino).

Il pesce, dice Claudio: " è simbolo di Cristo e della spiritualità dell'uomo. Al contempo corrisponde al mio pensiero basato sul rovesciamento dell'ordine naturale delle cose poiché ordinariamente il pesce nuota nell'acqua, ma qui "vola" nell'aria, ambiente degli uccelli e degli angeli".

Poi accende un fuoco su cui cuoce il pesce (l'altro è caduto dall'amo nel burrone) che mangiamo tutti insieme, adempiendo alla ritualità antropologica dove le carni vengono consumate in comunione, come reciproca offerta.

 

Alla XLIV Biennale di Venezia, Claudio è invitato da Bonito Oliva a "Ubi Fluxus ibi motus", in un grande capannone nell'isola delle Zitelle, insieme ad artisti Fluxus e altri che, come lui, hanno tangenze ideologiche con questo movimento internazionale.

Questa è anche l'occasione, per Claudio, di chiarire alcuni equivoci sorti qualche anno prima con Achille.

Tanto che , in seguito, siamo andati a Roma, a casa sua, e tra loro si è riattivata una sincera amicizia, basata su stima reciproca.

Claudio non condivide la poetica transavanguardistica del critico perché il suo lavoro , da sempre, si basa sullo spirito di ricerca, ma apprezza la fervida creatività di Achille, così evidente nella ricchezza del suo linguaggio critico.

 

Inoltre è invitato alla LX Biennale d' arte di Verona e a Paraxo I990, da Claudio Spadoni che scrive di lui : "Costa ... pratica scandagli che toccano l'ancestrale, la magia in apparenza semplice, ma sempre sorprendente dei segni, dei materiali, degli oggetti che "sanno di vita", di durata oltre le trasformazioni del tempo".

 

 

 

  1. 1991

Arrivano in Italia le casse con i lavori africani.

Si pensa ad una grande mostra intitolata "Claudio Costa" e la scelta cade sulla galleria "La Giarina" di Verona , a cura di Giorgio Cortenova.

Questo lavoro africano, così straordinario e fuori dai canoni estetici, mette in luce la figura di un artista europeo che contemporaneamente riesce a far vivere, integrandole, due opposte culture: quella africana, attraverso l'autenticità dei materiali e l'essenza magica delle forme, e quella occidentale, alla quale risulta concettualmente legato mediante rimandi culturali e continui spostamenti di senso.

Tra i vari lavori spicca l ' installazione "Letti-animali", costituita da 6 letti giryama corrispondenti, in chiava evocativa, a un branco di ruminanti (5 femmine e il capo-maschio).

Ai letti coincidono, posati a terra, 5 bucrani-femmine e 1 bucranio di bisonte che rivelano l'identità dell'animale.

I letti-animali sono legati a ogni corpo-quadro con lacci di corda, formati da una lamiera metallica arrugginita e sagomata a pelle scuoiata.

Su queste pelli si possono leggere fantastiche piste segrete tracciate da animali sulla sabbia rovente del giorno o su quella nera della notte, crepe disseccate, geografie di terre infuocate, nelle gradazioni che sfumano dalla terra di Siena ai marroni bruciati, scivolando attraverso la porpora del sangue raffermo.

Se minimo risulta il gesto dell' artista, massimo è l' effetto di selvaggia sensualità che scaturisce dall' opera.

Scrive di lui Giorgio Cortenova: "Quella di Costa è una trasmigrazione nella materia, di materia in materia:...terra, fango seccato e polvere nel decennio successivo; ruggini, incrostazioni, funghi del ferro nell'ultimo decennio. Ma prima di ciò, le rughe scolpite nei volti dei Maori; i geroglifici del tempo o gli ideogrammi dell'esperienza...".

 

Forse a questo punto conviene specificare l'origine del lavoro di Claudio per comprendere meglio come, con tali opere , egli riesca a chiudere il cerchio: un anello che si apre, alla fine degli anni '60, con la sua dichiarata "entrata in campo".

Come avvio linguistico egli si rivolge al padre del concettuale , a Duchamp.

Ma i riferimenti si attuano attraverso il filtro della creatività : come il Maestro, egli si serve dell'oggetto e dello spostamento della sua funzione per conferire a esso un nuovo statuto, ma con la differenza che ne ribalta il concetto.

Infatti, se Duchamp sposta l'oggetto e lo porta nel Museo per fornirgli lo statuto di "opera d'arte", Costa, al contrario, sposta il Museo attorno all' oggetto.

Per fare ciò, trasforma in Museo il contesto di appartenenza dell'oggetto, il quale, per statuto, diventa "opera d'arte".

Ciò è riscontrabile nell' esperienza di Monteghirfo ('76 - '77), un paesino dell' entroterra ligure, in cui Claudio applica il rovesciamento duchampiano nominando Museo la vecchia casa contadina e Opere d'Arte , tutti gli utensili esistenti all'interno, fornendo una precisa catalogazione attraverso il cartellino esplicativo, collegato a ciascun oggetto.

L ' artista, con questo enunciato basilare, tenta costantemente di rovesciare l'ordine prestabilito delle cose.

Scrive Claudio nel suo testo teorico "Evoluzione/involuzione " ('7I ) : " Se con l'evoluzione si acquisiscono nuove conoscenze, secondo un processo involutivo, inversamente proporzionale, se ne perdono altrettante".

Ad esempio, egli spiega: "...E' andata perduta un tipo di conoscenza sapienzale ed abbiamo anche perduto certe qualità sensoriali che avevamo fortemente sviluppate nella preistoria... ".

Da qui nasce in lui l' incessante e mai sazia ricerca delle origini.

Anche il suo Work in regress si contrappone all' Work in progress di Joyce, poiché Claudio, partendo dal presente, si volta indietro guardando al passato remotissimo per recuperare il senso del magico, del mito e del rito , così estremamente vivo nelle civiltà antiche.

Un approfondimento in tal senso lo conduce, ad esempio, allo studio delle popolazioni primitive dei Maori.

Fa parte del gruppo Arte Antropologica o "Arte delle tracce"" (Spurensichrung '76 - '77), come poetica che analizza il comportamento umano nel corso della storia e, servendosi di indizi, tenta di ricostruire un mondo perduto, distrutto.

Ne condivide le sorti con Boltanski, i Poirier, Graves, Simonds, Le Gac, Bertholin, Lang ecc.

Precisa Giorgio Cortenova nel testo "La forma prenatale: "Arte antropologica? se ce n'è una, Costa ne è certo il promotore in senso assoluto. Prima che i francesi si rivolgessero a quelle piste, prima che i Poirier rivisitassero la casa di Nerone, quando ancora gli artisti degli States non avevano modellato il fango, come Simonds, sul proprio corpo; quando l'antropologia era ancora, soprattutto, il "crudo" e il "cotto", la foresta e il corso d'acqua, la boscaglia e la falce...".

Ma anche in questa ricerca scientifica ribalta la prassi: se l'antropologo parte da reperti rinvenuti nel presente per ricostruire il passato, Claudio (poeticamente e scientificamente) parte da una ricostruzione del passato per arricchire il presente.

Inoltre se in quegli anni attinge ai modelli culturali dell' Arte Povera, del Concettuale e di certi atteggiamenti Fluxus, non rimane mai in una posizione di epigone, ma spazia liberamente ( a causa del suo passato anticonvenzionale da sessantottino, a Parigi) in differenti processi culturali, come appunto l'antropologia, ed ancora la paleontologia, lo strutturalismo di Levi-Strauss, le filosofie orientali, la cultura preistorica fino a quella contadina e industriale.

Claudio guarda anche ai Maestri , Schwitters come proto-collagista, e Cornell per la sua visione del mondo, concentrata in piccole cassette-museo.

Un polo di continuo riferimento lo trova anche in Beuys, del quale condivide la valenza sciamanica e l'aspetto teorico del lavoro, sempre in costante riferimento con la Natura.

Ma se Beuys vede nell'"agricoltura celeste" il miele trasportato verso l'alto, Claudio, invece, scende nell'ombra delle cose, nelle viscere della terra , per attraversare le acque medusiache, la colonna d' aria della follia e il fuoco dell' offerta di sé, in adesione al mito del "salvatore" nell'immagine dell'agnello sacrificale (così ben rappresentata nelle performance dell' "Arcimboldi evocato" , Sarzana '94 e dell' "Appeso", Carrara '94 ).

 

 

La proto-scienza dell'alchimia viene assorbita da Claudio a livello teorico come avvicinamento al carattere empirico del passato, per potersi affidare alla semplicità, mista a sapienza, di una visione del mondo basata essenzialmente su quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco.

Un cammino, questo, affiancato costantemente da una dimensione concettuale che riflette le problematiche odierne.

Una dimensione da intendere come recupero dell' aspetto scientifico poiché Claudio considera scenziato, Duchamp, padre del concettuale, ma anche grande alchimista (ritiene come sua opera alchemica il "Grande Vetro").

In virtù della visione alchemica, che lo ha consapevolmente accompagnato per tutta la vita, oggi, l' intera sua opera va letta secondo questa naturale classificazione :

 

lavoro con la TERRA:

tele acide (campi delimitati); colle (campi delimitati); mappe craniche (carte geografiche); Maori (foresta); antropologia (tutti i lavori con gli oggetti nella terra) Museo di Monteghirfo (oggetti contadini)

 

lavoro con l' ACQUA:

pseudo-paludi; meduse; tutti i lavori con oggetti affogati nella cera; Museo di Colonia con la mostra " Ein Italiener Karton"

 

lavoro con l' ARIA:

forme nere di pseudo-insetti su fondo bianco; oggetti bianchi su fondo bianco; oggetti su lastra di cristallo; Museo-Attivo delle Materie e Forme Inconsapevoli

 

lavoro con il FUOCO:

lamiere metalliche arrugginite con oggetti; lavori africani; progetto Skull Brain Museum - Africa '95

 

 

 

I lavori condotti sul Museo dell'uomo ( '71 - '73) costituiscono un ulteriore esempio, radicale e illuminante, del suo cammino a rovescio: egli partendo dal presente, coi calchi in gesso di teste delle persone, arriva alla preistoria, col calco delle teste di scimmia.

Infatti, con la costruzione di svariati modelli in successione, sempre più simili all'animale, giunge a quel punto strategico dove La creazione volgeva alla fine... ( Edizioni Unimedia di Caterina Gualco, Genova '86).

 

Dice Claudio a proposito del suo sguardo retrostante "... mi sono accorto di avere una memoria fortemente retrograda, con la capacità cioè di poter ricordare accadimenti del passato remoto, ma non quelli del passato recente... E' il mio modo di procedere a tratti induttivi, dagli effetti alle cause, dal particolare all'universale...

E ancora : "... Ho cercato di teorizzare come work in regress, l'insistere del feed back sul ritorno della fase primigenia dell'essere... In realtà essere "retrostante" significa per me essere situato da qualche parte, nel momento in cui mi rendo conto che l'uomo occidentale contemporaneo è pericolosamente lanciato, come palla da biliardo, sul panno-pelle della realtà..." (AFRIca, ed Parise, Verona '91).

 

Nell'inverno, Claudio presenta al circolo genovese Artigianato per Arte e, in un secondo tempo, a Milano, allo Studio Oggetto, la mostra " Le ruggini e gli oggetti: Monteghirfo evocato", curata da Viana Conti e Maurizio Sciaccaluga.

Si tratta di una rivisitazione, in chiave evocativa, e perciò libera nelle trasposizioni mentali, del complesso lavoro di Monteghirfo ('76 - '77).

Con questa evocazione, Claudio ri-presenta oggetti contadini, ma qui si "tingono" di fuoco.

Mi spiego meglio: se a quel tempo Claudio ha lavorato con l'elemento terra ricoprendo gli oggetti con una patina di fango (ad esempio il lavoro "Antropologia riseppellita" del '77), oggi il lavoro evocato corrisponde al momento in cui vive la dimensione del fuoco .

Difatti, su grandi tele da stiro dell' ex o. p., ormai in disuso perché bruciate e consunte, poggiano lamiere arrugginite , gravide di lividi rossastri a guisa di ferite, con incisioni di carattere primitivo.

Su di esse sono depositati, con aura sacrale, attrezzi della cultura materiale come falci, rastrelli, il frate (rudimentale scaldino da letto), forconi, pale, aratro, ecc.

In questi lavori, terra e fuoco sembrano intrecciare i propri ritmi scandendone i tempi.

Scrive in catalogo Viana Conti: " Gli strumenti della terra si appoggiano ai fondali dell'ossidazione, metafora di un divenire, anche se in perdita, realizzando quella figura del ribaltamento, per cui il futuro della ruggine-che-va viene arrestato dall'oggetto-che-fu...".

Maurizio Sciaccaluga aggiunge: "Quando l'artista lavora è molto facile che il cotidie morimur divenga una sollecitazione di vita, che la distruzione appaia come una costruzione e quest'ultima come un possibile disfacimento".

 

In luglio siamo di nuovo in Kenia, affittuari in una casa offertaci da Nino Pezzino, affacciata sull' oceano.

Quest' anno, Nino ha preparato una mostra , proprio a Malindi, in un grande atelier di un suo amico che, per l' occasione, ha interamente svuotato.

Per questo curioso evento Claudio si prepara con fervore.

Dopo lunghe nuotate quotidiane, nelle acque incredibilmente trasparenti, ci affrettiamo a percorrere le coste e l'interno del paese per recuperare oggetti da inserire nelle opere.

Come sempre, queste ricerche risultano gratificanti perché in quei luoghi, le spiagge e le foreste sono colmi di resti.

Lì, i frutti, gli arbusti, i semi, le ossa, gli animali, ecc. hanno fogge e forme differenti dalle nostre e perciò sono ricchi di fascino...

Sulla finissima sabbia, bianca come talco, troviamo conchiglie di tutte le grandezze, pesci palla col ventre gonfio d'acqua e gli aculei ritti sulla pelle, quintali di alghe , frammenti di corallo, scheletri di testuggini, gusci di cocco , foglie di piante inconsuete, manghi e papaie essiccati, legni carbonizzati, ciotole in cocci, corna di bue, canne, filamenti di palma, lische, vertebre di grossi pesci, maschere spaccate, denti di bovini...

Trasportiamo il materiale nel giardino della casa e qui si lavora fino a sera: le tele, le lamiere, gli assi di legno - da usare come supporto - vengono distesi sul prato cosicché Claudio vi può incollare gli oggetti per la creazione dell' opera.

E piano piano, con chili di vinavil iniziano a prendere forma mostri marini, maschere ibernate in sonni eterni, danze di spiriti della foresta, soli irradianti, vulcani in eruzione, sempre sul filo di una sottile concettualizzazione.

Nascono in questo frangente quattro pale giganti (circa m. 2 x 2 l'una) riferite agli elementi alchemici.

Sono pezzi da museo di superba rarità (verranno esposti da Valsecchi a Milano, nel '95).

La "terra" è rappresentata da una grande Porta tinta-cuoio, simbolico centro d' un intrico di strade, circondate da terra bruciata del luogo, stratificata in diversi livelli, mista ad alghe, quale possibile e metafora di "crosta terrestre".

L' "acqua" è visualizzata da una sorta di medusa ruotante a raggera in un ipotetico mare azzurro tempestato di ferite (frustate di colore con strappi di pennello) . Il capo della medusa è costituito da un' aggressiva testa di pesce (martello?), con due orbite così sporgenti da renderla mostruosa.

L' "aria" s'identifica con l'immagine di due polmoni in respirazione, provocata, alla percezione visiva, da impercettibili movimenti causati da spesse e instabili stratificazioni algacee, sbiancate da spruzzi sabbiosi e da pittura a pioggia.

Il "fuoco" è la forza dell' amore, l'urlo delle belve, il sangue del martirio. Una sorta di grande cuore centrale, circondato da nervose mazze di Masai, pulsa violento su uno sfondo di zafferano in polvere.

In questo vortice dorato, le mazze nere sembrano assumere la connotazione di veloci spermatozoi all'attacco.

 

Intanto prendono corpo altri lavori : un grosso tronco di palma, riverso sulla spiaggia diventa un serpente in posizione eretta.

Questo fusto, ricurvo verso l'alto in corrispondenza del capo, è suddiviso in tante scaglie anellari, proprio come la pelle dei rettili; una goccia di vetro azzurro alla sua sommità assume la fantasiosa immagine di lingua lucente.

Un' altra opera suggestiva è l'aratro : un attrezzo costituito da due lunghe zanne di elefante (i manici) si collega ad una gigantesca mandibola posata a terra (il carro). Sopra ad esso, un'altra zanna rovesciata affonda la punta nella terra per simulare la lama che fende le zolle.

Quest' opera, nella sua essenzialità formale, giocata tra i bianchi dell'avorio e le sfumature-tabacco dell'osso, risulta un perfetto connubio tra durezza concettuale e carnalità esotica.

Un esempio ancora più esplicito è fornito da un altro lavoro "Maschera con osso" in cui un grande osso intagliato nel legno è strettamente legato a una maschera costiana (anch'essa scolpita nel legno) con legamenti in iuta, tipici per gli innesti (fotografia in copertina).

Qui è chiarissimo il concetto basato sulla fusione delle due culture, simbolizzato con l'innesto tra l'osso africano e la maschera europea (la maschera nera costiana, è da intendere come presenza nascosta dell' artista).

Un lavoro particolarmente efficace è la Tartaruga: : un' enorme lamiera arrugginita rosso-cupo, a forma di scudo, s'incendia con interventi di polvere sanguigna e, al contempo, si trasforma poeticamente in guscio mediante la squadrettatura della superficie, tipica dei rettili.

La mostra s'inaugura ad agosto presso l' workshop Mimdan, da Kumi na Moja Jioni.

Lo spazio è gremito di kenioti, si vocifera che dovrà essere fatta una personale di Claudio al museo di Mombasa, ma ne è mancato il tempo e intanto sono cambiati gli assetti politici.

 

Al tramonto, con lo smorzarsi della luce e con l' andarsene dei bagnanti, la sabbia improvvisamente sembra assumere le sembianze di una materia in ebollizione: migliaia di granchi escono allo scoperto , zigzagando come impazziti sulla candida polvere per poi scomparire di nuovo in micro-gallerie.

Claudio prende spunto da questo scenario per illustrare un suo pensiero: " La lunga spiaggia bianca di Malindi, quando c'è bassa marea, è punteggiata da piccoli buchi abitati da diafani granchietti.

Corrono fuori - qualcuno li guarda - tornano dentro - nessuno li guarda - corrono fuori...

Questa è una possibile allegoria della mia estetica "sotterranea"... i cui punti di riferimento si trovano in una terra di nessuno, ai bordi dell' ufficialità artistica, ricca di una esteticità forte ... suffragata da un ampio consenso critico e mercantile.

Il mio senso estetico interno all' opera riguarda piuttosto la parte intima e segreta delle cose come un fiore sbocciato dalle fenditura della roccia o gli antichi gesti dell'uomo..." (ib).

 

A dicembre siamo a Kampala, in Uganda, per la nascita di Jennifer.

Questa città si trova ad altezza superiore i 1000 m. e situata in un verde zona lussureggiante, in virtù della quale viene chiamata "giardino dell' Africa".

E' stata bombardata negli anni '70: ciò è riscontrabile negli squarci delle case, oggi ancora visibili.

Qui andiamo a comprare al mercatino perché, ci dicono, si possono trovare pelli di coccodrillo, serpente, armadillo, leopardo, e ancora strumenti musicali a corde, cetre, tamburi, gusci di tartaruga ecc.

Vi troviamo un originale oggetto che Claudio fissa subito ad una tela.

Si tratta di una specie di pallottoliere , le cui palline sono sostituite da pesci secchi.

Ora, questi pesci-infilzati sono andati a creare una specie di Slitta che scivola in un percorso rotante, una sorta di via lattea che s'incurva in uno spazio ad alta tensione.

Un altro lavoro è particolarmente espressivo: la forma di un grande cuore in ruggine, fornito di legno ricurvo dei caschi di banane, nella funzione di ipotetico picciuolo da frutto: un simbolico frutto espresso nell' arsura di sabbie tropicali e nella polvere ferrugginosa raschiata da zampe feline.

 

 

Patrizia e Shaun hanno accompagnato Claudio alle sorgenti del Nilo e qui lui ha potuto conoscere un vecchio stregone, capotribù.

Al ritorno dal viaggio, Claudio mi racconta che l' anziano sciamano lo ha fatto accomodare in una capanna, e lasciato solo, non prima di averlo avvisato che avrebbe sentito le voci dei morti.

Così è stato.

Claudio è favorevole alla naturalità della magia primitiva tanto che gli è stato facilissimo accettare il fenomeno, al di là di verifiche intellettualistiche.

In questo frangente mi spiega : "Nel mondo ci sono cose razionali verificabili scientificamente, ma vi sono fenomeni inspiegabili a qualsiasi ragionamento. Io accetto il significato del mistero, il senso del miracolo.

L' universo è composto di luce e di ombra, la nostra vita si svolge per metà al sole e per metà nella notte, dove i pensieri si scollano dalla norma societaria per inseguire i fantasmi dei nostri desideri, delle nostre paure, del nostro inconscio.

La magia misterica è l'ombra della notte: integra ed alimenta quella parte logico-intellettiva così come l'ombra ritaglia il corpo nella luce...".

 

1992

Se da un granello di sabbia è nata una pietra, oggi quella pietra è diventata pietra d'angolo.

L'Istituto delle Materie e Forme Inconsapevoli ha dato il primo frutto : il Museo omonimo (con la scomparsa dell' artista è stato denominato Museattivo Claudio Costa).

Tutto è nato per caso, un caso necessario.

Claudio ed io organizziamo un ciclo di incontri culturali ( nell'atelier dove al mattino lui insegna ai pazienti) invitando alcuni artisti professionisti genovesi a dare un breve saggio del loro lavoro.

Un saggio consistente in una piccola prova di disegno, di pittura, di animazione, di pittura ad affresco, di lavoro con la creta, ecc. corrispondente al linguaggio dell'artista.

Sono invitati a presenziare amici esterni, degenti, medici e psicanalisti .

La motivazione più evidente è quella di fornire ai pazienti psichiatrici la possibilità di apprendere nuove tecniche ma, più in profondità, auspichiamo che forze esterne valichino le mura del manicomio affinché si possa avviare una stimolante contaminazione fra queste energie e quelle interne, carenti di creatività.

Così è successo, quest' anno sono venute a Quarto diversi artisti: Aurelio Caminati, Plinio Mesciulam, Raimondo Sirotti, Lele Luzzati, Claudio Martinengo, Antonio Porcelli, Luisella Carretta, ecc.

Io, con una breve presentazione, introduco criticamente l'artista che, subito dopo, si avvia a illustrare il proprio lavoro.

Lo fa, tenendo conto sia dell' aspetto manuale che di quello teorico, specificando la scelta della tecnica adottata come della poetica preferita.

Sono questi momenti di grazia: i degenti e gli psicologi s' interessano e non smettono di fare domande; gli artisti, poco abituati a parlare di sé, spiegano volentieri le loro scelte, raccontando anche curiosi aneddoti personali.

Con gli amici si sognano progetti: qualcuno si avvera.

Ne è un esempio la mostra "Evocare Colombo" ('93) che si allarga anche ai giardini.

Gli elaborati degli artisti vengono appesi nell'ampio atelier, accanto a quelli dei degenti, eseguiti al mattino lavorando sotto la guida di Claudio.

Un giorno succede che spariscono due opere: la prova di affresco di Caminati (ce ne offrirà un'altra) e un piccolo formato a tempera (o pastello) di Sirotti.

Iniziamo a comprendere la precarietà del luogo, così inaffidabile.

Claudio pensa a una soluzione: ospitarli in uno spazio più grande e sicuro. Viene individuata la ex sala cinema.

In pochissimo tempo tutti i lavori vengono trasportati in quell' ambiente e appesi con lo stesso ordine che avevano originariamente nell' atelier: opere di degenti mescolate con opere di artisti.

Questo spazio, in un secondo tempo, viene ufficialmente chiamato Museo-Attivo, delle Materie e Forme Inconsapevoli, dal nome dell' Istituto omonimo, fondato da Claudio Costa, Antonio Slavich, Luigi Maccioni ed io.

Ben presto Maccioni si trasferisce e non abbiamo più avuto modo di vederci.

In un secondo tempo inizia la nostra collaborazione con l' amico fraterno Gianfranco Vendemiati che, con la scomparsa di Claudio, assumerà la presidenza dell' I.M.F.I. (Istituto Materie e Forme Inconsapevoli).

"L' idea portante del Museo-Attivo si basa sul presupposto che l' arte può vivere la sua libera avventura nel mondo, al di fuori di schemi precostituiti o di classificazioni definite e che esiste come supporto creativo per una rinnovata socializzazione.

In questo caso, il Museo cerca di raccogliere, senza alcuna separazione, ESPRESSIONI artistiche sia di persone con problemi psicopatologici, sia di artisti professionisti che hanno liberamente aderito all'iniziativa: tutti accomunati dal profondo desiderio di comunicare, di partecipare il proprio universo interiore" ( atti del convegno: "Arte, luoghi, percorsi e voci", Genova-Quarto '93).

Sui propositi del Museo ci sono state forti incomprensioni con i critici genovesi Gianfranco Bruno e Germano Beringheli, forse per mancanza di un dialogo chiarificatore da ambo le parti.

Per il primo è difficile accettare che gli elaborati dei degenti possano essere considerati opere d'arte. Per il secondo non è possibile accostare opere consapevoli di artisti professionisti con elaborati di pazienti che casualmente possono avvicinarsi all'artisticità.

In realtà, le opere dei pazienti sono esposte nel Museo-Attivo non in quanto opere d'arte (può darsi, forse, che i lavori di Davide Raggio abbiano una qualche valenza artistica) , ma per sottolineare il nostro desiderio di CADUTA DELLE BARRIERE tra "dentro" e "fuori", tra chi è professionista e chi non è niente, e costituiscono il frutto di PERSONE che non hanno voce in capitolo.

Per fortuna oggi il manicomio è CHIUSO.

Gli spazi "chiusi" sono finiti.

Certo, la malattia rimane, ma è cambiato il modo di rapportarsi.

Come dice lo psichiatra ( scopritore di Carlo) Vittorino Andreoli, ormai non ha più senso distinguere arte culturale e non culturale. Il termine Brut riguarda , il passato, la storia (vedi registrazione dialogo tra Claudio Costa e Sandro Ricaldone).

 

Invece, il corpus di opere del Museo manicomiale, concettualmente, sono da considerare "opera d'arte" di Claudio Costa.

Questo perché accanto all' aspetto sociale del Museo, c'è da valutare un altro aspetto intenzionalmente voluto da Claudio: quello secondo cui il Museo è da considerare frutto di un' operazione artistica.

Si tratta di un atteggiamento concettuale basato sullo spostamento dell'oggetto enunciato da Duchamp, ma applicato a rovescio secondo la teoria costiana.

 

 

E cioè: se Duchamp sposta l' oggetto e lo porta nel Museo per fornirgli lo statuto di Opera d'Arte, al contrario Costa sposta il Museo attorno all'oggetto, fornendogli lo statuto dell' arte.

 

Per cui: il contesto del luogo di appartenenza (dell'oggetto) si trasforma in MUSEO e l' oggetto contenuto in OPERA d' ARTE

 

Di conseguenza, la struttura manicomiale si trasforma in Museo e i lavori dei degenti e degli artisti in Opera d'Arte: opera d'Arte firmata Claudio Costa.

Esattamente come l'operazione di Monteghirfo (vedi capitolo precedente).

Ma, se con Monteghirfo, il Museo corrisponde al segno "TERRA", quale lavoro sulla civiltà materiale (Monteghirfo), qui, il Museo di Quarto s'identifica invece col segno "ARIA", come lavoro compiuto sulla follia.

Infatti, il termine folle deriva dal latino follis = pallone, mantice (gonfio d' aria).

Per l' elemento "ACQUA", Claudio considera Museo la galleria di Colonia che ha ospitato le cassette dei lavori in cera chiamati "pseudo-paludi" con la grande mostra intitolata "Ein italiener Karton" ( Un contenitore italiano).

Con l' elemento "FUOCO" s' intende il lavoro condotto sull' Africa

che si conclude col progetto "Skull Brain Museum - Africa '95"

 

La tipologia museale è particolarmente cara all'artista: sovente ne fa uso, sia come mezzo di protezione del lavoro, sia come suggello a conclusione dell'opera.

Infatti tutto il suo percorso è suggellato dall' istituzione d' un Museo, come segno del finito, ogni qualvolta giunge alla conclusione di un ciclo.

 

Con l'aiuto di questo schema è possibile tracciarne le tappe:

 

TERRA dal 1969 al 1976 = Museo di Monteghirfo

 

ACQUA dal 1977 al 1984 = Museo di Colonia : "Ein italiener Karton" (Un Contenitore italiano)

 

ARIA dal 1985 al 1992 = Museo-Attivo delle Materie e Forme

Inconsapevoli

FUOCO dal 1990 al 1995 = Skull Brain Museum - Africa '95

 

E con quest' ultimo segno l'anello si chiude.

L' opera dell' artista è conclusa.

 

Un' installazione di Claudio, dedicata alla follia nel segno dell' Aria è "Il Lapis è nell' Eiectus" ('91), realizzata nel manicomio torinese di Villa Azzurra a Grugliasco, ove abbiamo lavorato con il gruppo "Arte come Evocazione" ( "Arte come Evocazione", Miriam Cristaldi ed. varie, Torino 90 - 92).

Con "Il Lapis è nell'Eiectus" ('91) egli "... ri - genera e re - inventa, attraverso agglutinazioni indefinite, materiali in disuso, oggetti abbandonati, fornendo allo scarto e ai rifiuti un nuovo stato auratico".

Nella stanza vi sono rimasti comodino e armadio distrutti, con al centro una branda di ferro arrugginita, fornita di materasso e cuscino.

A terra cocci di vetro, carta straccia, calcinacci caduti dal soffitto.

Proprio la bianca coltre di calcinacci diventa metafora dello stato di rovina psichica o dell' annullamento della personalità, cioè il "niente" dell' essere (eiectus), mentre la possibilità della rinascita, di una ricostruzione dell' essere ( lapis ) è metaforizzata da una pietra rivestita in foglia d' oro (pietra filosofale), posata sul candido letto.

L ' installazione si conclude con l' azione di Claudio quando con una bombola spray diffonde in tutta la stanza una nuvola di schiuma bianca che offusca la visione.

Nuvola da leggere come immagine della follia, nella simbologia di un fumo avvolgente che oscura il mondo visibile per debordare nei misteriosi segreti dell' inconscio.

 

In unione col pensiero di Claudio scrivo per questa occasione: " Gli ex ospedali psichiatrici, in attesa di una riforma della riforma, sono diventati già da tempo come tante carbonaie, dalle quali si sprigionano segnali attenzionali di fumo, pilastri d'aria - visibili con gli occhi del pensiero - che ci suggeriscono la follia non come spettro di paura, ma come possibilità altra di comunicazione , e soprattutto come punto di analisi e di confronto per una nostra proficua ecologia della mente...".

Ho preso a simbolo il fumo come immagine che " ... evoca la rarefazione, la perdita della ragione, l' ebbrezza, l' inconsistenza produttiva, il fastidio fisico del niente... si potrebbe dire che fuoco e fumo si equivalgono perché se il fuoco è il significato del mondo, il fumo ne è il senso lato del significante..." (ib).

 

Durante lo svolgimento di questi eventi evocativi, Claudio spiega che sta concludendo il lavoro sulla follia, nel segno dell' Aria , e che , con le ruggini e l' Africa ('90) è già entrato nell' elemento Fuoco, ad essa strettamente legato...

 

 

Nella ricorrenza della scoperta dell'America, con Paolo Minetti, curo la mostra "Evocare Colombo: un viaggio virtuale", negli ambienti dell'ex o. p.

Qui esponiamo anche negli spazi dei giardini per "... rimuovere tonnellate di BARRIERE e di inferriate, aprendo nuovi tragitti interni all'isola-manicomio. Il perimetro è già aperto ma è sempre un muro d' "aria"... ". (Antonio Slavich , testo catalogo).

Con la similitudine del viaggio colombiano "... ogni artista ha potuto compiere un viaggio all' interno del proprio vissuto e della propria coscienza per... mettere a fuoco quella parte "inconsapevole" così tenacemente nascosta e segreta di ciascuno di noi, e renderla intelligibile a sé stessi e agli altri...". (Miriam Cristaldi, Evocare Colombo, '92).

Sono stati invitati circa una quarantina di artisti (i degenti hanno esposto in pochi poiché i loro elaborati riguardano più la tecnica del disegno e della pittura, in formato ridotto ) non tanto per scelta di tendenza, quanto per i sentimenti di stima e amicizia reciproca e per l'interesse da loro dimostrato sulle problematiche legate alla salute mentale.

Il lavoro di Claudio consiste in un cuscino metallico arrugginito ( l' abbiamo recuperato in una visita alle cave di marmo di Carrara, ove è utilizzato per dividere i blocchi di marmo) sul quale è deposta una lastra corrosa dai funghi della ruggine.

Su di essa è fissato un bucranio di bronzo alla cui sommità giace un algido calco di viso dormiente.

E', questa, una composizione capace di metaforizzare la morte dolce della mente che riposa sul cuscino della follia.

 

Intanto a Rossiglione, un paesino dell' entroterra ligure, Claudio crea una serie di lavori (nati esclusivamente sul luogo), per la galleria Martini & Ronchetti, denominati "Concerto Barulé".

Claudio e io andiamo diverse volte nella casa Barulé (ci siamo fermati anche una o due notti ), un' abitazione contadina immersa nel verde della campagna.

Lì, abbiamo trovato antichi legni di palizzata, mestoli di rame, vecchi coppi , tronchi d'albero incavato, porte centenarie in legno sfibrato, una stufa in ghisa, gusci di tartarughe decrepite, violini scordati, pentole arrugginite, attrezzi contadini, funghi essiccati... ogni piccola e insignificante cosa diventa per Claudio una miniera di significati, una traccia per partire mentalmente in una dimensione evocativa.

Ad esempio, una pietra larga e sottile, circondata da un' affilatissima lama di falcetto, suggella l'abbraccio inscindibile tra natura e cultura (nel segno della terra ).

Una manciata di funghi, gettati nel bagno di cera calda, attorno alla sagoma di un violino, compongono l'opera "Concerto Barulé".

Pare infatti che, nell'acqua azzurrina, danzino delicate ninfee di Monet come suadenti note emesse da un magico strumento musicale (nel segno dell' acqua ).

Nell' opera "Il viaggio della tartaruga", una lamiera incurvata a dorso di questo animale e con quattro rami laterali, sembra assumere la morfologia del rettile fissato su lastra di cristallo. Un rettile che sembra spiccare il volo nello sfondo della vallata (nel segno dell'aria).

 

Con "Pelleruggine", una lamiera metallica, ritagliata a forma di bovino scuoiato, è appesa a parete come pelle incendiata nel fuoco della ruggine; interventi pittorici si depositano sulla fioritura metallica a guisa di tatuaggi indelebili nel tempo (nel segno del fuoco ).

 

Alla galleria Tauro Arte, di Torino, viene allestita una grande mostra sui "Lavori africani" . L opera più concettuale, e al contempo più primordiale, è quella della "Scala", composta da tronchi forati di palma, evocante l ' immagine di pifferi giganti, posati obliquamente sulla scala.

Da qui il doppio significato: scala musicale e naturale.

A questa visione se ne associa un'altra: paiono materializzarsi reperti fossili di preistoriche zampe d'elefante.

 

Commenta Francesco Poli : "Le sue nuove costruzioni plastiche da un lato rispettano l'anima primitiva, ma dall' altro rivelano a una lettura più attenta un carattere raffinato e intellettualmente complesso... Costa non è naif, anzi è tutto l' opposto per coscienza critica e maturità culturale...". E ancora: "... l'originalità dell' opera di Costa emerge dal rapporto più stretto possibile con le fonti più dirette dell' originarietà, l' Africa...".

Un altro lavoro straordinario è quello delle "Ossa d' Africa" , otto gigantesche ossa che variano da uno a due metri di altezza, scolpite in tronchi di essenze africane dallo scultore Muthama Ngundo, su progetto di Claudio.

Queste ossa, posate a terra, accavallate, si rifanno all' immagine del profilo d 'osso disegnato sulla parete come simbolo archetipale dell' origine del mondo.

Osso come struttura portante, scheletro che indica la forma, corpo primigenio che permette di esistere, asse del mondo, scatenante varietà d' interconnessioni che vanno a tessere le maglie della pelle, del profondo, della materialità, della magia, della carne, e della morte...

 

 

Quest' anno siamo ancora in Africa, questa volta a Dakar, in Senegal, in un piccolo appartamentino offertoci dall' Istituto italiano di Cultura, sotto segnalazione della gallerista romana e cara amica Mara Coccia, che ha proposto Claudio all' attenzione di Alberto di Mauro, presidente dell' Istituto.

Qui si ripete la ritualità della cernita dei materiali e dell' oggettualità autoctona.

Ricchi di sorprese risultano i negozi di antichità ove troviamo affascinanti maschere antiche, costruite artigianalmente dagli scultori del luogo.

Queste maschere senegalesi sostituiranno in parte le maschere costiane e abbonderanno nei prossimi lavori.

Alla fine del nostro soggiorno (circa 20 giorni), nella sede dell ' Istituto, Claudio allestisce una mostra delle opere realizzate lì: gli artisti del posto rimangono così impressionati dalla commistione delle due differenti culture che lo inviteranno a insegnare, il prossimo anno, ai giovani artisti senegalesi.

Intanto, invitato alla V° Biennale d' Arte di Dakar" (tra i rappresentanti dell' artisticità italiana), presenta un pezzo esemplare: una grande ruggine a forma di piazza, dalla quale dipartono un intrico di strade , sembra simboleggiare la capillare funzionalità del "cuore".

Vi si posa sopra un piccolo strumento musicale africano, quale forma suadente, capace di " suonare " la musica del cuore.

Il caldo zafferano del fondo, coi rossicci delle terre e i bianchi della calce, segna appassionati accordi.

 

Siamo nuovamente in Africa a Malindi, da Nino, per la terza ed ultima volta.

Tra i tanti lavori realizzati, uno è estremamente significativo: si compone di tre grandi pannelli in legno, di fondo bianco, su cui s' intrecciano sedimentazioni lignee, pelli di animali, pale, cocci, arbusti carbonizzati, noci di cocco... Insieme, materializzano un immaginario di assolate dune, infuocati cieli, terre combuste, liquidità marine ... (senza volerlo mi accorgo di aver descritto i 4 elementi).

In tutti e tre i pannelli appare una forte concentrazione energetica espressa in scìe ondose, fibrillazioni segniche, scuotimenti tellurici.

Le cromie insistono sui toni dei rossi-magenta , passando dall' oro delle sabbie ai neri delle combustioni.Si alternano i bianchi accecanti.

Al nostro rientro, casse di lavori partono per l' Italia.

 

 

In questo momento, il lavoro di Claudio si arricchisce di un nuovo simbolo, il cuore, inteso come organo inscindibile dal cervello.

I due organi fisiologici dell' uomo, quali simboli del sentimento e della ragione, d' ora in avanti saranno sovente presenti per codificare l ' immagine della "Maestà dell' uomo".

Claudio, proseguendo nell' atteggiamento antropologico, desidera teorizzare il raggiungimento di un' "armonia dell ' essere", ottenibile con l ' uso proporzionato delle due facoltà umane come appunto la ragione e il sentimento.

Se negli anni '70 fissa l 'attenzione esclusivamente sul cervello, oggi si allarga all' imprescindibile funzionamento del cuore, a esso strettamente congiunto, secondo un equilibrato dosaggio.

Il titolo di Maestà corrisponde a re e a imperatori, ma è anche possibile riferirlo a un' alta dimensione umana che si può visualizzare nella congiunzione del mondo divino con quello umano.

La maestà dell' uomo o la regalità nella storia antica s' identifica con la figura dell ' eroe che non prende parte attiva nelle battaglie (per non subire la morte procurata da altri) e che si sacrifica sottoponendosi al rito della propria uccisione.

La regalità, in molte civiltà, è sinonimo di vitalità e di salute e perciò estranea alla progressiva distruzione corporea della vecchiaia...

In alchimia la regalità è posta in relazione col sistema dualistico re-regina, sole-luna, o alle parti di una coppia alla ricerca della conoscenza, in alchimia rappresentabile con la figura dell' androgino (" La casa dell' androgino", '92).

Maestà come difficile percorso di conoscenza, basato "sulle ragioni del cuore e del cervello" .

Maestà non per nascita, ma come risultato d' un cammino, passando per la discesa agli inferi (La casa di Dioniso ", '93) fino alla salita nell 'olimpo (Alveare terrestre, alveare celeste, '93).

Dice Claudio : "I miei cuori e i miei cervelli in bronzo o cera vogliono rappresentare l' uso della razionalità e del sentimento in proporzioni equiparate e, al contempo, simboleggiare il femminile e il maschile (la donna è cuore che cerca il cervello, l' uomo è il cervello che cerca il cuore), divisi nell' identità ma uniti nell' amore...".

 

 

In ottobre partecipiamo entrambi al Forum Internazionale per la Salute Mentale e le Scienze Sociali intitolato "Percorsi delle Difese e delle Libertà", tenuto negli spazi e giardini "liberati" dell' ex o. p. di Genova-Quarto.

La foto del dépliant corrisponde all ' opera "Terre emerse" di Claudio.

Si tratta di un ciclo di lavori , proseguito nell' anno successivo, che evoca le pseudo-paludi (segno dell' Acqua) ma con esiti diversi. (vedere capitolo successivo).

Ricordo quando, nell' atelier di Quarto, chinati a terra sulle grandi vasche metalliche, a turno, sciogliamo i pani di cera industriale con la fiamma ossidrica: chi tiene la canna del fuoco in mano e chi sagoma la cera versando gocce di acrilico blu per simulare l'acqua marina.

Una di queste mattine entra in studio Slavich e meravigliato esclama : "Finalmente Claudio! questo colore blu, inusuale per te, riempie tutta la stanza di grande allegria...".

 

Invitati dall' amica Rosanna Chiessi, a Natale siamo a Capri, a Villa Curzio Malaparte: una grande costruzione rosso-pompeiano con ampio terrazzo sul tetto.

Qui, alla sera, l ' artista Philip Corner esegue una performance con un lungo strumento a fiato.

Per questa occasione, Claudio crea un lavoro magico: attorno a un sottile tronco d'albero, recuperato nel giardino, fa una fasciatura.

Il bendaggio serve a legare il legno del ramo con un oggetto della casa simulando un autentico innesto.

Protegge l' operazione una rete (sicuramente da pesca) che avvolge come bozzolo tutto l' innesto.

E' qui evidente lo spostamento di senso della rete e l 'abbraccio poetico tra natura e cultura.

 

1993

 

"Le case dell' essere" è il titolo della mostra presentata da Claudio a Castelfranco Veneto, nell' antica Casa del Giorgione.

Questa è una mostra particolarmente significativa in cui l' intenso e avvolgente profumo di miele, sparso nelle sale, stimola fortemente il senso dell' odorato, a causa della presenza di questo materiale auratico. Abbiamo conosciuto un apicoltore nell' entroterra ligure che ci ha fornito in abbondanza favi con cellette colme di miele, api essiccate (tra cui un' ape regina), cera odorosa nelle cromie del biondo-ramato.

"La musica del cervello" è un' opera composta da un enorme guscio di testuggine, entro cui "galleggia" cera sciolta.

Questo secolare reperto africano poeticamente sembra trasformarsi in arca-veliero alle cui sommità si tendono corde per congiungersi all' albero dell'imbarcazione.

Ma l 'eccessivo numero dei fili, tesi ad arco, traspone l' immagine in corde di una possibile arpa birmana.

Inoltre, l ' aerea forma poggia su di un apparecchio da elettroshock così da visualizzare la simbologia d' una allusiva melodia della mente.

"Il pane e il miele" è invece un lavoro costruito con l' asse per fare il pane, ancora spruzzato di farina, su cui sono posati attrezzi contadini come due favi di miele, un mestolo colmo di cera e uno sgualcito zaino militare.

L 'assemblaggio di questi oggetti fornisce metaforicamente l' immagine d' un grande insetto, nella foggia di simbolico "pane" da cuocere al calore del desco.

Nell' opera "Il glomere della regina", due fotocopie simmetriche di emisferi cerebrali (il maschile) coronano , al centro, una venere steatopigia in terracotta ( il femminile), che giace tra le cellette d' un favo.

Tutt' intorno, semi sparsi, gocce di cera e spruzzi di zafferano (portato dall' Africa), concorrono a tessere una superficie abbagliante quanto la luce del sole.

Con "Lo stato virtuale dell' essere", Claudio presenta gli elementi Acqua e Aria, chiusi in teche di vetro.

Nell' una troneggia un cranio umano (sono gli ultimi esemplari che Claudio possiede) sormontato da un cervello in cera, affondato nell' acqua fino alla sommità (simbolo del re); nell'altra campeggia un secondo cranio su cui si adagia un gonfio favo di vespa (simbolo della regina).

Le due figure rappresentano la vita dopo la morte nella dimensione di assoluta virtualtà.

In una sala a parte, Claudio installa "Alveare terrestre, Alveare celeste", opera complessa costituita da 50 piccole forme a celletta d' ape che vanno a comporre un ipotetico mega-alveare sul pavimento.

Ad ogni cella, al centro, vive una piccola venere steatopigia (l' ape), in doppia versione di terracotta e bronzo, metafore dello spirito e della materia, dell' umano e del divino.

Prende così corpo l' alveare quale frutto del lavoro dell' ape alchimista, simbolo dell' Opus alchemico dell' uomo, nella trasposizione d' una condizione primordiale gloriosa.

Scrive in catalogo Tiziano Santi: " Leit motif dell' intero ciclo di opere "Le case dell' essere" è l' insetto primordiale, l' Ape, con la sua incessante opera di trasformazione, la sua alchimia, il suo aureo colore e i suoi aurei prodotti... L' alchimia ha svolto nel lavoro di Costa un ruolo fondamentale come l' analogo di un percorso salvifico e rigenerante...".

Aggiunge Maurizio Nicosia : " Un contenitore che contiene un contenitore che contiene un contenitore ... La casa dell' Essere, come l' ha pensata Costa, si potrebbe ridurre a questo sistema perpetuo... Costa pensa il contenitore come luogo dell' origine, come luogo arcaico e arcano: la casa, il favo, la coppa, la nave, il grembo, delle veneri steatopigie definite le "figlie del sole": tutti contenitori che l' immaginario connota sessualmente e associa a meditazioni d' intimità...., in realtà è un ossimoro ermetico denso di opposizioni...".

 

"Terre emerse" è il titolo di un ciclo di opere esposte da "Soave" ad Alessandria, nate in corrispondenza col Forum Internazionale per la Salute Mentale e le Scienze Sociali, tenuto a Quarto nell' ex o. p.( al quale noi partecipiamo), intitolato "Percorsi delle Difese e delle Libertà", promosso da Antonio Slavich.

In questo convegno si mette a fuoco la fisionomia degli ospedali psichiatrici dopo la riforma, bisognosi di ponti comunicazionali con l' ambiente esterno affinché non rimangano "isole" silenziose di solitudine. S' individuano proposte di carattere artistico fuori da accademismi, che possano collegare gli spazi della follia con quelli della normalità, attraverso un cammino che Gregory Bateson chiama "ecologia della mente".

Le "terre emerse " sono contenitori metallici o di legno, entro cui frammenti di lamiere arrugginite si ergono a "isole rocciose" , immerse in un mare di cera sciolta.

Queste isole, piccoli atolli di terra sorgenti da mari ghiacciati, sembrano galleggiare in memorie d' oceani segnati da profondità abissali: quasi un universo incontaminato dove la fisicità aspra di rocce infuocate (fioritura della ruggine), contrasta con le dense stratificazioni delle acque cobalto (gocce di colore acrilico sciolte nella cera) congelate in morse di freddo.

Nasce l' idea di trascendenza riflessa nella natura vergine, ma al contempo specchio di possibili catastrofi qualora l' abuso dell' uomo prenda il sopravvento.

Scrive in catalogo Andrea del Guercio: " quelle durezze imprescindibili che fanno parte della storia dell' uomo, del suo passato e del suo presente, insieme a quella ricchezza e a quella vitalità aggressiva che ha caratterizzato per anni il lavoro di Costa, si rivelano oggi smussate da quel bagno luminoso e diafano, per presentarci nuove emozioni e una più intensa liricità privata...".

Marisa Vescovo prosegue: " Queste irridescenze misteriose, luce, acqua, cielo, balenio, rivelano in arte la "gestione di un mondo nuovo" che ora è visibile nell' azzurro al di là dell' oscurità dell' Es, del bene e del male. Costa torna alle immagini che "abbiamo" volendo rendere visibile.... ciò che si è mostrato nelle rivelazioni".

Mi dice Claudio: " lavoro sul filo della meraviglia, in questo nuovo sole che illumina il mio lavoro c'è la luce baluginante dell' Africa.... ora i contrasti sono più forti, le emozioni più intense, il mio essere guarda lontano...".

 

A Villorba (Treviso), invitato dall' amico Rolando Bellini per la mostra "Terra d' Artista" a Villa Domenica, fornita d' un lussureggiante parco, Claudio installa sul prato "Prehistoria evocata", una larga tela africana (in corteccia d'albero) su cui giace una curiosa forma di salamandra-dinosauro primordiale.

Un tronco di palma, sormontato da coppi arrugginiti diventa "colonna vertebrale" di questo strano animale composto da dieci zampe in legno;

per capo un bucranio bianchissimo che contrasta con i rossicci della palma e il brunito dei vecchi metalli.

Qui sembra percepire la forza latente della terra africana, capace di risvegliare passioni sopite del mondo occidentale, virtualizzate nella complessità tecnologica del "villaggio globale".

 

In ottobre, siamo a Roma, ospiti dell' amico Pietro Caporrella, fonditore dei lavori in bronzo di Claudio, Spoerri e Arman.

Insieme a scultori curdi, francesi e italiani, Claudio partecipa a "Mare Nostrum", una mostra permanente (con relativo convegno) realizzata nel parco della Fonderia, che unisce idealmente gli artisti affacciati sul Mediterraneo.

Accanto all' installazione composta da due lamiere che stritolano oggetti contadini, Claudio presenta i lavori sulla cera, esposti nella casa del Giorgione a Castelfranco Veneto.

 

Nasce la teorizzazione sulla Virtualità con la proposizione di tre avventure artistiche, come sempre realizzate in spazi non specifici per l' arte.

Questa volta siamo a Sarzana, invitati dall' artista Carla Sanguineti, nell' ex biscottificio Falcinelli con "La presenza della virtualità, arte come pre-"

In quest' occasione, gli artisti trasformano idealmente la fabbrica dismessa in una immaginaria nave pronta al varo.

Claudio, sulla parete del forno, installa il '" Sonno sospeso degli angeli", realizzata a Dakar l' anno precedente.

E' questa, un ' opera di grande fascino: si tratta di una pelle essiccata di bue, stesa nella sua ampiezza, su cui è posato un "angelo" composto da una maschera senegalese in legno rappresentante un volto dormiente, con la bocca chiusa in un sorriso serrato.

Invece, il busto è modellato da una vecchissima ruggine raccattata nelle discariche di Dakar. Essa è talmente consunta, da apparire alla percezione visiva come un pizzo traforato da un misterioso ricamo.

Un gesso azzurro crea patine di cielo sull' ovale del viso e sul pizzo delle ali, mentre un filo d' oro, obliquo, taglia la composizione a metà.

Il viso dell' angelo, reclinato dolcemente sulla spalla, è il centro irradiante dell' opera, sembianza dell'arcangelo Gabriele nell' annunciazione divina.

L' immagine che nasce è quella di un continuo rimando dal terreno al sovrannaturale, dal reale al virtuale nella dimensione onirica d' un sogno aurorale.

 

 

Intanto pubblichiamo gli Atti del convegno "Arte: luoghi, percorsi e voci, arte fra virtualità e oggetto estetico, la creatività nell' espressione terapeutica", promosso dall' I.M.F.I.

Con quest' opportunità Claudio ha modo di affermare : "Attraverso il linguaggio simbolico, l'Arte spiega, in modo distinguibile, la difficile esperienza interiore che non potrebbe essere comunicata con un linguaggio o un pensiero discorsivo... l' artista è dunque un costruttore di simboli e usa spesso la forma analogica della mente riuscendo a conservare, grazie alla sua coscienza fortemente paradossale, quell' individualità che la società tende a rendere collettiva... La forte individualità dell' artista, si nutre principalmente dei simboli contenuti nell' inconscio".

Sulla copertina del dépliant viene pubblicato un lavoro fotografato di Claudio e da lui digitalizzato con interventi a computer.

L' immagine è quella del cuore unito al cervello: ma qui i colori sono così accesi da apparire modelli splendente d'un universo virtuale ad alta definizione.

 

 

Siamo nuovamente a Dakar, questa volta in albergo.

Claudio insegna, nella scuola d' arte, gestita dall' Istituto Italiano di Cultura.

La scuola è una costruzione moderna, dipinta di rosa, con un piccolo giardino; lì ci sono artisti francesi e senegalesi con cui familiarizziamo e pranziamo insieme (mangiano con le mani manciate di riso al sugo).

Qui Claudio crea un lavoro che incanta gli allievi.

Si tratta d' un grosso e lungo pane francese (quasi un metro) riempito di vinavil che, fatto seccare, diventa sodo come pietra.

Alla sommità del pane installa un bucranio, ricostruito in terracotta, che appare più vero del vero.

Si metamorfizza così un invasivo totem tribale nella forma simbolica d' un pasto aureo.

Gli artisti senegalesi si mettono anche loro a costruire bucrani d' argilla e applicare collage.

Numerosi sono i lavori che riusciamo a realizzare e tutti così ricchi di espressioni esotiche (calibrate nella logica formale), da pensare ad una possibile, futura, grande esposizione in Europa di tutta l' immensa opera africana ancora integralmente inedita.

Sarà una sorpresa inimmaginabile.

Claudio prepara intanto la mostra per la Galleria d' Arte Nazionale di Dakar.

Qui egli installa anche lavori che giungono da Malindi e che insieme partiranno per l 'Italia.

L ' inaugurazione è un successo: pieno di senegalesi che apprezzano, meravigliati, i loro oggetti (strumenti musicali, maschere, frutti, reperti animali, vasi di terracotta...) incollati su pannelli per diventare fantastiche forme trasfigurate.

Ci sono le autorità con le mogli.

Non ho mai visto Claudio così felice.

" In Africa i segni sono forti.... sento che devo difendere la mia opera perché non venga schiacciata da questa forza pericolosa...", mi dice Claudio.

Perciò si misura con forme sintetiche ed espresse in grandi dimensioni.

Scrive di lui Giorgio Cortenova in "Forma prenatale" : "... Claudio Costa si misura da sempre con l' Africa. Tuttavia aveva finora evitato la forma.

Adesso no; non la teme più e ce la propone; il suo work in regress lo ha condotto al di là delle contraddizioni della storia culturale.

L ' Africa di Costa è prenatale e post vitam ... forma magica, frutto del sortilegio del tempo più che di suoi eventi...".

 

 

1994

 

Massimo Valsecchi inaugura nella sua galleria, a Milano, la mostra dedicata a "Claudio Costa", in cui sono esposte, tra l' altro, le grandi pale africane riguardanti i quattro elementi ( già citate).

Ma il centro dell' attenzione è l' opera "Antologia ontologica", un ampio mobile di ferro dell' ex o. p., strutturato a cassettiera, fornito di circa una cinquantina di cassetti.

Mobile che nasce l' estate precedente, nell' atelier di Quarto, come una sorta di museo dell 'inconscio ma, soprattutto, come riassunto e testimonianza dell ' intero percorso dell' artista poiché in ogni cassetto sono esposti tutti i materiali di cui Claudio si è servito per il suo lavoro.

Quindi, mobile come "testamento" di Claudio Costa.

Ma anche pietra sepolcrale capace di rimandare alla dimensione dell' eternità.

Inizialmente, Claudio riveste questa grande cassettiera con foglio di palma ma non è convinto del colore tabacco, anche perché risulta un materiale fragile, facilmente distruttibile.

Mi dice infatti: "Io lo vedrei bianco, luminoso, come luce dell' anima, come espressione dell ' essere; ma nel suo interno, seminascosti nei cassetti, vedo la casa dell ' inconscio, la zona dell' ombra... ".

Decidiamo allora di dipingere di nero i cassetti e di bianco l' armadio: ma un bianco che abbia la fisicità fredda del marmo (siamo appena stati a lavorare alla cava di marmo per la "Trilogia della Virtualità").

Nasce così l' idea del "tromp l' oeil" per ottenere l' effetto marmo di Carrara.

Dipingiamo per giorni la superficie esterna del mobile (mi ha insegnato la tecnica per ottenere le striature marmoree).

Questa estate niente viaggi, non ci muoviamo da Genova.

Come un ' ape ronza attorno le cellette del favo, così Claudio si prodiga continuamente attorno ai cassetti dell' armadio, "ronzando" da uno all' altro e, al contempo, collegandoli attraverso la magica combinazione d' un rapporto cabalistico che mi spiega ma non ricordo.

Ogni cassetto corrisponde a un segreto della sua anima, a quella parte oscura dell' inconscio che per tutta la vita egli cerca di portare alla consapevolezza attraverso il lavoro, per una proficua "ecologia della mente".

Claudio mi spiega durante le pause di lavoro: "Solo con il buio (la nigredo o materia informe), in alchimia, si può raggiungere l ' illuminazione (l' albedo) o conoscenza...

Io non pratico l' alchimia come rituale della "fucina dell' oro", ma ho una visione del mondo allargata all' alchimia e riassumibile nella semplicità dei 4 elementi... Vivo l' alchimia come immagine simbolica, come ridondanza immaginativa e dichiaratamente metaforica...

Naturalmente vivo nel duemila e questa visione trasfusa nel mio lavoro, si accompagna alle problematiche del mio tempo... problematiche che nel mio operare coincidono con l' atteggiamento concettuale, vissuto come recupero della scienza, perché Duchamp è uno scienziato dell' arte, scopre una nuova strada.

Ma è anche un grande alchemico...".

 

Intanto si vanno formando i cassetti di vetro: al loro interno sono evocati i cicli operativi con tutti i materiali ed oggetti simbolici usati dall' artista: reperti archeologici, capanne di fango, attrezzi contadini, meduse, oggetti immersi nella cera, animali essiccati, maschere costiane, uovo in pietra, ruggini, relitti africani, cuore e cervello in cera, cranio di bambino orlato d' oro, testine in terracotta rappresentative dell' evoluzione a ritroso dall' uomo alla scimmia, mercurio, favi , miele, ossa, e quant' altro.

Materiali elaborati e trasformati in "oggetti dell' inconscio".

Dice ancora Claudio: " I miei cassetti richiamano quelli del celebre lavoro di Dalì, ove un corpo di donna si trasforma in una piccola cassettiera verticale.

Ma se l' artista catalano propone i cassetti dell' inconscio vuoti, io, al contrario, li presento pieni, perché lavoro nell' abbondanza...

Tutti gli inconsci si assomigliano: qui il visitatore, se vuole conoscerlo, si deve avvicinare con delicatezza e rispetto, quindi aprire gli sportelli

(l' armadio si presenta con quasi tutti gli sportelli chiusi)".

Di fatto, quando all' inaugurazione Claudio invita i visitatori ad aprire gli sportellini, essi si avvicinano con titubanza e poi richiudono subito, come se l' opera potesse debordare.

Spiega Claudio: " C' è un tempo per la lettura dell'inconscio e un tempo per la sua comprensione; ogni persona deve scegliere il tempo che gli corrisponde.

Questa è l' unica mia opera che non si dà totalmente alla visione... ha bisogno di un tempo per essere letta e di un tempo per essere compresa...".

 

Per questa mostra, la rivista Flash Art pubblica un' intervista di Roberto Pinto in cui Claudio gli risponde: "... Posso dire che oggi mi sento con uno "sguardo vasto" , che mi permette di cogliere ciò che ho fatto nel passato, di elaborarlo e proiettarlo nel domani. Forse questa è la maturità... ". (Flash Art N° I93, '95)

 

Scrive Lara Vinca Masini nell' Enciclopedia dell' Arte Contemporanea intitolata "La linea dell' Unicità"( 2° vol.) "... il lavoro di Claudio va sempre più orientandosi verso l' esaltazione del mistero, della filosofia alchemica, verso l' interiorizzazione, il recupero di un mondo poetico personale e collettivo, verso quella libertà d' invenzione che l' arte porta alle estreme conseguenze. "La vera natura delle cose e l' essenza della psiche sono l' inizio e il termine di questo viaggio". (ed. Giunti, Firenze I989).

 

 

Con "Il sonno sospeso degli angeli", titolo di un' opera di Dakar (già citata), Claudio espone dalla galleria Balestrini, ad Albissola, una piccola antologica con opere che illustrano le varie tappe del suo lavoro. Particolarmente forte e concentrato in una drammatica intensità appare "Diabolus", una scultura su lamiera arrugginita, striata di rosso su cui, tre legni carbonizzati, congiunti in basso da una striscia ferrosa, riescono a visualizzare l' immagine essenzializzata di uno pseudo coleottero, fornito di piccole corna... Da qui "diabolus".

Commenta la curatrice Antonella Berruti: "Un' ulteriore rarefazione della dottrina alchemica si ha sui fondi grigi damascati, realizzati a spruzzo nella serie "Jurassic park" ('93), opere in cui coesistono senza stridori, nella perfetta armonia del bagliore argenteo, tutte le discipline a cui Costa si è avvicinato nel corso degli anni e dove nessuna prevarica sulle altre... Costa prosegue nella sua ricerca: "Spero che il mio ultimo lavoro sia il mio capolavoro...".

 

 

Siamo a Lizzano Belvedere ( Bologna), invitati dagli amici Rinaldo Novali (artista) e Sandro Riccione, affinché Claudio crei un ' opera per il parco nazionale "Corno alle Scale", nei pressi della Madonna dell' Acero, come operazione da inscrivere nel "Sentiero d'Arte '94".

Il Parco si estende in una fitta pineta: qui Claudio installa la coloratissima opera dello "Shanghai": un vero shanghai con bacchette metalliche dipinte nei colori propri di questo gioco. Esistono i progetti preparatori.

Ma quello che sorprende è che il gioco risulta ingigantito a dismisura: ogni bacchetta è lunga circa due metri.

Le aste, saldate tra loro in posizione verticale ed obliqua (una o due sono adagiate sul tavolaccio che fa da supporto all' opera) , sembrano appena rilasciate dalla stretta di mano invisibile, pronte per essere giocate.

"Mi viene in mente la battaglia di Anghiari di Paolo Uccello", mormora Claudio.

E' vero. La costruzione spaziale delle bacchette evoca il percorso direzionale delle lance medioevali.

Claudio accosta a questo lavoro un uovo enorme (alto circa un metro e fabbricato da Antonio Fioresi ) che colloca sull' erba, tra rami intrecciati a forma di nido.

 

A Sussuriano Terme, (Bologna) Claudio è invitato dall' artista Michele Bertolini, padre di due gemelline, che ci ospita a casa sua.

Nel cortile dell' abitazione un gruppo di artisti italiani e tedeschi (Antonino Bove, Giuliano Orsinger, Enzo Forese, Ghertrude Moser-Wagner ecc.) sono riuniti nel convegno "Sussuriano Termodinamica", per affrontare il tema della "Natura oggi" attivando anche delle vere e proprie performance.

Claudio, con una certa apprensione da parte dei presenti, inscena la performance inedita (verrà ripetuta alla cava di Carrara) con l'immagine dell'Appeso.

A tre pali incrociati in alto ( come treppiedi ), è legata una corda a cui Claudio si lascia appendere con la testa in giù e i piedi in alto: proprio come l' icona dei tarocchi.

In quella posizione si abbandona inerte ad un leggero dondolìo, con le mani strette dietro la nuca, così a formare, con il corpo, un ideale triangolo con la punta rivolta verso l' alto, nella forma di una croce a T rovesciata.

Qui è evidente il desiderio inconscio dell' artista di offrirsi in dono alla divinità poiché, come dice Claudio, "gli artisti sono i doni della terra al cielo...".

 

Con la mostra "Bianco e Nero", in un lussuoso ristorante di Merano, Rosanna Chiessi chiama Claudio a presentare il lavoro "Uovo in carrozza", realizzato nei terrazzi dell' atelier di Quarto.

Sul terrazzo c' è l' impalcatura di ruote appartenenti ad una vecchia carrozzina da bambini ( è stata usata dalla figlia neonata di Jacob De Chirico ), simile a quella del film "La corazzata Potemkin".

Claudio afferra un uovo di struzzo (nell' armadio dei colori), raccolto a Dakar, e lo colloca proprio in mezzo alla struttura delle ruote.

Nasce immediatamente "L' uovo in carrozza".

Ora quest' opera appartiene al comune di Merano.

Ora l'uovo appartiene al Comune di Merano.

 

In maggio siamo ospiti dell' amica Giulia Degli Alberti, a Palazzo La Marmora di Biella, un palazzo storico con ampio parco, per la realizzazione di una grande mostra-evento, appartenente al ciclo della Virtualità.

Insieme a un gruppo di artisti, disseminati con installazioni nel grande spazio all' aperto e nelle sale centrali della casa, stiamo vivendo i tre momenti consequenziali di un unico ciclo: il primo è stato vissuto a Sarzana, nell' ex biscottificio, con "La presenza della virtualità": il secondo è qui, in atto, con "Il movimento della Virtualità"; ci attende il terzo, quello conclusivo, con "La virtus della Virtualità", nei luminosi ambienti della cava di Carrara.

Ci sono , come compagni di viaggio, Amadori, Ara, Bertolini, Bove, Bunzel, Calligaris, Campus, Degli Alberti, De Luca, Di Cocco, Dossi, Folci, Lora Totino, Maier, Mondino, Palma, Paschetto, Perrone, Riva, Rolando, Sanguineti, Scmidt, Thomas, Tola, Tomaino, Vitone, Wolf.

L' amico Fabrizio Garghetti, fotografo d' arte, riceve il battesimo d' artista, installando per la prima volta una sua opera nella casetta del parco.

Secondo una trasposizione mentale legata alla poetica della virtualità, si lavora pensando che, virtualmente, il Palazzo possa essere un Museo d' arte contemporanea.

In questo senso, Claudio propone i risultati dell' ultima sua ricerca, basata sulle ragioni del "cuore" e del "cervello".

Due organi a cui Claudio fornisce molta importanza poiché ritiene che l' armonia della Persona dipenda dal loro sapiente funzionamento.

Per questo evento installa in una sala del Palazzo, due ampi pannelli in cui , su ognuno, è stampata la struttura nervosa del corpo umano, con le sue diramazioni.

La differenza delle due tavole, accostate, sta nella posizione del cuore e del cervello: se in una il cuore è a destra (rispetto al cervello vicino), nell' altra il cuore è a sinistra.

Vengono così evidenziati i doppi percorsi del cuore e del cervello, in una stessa persona.

L 'inserimento di due bottiglie e di quattro bicchieri in vetro blù, in posizione speculare, esprime simbolicamente la doppia "circolazione" della ragione (cervello) e del sentimento (cuore) della persona.

 

In giugno siamo giunti all' ultimo appuntamento col ciclo della Virtualità.

alla cava "La Piana", di Camillo Menconi.

Siamo eccitatissimi: queste vertiginose ed incombenti rocce bianche, con gli antri semioscuri dove la voce si amplifica e rimbomba, su di noi producono effetti galvanizzanti, come se ci trovassimo al centro della terra, risucchiati dalla sua forza di gravità.

Gli artisti percepiscono il pericolo di una natura aggressiva: si devono misurare con la forza titanica di una sostanza calcarea compressa da millenni...

Molti agiscono con segni minimi, ma concettualmente forti.

La "cascata" di Pietro Perrone è perfetta: fa precipitare dalla sommità della cava, bidoni di colore liquido nelle cromie del giallo, del rosso e del blu.

Claudio applica sulla parete un pannello interamente rivestito di radiografie animali, come richiamo organico del calcare.

Davanti ad esso, quale drappeggio nero, Claudio inscena per la seconda volta la performance in cui rappresenta l'Appeso dei tarocchi,.intitolata "Il nostro avo ci onorò col dono perfetto del nero".

Il "nero" è simbolo dell' assoluto, della totale negazione dei fasti terreni e della vanità.

Forse questo titolo suggerisce un' emblematica offerta alla divinità terrifica della Grande Madre.

Dall' alto, con l' aiuto di Giuliano Tomaino, Claudio si fa calare con una corda a cui è legato per i piedi.

Poi, col viso arrossato dal flusso sanguigno capovolto, si lascia oscillare qualche secondo, forse un minuto, o forse più...

 

Con "Paraxo '94", a Colla Micheri, Claudio presenta un lavoro africano installato sulla facciata di un palazzo: su di un panneggio in foglia di tabacco, dalla forma approssimativa di coccodrillo, prende corpo uno strano animale preistorico con la colonna vertebrale costituita da bicchierini di plastica trasparente, in ordine successivo.

Occidente e Africa si tendono la mano.

 

A Chiavari organizzo, con Carla Sanguineti (LAB), il convegno intitolato "Il museo tra storia dell' arte e nuovi spazi propositivi" presso la sede della Società Economica.

Un convegno a cui partecipano diverse personalità dell' arte, tra le quali Bruno Corà, Gillo Dorfles, Danilo Eccher, Vittorio Fagone, Gabriele Mazzotta, Giancarlo Politi, Concetto Pozzati e Tommaso Trini.

Claudio, interviene con la relazione "Gioco e arte: così in basso come in alto" in cui affronta la problematica del gioco come processo culturale di apprendimento.

Scrive negli atti del convegno: "Io credo, per parlare in metafora, che l' artista sia uno "studente particolare" che con il suo lavoro partecipa a una "ricreazione" di momenti d'arte dove il suono della campanella che annuncia l' inizio e la fine, non è imposto da alcuna norma, né da orari di sorta.

Questo fatto significa che il momento ludico della ricreazione può non avere termine...".

 

 

 

E' estate, fa caldo: Claudio sta preparando l' ultima sua performance "ARCIMBOLDO EVOCATO" da eseguire davanti a un folto pubblico, nella piazza principale di Sarzana.

Arcimboldo è un pittore che in epoca rinascimentale dipinge la figura umana in maniera anti-logica: i suoi noti personaggi sono interamente costruiti con elementi della natura come tronchi d'albero, rami, foglie, frutti e ortaggi.

Cioè l'uomo, in questa pittura, acquisisce le sembianze della natura.

E' un pò l'intento di Claudio: l'uomo viene dalla terra e torna alla terra. Pulvis es et in pulverem reverteris.

Per questo motivo sceglie l'interpretazione di statua-di-terra vivente.

Per l' evento, Claudio chiama tre vestali (Giulia Degli Alberti, Carla Sanguineti e io) e alcuni officianti affinché lo trasformino in un corpo di terra.

Claudio, seduto su di una sedia, attende immobile il nostro intervento.

In un angolo abbiamo sistemato una tinozza colma d' argilla, vanghe, falci, rastrelli, forconi, ossa, legni, canne...

Le vestali si avvicinano a Claudio ed iniziano a legare attorno alle membra oggetti contadini ed arbusti, a guisa di numerosi innesti.

Poi si dà avvio alla "vestizione": con gesti misurati, lo cospargono di "mota", la mota alluvionale dei suoi lavori...

Nel frattempo stanno attente a bagnare continuamente l'argilla perché potrebbe seccare e staccarsi.

Quando Claudio è interamente rivestito di terra (rimane libero solo il taglio degli occhi) si alza, e con un arbusto in mano si colloca, in piedi, al centro di una elevata pedana.

La sua alta persona si erge, ritta, sullo sfondo crepuscolare (ormai è sera) mentre le vestali "murano" i suoi piedi nella creta, a mò di piedistallo.

Improvvisamente succede un fatto incredibile: uno stormo di piccioni si alza in volo e si posa su quella statua vivente.

Poi, i piccioni beccano i piedi, le braccia, le spalle: il mito dell'agnello vive tra noi.

1995

 

"Sono nato vecchio e morirò bambino".

Così pronuncia Claudio in ritornello.

Forse allude al fatto che si nasce carichi di un destino ancora da sciogliere: già dall' infanzia inizia lo sforzo di riconoscimento del proprio io, combattendo le convenzioni, i disagi del proprio ambiente, le catene psicologiche ereditate...

Si fa necessaria un' operazione che trasformi l' opacità della nascita nella visione illuminata dell ' uomo maturo...

Una trasformazione alchemica.

 

 

S'inaugura "La Natura e la Visione, Arte nel Tigullio 1950 - 1985" (Miriam Cristaldi, ed. Mazzotta, Milano), una mostra ricognitiva basata sulle presenze artistiche del Golfo, e allestita negli ambienti dell'ex chiesa di S. Francesco e di Palazzo Rocca a Chiavari.

Tanti sono gli artisti invitati, e il lavoro di gruppo ci accomuna. Gianfranco Zappettini mi introduce nell ' ambiente.

Enrico Baccino ne è il promotore.

Il lavoro si presenta da subito stimolante: misurarsi con la struttura sacrale non è da poco.

Claudio, nello spazio della campata di sinistra, installa "Personaggio alchemico": una grande pala (2x2 m.) dal fondo bianco accecante, su cui si staglia, maestoso e gigante, un totem nero.

L ' impatto visivo è forte, la drammaticità che promana dall' opera è intensa.

A tale lavoro, Claudio aggiunge un secondo intervento, questa volta nascosto.

Sul pavimento della cappella, nella botola che porta alle tombe, egli colloca uno scudo nero (con orlatura cobalto) su cui sono applicate le forme dorate del "cuore e cervello".

Da una lastra di cristallo, camminandoci sopra, si può osservare il lavoro.

Forse, ancora una volta, un invito a meditare sull' uso sapienzale del sentimento e della ragione, in eguale proporzione.

 

Partecipiamo al convegno "In-pressione - es-pressione" tenuto al Centro Sociale Basaglia, presso il teatrino dell' ex ospedale psichiatrico di Collegno, Torino.

Nella sua relazione Claudio spiega:

"L' arte in sé ha una funzione terapeutica, non ho difficoltà a dire che i mezzi dell' artisticità sono utili per avvicinare le persone carenti di creatività: questa è l' idea portante del Museo-Attivo da noi fondato a Genova Quarto".

 

 

Con la mostra "Il mito e il classico nell'arte contemporanea italiana 1960-1990", ordinata da Matteo Fochessati, Carla Sanguineti, Franco Sborgi, nella suggestiva fortezza medicea all'interno della cittadella di Firmafede (Sarzana), s'intende focalizzare l'attenzione sulla classicità presente nelle opere dei migliori artisti italiani.

Tra gli altri, sono invitati Pistoletto, Paolini, Clemente, Chia.

Claudio, nei suggestivi spazi restaurati, installa l'opera "Alveare terrestre, alveare celeste" (già citata).

A parete espone una grande pala, intitolata "Medusa" ('82).

Il lavoro coincide con l'elemento Acqua ed è composto da una testina centrale, il nucleo della medusa, attorno a cui dipartono centinaia di raggi, così da simulare i filamenti ondosi dell'animale marino.

Le cromie sono giocate nelle gradazioni luminose dei gialli: forse l'assolata luce delle ginestre di Monleone...

La superficie è risolta da eccitate increspature rese da bufere di segni, rilievi materici, bagliori concitati, come se la corrente elettrica scorresse sul filo della pittura.

Scrivono Fochessati e Sborgi in catalogo: "...Il richiamo alla classicità si intreccia con una forte componente di primarietà materica, mentre più raffreddata appare l'operazione di "Alveare terrestre, alveare celeste" in cui una sorta di classificazione evocativa alterna immagini primigenie del mito a forme più specificamente classiche".

 

Quando l'artista può lavorare in uno spazio mobile, luogo evocativo e atipico per l'arte, allora sarà stimolato dai segni preesistenti di quell'ambiente, come suggeritori dell' opera stessa che in quel luogo nascerà.

E' quello che succede con il doppio evento "La casa virtuale dell'opera" (da me curata), realizzato prima in 7 appartamenti di un palazzo di Castelletto, a Genova, poi alla galleria Rinaldo Rotta.

La casa privata diventa simbolicamente "officina del demiurgo" e la galleria traguardo finale di un'operazione svolta altrove.

Claudio e gli amici Piergiorgio Colombara, Mauro Ghiglione, Carlo Merello, Riri Negri, Angelo Pretolani e Luigi Tola, installano i lavori negli appartamenti. Uno per ciascun artista.

Nella sala di uno di questi (la casa di Paola Profumo), Claudio colloca il "Mappa-mondo, un pezzo tra quelli illustrativi del progetto "Skull Brain - Africa '95".

Si tratta di un vecchio mappamondo ridipinto e arricchito da simboli alchemici.

Sulla piantina corrispondente alla terra d'Africa (settentrionale) è riprodotto il profilo distintivo del cranio dell'Homo Erectus come segno e simbolo di un'ideale unificazione tra i popoli africani.

 

In questo contesto nasce il lavoro "Mappa-mondo" quale corollario del progetto "Skull Brain Museum - Africa '95"(Museo del cranio e del cervello).

Si tratta di un vecchio mappamondo, interamente ridipinto nelle forme geografiche, a cui si aggiungono simboli alchemici e l'immagine dell'Africa.

In questa carta geografica il profilo di un cranio preistorico coincide perfettamente col profilo dell'Africa settentrionale.

Ma il mappa-mondo è sostenuto da un badile.

Come a dire: datemi un punto d'appoggio e vi sollevo il mondo.

 

 

 

 

Il progetto "SKULL BRAIN MUSEUM - AFRICA '95" (Museo del cranio e del cervello) è il suggello del lavoro realizzato nell'elemento FUOCO.

Nasce come proposta ai Paesi africani (al di sopra dell' equatore) di una possibile unificazione tra loro, attraverso una privilegiata posizione geografica che corrisponde al profilo di un cranio.

Un cranio di Homo Erectus, il primo essere preistorico avviato verso il genere Sapiens dell' uomo attuale.

Questo progetto abbraccia idealmente i 34 paesi dell' Africa del nord, toccati dalla grande forma del cranio.

Con tale progetto prevediamo di compiere un viaggio lungo il profilo del cranio allo scopo di riunificare e conoscere le tradizioni autoctone, le antiche culture, le spiritualità locali.

"...Culture e spiritualità considerate come straordinario crogiolo di profondi e vitali momenti sensibili che affondano nel patrimonio ancestrale di quei popoli e che definiscono la primigenia base di comune riconoscibilità per i sentimenti di ogni popolo della terra... ( brano tratto da fotocopia dell'originale "Progetto Skull Brain Museum").

L ' idea nasce dalla scoperta di Claudio.

Egli si accorge che sovrapponendo il disegno di una calotta cranica (lo sta usando per un lavoro) alla sagoma dell' Africa del nord - stampata su carta geografica - esso combacia perfettamente.

Claudio felice della scoperta esclama : "Stupendo, perfetto! le mie prime ricerche riguardano il cranio e il cervello, a cui ho dato il titolo di MAPPA CRANICA, ora proprio una MAPPA corrisponde al CRANIO !"

C'è solo un particolare che lo mette in allarme: il profilo cranico della carta geografica contiene una piccola buca in corrispondenza della "fontanella" sul capo dei neonati.

Questo fatto lo disturba perché desidera una corrispondenza totale dei due profili: quello geografico con quello dell' Homo Erectus.

Dice; "Ora m'informo, vedrai che troverò la ragione di questa buca".

Infatti, poco dopo, studiando gli usi e i costumi delle popolazioni primitive, scopre che una specifica tribù usa praticare un foro nel cranio del defunto, così da poterlo infilare nella cima di un bastone e piantare nel terreno a guisa di totem.

Una serie di lavori commentano visivamente il progetto "Skull Brain Museum - Africa '95"

 

Inoltre avremmo dovuto fondare un Museo in ogni singolo stato appartenente al progetto; lì avrebbero lavorato in comunione, artisti europei con artisti africani attraverso un caldo ed immenso abbraccio universale.

"...Lo Skull Brain Museum potrà proporsi come museo infinito, un museo delle possibilità e delle memorie, dei linguaggi e degli sconfinamenti, delle situazioni e dei contrasti, delle comunicazioni e delle utopie... Un punto forte di riferimenti artistici e scientifici da visionare e discutere per le generazioni del 2OOO..." (ib).

Ora, dato che il principio concettuale costiano dichiara che il Museo si sposta attorno all'oggetto per nominarlo Opera d'Arte, in virtù di ciò lo SKULL BRAIN MUSEUM NOMINA OPERA D'ARTE L'AFRICA SETTENTRIONALE.

La zona d'Africa settentrionale, corrispondente al profilo del cranio dell'homo Erectus, è OPERA D'ARTE FIRMATA CLAUDIO COSTA.

 

Ha detto Claudio: " Vorrei che l' ultimo mio lavoro fosse un capolavoro...".

 

Miriam Cristaldi

 

 

commento diGillo Dorfles su:

Claudio costa attraverso i quattro elemnti