La Storia di Massimo: Capitoli 81 – 85
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Massimo stava in groppa ad Argento al centro dell’incrocio a sud di
Vindobona, con le mani che tenevano tirate le redini, un segnale per lo stallone
di rimanere fermo. Il cavallo obbediva ai desideri del padrone, il suo unico
movimento l’occasionale incresparsi d’un muscolo della spalla e lo spazzare
della coda per allontanare le mosche mordaci emerse quasi all’improvviso
durante la notte nella mite aria primaverile. |
Il silenzio che circondava cavallo e cavaliere era quasi
soprannaturale, rotto soltanto dal fischiare del vento caldo tra gli aghi di
pino in alto sopra di loro. Anche se tranquillo, Argento non era rilassato.
Percepiva la tensione nei muscoli della gamba del suo padrone, segno sicuro che
a breve qualcosa sarebbe accaduto. Anche Ercole lo intuiva, ma rimaneva
quietamente seduto accanto al cavallo, gli orecchi tesi e il naso contratto.
Chiunque fosse frettolosamente passato di là avrebbe pensato che il generale
romano fosse solo, invece più di duecento uomini sedevano in sella, fermi e
silenziosi come il loro comandante, lungo la strada a circa un quarto di miglio
dietro di lui. Nelle foreste circostanti, quasi diecimila soldati stavano
acquattati con uguale sangue freddo, in attesa dei suoi ordini.
Massimo rimaneva immobile come una statua, l’unico suo movimento lo scorrere
rapido degli occhi nello scrutare costantemente la strada davanti a sé. Il sole
caldo picchiava sul suo capo scoperto – aveva infilato l’elmo sotto il braccio
sinistro – imperlandogli la fronte di sudore. Sentì l’umidità raccogliersi alla
base della gola, poi alcuni rivoletti colargli dal centro del petto sotto la
corazza d’ottone.
Uno scoiattolo marrone dardeggiò dal folto d’alberi alla destra, poi s’arrestò,
spaventato, quando all’improvviso notò il cavallo ed il cane. Ercole ringhiò
profondamente di gola, rizzando il pelo del collo.
- No, Ercole. - Il tono di Massimo indicava che non avrebbe tollerato alcuna
disobbedienza da parte del cane.
Confuso, lo scoiattolo si sedette sulle anche e piegò la coda ricciuta,
sostenendo per un attimo lo sguardo fisso del cavaliere. Le labbra di Massimo
si sollevarono in un sorriso quasi impercettibile. Ercole alzò lo sguardo sul
suo padrone e uggiolò il suo malcontento. Il piccolo animale di colpo
s’acquattò e guardò nella direzione verso la quale si stava dirigendo, quindi
si voltò e scomparve, squittendo, nel folto da dove era venuto. Massimo annuì
in segno di saluto a Giovino figlio, emerso dai boschi come uno spettro dalla
testa rossa.
- Ebbene? - chiese al giovane.
- Direi che si trovano a circa un’ora da qui, e si stanno dirigendo
direttamente al villaggio e al forte.
- L’evacuazione è riuscita?
- Sissignore. Non è rimasta un’anima. Hanno preso anche la maggior parte degli
animali. La cavalleria dovrebbe essere qui a momenti, signore.
- E il forte?
- Sembra tutto pronto, signore, come hai ordinato. Gli arcieri sono sulle mura.
- La voce di Giovino risuonava di baldanza, ma Massimo sapeva che i barbari
erano astuti ed imprevedibili.
- Grazie, Giovino. Hai fatto un lavoro eccellente, come sempre. Di’ al tribuno
Libanio che devo parlargli, poi raggiungi gli altri. - Giovino fece il saluto,
quindi discese la strada a grandi passi con la grazia e la velocità di una
giovane gazzella, raggiante per l’elogio del suo generale.
Un poco più tardi Massimo udì il rumore di zoccoli che battevano pesanti sulla
strada dietro di lui ed egli tirò di più le redini per trattenere Argento dal
voltarsi ad affrontare il nuovo arrivato, come era stato addestrato a fare in
battaglia. Libanio tirò le redini fermandosi vicino a Massimo.
- Generale?
- Libanio, ci divideremo in tre schieramenti. Tu prendi tre centurie e spostati
dietro i barbari da ovest, non appena colpiranno il villaggio. Assicurati molto
bene che non abbiano lasciato nessuno che possa arrivarvi alle spalle per
prendervi in trappola, capito?
- Sissignore.
- Di’a Petavio di prendere tre centurie ed attaccare da est. Devono bloccare
qualsiasi via di fuga in quella direzione e tenere i barbari lontani dagli
abitanti del villaggio nelle caverne.
- E tu, generale?
- Io condurrò la maggior parte degli uomini diritto da sud e dietro di loro
contro le mura del forte.
- Sarà una battaglia terribile, signore, - Libanio scosse la testa tristemente.
-Nessuna possibilità per
chiunque di scappare. Nessuna possibilità d’errore. Speriamo che questo
metta fine alla cosa.
- Ci saranno pesanti perdite, - convenne Massimo. - Il nostro scopo è
distruggerli attaccando da quattro lati. Ora credono che ci stanno prendendo di
sorpresa, ma sapranno altrimenti, non appena vedranno il villaggio vuoto.
Probabilmente credono anche che io sia da qualche parte dietro di loro, quindi
fai molta attenzione, perché si guarderanno le spalle. Speriamo che tutto
finisca molto in fretta. Ci muoveremo non appena arriverà la mia cavalleria.
Aspetta il mio segnale. - Massimo fece il saluto al suo tribuno con il pugno
incrociato sul petto. - Forza e onore.
- Forza e onore, signore. - Libanio ritornò al galoppo per la sua strada
lasciando Massimo di nuovo solo. Prese le sue decisioni, egli aveva il tempo di
vagliare le possibili conseguenze di quelle decisioni. Migliaia di uomini
sarebbero morti nelle prossime ore. Altrettanti sarebbero rimasti feriti
gravemente. Lui avrebbe potuto essere nell’uno o nell’altro gruppo. Si permise
di pensare brevemente alla moglie ed al figlio, quindi li spinse via entrambi
dalla mente, rafforzando la concentrazione sulla battaglia a venire.
Poco più tardi, la sua cavalleria si avvicinò sulla strada alla sua destra.
Massimo smontò e si accosciò. Ercole gli si avvicinò rapido per farsi
abbracciare e Massimo arruffò affettuosamente la folta pelliccia del grosso
cane. Poi sollevò una manciata di terra e la strofinò fra le mani, portandosela
alle narici prima di buttarla via e di voltarsi verso i suoi uomini.
Olivia si era sbagliata circa il fatto che la cantina fosse a prova di suono.
Non era per niente a prova di suono. Il rumore della battaglia che infuriava
oltre le mura si allargava attraverso la botola e giù per le scale, smorzato e
indistinto, ma riconoscibile. Giovino distraeva Marco canticchiando forte e
facendo giochi con le biglie. Cercava di tenere occupata anche la madre del
bambino, ma lei si limitava a star seduta su una sedia vicino ai gradini, gli
occhi vitrei e le mani annodate. Le sue labbra si muovevano silenziosamente
mentre pregava per la salvezza del marito.
Il suono stridente sul pavimento sopra di loro svegliò il trio da un sonno
disturbato ed indusse Giovino a spingere in fretta i suoi protetti nell’angolo
più lontano della cantina, mentre lui brandiva una spada, pronto a difenderli
fino alla morte se l’uomo che fosse comparso nell’apertura non fosse stato un
romano.
- Olivia? - Era Persio.
- Sì, sì, - gridò lei spingendo da parte Giovino e correndo verso le scale. -
Che cosa sta accadendo là sopra? È finita?
Persio non rispose. Invece, tirò la botola e subito i suoi piedi calzati da
stivali apparvero sulle scale. Discese lentamente ed Olivia boccheggiò quando
vide il suo viso, insanguinato e selvaggio. Era troppo inebetita per muoversi,
e restò a fissarlo con aria quasi ottusa.
- Sei ferito? - chiese mentre le gambe cominciavano a tremarle.
- No, sto benissimo.
- Sei coperto di sangue.
- Non è il mio. Sto aiutando a portare i feriti nell’infermeria.
Giovino si affrettò in avanti.
- Olivia, bada a tuo figlio, - ordinò, visto che rimaneva a fissare il
fratello. Lei non reagì. - Persio, che cosa sta accadendo? Abbiamo vinto?
- Abbiamo mantenuto il controllo del forte, se si può chiamare una vittoria.
Nessun abitante del villaggio è morto.
- Massimo? – chiese Olivia chiese in tono spaurito. - Che ne è di Massimo?
- Mamma? - Marco si strinse in un angolo lontano, spaventato e solo.
- Che ne è di Massimo, Persio? - La sua paura aumentava, dal momento che il
fratello rimaneva muto.
- Mamma! - Olivia si mosse rapidamente e afferrò il figlio tra le braccia,
mormorando parole di conforto che sapeva non avrebbero avuto alcun effetto.
Tornò vicino al fratello, che stava guardando Giovino.
- Persio, che ne è di Massimo! - La sua voce era stridula per la paura.
- E’ ferito… gravemente. Lo stanno portando nel campo. - Guardò ancora Giovino.
- Tuo figlio non ce l’ha fatta. Mi dispiace. È morto difendendo il suo
generale.
Giovino arretrò come colpito da una mazzata. Olivia crollò sulla sedia più
vicina e scoppiò in singhiozzi incontrollabili. Anche Marco cominciò a
piangere, in reazione al dolore della sua mamma.
Persio chinò la testa.
- Non ho mai visto niente di così terribile... immaginato niente di così
brutale.
Giovino diede a Persio un colpetto sulla spalla… così giovane, pensò. Proprio
come il suo ragazzo.
- Massimo sta male?
- Sì, - bisbigliò Persio. - Una ferita alla coscia… una freccia. Sta
sanguinando molto ed i medici sono preoccupati.
Giovino annuì.
- Mi occuperò io di Marco, - disse prendendo il bimbo tremante dalla donna in
singhiozzi. - Tu aiuta tua sorella a riprendere il controllo, poi accompagnala
da suo marito. - Giovino prese in braccio Marco e la piccola gamba del bambino
si posò sull’ampio addome dell’uomo. - Dov’è andato quel gattino, Marco? Mmm?
Vieni ad aiutarmi a trovare il micino.
Marco lo abbracciò forte.
- Dov’è papà? - chiese, preoccupato che il dolore della mamma avesse qualcosa a
che fare con suo padre. - Dov’è papà?
- Vedrai il tuo papà presto, piccolo. Adesso troviamo quel gattino… - Giovino
vagò negli oscuri recessi della cantina stringendo il bambino fra le braccia e
desiderando di poter tornare indietro nel tempo.
Persio si accovacciò accanto alla sorella, che si copriva gli occhi e
singhiozzava, sforzandosi di ritrovare il controllo.
- Non sono sicuro che tu debba andare là fuori, Olivia.
- Devo vedere Massimo.
- Non gli farai alcun bene in questo stato. Lo conosci. Si preoccuperà di più
per te che per sé.
- E’ vero. - Olivia riuscì a produrre una risatina. - Dammi solo qualche
istante e starò meglio. - Si soffiò il naso poi aspirò ripetutamente. - Povero
Giovino.
- Sì, ma ci sono migliaia di altri padri che oggi hanno perso i figli. Ci sono
cadaveri dappertutto… romani e germani. Fa caldo... le mosche stanno
cominciando ad arrivare. Non è luogo da vedersi, Olivia.
- Devo andare da Massimo, perciò dovrò vederlo, quindi…
- Aspetta finché lo porteranno dentro.
- No. - Si levò in piedi, più forte ora e molto risoluta.
Anche Persio si alzò e si tolse un panno dall’interno della tunica, un po’umido
per il calore del suo corpo. - Qui... copriti il naso e la bocca con questo. I
cadaveri stanno già cominciando a decomporsi ed io ho vomitato due volte prima
di arrivare qui.
Olivia sorrise mestamente al fratello.
- Grazie, Persio, per essere qui con me.
Egli si limitò ad annuire.
- L’atrio è già pieno di uomini feriti ed i chirurghi stanno operando. Dovrai
distogliere gli occhi.
- Il sangue non mi dà fastidio.
- C’è ben più che solo sangue. Inoltre, molti uomini sono nudi.
Olivia lo prese in giro.
- Persio, sono cresciuta con quattro fratelli, ho un marito ed un figlio. Che
cosa potrebbe mai avere un uomo che io non abbia già visto? Adesso portami da
Massimo!
Persio sorrise mentre faceva strada su per le ripide scale.
- Uomini, - mormorò lei. - Sembrano tutti credere di avere una cosa molto
speciale nelle loro brache!
Persio rise per la prima volta in tre giorni. Sua sorella sarebbe stata
benissimo.
Capitolo
82 - La freccia uncinata
Massimo giaceva a pancia in giù fra gli alberi, nel piccolo bosco che separava il villaggio dal forte, o per essere caduto in quella posizione o per esservi stato girato dal personale medico che lo stava curando. Marciano stava immobilizzando la gamba destra del generale, dove una freccia sporgeva dalla coscia ad un angolo insolito, in modo da poterlo trasferire su di una barella posata in terra lì accanto. Un laccio emostatico gli era stato legato all’inguine per arrestare l’emorragia, tuttavia la coscia, denudata, grondava sangue. Polvere di ferro arrugginito, volta a sopprimere l’infezione, produceva un allarmante colore marroncino dove andava a mescolarsi con il sangue. La sua gamba sana era scomodamente spinta di lato e piegata al ginocchio. Massimo aveva gli occhi chiusi, le mani serrate a pugno e la bocca spalancata ad inspirare irregolarmente l’aria.
Ercole era disteso lì vicino, ansimante, e manteneva un’attenta vigilanza su
quanto stava accadendo. Ogni volta che Massimo gemeva, il grosso cane ringhiava
un avvertimento ai suoi tormentatori e doveva essere zittito dal suo padrone.
Ogni tanto gironzolava per annusare Massimo, quindi gli leccava la faccia per
rassicurarlo.
Olivia si lasciò cadere accanto al marito sul terreno impregnato di sangue,
sbigottita nel vedere a terra e inerme il suo uomo vigoroso .
- Mia signora... brava, - disse Marciano mentre gli occhi di Massimo si aprivano
di scatto. - Sei proprio arrivata in tempo per aiutarmi ad instillare un po’ di
buonsenso in questo testone d’un soldato.
Massimo cercò a tastoni la mano di Olivia e lei gliela strinse forte con
entrambe le sue.
- Non dovresti stare qui, - le disse, la voce insolitamente sommessa.
- Come potrei non venire, - bisbigliò lei vicino al suo orecchio.
- ...mai voluto che vedessi questo. - Massimo gemette e serrò i denti mentre
Marciano gli faceva scivolare delle assi ai lati della gamba e cominciava a
legarle insieme con attenzione.
- Mia signora, - spiegò Marciano mentre lavorava, - tuo marito si è preso una
freccia a metà coscia, come puoi vedere, ma sono preoccupanti la collocazione e
la posizione. Come puoi vedere, inoltre,
è penetrata dalla parte posteriore ed è angolata verso la parte interna
della gamba, non verso la parte anteriore. Purtroppo, a causa della grossezza
del muscolo, non vi è passata attraverso. Questo è uno di quei casi in cui
essere muscoloso non è un vantaggio. È una delle nostre stesse frecce, quindi
almeno sappiamo con che cosa abbiamo a che fare.
Olivia era scossa.
- L’ha colpito uno dei suoi stessi uomini? - La sua mano si bloccò dove stava
accarezzando i capelli del marito.
Massimo riuscì a fare un sorriso serrato.
- No, non intenzionalmente. La mia gamba si è trovata all’improvviso nella
traiettoria della vittima prescelta di un arciere.
Marciano ignorò il tentativo di Massimo di alleviare i toni e continuò.
- Non è avvelenata, questo lo sappiamo, ed il sangue è di una bella e sana
tonalità di rosso. Sta fluendo uniformemente, dal che siamo certi che la
freccia non ha colpito l’arteria femorale… ma vi è andata terribilmente vicina.
E’ andata vicina anche ai nervi, che avrebbero potuto tranciarsi e rendere la
sua gamba permanentemente inservibile. Dunque, tutto sommato, è fortunato.
Tuttavia... si tratta di una delle nostre frecce più mortali, con una punta
molto ricurva, perciò io non posso estrarla senza lacerare il muscolo, i
tendini e la carne... e probabilmente anche l’arteria ed i nervi. Per fare meno
danni dovrò spingerla esattamente attraverso la gamba e poi fuori dall’altro
lato, attraverso sezioni della sua carne che attualmente sono indenni... mia
signora, stai bene?
Olivia si portò la mano tremante alla fronte. Era sicura di stare per svenire.
- Olivia? - Massimo staccò le spalle dal terreno, ma Marciano lo spinse di
nuovo giù, schiacciando involontariamente il viso del suo generale nella
polvere, nell’impazienza di continuare con il suo lavoro.
- Respira profondamente, mia signora, - disse il chirurgo. - Mi dispiace. Non
avrei dovuto parlarti così apertamente.
Massimo sputò fuori la terra e le foglie.
- Dov’è Marco? - volle sapere.
La respirazione profonda aveva funzionato e la testa e lo stomaco di Olivia si
erano acquietati.
- E’ con Giovino, - rispose.
Olivia non poté dire se l’improvviso sussulto di Massimo fosse dovuto al
chirurgo che manipolava la sua gamba ferita o all’aver menzionato il capo
ingegnere dell’accampamento. Massimo girò la testa ed Olivia ne seguì lo
sguardo, verso il lato opposto d’un pino, dove vide una testa coperta di
ondulati capelli rossi impregnati di sangue. Il corpo senza vita del giovane
giaceva scomposto tra fragili fiori gialli e blu. Ella accarezzò la nuca del
marito nel tentativo di confortarlo.
- Lo sa, Massimo, - bisbigliò. - L’ha presa come ci si poteva aspettare.
- Mia signora, stai indietro. Stiamo per sollevarlo sulla barella. - Olivia
abbracciò il marito un’ultima volta, poi fece come Marciano aveva chiesto. Gli
attendenti si avvicinarono immediatamente: due di loro, più Persio, alle spalle
di Massimo; due che sostenevano sia la gamba sana che l’altra, più Marciano ed
un altro chirurgo che maneggiavano la gamba immobilizzata.
- Al mio tre. Uno... due... tre… sollevate!
Massimo seppellì il volto nelle mani per smorzare l’incontrollabile grido di
dolore quando il suo corpo fu sollevato.
Marciano non mostrava alcuna compassione.
- Ben ti sta. Non hai voluto prendere il narcotico che ti ho offerto per farti
addormentare.
Olivia era inorridita.
- Massimo… prendi il narcotico.
- No... Non posso. Devo rimanere cosciente. Devo prendere altre decisioni
importanti. Non posso restare privo di sensi.
Olivia era sconcertata.
- Be’, ma sarai privo di sensi quando Marciano effettuerà l’intervento
chirurgico. - Lanciò un’occhiata al chirurgo, che le restituì lo sguardo con un
sopracciglio alzato e le labbra contratte.
- Ti avevo detto che avevo bisogno del tuo aiuto con questo testardo.
Preferisce fare l’intervento senza anestetico, e non riesco a dissuaderlo.
Il panico si sollevò nella gola di Olivia.
- Drogalo comunque, - ordinò a Marciano.
- Non oserebbe, - grugnì Massimo, concludendo la frase in un grido di dolore
quando la barella venne sollevata. Ercole ringhiò.
- Ha ragione, mia signora. È il mio generale e devo prendere ordini da lui. Se
lui vuole essere testardo ed insensato e cretino e... imbecille... allora non
posso farci nulla.
Olivia afferrò la mano di Massimo e camminò a lato della barella mentre
vagliavano la strada tra i cadaveri immobilizzati nelle contorsioni della
morte. Lei li notò appena. La sua mente era concentrata esclusivamente sulla
difficile situazione del marito.
- Quinto può prendere il comando mentre tu sei privo di sensi, - suggerì.
- E’ ferito, e si trova anche lui in chirurgia, proprio in questo momento… il
suo braccio sinistro è stato squarciato fino all’osso.
- Ci deve essere qualcun altro. Hai molti ufficiali.
- No, Olivia. Ti prego, non insistere.
- Stai scherzando!
- No, e non ho voglia di discutere.
Olivia aggrottò le sopracciglia e guardò Marciano.
- Come lo hai chiamato? Testardo...?
- ...ed insensato e cretino ed imbecille, credo, mia signora.
- Posso aggiungerne altre, - interloquì Persio. - Che ne dite di difficile,
ostinato, irragionevole...
- ...e stupido, - aggiunse un attendente che rapidamente distolse lo sguardo
quando Massimo lo fulminò con un’occhiataccia.
- Che bravi a prendervi grandi libertà con un uomo inerme, - ringhiò il
generale.
- Inerme, - lo schernì Marciano.
Olivia non sapeva se abbracciare il suo uomo o assestargli un colpo sul
didietro, il quale era a portata di mano in modo assai allettante.
Naturalmente, ella aveva già visto sprazzi di questo lato della sua personalità
in Ispania, ma non aveva mai immaginato che Massimo potesse essere così
ostinato.
Massimo gemette quando gli uomini che trasportavano la barella scivolarono e
slittarono sul terreno impregnato di sangue, nel loro scavalcare e aggirare
soldati morti e moribondi. Invece di riposarsi, Massimo esaminava con occhio
esercitato le terribili conseguenze della guerra. Olivia si guardava intorno
con una sensazione di stordimento, dubbiosa che quello che stava vedendo fosse
reale.
Donne del villaggio strillavano e si strappavano i capelli mentre cercavano tra
i corpi i propri cari. Bambini radunati al limitare dei boschi, con l’orrore e
la confusione sulle loro facce sporche e rigate di lacrime. Medici e attendenti
si spostavano da un uomo all’altro valutando ferite e stabilendo priorità.
Eppure tutte le attività cessarono per un istante quand’essi videro il loro
generale superarli su una barella, indizio sicuro che la sua ferita era grave.
Lo salutarono e Massimo sollevò la mano in quella che sperava fosse una
risposta rassicurante.
I soldati lavoravano in squadre per spogliare di qualunque cosa utile le
migliaia di germani morti, prima di sollevarne i corpi nei carri. Usavano
sacchi di stoffa, ormai completamente impregnati di sangue, per raccattare
pezzi di corpi quali membra e teste, e gettare anche quelli nei carri. Una
volta pieni, i carri si allontanavano per disporre delle vittime, poi tornavano
indietro. I soldati romani morti sarebbero stati trattati più tardi, dopo che
tutti fossero stati identificati. Olivia ebbe conati di vomito alla vista ed
all’odore, e cercò tra i suoi vestiti il panno che le aveva dato Persio.
- Aspettate. Fermi. Fermi! - ordinò Massimo, dimenticando momentaneamente la
propria agonia mentre superava i soldati che si stavano occupando dei germani.
- Dove state portando i corpi?
- Al fiume, signore. Il vento sta soffiando da sud, perciò anche le ceneri
dovrebbero soffiare su di loro anziché indietro su di noi, quando li bruceremo.
- Ci sono già dei cadaveri laggiù?
- Sì, signore. E’ tutta la mattina che li portiamo là. - Marciano gemette
quando udì quella notizia.
- Bene, portateli via da là! - ordinò Massimo. - Portateli ad est, vicino alle
caverne, invece.
- Signore? Ci vorranno delle ore per portarli così lontano. - Il soldato era
confuso. Che differenza faceva dove i corpi sarebbero stati cremati?
Uno spasmo di dolore abbatté il respiro di Massimo, così Marciano continuò ad
impartirne le istruzioni, comprendendo pienamente le preoccupazioni del suo
generale.
- Soldato, quei cadaveri si decomporranno rapidamente, con questo caldo. Il
sangue ed il contagio potrebbero entrare nel fiume e poi nei nostri pozzi.
Potremmo ammalarci tutti. Fai come dice il tuo generale e non discutere! - Gli
ordini furono passati rapidamente dall’uno all’altro ed i soldati si
apprestarono a rimediare alla situazione.
Il volto pallido di Massimo era così contorto dal dolore che il medico non era
per niente sicuro che il generale avesse sentito le sue parole.
- Muovetevi, - ordinò agli attendenti. - Devo portarlo in fretta in chirurgia.
Capitolo 83 –
L’intervento chirurgico
- Massimo, - disse Marciano al suo paziente,
che giaceva supino sul proprio letto, la moglie seduta accanto a lui. -
Cercherò di parlare più chiaramente che posso. - Incrociò le braccia
ripiegandole sul petto e studiò il suo paziente, la cui gamba ferita era
piegata al ginocchio e sollevata su una pila di cuscini accatastata su un
poggiapiedi. - Quella freccia è in una posizione molto scomoda. Se ti muovi
anche solo di una frazione di dito mentre la sto estraendo, l’arteria si
trancerà. Se succede, morirai. È semplicissimo. Non c’è chirurgo nell’impero
che potrebbe impedirti di morire per l’emorragia. Se siamo fortunati e non
tocchiamo l’arteria, allora si potrebbero danneggiare i nervi, e rimarresti
storpio.
Massimo tenne lo sguardo abbassato, evitando quello del medico e quello di sua
moglie.
- Il dolore sarà così terribile che non potrai rimanere fermo, anche dopo che
ti avremo legato e con dieci uomini a trattenerti.
Olivia chiuse gli occhi e li stropicciò con i polpastrelli, quindi si massaggiò
le tempie e sospirò con aria infelice.
- Massimo, - continuò Marciano, - se davvero tu mi rispettassi, non mi faresti
eseguire l’operazione su di te mentre sei sveglio. Non potrei più convivere con
la mia coscienza, se fossi la causa della tua morte.
Massimo rimase silenzioso, ma il suo sguardo vagò lentamente sulla gamba, su
cui si trovava un impacco di muffa di pane per impedire provvisoriamente
all’infezione di svilupparsi. Il suo dolore era sotto controllo grazie ad ampie
dosi di narcotici.
- So che credi di aver bisogno d’essere sveglio, e certamente ti sei accorto di
quel problema con la sistemazione dei cadaveri, speriamo in tempo, ma non sei
invincibile, Massimo. Non puoi nemmeno immaginare quanto sarà doloroso.
- Quinto è sveglio? - chiese il generale.
- Lo sarà presto.
- Lasciami solo con mia moglie.
Marciano esitò.
- Preparerò il tavolo. Dobbiamo fare presto. - Massimo annuì ed il chirurgo
lasciò la stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
Olivia fissò il murale di suo marito, così forte ed invincibile sullo stallone
nero.
Massimo le cercò la mano e lei riluttante gliela diede. Non era sicura dei suoi
sentimenti in quel momento. Arrabbiata? Risentita? Forse era semplicemente
frustrata.
- Probabilmente sverrai comunque, - disse con amarezza, - dopo che
saranno stati fatti danni irreversibili.
- Voglio che tu e Marco andiate in una tenda fuori del pretorio. L’infezione e
la malattia possono cominciare a spargersi a breve. Non c’è quasi modo di
impedirlo, quando ci sono tanti uomini feriti e tanti cadaveri. Non è sicuro
per voi rimanere in questa casa.
- Come desideri.
Massimo si portò alle labbra la mano di lei e la baciò.
- Olivia, prendo le decisioni che devo prendere, non quelle che voglio
prendere.
- Oh, Massimo... Sono terrorizzata di perderti. - Con il dorso delle dita gli
accarezzò il viso dalla barba ispida. - Tu hai un figlio. Ti prego, pensa a
lui.
Massimo annuì.
- Lo faccio. Lo faccio. Non appena Quinto si sveglierà, lascerò che Marciano mi
faccia perdere conoscenza e operi.
Olivia quasi si scagliò nelle sue braccia prima di rendersi conto che, se
l’avesse fatto, avrebbe provocato ulteriori danni alla sua gamba. Gli baciò
dolcemente le labbra, invece.
- La tua bella coscia sta per ricevere una terribile cicatrice. Dovrò baciarla
ogni notte.
Massimo sorrise.
- Non ne vedo l’ora, ma potrebbe non essere così terribile. Marciano ha dita
miracolose. - Olivia lo baciò ancora. - Va’a dire a Marciano che sarò pronto
quando Quinto si... e porta Marco via da qui. Non voglio che veda alcunché di
tutto questo.
- Giovino lo ha già portato nella sua tenda.
- Vai là anche tu.
- Voglio rimanerti vicina.
- Ti prego… resta con nostro figlio. Non voglio che tu veda che cosa sta per
accadermi.
Olivia annuì.
- Certo, certo. - Il suo viso
crollò e lacrime le salirono agli occhi.
- Basta, - la rimproverò dolcemente Massimo. - Non lasciare che Marco ti veda
sconvolta. Andrà tutto bene. Penso comunque che nei prossimi giorni Giovino
avrà bisogno di te più di quanto ne avrò io. Io sarò intontito e avrò quasi
l’intero personale medico dell’accampamento affaccendato intorno a me. - Le
lasciò la mano ad indicarle che doveva andarsene. - Ti amo, - bisbigliò.
- Ti amo anch’io. - Olivia si precipitò fuori, non osando guardarsi indietro.
L’infermeria dell’accampamento era un luogo ben organizzato, che funzionava con
efficienza, proprio come tutti gli altri aspetti dell’esercito. La stanza era
divisa in sezioni, zone dove potevano essere trattate lesioni dello stesso tipo
… ossa rotte sistemate qui, operazioni eseguite là, guarigioni in un’altra
aerea. I medici erano esperti in medicina generale, ma avevano anche una loro
specializzazione ed erano aiutati da assistenti molto esperti.
Lo speziale ed i suoi assistenti preparavano le medicine, che conservavano in
vasi che poi venivano tenuti all’interno di armadietti, lontani da luce e
calore. Foglie, corteccia e radici essiccate pendevano dalla parete, in attesa
di essere macinate di fresco in medicine, quando necessario. In una pentola
bolliva la pece liquida per trattare i moncherini. Scalpelli, aghi, pinzette,
seghe, spugne, fili per suture ottenuti dall’intestino essiccato di animali,
bastoncini di cauterizzazione, trapani e forcipi erano puliti ed organizzati in
attesa d’uso. Statue del dio greco Esculapio, e anche delle dee Panacea e Igeia
mantenevano un’attenta vigilanza sui modi di procedere.
Massimo giaceva su d’un tavolo nell’atrio vicino al cortile, per avere il
massimo della luce, e lanterne illuminavano le zone in ombra. Piatti, panni,
fasciature, spugne e strumenti medici erano stati predisposti su un tavolo
vicino, con le droghe per inibire l’infezione e scoraggiare la febbre. Il
generale era nudo - tranne che per una coperta che gli copriva con discrezione
il tronco - e la gamba destra rimaneva sorretta in alto. Era circondato da
quattro chirurghi e da sei assistenti. Lo speziale indugiava lì vicino.
- Che cosa mi stai dando? - volle sapere Massimo quando Marciano gli porse un
calice di latte caldo tinto di un colore verdastro dall’aria poco invitante.
- Devi discutere su tutto?
- Che cosa mi stai dando? - insisté Massimo.
- Oppio. Una dose molto forte, questa volta. E’una droga che compriamo
dall’oriente ed è molto costosa, ma alquanto efficace. Dopo averla presa, non
ti curerai di quello che ti farò. - Il tono di Marciano era spensierato, ma il
suo cuore era pesante. Non aveva mai eseguito un’operazione così importante in
vita sua. Massimo era il generale favorito dell’imperatore, ed era anche un
uomo al quale egli stesso teneva moltissimo, e il suo bonario scherzare con
Massimo contribuì a calmarli entrambi. - Aspetterò che tu abbia perso
conoscenza prima di spostarti in una posizione alquanto… indecorosa. Sarai
completamente nudo, le gambe spalancate e quella destra sollevata. - Marciano
soffocò una risatina. - Dovrò stare molto attento, altrimenti potrei castrarti,
nel farlo. - I chirurghi ridacchiarono.
- I tuoi tentativi di rassicurarmi sono un totale fallimento. Dammi l’oppio,
prima che cambi idea e scelga di passare il resto della mia vita con una
freccia nella gamba. - Massimo assaggiò il liquido e storse il viso al sapore
amaro, ma poi l’inghiottì tutto in pochi sorsi. Si distese all’indietro e
chiuse gli occhi, mettendo la sua vita nelle mani degli esperti chirurghi
dell’accampamento. Udì Marciano parlargli, ma la voce suonava lontanissima,
mentre il suo corpo iniziava a rilassarsi.
- Come ti senti? - chiese Marciano dopo alcuni istanti.
- Stupendamente, - mormorò Massimo, la voce impastata. Lentamente, la sua testa
cadde di lato.
- Sogni d’oro, Massimo. Ti risveglierai nel tuo letto prima d’accorgertene.
Capitolo 84 - La
guarigione
Massimo gemette piano e mosse la testa, inducendola a
vorticare per le vertigini. Sentì una mano fresca sfiorargli la fronte e si
rese conto di essere sudato. Cercò di spingere giù le coperte per rinfrescare
il suo corpo accaldato, ma esse erano saldamente rimboccate sopra le sue
cedevoli braccia. Persone parlavano, ma lui non riusciva a capirne le parole.
Scivolò nell’incoscienza…
Gemette ancora e cercò di parlare, le sue stesse orecchie non distinguendo
nient’altro che un’accozzaglia di suoni inarticolati. Mani gli toccarono il
viso, le mani, le braccia. Si leccò le labbra inaridite e riprovò.
- Sete... - Immediatamente un bicchiere di liquido gli fu portato alle labbra.
Aveva un sapore un po’amaro, ma era troppo assetato per curarsene. Scivolò di
nuovo nell’incoscienza…
La calda luce del sole gli lambì l’orecchio ed egli ruotò la testa per
catturare in pieno viso quel calore assertore di vita.
- Com’è bello… - mormorò.
- Massimo? Massimo? Riesci a parlarmi? Sei sveglio? - Olivia bisbigliò in tono
pressante.
Sentì labbra fresche sulla fronte e capelli soffici sfiorargli le guance. Alzò
una mano e catturò alcuni fili di quelle trecce di seta, ma il braccio cominciò
a tremargli, accasciandosi di nuovo sul letto.
- Debole... - Massimo udì qualcuno dire. Cercò di aprire gli occhi, ma
sembravano incollati. Infine gli altri suoi sensi riuscirono comunque a
trasmettere al cervello messaggi coerenti, rivelandogli dove si trovava. Era a
letto, il suo letto, e sua moglie era seduta accanto a lui.
- Olivia, - bisbigliò.
- Sono qui, tesoro. - Gli strinse la mano e premette la guancia contro la sua fronte.
- Scotta.
Con chi stava parlando?
Una mano si mosse sopra il suo viso, troppo grande per essere quella della
moglie.
- Un po’ caldo, ma niente di preoccupante.
- Marciano? - disse con voce raspante.
- Sì, sono qui. Hai superato bene l’operazione e sei in via di guarigione.
Massimo riuscì a fare un debole sorriso.
- Grazie.
Marciano ridacchiò.
- Prego. - Si avvicinò all’orecchio di Massimo. - Ti manca una freccia, ma
sarai felice di sapere che altrove ti ho lasciato tutto.
- Che ore sono?
- Dimentica che ore sono. Devi dormire e guarire. Ordini del medico.
Massimo lottò per aprire gli occhi. Un lampo bianco gli attraversò il cervello
ed egli gemette, stringendosi forte la testa con entrambe le mani. Gli furono
allontanate e subito un fresco panno lenitivo gli coprì la fronte e gli occhi.
Olivia glielo premette delicatamente contro le tempie.
- Non preoccuparti, mia signora, - disse Marciano. - Sta solo soffrendo per i
postumi da anestesia, ed ho dovuto dargliene una dose alquanto abbondante.
Massimo respinse il panno e aprì gli occhi molto lentamente, saggiando la luce.
Il viso grazioso e preoccupato di sua moglie venne lentamente a fuoco. Si portò
alle labbra la mano di lei e gliela baciò, poi posò la guancia contro le sue
dita.
Olivia gli accarezzò i capelli con l’altra mano.
- Bentornato, - bisbigliò.
- Dove sono stato?
Olivia rise. - Oh, in luoghi che tu solo conosci. Hai mormorato cose molto
strane nei giorni scorsi. - Marciano scosse la testa in segno d’avvertimento…
troppo tardi.
- Giorni? Per quanto tempo sono rimasto privo di conoscenza? Che giorno è oggi?
- Rilassati, - disse il chirurgo. - L’accampamento è ancora sicuro, l’impero è
ancora in mani romane, Marco Aurelio è ancora al comando. Tutto è come dovrebbe
essere. Riposati e basta.
- Voglio parlare con Quinto.
- Più tardi.
- Adesso. - Si alzò a sedere con difficoltà e Marciano accorse per spingerlo di
nuovo giù.
- Massimo, se non ti dai una calmata dovrò drogarti ancora.
- E come ti proponi di farlo, se io non berrò quella robaccia? - Le
sopracciglia di Massimo erano alzate in segno di sfida, malgrado la sua
evidente debolezza.
- Penso che forse dieci soldati robusti possano farti comportare bene
abbastanza a lungo da fartela ingoiare. Al momento sono io che prendo le
decisioni riguardo alla tua salute, e Quinto è impegnato a prendersi cura
dell’accampamento, dopo la battaglia. Non hai niente cui pensare, tranne che a
stare di nuovo bene.
Massimo saggiò con prudenza la gamba destra, e un’acuta saetta di dolore da
attanagliargli lo stomaco gli percorse il lato destro dalla caviglia
all’ascella. Il viso gli si contorse e il corpo gli s’irrigidì nell’agonia.
- Massimo? Marciano! - urlò Olivia.
- Dell’altro oppio, - ordinò Marciano risoluto al suo assistente.
Un giorno più tardi, tre giorni dopo l’operazione, Massimo si svegliò ancora.
Questa volta decise di ascoltare i segnali che venivano dal suo corpo e di
rimanere calmo e posato.
- Ti sta venendo una gran barba, - lo stuzzicò sua moglie. - Gli attendenti
verranno più tardi e ti daranno una ripulita.
- Da quanto tempo sei seduta al mio letto?
- Da quando ti portarono qui dopo
l’operazione.
Massimo si portò le dita di lei alle labbra e le baciò.
- Dov’è Marco?
- Con Persio e Giovino. Giovino sembra aver bisogno di lui in questo momento.
Marco si sta divertendo, ma tu gli manchi, e chiede di te continuamente.
- Dovrà attendere un bel po’ per vedermi. Non voglio che si avvicini
all’infermeria.
- Lo so. Aspetterà. Nel frattempo, gioca a tirar calci ad una palla e prende
ogni sorta di cattive abitudini dai soldati, parole che non ti ho mai sentito
usare, a meno che tu non sia in preda al dolore e privo di conoscenza,
naturalmente. - La bocca di Olivia era incurvata in un sorriso ironico.
- Ho imprecato molto?
- Incredibile. - Olivia scosse la testa per enfatizzare la cosa. - Il povero
Marciano si è preso un bel po’ d’ingiurie da parte tua. E hai dato ordini a
soldati che solo tu potevi vedere. Credo tu abbia comandato un’intera
battaglia, nel sonno. Devi anche aver pensato che io ero ancora in Ispania,
perché sembravi molto preoccupato riguardo ad una lettera che dovevi scrivere
ad una donna.
- Una lettera? – chiese, confuso, quindi impallidì, cominciando a ricordare, e
cambiò in fretta argomento.
- Per quanto tempo pensa, Marciano, che dovrò rimanere ancora a letto?
- Ancora qualche giorno, più o meno, poi potrai andare un po’in giro con una
gruccia, ma dovrai riposarti molto. Ci vorrà del tempo, prima di poter salire a
cavallo. - Olivia sorrise, gettando uno sguardo al murale. - Ai tuoi stalloni
mancherai. A Ercole di sicuro. Non riesce a capire perché è stato bandito dalla
casa, e si lamenta come un cucciolo. - L’espressione di Olivia divenne molto
seria. - Non eri mai stato ferito tanto gravemente prima, vero?
Massimo scosse la testa.
- No, mai.
- Massimo... promettimi che non permetterai che Marco ti segua nell’esercito.
Dopo quello che ho visto, non potrei sopportare il pensiero di un altro uomo
che amo che viva una vita così pericolosa. Tu hai dato talmente tanto
all’impero che, certamente, non sei tenuto a dare anche tuo figlio.
- Non farà il soldato, te lo prometto. Ma, sai… la vita di un soldato è in
prevalenza molto monotona… nient’altro che duro lavoro e compiti ingrati. -
Massimo alzò lo sguardo quando la porta si aprì cigolando ed un viso sfregiato,
sormontato da folti capelli scuri, sbirciò dall’apertura. - Cicero! Entra.
Entra. - Lo sforzo di sollevare leggermente la testa indusse il dolore a
percorrergli di nuovo il cranio.
Cicero era raggiante mentre entrava nella stanza.
- Gli uomini volevano che vedessi io stesso se stavi bene, generale. Non si
fidano delle parole dei chirurghi.
- Puoi dir loro che sto bene, come puoi vedere.
Il viso di Massimo era pallido e tirato e Cicero lo osservò con aria dubbiosa,
poi guardò con sdegno il disordine nella stanza provocato dagli strumenti
medici. - Pulirò io, signore. So quanto ti piace che le cose siano in ordine.
- Non c’è bisogno che tu lo faccia adesso, Cicero, - mormorò Massimo quando il
servitore cominciò ad arrotolarsi le maniche.
- Mi piacerebbe farlo, signore, se non ti dispiace. Mi darà qualcosa di utile
da fare. Mi fa sentire come se ti stessi aiutando in qualche modo. Tuttavia non
lo farò, se ti dà noia.
- Niente che potresti fare mi farebbe sentire peggio di così, te l’assicuro.
Olivia posò di nuovo un panno fresco sulla fronte del marito.
- Vi lascio soli, signori, e vado a vedere che cosa sta facendo nostro figlio.
Non lo vedo da stamattina. - Olivia baciò Massimo, sorrise a Cicero e se n’andò,
con i passi più leggeri di quanto lo fossero da settimane.
Attraverso gli occhi socchiusi, Massimo osservò Cicero che efficientemente
riordinava la stanza, piegando ed accatastando coperte, risciacquando piani
d’appoggio, restituendo alla mobilia la posizione adeguata. Massimo era
contento di lasciarlo lavorare, confortato dai suoni familiari della presenza
di Cicero. Aveva dozzine di domande circa l’accampamento, ma sembrò non
riuscire a trovare l’energia per porne più di una.
- Cicero, come sta Quinto?
- Oh, ha il braccio fasciato, e gli fa piuttosto male, ma starà bene. Sta
riposando per la maggior parte del tempo nella sua tenda, ma ha in mano le
redini della situazione, signore. Vuoi parlare con lui?
- Domani.
Cicero annuì e continuò a lavorare, raddrizzando pacchi di documenti e mappe, e
preparando le lettere non aperte in attesa dell’attenzione di Massimo. La
schiena rivolta a Massimo, non vide il cambiamento improvviso dell’espressione
del generale.
- Cicero, hai idea di che cosa sia accaduto ad una lettera da Roma… una lettera
personale… che ricevetti quando ero a Castra Regina? Probabilmente è da qualche
parte con i miei effetti personali.
- Non l’ho vista, quando ho imballato tutto, signore.
- Sei sicuro?
- Sì, sicurissimo. Tutte le tue lettere sono qui, legate in un fascio e non ce
n’è una che somigli a quella.
Massimo si accigliò, confuso, e scivolò più dentro nel letto, trasalendo al
dolore che il movimento gli causò.
- Ora ti lascio, signore. Se hai bisogno di qualcosa, chiama, ti sentirò.
Dormirò proprio fuori della tua porta.
Massimo annuì, gli occhi già chiusi. Giulia…? Qual era ora il suo nome da
sposata? Gli eventi tumultuosi delle ultime settimane avevano rimosso
quell’importante informazione dalla sua memoria. Forse gli sarebbe tornata in
mente, se avesse dormito.
Capitolo 85 – La febbre
Nel bel mezzo della notte Massimo fu svegliato
da voci nell’atrio, oltre la porta della sua camera. La pesante porta di legno
smorzava e distorceva ogni suono, ma non poteva dissimulare il tono di panico
nei timbri. Credette di udire parlare una donna, poi un bambino piangere. Che
fossero Olivia e Marco? La notte senza luna avvolgeva la stanza nell’oscurità e
Massimo si sentì davvero inerme nel buio, incapace di muoversi al di là di un semplice
spostare leggermente il corpo nel letto alla ricerca di un po’ di sollievo.
- Cicero! - gridò. - Cicero! - Non ci fu alcuna voce di risposta alla porta.
Dov’era quell’uomo? - Cicero! - chiamò ancora. Sicuramente qualcuno
aveva udito una voce in grado di comandare un’intera legione di soldati.
Frustrato per la mancanza di risposta, giacque fumante di rabbia, cercando di
appurare che cosa stava accadendo nell’atrio. C’era stato un incidente? C’era
un incendio? Massimo fiutò l’aria, ma non trovò prova a sostegno di quella
teoria.
Il suo livello d’allarme aumentò quando udì gente correre e la mobilia stridere
sul pavimento a mattonelle mentre veniva spostata.
- Cicero! - Attese un momento prima di gridare forte, - Qualcuno! - Ancora non
ci fu risposta. Provò la gamba flettendola delicatamente, e l’ormai familiare
dolore gli si scagliò attraverso la coscia, trascinando nel fremito anche
l’anca e il ginocchio. Malgrado la sofferenza, se qualcuno non fosse venuto
subito da lui, sarebbe uscito dal letto e avrebbe investigato da sé.
Il grido di un bambino perforò l’aria della notte, chiaro e agghiacciante. Il
cuore di Massimo s’arrestò: c’era solo un bambino nell’accampamento, di cui
egli era a conoscenza. Gettò via le coperte e si allungò per toccare il tappeto
di lana vicino al letto con la punta del piede sinistro. Premendo le palme
delle mani nel letto si equilibrò su di esse e fece una smorfia, mentre
lentamente trasferiva il suo peso sulla gamba sana, poi cautamente staccò i
fianchi dal letto.
- Aarghh! - urlò mentre il dolore accecante lo lacerava. Nondimeno mantenne la
posizione, malgrado le
braccia gli tremassero, e continuò a spostarsi finché la gamba ferita venne a
trovarsi proprio sul bordo del letto. Tenendo l’intero peso completamente sulle
natiche, usò entrambe le mani per sollevare la gamba bendata sopra il lato del
letto, mentre lacrime di dolore gli offuscavano gli occhi ed il sudore gli
imperlava la fronte. Quindi spostò il peso del corpo sulla gamba sinistra e si
alzò, semplicemente lasciando che l’arto ferito pendesse floscio, tenendosi
strettamente con la mano sinistra al tavolo vicino al letto, per appoggiarsi. E
adesso? Non era in grado di camminare.
Massimo trascinò il tavolino di fronte a sé e spostò il proprio peso sulle
mani, poi fece un passo avanti con il piede sinistro. Gradualmente,
dolorosamente, strascicò in avanti la gamba ferita. Quando raggiunse la porta,
ripetendo questo movimento più e più volte, la testa gli girava per il dolore
lancinante. Massimo raggiunse il pomolo e si ricordò di colpo che la porta si
apriva verso l’interno della stanza, e lui ne stava bloccando il gioco. Come
poteva essere stato così stupido? In preda a frustrazione e preoccupazione
crescenti, fece il diavolo a quattro per ottenere attenzione.
- Cicero! Marciano! Qualcuno! - Sbatté con violenza il tavolo contro la porta.
- Generale? - chiese una voce, attutita dallo spessore della porta.
- Cicero? Era tempo! Che sta succedendo là fuori? Marco sta bene?
Cicero spinse la porta, quasi buttando giù Massimo.
- Generale, sei uscito dal letto? - chiese Cicero incredulo.
Quella frase ottenne l’attenzione di tutti e tutti quanti nell’atrio
sollevarono le teste.
- Massimo, che cosa credi di fare? - interrogò Marciano, corso al fianco di
Cicero.
- Marciano, ho sentito un bambino gridare. Che cosa sta succedendo là fuori?
Marco è ferito?
- Non è ferito, Massimo, ma è malato. Ha la febbre… una febbre molto alta.
Stiamo cercando di evitare che abbia convulsioni. Ora, se vuoi essere d’aiuto,
tornatene a letto e lascia che mi occupi di tuo figlio, - disse Marciano con
asprezza, la voce che si affievoliva mentre usciva a gran passi.
- Cicero, aiutami, - supplicò Massimo, le membra tremanti per l’affaticamento e
l’ansia. Udì suo figlio piangere. - Se cercassi di muovermi, cadrei. Devo
andare da Marco.
- Che cosa posso fare? Puoi spostarti da una parte, così che io possa aprire la
porta?
- Papà! - urlò Marco, la vocina stridula per il dolore ed il panico.
Massimo s’infuriò contro la propria impotenza. Poteva condurre battaglie,
organizzare assedi, avere la meglio su chiunque con le armi, ma in quel preciso
istante non era in grado neppure di uscire dalla sua stessa camera. Raccolse le
forze e spostò da parte il tavolo, dove esso colpì il muro, rimbalzò con
fragore sul pavimento a mattonelle e andò in pezzi. Poi, saltellando sul piede
sinistro, Massimo cercò di mettersi a lato della porta, ma la gamba sfuggì al
suo controllo ed egli andò a sbattere sul pavimento accanto al tavolo,
sentendosi tanto rotto quanto inutile. Rotolò lontano dal gioco della porta,
mentre lo sforzo e la sofferenza lo facevano precipitare nella
semi-incoscienza.
Allarmato dal trambusto seguìto dal silenzio improvviso, Cicero entrò
cautamente nella stanza.
- Signore? - chiese, facendo qualche passo avanti, mentre la punta del piede
veniva in contatto con il corpo sul pavimento. S’inginocchiò vicino a Massimo.
- Signore? - domandò in preda al panico, scuotendo l’uomo prono e gridando
nell’atrio in cerca d’assistenza.
Massimo gemette e sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco la faccia
offuscata del suo servitore. Pietosamente intontito, il generale fu controllato
per vedere se aveva ossa rotte, poi sollevato da quattro attendenti e posto su
una barella. Tuttavia era abbastanza vigile da fermarli quando cercarono di
riportarlo a letto e ordinò loro di portarlo invece da suo figlio.
Olivia si limitò a lanciargli un’occhiata, quando Massimo fu poggiato sul
pavimento accanto a lei. Ella stava accovacciata vicino ad una vasca piena di
fredda acqua di pozzo, bagnando il figlio e cercando di calmarlo con sorrisi e
parole incoraggianti. Il bambino rabbrividiva battendo i denti, usando le
manine per cercare di proteggersi il corpo nudo dalla sferza dell’acqua gelida.
Man mano che il liquido si riscaldava, veniva aggiunta altra acqua fredda ed il
bambino continuava a rabbrividire e strillare. Marciano dirigeva le operazioni,
misurando costantemente la temperatura del bambino con mano esperta.
- Marco... Marco, - chiamò Massimo con dolcezza, afferrando il bordo della
vasca e tirandosi a sedere, non concedendo al suo viso il lusso di nient’altro
che una smorfia.
- Papà! - strillò Marco, e si protese in cerca della grande mano del padre.
Massimo strinse quella piccola del figlio con entrambe le sue.
- E’ ammalato? - chiese Massimo alla moglie affaticata, la mente talmente
devastata dal dolore da essere incapace di formulare una domanda meno ovvia.
- Stava benissimo quando è andato a letto. Mi sono svegliata nella notte e ho
udito che faceva fatica a respirare. Quando gli ho sentito la fronte, bruciava
di febbre, perciò ho svegliato Marciano e ci siamo affrettati a portarlo qui. -
Continuava a blandire il figlio facendogli scorrere un panno bagnato sul viso,
mentre parlava con il marito.
- Perché ha la febbre? Che malattia potrebbe avere? Qualcun altro è malato?
Olivia non era in grado di rispondere alle domande del marito così riportò la
concentrazione sul figlio e rispose semplicemente:
- Non lo so.
Marciano ritornò con una mistura in un bicchiere di vetro.
- Ne ha avuto abbastanza per ora, - disse ai suoi assistenti. - Tiratelo fuori
e mettetelo sul tavolo. Mantenete freddo il bagno, perché potremmo doverlo
rimettere dentro in qualunque momento. Olivia, tu tienilo, perché dobbiamo
dargli questa medicina di corteccia di salice ed è amarissima. Ho qui del miele
per indurlo ad accettarla.
Olivia sedette sul tavolo, con il figlio bagnato tra le braccia, ninnandolo
sommessamente con parole rassicuranti, ma quando gli portò il bicchiere alla
bocca egli voltò la testa e strinse le labbra risoluto, scuotendo la testa.
- Cicero, aiutami a mettermi su una sedia. Non riesco nemmeno a vederlo da
quaggiù. - Subito Massimo si sedette accanto al figlio, incoraggiandolo a
prendere la medicina mescolata a del latte. Non ebbe maggior successo di sua
moglie. - Marco, se ne bevo un po’ io, poi lo berrai anche tu? - Massimo prese
il bicchiere dalla moglie e ne prese un salutare sorso, ma non era preparato a
quanto fosse completamente disgustoso il liquido e non riuscì a reprimere un
fremito. - Ecco... - disse Massimo, forzando un sorriso alle labbra, -
certamente è disgustoso, ma mi fa bene, così lo berrò comunque. Marco, ne
prendo un sorso io, poi ne prendi un sorso tu, d’accordo?
Il bambino pareva riluttante, ma sembrò disposto a provare qualcosa che il suo
papà beveva. Dopo un piccolo sorso, tuttavia, ne rifiutò caparbiamente
ulteriori.
- Marco, l’acqua fredda non è molto divertente, vero? - si rammaricò Olivia. -
Bevendo questa medicina la febbre potrà scendere, così non sarai costretto a
tornare nell’acqua. Se la berrai in fretta, non ne sentirai nemmeno il sapore.
Guarda! Papà ne sta per bere ancora.
Una mezz’ora dopo, usando una combinazione d’incitamenti, allettamenti e
promesse di regali, il bambino aveva consumato tutto il liquido e stava
sonnecchiando tra le braccia della madre. Marciano glielo prese e lo depose sul
tavolo, lasciandolo scoperto mentre gli assistenti gli strofinavano alcool
d’orzo sul corpicino per contribuire a scacciare la febbre. Dopo poche ore
dovettero ripetere tutto daccapo.
I suoi angustiati genitori si consultarono con Marciano, il quale li rassicurò
che nessun altro nell’accampamento aveva una febbre causata da qualcosa di
diverso da una ferita.
- Allora da che cosa è causata? - volle sapere Massimo.
- Acqua, sospetto.
- Hai appena detto che nessun altro era ammalato. Come può essere, se la sua
febbre è causata da contaminazione dell’acqua? - chiese Massimo. Guardò la
vasca. - Se è l’acqua, perché gli stiamo facendo il bagno?
- Non ci vuole molto a far ammalare un bambino, e non credo che siano i nostri
pozzi. - Marciano respinse stancamente i lunghi fili di capelli grigi
fuoriusciti dal loro nodo sulla nuca. - Ha giocato vicino al fiume?
Olivia guardò Massimo, poi il chirurgo.
- Non lo so. È stato sotto la custodia di mio fratello e Giovino per circa
cinque giorni.
- Non avrebbe dovuto stare fuori dell’accampamento, - arguì Massimo, mentre un
senso di terrore lo coglieva inaspettatamente.
- Parlerò con loro, - disse Olivia, allontanandosi in fretta per interrogare i
due uomini in ansia che aspettavano proprio all’entrata.
Uscita la moglie, Massimo diede uno strattone alla mano di Marciano e tirò giù
il chirurgo al suo livello.
- Quant’è grave? - chiese a voce bassa.
- Molto grave. Dobbiamo ridurgli la febbre e mantenerla bassa. Una febbre alta
prolungata è particolarmente pericolosa in un bambino, perché può lasciargli
danni al cervello... o peggio. - Marciano guardò il suo generale con immensa
compassione. Era crollato in una sedia, per l’evidente dolore fisico ed
emotivo. Il suo volto era molto pallido e tirato, e macchie di sangue erano
sparse sulle fasciature, indizio sicuro che alcuni punti si erano strappati a
causa della sua lotta per raggiungere il figlio. Era fuori pericolo, comunque,
e sarebbe guarito alla fin fine, così Marciano decise d’ignorare per il momento
la fasciatura sanguinante e di concentrarsi sul piccolo ammalato. Si raddrizzò.
Olivia ritornò, tirandosi appresso Persio. Giovino si indugiava dietro di loro.
Prima che Olivia potesse dire alcunché, Persio vuotò il sacco.
- Marco si annoiava, così ho pensato che gli sarebbe piaciuto giocare con
bambini della sua età. Io... l’ho accompagnato al fiume, perché i bambini del
villaggio giocano là. È stato sorvegliato da una dozzina di soldati armati. Non
potevo vedere il pericolo, Massimo. Non sapevo che l’acqua era contaminata.
Sembrava limpida e non mandava cattivo odore. - Quando ebbe finito, Persio
stava tremando ed era prossimo alle lacrime.
Massimo non disse niente, mentre fissava il figlio addormentato.
Marciano aggiunse una spiegazione.
- La neve sui picchi per la maggior parte si è quasi completamente fusa, perciò
il fiume non sta scorrendo alto e veloce come prima. Ha lasciato stagni d’acqua
ferma nelle curve e, poiché ha fatto molto caldo, la contaminazione si è
alimentata su qualsiasi fluido proveniente dai cadaveri che sia riuscito a
diffondersi nell’acqua. Non è ancora abbastanza maligna da potersi vedere o
sentirne l’odore, Massimo. - Marciano sentiva di dover difendere il giovane e
l’ingegnere dell’accampamento. Sapeva quanto poteva essere pericoloso Massimo,
quando spinto oltre il limite della razionalità, e gli mancava poco a
raggiungerlo, nel suo stato attuale.
- Dobbiamo mantenere i bambini del villaggio fuori da quella zona. Ce n’è
qualcuno malato? - chiese Massimo, la voce stranamente priva d’emozione.
Un chirurgo che stava ascoltando la conversazione dalle ombre fece un passo in
avanti.
- Sì... tre. Un altro è morto alcune ore fa.
Massimo udì la moglie lottare per soffocare l’apprensione, ma non distolse gli
occhi dal figlio e disse con voce pacata.
- Mandate fuori i soldati alle prime luci, per rimuovere quegli stagni
contaminati e tenere chiunque lontano dal fiume per alcuni giorni. Controllate
molto attentamente l’acqua di pozzo. - Guardò Marciano. - Portate qui i bambini
del villaggio che sono ammalati. Devono ricevere la stessa assistenza medica di
mio figlio.
Mentre Massimo parlava, Giovino silenziosamente era andato a mettersi dietro il
suo generale ferito ed ora gli mise la mano sulla spalla. Massimo l’afferrò con
la propria mano tremante e gliela strinse forte, un uomo che recentemente aveva
perso un figlio e l’altro nel pericolo di perdere il suo.
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