La Storia di Massimo: Capitoli 76 – 80

 

 

 

Capitolo 76 - Intimità

Stelle luminose brillavano tra le assi delle imposte nella stanza da letto, non notate dalla coppia nel letto, mentre Olivia e Massimo cedevano alla loro passione per la terza volta quella notte, finendo quello che le loro dita e lingue indagatrici avevano iniziato. Questa volta lei gli stava sopra a cavalcioni, le gambe lungo i suoi fianchi, ruotando le anche in cerchi sensuali guidata dalle mani di Massimo, le lunghe trecce che gli sfioravano il petto che si sollevava e abbassava con ritmo crescente all’intensificarsi dell’ardore di lui. Le mani aperte di Massimo scivolarono verso l’alto dai fianchi della donna e le afferrarono i seni pieni, carezzando con i pollici i rosei capezzoli tesi per il desiderio. Lunghi mesi d’astinenza per entrambi rendevano il loro amplesso ancora più dolce, un atto raro e prezioso come una gemma scintillante, raramente trovata ma degna della ricerca.

Le mani di lui s’attorcigliarono ai capelli di Olivia ed egli attirò a sé le sue labbra, premendole i seni contro il proprio petto, mentre le loro lingue s’intrecciavano. Massimo fece rotolare Olivia e, per la seconda volta quella notte, ruzzolarono fuori dei bordi dello stretto letto, piombando sul tappeto di lana lì a lato, con Massimo che assorbiva l’impatto con la spalla ed il fianco.
- Dannato letto, - ringhiò, ponendo Olivia sotto di sé e bilanciando il proprio peso sui gomiti e sulle ginocchia.

Ella gli avvolse le lunghe gambe intorno alla vita ed ansimò:
- Non progettato per fare l’amore, ovviamente. Trovo che sia una cosa rassicurante.

Massimo cercò di prolungare la loro passione rallentando il ritmo, ma erano entrambi ben oltre il punto in cui ciò avrebbe potuto aver effetto.
- Non hai nulla di cui preoccuparti. I miei uomini pensano che io sia un pazzo a rifiutarmi di assaggiare ciò che mi viene offerto.

- Il mio bel marito attira le signore?

- E’ l’uniforme. - Massimo gemette sentendo il corpo di Olivia stringerglisi attorno convulsamente. La risata di lei s’alzò velocemente a spirale fino ad un grido febbrile ed ella gli morsicò con forza la spalla, riuscendo a soffocare efficacemente il suono, ma spingendo il marito oltre ogni controllo. Gli afferrò le natiche per spingerlo dentro di sé mentre lui gemeva incalzando con i fianchi in modo incontrollabile, poi le braccia di lui cedettero ed egli crollò, con a mala pena la forza di evitare che il suo peso la schiacciasse. Olivia lo tenne stretto e gli carezzò i capelli umidi ed il collo sudato, finché il suo respiro si calmò, poi sgusciò da sotto di lui permettendogli di ricadere sul pavimento riscaldato, esausto, la guancia premuta contro il tappeto e gli occhi chiusi.

Sfinita com’era, si sedette eretta, con la schiena contro il letto, ed ammirò la figura nuda di lui con il cuore di una donna e l’occhio di un’artista. Era bello. Seguì con lo sguardo le curve e gli avvallamenti della sua schiena mentre questa s’alzava ed abbassava con ritmo regolare, vagando sopra ed intorno ad ogni muscolo scolpito, dalle ampie spalle alla vita affusolata. Adorava il punto in cui la spina dorsale di lui scompariva tra le natiche sode e rotonde, e le due profonde fossette a ciascun lato del suo fondoschiena. Si raccolse i capelli in una mano piegandosi su di lui e sfiorò le due insenature con le labbra. Suo marito non si mosse. Ella passò poi in rassegna le sue membra… le dritte gambe robuste, perfette come quelle che onoravano le statue di marmo degli atleti greci. Baciò la parte posteriore delle sue ginocchia. Le sue braccia erano perfette come le gambe, dai muscoli duri e resi terribilmente forti da anni ed anni di roteare spade e inalberare scudi. Baciò le impronte dei denti che vi aveva lasciato.

Olivia si allungò all’indietro e tirò via una coperta dal letto, quindi coprì entrambi rannicchiandosi contro di lui, il dito che tracciava pigre figure sulla sua schiena. Egli girò la testa per guardarla in viso ed ella sorrise nei suoi occhi assonnati.
- Credevo che ti fossi addormentato.

- Quasi. Pensavo di rimanere sveglio per scoprire dove mi avresti baciato dopo.

Olivia rise.
- Ti amo.

- Ti amo anch’io.

Olivia adorava il rombo profondo della sua voce.
- Ti dispiace che sia venuta qui? - lo stuzzicò.

Massimo fu lento a rispondere.
- Non ancora, - disse.

Olivia era stupita della sua risposta.
- Che vuoi dire con ‘non ancora’? Vuoi dire che ti stancherai di me?

- Mai. No, volevo dire che le tribù germaniche stanno intensificando i loro attacchi in territorio romano. Sembrano fatti a casaccio, sebbene uno schema stia emergendo: si stanno di sicuro dirigendo ad Est.

- Da questa parte.

- Sì. E’ molto probabile che Vindobona sarà attaccata nei mesi o nelle settimane a venire.

Olivia alzò le spalle.
- Saremo al sicuro.

- Nessuno è al sicuro. - Massimo si voltò sulla schiena e l’avvolse nelle sue braccia. - Ho visto delle cose terribili, Olivia. Ho fatto delle cose terribili… nel nome dell’imperatore e per la gloria di Roma. Non credo che ciò che ho fatto sia sbagliato, o che l’imperatore sbagli nel chiedermi di farlo. E’ solo che muoiono tante persone innocenti. Io penso che sia importante mantenere i territori che abbiamo, ma Marco Aurelio vuole di più. Si vuole spingere ancora più  a Nord, una volta che avremo consolidato la situazione lungo il confine. Ha messo gli occhi sulle miniere ricche di minerali e di gemme. Quante vite vale tutto questo? Vale forse una famiglia romana che perde il padre o il marito o il fratello? Vale forse una donna germanica che seppellisce il suo figlioletto innocente a causa di una ferita subita durante un assedio?

Olivia si sollevò su un gomito e abbassò lo sguardo sul suo uomo.
- Oh, Massimo, vorrei poterti aiutare ad alleviare il peso sulle tue spalle.  Non ho mai avuto intenzione di rendere il tuo fardello ancora più pesante, venendo qua.

- Con l’essere qui tu mi rendi il peso sia più leggero sia più pesante.

- Be’, allora… si equilibra.

Massimo sorrise, ma subito tornò serio.
- Non posso rimanere per troppi altri giorni. La mia ipotesi è che i Germani siano prossimi a colpire la zona di Castra Regina (*) e io devo recarmi là. I luoghi in cui accampamenti e villaggi confinano sono particolarmente vulnerabili.

- Capisco. - Ella si distese di nuovo, con la testa sulla sua spalla.

- Davvero? Capisci davvero quanto sarà difficile per te sapere che io sarò in battaglia… che quando ti lascerò andrò in guerra? Quando sei lontana in Ispania puoi immaginarmi in salvo. Ora saprai altrimenti.

Olivia non replicò.

- Sai perché il pavimento è così caldo? - chiese Massimo.

Olivia era disorientata dall’improvviso cambiamento d’argomento.
- Sì. Il tuo capo ingegnere, Giovino, si è compiaciuto di mostrarmi l’intero funzionamento. E’ un uomo molto intelligente.

- Lo è. Ma ciò di cui egli non si rende conto è che involontariamente ha creato l’unico nascondiglio veramente sicuro di tutto l’accampamento. Farò spegnere il fuoco… così se cadremo ancora sul pavimento, sarà freddo. - Massimo sorrise brevemente. - Inoltre ordinerò che l’area sotto il pavimento sia rifornita di alimenti non deteriorabili e d’acqua, e anche di coperte. Al primo segno di pericolo, voglio che tu e Marco vi andiate e vi rimaniate finché io, o uno dei miei uomini, vi permetta di uscire. Darò queste istruzioni a Quinto e mi aspetto che tu vi obbedisca senza discutere. La tua vita e quella di Marco possono dipendere da questo.

- E per quanto riguarda Persio?

- Non lo so ancora. Posso volerlo con voi o posso aver bisogno di lui per altre cose. Non ho ancora deciso.

- Non è un soldato. Non è addestrato.

- Me ne rendo conto, ma conosce i cavalli e può occorrerci per tale capacità. - Massimo baciò la sommità della testa della moglie. - Se accadesse qualcosa a te o a Marco, anche la mia vita sarebbe finita. Non mi sono reso conto di quanto sia penoso perdere un bambino finché non è accaduto. Non sopravvivrei mai alla perdita di un altro, e certamente non alla perdita della mia adorata moglie.

Olivia sollevò la testa e guardò negli occhi di suo marito.
- Pensi ancora a Massima?

- Non è mai lontana dai miei pensieri.

- Né dai miei. E’ facile dire che avremo altri bambini, ma lei non la sostituiremo mai.

- No, sarà sempre perduta, per noi.

Olivia gli accarezzò il viso, facendo scorrere le dita da una parte all’altra delle sue sopracciglia e giù per la guancia fino alla barba, che accarezzò con dolcezza.
- Alla maggior parte degli uomini non sarebbe importato, sai… della perdita di una figlia. Specialmente di una che non ha mai visto.

- Io non sono la maggior parte degli uomini.

- No… no, certamente non lo sei. - Olivia rannicchiò di nuovo la testa nella sua spalla. Istanti dopo sussurrò: - Sono la donna più fortunata del mondo.

Egli non replicò e Olivia si rese conto che il suo respiro era divenuto profondo, con un lento ritmo regolare. Si era infine addormentato.




Massimo si risvegliò, i segnali di piacere provenienti dal suo corpo che finalmente gli penetravano nella mente, ma non abbastanza da svegliarlo completamente. La sua testa ciondolò a sinistra, poi a destra, gli occhi chiusi. Il suo braccio si mosse per abbracciare la moglie, ma cadde di traverso sul petto, afferrando solo l’aria. Ricadde in un sonno profondo, poi si svegliò di nuovo e gemette piano, la mente non abbastanza vigile da interpretare i segnali che gli arrivavano dai sensi. Le sue palpebre infine sbatterono e le sue gambe si spostarono, ma qualcosa le bloccò dall’andar più in là. Gli sfuggì un gemito e all’improvviso fu completamente conscio di mani e labbra calde e di una lingua umida, mentre Olivia esplorava e accarezzava la parte inferiore del suo corpo. Già esaurito dal lungo viaggio e dalle tre sessioni d’amore, non aveva energia per rispondere oltre un livello puramente primitivo e la mano gli ricadde lungo il fianco quando egli tentò di afferrare la moglie. Le sue labbra si separarono per introdurre più aria nei polmoni mentre il respiro s’intensificava, ogni ansito formando un sospiro di puro piacere. La punta del suo piede si fletté e le gambe s’agitarono irrequiete, le cosce che bruciavano. I suoi sospiri si fecero più gravi fino a divenire gemiti gutturali, mentre le sue natiche si contraevano inconsciamente ed i fianchi si sollevavano dal pavimento. Sentì una mano scivolare sotto di lui, incoraggiando la sua passione, ma tenendolo saldamente in posizione. Egli voleva cercare di afferrare Olivia, ma le braccia si rifiutavano di obbedirgli e, invece, si spalancarono di lato e sopra la testa dove le sue dita trovarono il tappeto e lo attorcigliarono appallottolandolo strettamente. Gettò indietro la testa, i tendini del collo tesi nello sforzo. Il suo corpo non era più suo, ma completamente sotto il comando della donna ai suoi fianchi ed ella misericordiosamente lo spinse verso la liberazione che il corpo e la mente chiedevano insistentemente, il suo prolungato gemito di soddisfazione simile ad un grido di dolore. Massimo si afflosciò sul pavimento completamente prosciugato, il respiro rauco e le membra tremanti. Era al di là dello sfinimento. Se i barbari avessero attaccato Vindobona in quel momento, avrebbero trovato il generale debole e indifeso come un neonato. Totalmente vulnerabile. Mentre i suoi sensi si calmavano ed il battito del suo cuore rallentava, i suoi pensieri sconnessi si dissolvevano nell’oscurità ed egli scivolò in un profondo sonno senza sogni affine allo stato d’incoscienza.

Olivia gli accarezzò il viso finché non fu certa che stesse dormendo, poi ancora una volta lo coprì con la coperta. Lo baciò sulle labbra leggermente socchiuse, poi sussurrò:
- Non è l’uniforme, amore mio. Credimi… non è l’uniforme, - prima di sistemarsi al suo fianco e raggiungerlo nel sonno.

(*)
L’attuale Resenberg (Germania) (N.d.T.)

 

Capitolo 77 – Il giro a cavallo

Massimo strizzò entrambe le palpebre e sollevò la mano per bloccare la sgradita luce vivida. Chi stava accendendo la lanterna nei suoi occhi? Rotolò la testa di lato, quindi aprì un occhio di traverso, preparandosi a punire Cicero per averlo disturbato così presto. La camera era illuminata da dardi di brillante luce solare che filtravano dalle imposte delle finestre, colpendo la coppia sul pavimento ad un’angolazione tale che Massimo si rese conto con una scossa che mezzogiorno doveva esser passato da un pezzo.

- Oh, merda! - mormorò prendendo la moglie addormentata tra le braccia e deponendola delicatamente sul letto. Ella si mosse appena. Massimo aveva dormito per la durata della sua riunione con Quinto ed i propri ufficiali, e non aveva mantenuto la promessa fatta a Marco sull’uniforme e la cavalcata. Rovistò nel guardaroba per trovare una tunica pulita, poi si vestì in fretta, passandosi le dita tra i capelli per domarli. Stava ancora allacciandosi il secondo stivale quando udì suo figlio parlare con Persio dall’altra parte della porta.

- Insomma, dov’è?

- Sta ancora dormendo, Marco. Ti porterà a cavalcare quando si sveglierà.

- E quando sarà?

- Presto.

- L’hai detto anche l’ultima volta. Voglio mostrargli il mio…- Massimo aprì la porta, facendo trasalire i due. Piuttosto imbarazzato, si lisciò la tunica e ignorò il largo sorriso sfrontato di suo cognato. Cicero stava in piedi vicino alla porta della propria stanza, sorridendo anche lui. Massimo normalmente si alzava all’alba. Non sarebbe mai riuscito a far dimenticare la cosa.

Persio lanciò la prima frecciata.
- Massimo, hai un’aria un po’ trascurata questa matt… oh, scusami… questo pomeriggio.

- Papà. Guarda che cos’ho. Guarda che cos’ho! - Ignorando Persio, Massimo si accosciò per esaminare l’equipaggiamento del figlio. Era un’imitazione affrettata, ma alquanto dignitosa, della sua stessa uniforme di generale. La corazza era un pezzo di legno sottile, dipinto per somigliare alla corazza di Massimo e legato con nastri. Riconobbe la stoffa del mantello come proveniente da uno strappato che di recente aveva scartato, ma che Cicero aveva evidentemente tenuto. Il calzolaio aveva cucito insieme in fretta un paio di stivali per Marco, ed uno spadino di legno ciondolava da una corda al suo fianco. Sopra le spalle erano appese strisce di pelliccia a brandelli di qualche sfortunato animale, che Ercole fiutava e sfregava col muso, perplesso quanto Massimo sulla sua origine.

- Dove hai preso tutto questo? - chiese Massimo, impressionato dalla velocità con cui l'insieme era stato riunito.

- Cicero! - esclamò Marco. - E anche zio Persio ha aiutato.

- Be’, dovevamo pur fare qualcosa per tenere occupato il ragazzo mentre aspettava che il suo papà si svegliasse durante le trascorse… - Persio finse di contare, - sette ore.

- Tu non indossi la tua divisa, - esclamò Marco, la delusione evidente nella voce quando s’avvide della semplice tunica marrone del padre.

- Me la metto subito, Marco. Papà era molto stanco stamattina e ha dormito troppo…

- Che eufemismo… - sogghignò Persio.

Massimo rivolse al giovane la sua migliore occhiataccia da generale, ma Persio rifiutò di farsi intimidire, ora che il suo apparentemente infallibile cognato aveva finalmente mostrato una crepa nell’armatura.
- Marco, so di aver promesso di portarti a cavalcare e lo faremo molto presto. Devo solo parlare con alcuni uomini, in primo luogo. Devo farlo, per prima cosa, - ripeté, sperando che il ragazzo capisse. Il viso di suo figlio mostrò disappunto. Massimo guardò Persio in cerca d’aiuto, ma il giovane si limitò a scuotere leggermente la testa come per dire "Adesso sono fatti tuoi, generale."

- D’accordo… qui, puoi cavalcare sulle mie spalle mentre io cerco Quinto.

- Quinto è quell’uomo con le cicatrici in mezzo agli occhi? - chiese Persio con aria innocente.

- Sì. Perché?

- Se n’è andato da un pezzo.

- Che cosa?

- Era qui, circa cinque ore fa, ma Cicero non gli ha permesso di disturbarti. E’ ritornato almeno quattro volte prima di decidere che aveva di meglio da fare. Ha detto che ti avrebbe incontrato stasera… se ti fossi svegliato per allora.

Massimo si sfregò la barba esasperato.
- Marco, rimani con lo zio Persio mentre io mi metto l’uniforme. Mamma sta ancora dormendo e non voglio svegliarla. Rimani qui fuori, d’accordo? Non ci metterò molto. - Massimo guardò Persio. - Occupatene tu ancora per qualche minuto, - e quando Persio sembrò poco propenso a cooperare, aggiunse: - e questo è un ordine.

Persio s’inchinò con aria irriverente, poi prese la mano del bambino.
- Vieni, Marco. Il tuo papà può raggiungerci alle scuderie. Selliamo Scarto!

Massimo li osservò andare via, quindi guardò Cicero, che era appoggiato contro la porta.
- Grazie, Cicero, per l’uniforme di Marco... e per avermi lasciato dormire, anche se ho la sensazione che dovrò pagare caro questo piccolo lusso.




- E’ bello vederti finalmente in piedi, generale! Ci stavamo domandando se dovevamo entrare a salvarti, signore.

- Hai l’aria un po’ stanca, oggi, generale. Troppi doveri da adempiere la scorsa notte?

Massimo cercò d’ignorare le burle bonarie dei suoi uomini mentre faceva camminare lentamente Scarto intorno all’accampamento, con Marco appollaiato fiero fra le sue cosce come una sua versione in miniatura. Aveva sperato che l’abbigliamento formale da generale potesse dissuadere un po’ i soldati, ma quella speranza era rapidamente sfumata. Massimo spesso sembrava così assolutamente perfetto in tutto quello che faceva, che la maggior parte degli uomini trovava davvero confortante sapere che il generale poteva soccombere a bisogni e desideri umani molto bassi, dopo tutto… proprio come loro… e intendevano trarre il massimo vantaggio da una situazione che avrebbe potuto non ripresentarsi mai più.

Il generale descrisse in termini semplici a suo figlio ogni aspetto dell’accampamento, e rispose a tutte le domande del ragazzo, mentre sorrideva con aria rassegnata e annuiva col capo, per ricevere ed accettare ogni commento faceto, o malizioso ammiccamento, o largo sogghigno, da parte dei suoi uomini. Massimo presto scorse Quinto camminare in lontananza e sollecitò al trotto Scarto, per raggiungerlo.

- Bene, il generale Massimo, - disse Quinto, - ed il generale Marco. - Quinto fece il saluto militare al bambino e Marco ridacchiò mentre il suo papà gli mostrava come restituire il saluto. - Felice di vederti ricomparire quando c’è ancora la luce del giorno.

- Non cominciare anche tu.

- Ohgli uomini ti stanno dando del filo da torcere, questo pomeriggio? - Quinto chiese con un’enfasi pesante sull’ultima parola.

- Durante l’ultima ora ho dovuto sottomettermi ripetutamente all’identico bistrattamento verbale. Ed ogni uomo sembra ritenere di essere il primo a pensare di dire una cosa così intelligente.

- Be’… - Quinto si spostò vicino al ginocchio di Massimo, mentre Marco era distratto per il momento, e parlò dietro la mano. - Gli uomini pensano che non lo fai abbastanza e che la scorsa notte era attesa da lungo tempo.

Massimo abbassò lo sguardo furioso dalla sella dell’enorme stallone.
- Grazie per aver specificato l’ovvio.

Quinto sogghignò.
- Faremo ancora il nostro incontro?

- Sì, ho importanti informazioni. Raduna gli ufficiali nel pretorio subito dopo cena, d’accordo?

- Ci saremo.

- L’accampamento ha un’aria formidabile, Quinto. Gli uomini sono in buona forma e di buon umore. Hai fatto un lavoro eccellente.

- Grazie, - rispose il legato, sinceramente riconoscente per il commento.

Massimo girò Scarto e cominciò a dirigersi verso il cancello dell’accampamento.

- Massimo? - Quinto gli gridò dietro.

Egli fece fermare lo stallone e guardò sopra la spalla.

- Sì?

- Lo stanno facendo soltanto perché ti sono molto affezionati. Se non lo fossero, t’ignorerebbero e basta. Prendilo come un complimento.

Massimo rimase un istante ad assimilare mentalmente la cosa, quindi sorrise e fece un breve cenno del capo.
- Grazie, Quinto. - Spronò Scarto di nuovo al passo e cominciò a descrivere l’importanza del cancello e delle protezioni al bambino che pendeva da ogni parola del suo papà. Massimo sospirò e si preparò ad un altro attacco verbale, quando gli uomini a guardia del cancello lo videro avvicinarsi e le loro facce si spalancarono in grandi sorrisi.




Massimo salutò i suoi tribuni e centurioni tenendo alzata la mano per ottenere il silenzio mentre camminava nella stanza.
- Signori, ho subito più sbeffeggiamenti oggi di quanti ne abbia mai sofferto nell’intera mia vita. Perciò, se volete tirare le vostre frecciate, fatelo adesso per favore, così da poter tornare ai nostri doveri. - Egli abbassò lo sguardo su ogni uomo, ad uno ad uno, e osservò i loro sorrisetti compiaciuti spegnersi.

- Bene, - disse Massimo sedendosi e preparandosi a dare inizio all’incontro. - Ora, la frequenza degli attacchi su accampamenti e villaggi romani sta aumentando costantemente e così l’intensità.  Finora non abbiamo perduto neanche una battaglia, ma abbiamo perduto molti uomini, compresi gli ufficiali, giacché questi ultimi sembrano essere i bersagli principali. I barbari sperano di indebolire l’esercito lasciandolo senza guida. - Un mormorio percorse rapidamente la stanza e Massimo attese che si quietasse. - Ho ravvisato uno schema negli attacchi. Essi sembrano saltare gli accampamenti isolati e attaccare quelli strettamente legati ai villaggi, come il nostro. Attaccano i villaggi di notte, e quando i soldati si riversano fuori dell’accampamento per difendere i cittadini romani, i germani si mettono tra i soldati ed il loro accampamento. Hanno fatto in modo di rubare parecchie uniformi ed armi romane. Le tribù stanno anche dirigendosi costantemente verso Est e io sospetto che Castra Regina possa essere il prossimo bersaglio. Mi recherò là dopodomani.

- Porterai le centurie con te, Massimo?

- No. Non è che non abbia bisogno del loro appoggio, è che non posso permettermi di indebolire quest’accampamento. Credo che Vindobona possa essere il premio finale. E’ l’accampamento più grande, annesso al villaggio più prospero. Quando me ne sarò andato, voglio che le guardie sulle mura siano raddoppiate e che un’unità pattugli il fiume. Il guaio è che è un fiume lungo e potrebbero attraversarlo ovunque. Ogni uomo deve tenersi in massima allerta in qualunque momento. L’attacco potrebbe arrivare entro poche settimane o potrebbe non arrivare per mesi. - Massimo guardò Quinto. - Voglio che la fornace nella mia casa sia spenta e che l’area sottostante il pavimento sia rifornita con tutte le provviste di cui mia moglie e mio figlio avranno bisogno per trascorrere forse due settimane là sotto. Al primo segno di pericolo, lì è dove devono andare e non devono uscire finché tutto sarà assolutamente sicuro.

Quinto annuì.
- Ci prenderemo buona cura di loro, Massimo. Non hai nulla di cui preoccuparti al riguardo.

- Lascerò qui Cicero per soprintendere a questo compito, - disse Massimo a Quinto, poi si rivolse di nuovo al gruppo. - Quest’accampamento è più che mai pronto alla guerra. Siamo in buone condizioni grazie a tutti voi e ciò mi solleva considerevolmente. Castra Regina è solo ad un giorno e mezzo da qui, perciò io mi manterrò in quotidiano contatto per mezzo di un corriere. Ci sono domande?

Gli uomini scossero le teste, poi una voce saltò su.
- Solo una, signore.

- Collatino? - Massimo riconobbe uno dei centurioni.

- In realtà è un suggerimento, signore. Forse tu e tua moglie dovreste dormire separati d’ora in poi, così sarai abbastanza sveglio da guidare la legione quando arriverà l’attacco.

I muri di pietra risuonarono di risate mascoline.

- Non potevi proprio trattenerti, vero? - disse Massimo, e si unì alle risate.




Ore dopo, Massimo si preparava a raggiungere la moglie nella loro camera, quando si fermò per controllare un biglietto affisso alla porta. Nella larga calligrafia di Persio, diceva: NON DISTURBARE PRIMA DI META’ POMERIGGIO PER ORDINE DEL GENERALE MASSIMO.

Massimo sospirò gravemente mentre strappava il biglietto dal legno e lo accartocciava nel pugno.
- Cicero! - gridò.

Cicero fece capolino dalla sua porta.
- C’è qualcosa che posso fare per te, generale?

- Sì. Puoi trascinarmi fuori del letto domani all’alba, non importa quanto sia stanco o quanta resistenza faccia. E’ chiaro?

- Certamente, signore. - Cicero non poté trattenere un ultimo sogghigno. - Ti auguro una buona notte, Massimo.


Capitolo 78 - Lettere da Roma

Massimo era via da otto giorni ed ancora Olivia non sembrava riuscire a stabilire una qualche sorta di consuetudine quotidiana. Era difficile da farsi, all’accampamento, dove la sua esistenza era limitata quasi completamente al pretorio. Giocava con Marco, ma lui preferiva la compagnia dello zio Persio, che poteva spostarsi nell’accampamento molto più liberamente di Olivia. Irrequieta, cominciava un’attività solo per abbandonarla e cercarne un’altra, portandone ben poche a termine. Quando Cicero venne a controllare i vestiti di Massimo per ripararli, ella reclamò per sé quel compito, felice di qualsiasi attività che le permettesse di star seduta tranquilla a pensare a suo marito. Sfiorò le lane delle sue tuniche e mantelli, ed il lino dei suoi indumenti intimi, trovando conforto nel toccare qualcosa che era stata a contatto con lui.

Il giorno seguente era luminoso, così ella chiamò a sé energie e motivazione, per lavorare sui murali incompiuti, desiderando completarli prima del ritorno di Massimo. Mescolò i colori e con attenzione aggiunse se stessa e Marco al murale della fattoria, in piedi vicino al grande pioppo come suo marito aveva richiesto. Poi si concentrò sul grande murale del ritratto di Massimo da generale, fissandolo con immenso orgoglio… non orgoglio per il proprio lavoro, quanto orgoglio per il marito. Desiderava che l’affresco durasse nel tempo, così che le generazioni future di soldati lo guardassero e capissero il grand’uomo dietro l’uniforme.

Una notte, dopo aver dipinto per quasi un giorno intero, mise Marco a letto e chiese a Cicero di sorvegliarlo, poi passeggiò senza meta fuori della casa, nel pretorio. Il giorno era stato caldo in modo anomalo per la stagione, e la stanza da letto era soffocante. Sollevò i capelli allontanandoli dal collo e lasciò che la brezza serale la rinfrescasse. Facendosi scivolare i capelli fra le dita, fissò la luna piena e si chiese se anche suo marito la stesse guardando. L’aria notturna era rinfrescante, così Olivia si sedette vicino alla porta della casa di pietra, allungò le gambe e sbadigliò. L’accampamento era un luogo solitario, senza Massimo. Il pretorio era una porzione relativamente piccola dell’accampamento - un’area che univa la casa del generale alle tende degli ufficiali importanti - e le era presto venuto a noia. Era abituata a girovagare per grandi poderi, andando in assoluta libertà ovunque desiderasse andare, e le restrizioni qui la stavano stancando. Desiderava intensamente qualcuno con cui parlare.

Le donne che popolavano l’accampamento non erano tipi da socializzare con la moglie del generale e gli ufficiali tendevano a trattarla con distante rispetto. Gli uomini si rivolgevano a lei come "Domina" e salutavano educatamente con un cenno del capo quando passava, ma nessuno si fermava a parlare con lei. Persino il più fedele amico di Massimo, Quinto, manteneva le distanze. Aveva provato talvolta ad impegnarlo in una conversazione, ma aveva fatto completamente fiasco. Egli preferiva rimanere riservato, e sembrava scontroso ed incerto di se stesso nei suoi riguardi.

La porta della sua tenda era proprio dall’altro lato rispetto alla casa di Massimo. Mentre stava seduta sui gradini, guardando verso di essa, Olivia poteva vedere la luminosità della lampada tremolare da dietro la tela di canapa.

Quinto. Era l’amico più caro di Massimo, ma Olivia non sapeva quasi nulla di lui. Cercando tra i ricordi delle conversazioni che aveva condiviso con il marito, ella ricordò che recentemente si era sposato, e che aveva passato l’inverno precedente a casa, a Roma, ma oltre a ciò, ella sapeva pochissimo.

Una figura passò davanti alla luce, lanciando un’ombra lunga contro la parete della tenda, ed Olivia si domandò oziosamente se Quinto fosse all’interno, o se fosse soltanto un servo che sistemava la stanza. Non dovette domandarselo a lungo. Il legato tirò indietro il telo che fungeva da porta e cercò tentoni i suoi vestiti. Guardando di traverso nell’oscurità, Olivia non riusciva a distinguere che cosa egli stesse facendo, fino a che non udì il caratteristico suono di lui che pisciava sulla ghiaia. L’uomo ondeggiò leggermente facendolo, spruzzando d’urina anche il bordo della tenda.

Un’imprecazione soffocata.

Era ubriaco? La risata improvvisa di Olivia scosse Quinto tanto che il suo flusso si arrestò ed egli si girò a guardarla fissamente con aria stupida, la tunica ancora arrotolata intorno alla vita, la mascella allentata. Sì... era ubriaco, decise.
- Non preoccuparti, Quinto, - chiamò lei - Sono cresciuta con quattro fratelli. Niente di ciò che un uomo può fare mi potrebbe scandalizzare. - Rise di nuovo.

Alla mente intorpidita di Quinto ci vollero alcuni lunghi momenti per assimilare quello che lei aveva detto e ciò le diede il tempo di andare lentamente verso di lui. Egli si sistemò in fretta i vestiti e s’inchinò a lei, afferrando il lato della tenda per trarne supporto.
- Mille scuse, domina, - disse incerto. – Dimenticavo che fossi qui.

- Sì, - rispose Olivia, - sembra che la maggior parte della gente si sia dimenticata che sono qui. - Ella inclinò la testa verso l’alto per guardare le stelle, quindi sospirò. - Quinto, mi annoio ed è una bella serata. Per favore, esci a conversare con me. Possiamo sederci sui gradini della casa.

- Mi dispiace, domina... - egli si allungò all’indietro per raggiungere il palo della tenda, afferrando soltanto aria, inizialmente, e inciampando leggermente, - ...ma devo…

Olivia non era scevra dal ricorso ad un piccolo ricatto.
- Quinto, sono sorpresa di vederti così... malfermo. Credevo che l’accampamento fosse in massima allerta e che tu fossi al comando. - Lasciò non detta l’implicita minaccia che l’avrebbe riferito a Massimo, ma gli rivolse uno sguardo eloquente.

Quinto sostenne brevemente il suo sguardo, misurando le proprie alternative. Una nube sembrò passare sui suoi lineamenti.
- Massimo non farebbe mai una cosa del genere, vero? - Stava parlando con se stesso, e c’era più d’una punta di sarcasmo nella sua voce.

Olivia era spaventata da quel tono.
- Quinto? C’è qualcosa che non va? Sei arrabbiato con Massimo per qualcosa? - Nessuna risposta. - Quinto?

Sospirò alla sua caparbietà ed allora decise di provare un’altra tattica.
- Vieni a raccontarmi della tua vita. Sembra così strano che tu conosci Massimo tanto bene, ma noi siamo estranei. Lui parla spesso di te, sai. - Sorrise. - Cose belle! - aggiunse in fretta quando il cipiglio di Quinto si fece più grave. - Mi ha detto che passasti l’inverno scorso a Roma e che ti sei sposato. Vieni a raccontarmi di tua moglie. Come si chiama?

Piuttosto che rilassarsi, l’umore di Quinto parve oscurarsi.
- Si chiamava Antonia, - disse in tono inespressivo.

- Chiamava? - Olivia inclinò la testa, accigliandosi.

Quinto affondò la punta dello stivale nella ghiaia, scavando una trincea poco profonda nei sassi radi, poi si voltò e sparì all’interno della sua tenda. Olivia fece un grugnito esasperato e si voltò per andarsene, proprio mentre lui riappariva nel vano della porta. Aveva una lettera in una mano ed una brocca di vino nell’altra. Spinse indietro la testa e mandò giù per la gola dell’altro liquido.

- Quinto, che cos’è accaduto? - Olivia fece un altro passo avanti, lo sguardo fisso sulla lettera. - Hai avuto brutte notizie?

- Mia moglie è morta, domina. È morta mesi fa. L’ho scoperto soltanto oggi.

Olivia ansimò e fece un incerto passo avanti, allungandosi verso di lui, ma egli si ritirò di nuovo nella tenda. Imperterrita, lo seguì all’interno, senza curarsi che le sue azioni potessero essere fraintese. Si fermò appena all’interno della porta.

Il contenuto della tenda era stato rovesciato. Cassepanche e cassetti erano sparsi sul pavimento, c’erano vestiti dappertutto, ed una pila di lettere era accatastata sulla stretta branda, i sigilli di ceralacca sbriciolati che come sangue macchiavano i fogli bianchi.

Olivia assorbì la scena, poi si voltò verso l’uomo, incerta su che cosa fare o dire.
- Quinto, mi dispiace tanto, - cominciò a disagio, penosamente conscia di quanto dovessero sembrare inadeguate le sue parole. - Deve essere terribile perdere la tua sposa...

Quinto scrollò le spalle e bevve un altro sorso di vino, il viso indecifrabile.

Olivia era confusa dalla sua reazione. Era sotto shock? Era così ubriaco da essere oltre ogni sensibilità? Ella spostò alcune lettere e cercò di indurre lentamente Quinto a sedersi sul bordo della branda.
- Raccontami...

Quinto fissava le lettere mentre parlava.
- Ci siamo sposati. Lei è rimasta incinta. Io sono ritornato qui. Lei ha avuto il bambino. È morta. - Un sorriso incrinato rimase sui suoi lineamenti per un istante e poi scomparve. - Non c’è nient’altro da dire.

- E’… Antonia è... morta di parto?

Quinto annuì, facendo scorrere le dita lungo l’orlo della brocca di vino mentre continuava a guardare fisso.
- Hanno dovuto tagliarla.

- Per salvare il bambino?

- Una bambina.

Olivia si guardò le mani.
- Mi dispiace molto, Quinto. Deve essere terribile perdere qualcuno che hai avuto per così poco tempo.

- Non sentirti dispiaciuta per me, domina. Io non lo sono. Ho conosciuto mia moglie all’altare. - La sua voce divenne sommessa. - Non la conoscevo neppure. - Quinto guardò Olivia diritto negli occhi, parlando di nuovo con forza. - E’ così che avviene normalmente, sai. La gente non si sposa per amore… tranne Massimo, naturalmente. - L’amarezza era tornata.

Olivia l’osservò con attenzione mentre svuotava il contenuto della prima brocca e poi rovistava sotto il letto per prenderne un’altra, togliendo il sughero con i denti.

- Ma, hai un bambino…

- Una bambina. - La sua mascella si tese. - Massimo ha un figlio, naturalmente.

Olivia fece un respiro irregolare, mentre i ricordi di Massima le balzavano immediatamente alla mente. Le sue ditina perfette... la curva delicata del suo mento... la leggera risata tintinnante che Olivia aveva udito soltanto dentro il proprio cuore. Il disappunto dell’uomo per il sesso del suo bambino era come uno schiaffo sul viso. Come poteva dire una cosa simile? Sapeva che Massimo aveva perso una figlia… che era ancora addolorato per lei. Come osava dire una cosa così insensibile?
- Tua figlia vive, Quinto. - disse cupa, alzandosi in piedi.

- Domina, siediti.

- No. Non credo di avere ancora voglia di parlarti.

- Per favore…

Olivia continuò a camminare, cercando di trattenere le proprie lacrime mentre spingeva indietro il lembo della tenda.

- Domina... - la sua voce la richiamò mentre lei usciva nella notte. Ella cercò di non ascoltare affrettandosi verso i gradini. - Io l’ho uccisa, - bisbigliò lui con voce rauca.

Olivia si voltò, infine, sorpresa di scoprire che Quinto era in piedi nel vano della porta, osservandola. Il suo viso era tesissimo, tormentato, come se l’abbondante bevuta non potesse più tenere a bada le sue emozioni. Era solo, Olivia realizzò con un sussulto. Spaventato. Colpevole.

Le sue parole ancora la offendevano, ma Olivia cercò di metter da parte la rabbia e riluttante tornò alla tenda. Trovò una sedia vicino alla porta e sedette molto rigidamente mentre le parole di lui traboccavano.

- Aveva diciassette anni, - disse Quinto, torcendo la lettera nella sua mano, - ed era bella. Un giorno Clara... è il nome della bambina, naturalmente... - disse, intercettando l’occhiata di Olivia. - Un giorno Clara mi chiederà di lei, e questo è tutto ciò che io so. Diciassette anni… ed è morta dissanguata su un lettino per avere il mio bambino. - Quinto cominciò ad alzare la brocca, ma si fermò prima che raggiungesse le sue labbra, e la posò pesantemente a terra, prendendo invece un’altra lettera posata sul letto. Olivia le osservò per la prima volta, comprendendo dalla scritta quasi identica su ognuna che provenivano dalla stessa persona.

- Io non l’amavo. - Le parole erano di riprovazione. - Avrei dovuto, suppongo. Io… io non lo so, Olivia. Massimo… - invece che di cattiveria, lo sguardo questa volta era di confusione, - Massimo fa ogni cosa con tanta facilità… forza… onore… amore…

- Ti sbagli, - disse Olivia sommessamente, pensando ancora a Massima. - Anche lui soffre.

- Amore. Non penso neppure di sapere che cosa significa… fiducia? Che differenza c’è da ciò che condivido con gli uomini? Essere compagni? Non sono mai a casa. Sesso? - Rise amaramente. - Posso averlo dalle prostitute. - Lanciò di nuovo un’occhiata ai rotoli di pergamena. - Diceva che mi amava…

Immediatamente, Olivia capì che le lettere provenivano da Antonia. Solo pochi sigilli erano stati rotti.

- Non le ho mai lette. - Quinto pareva seguire il filo dei suoi pensieri. - Non le ho mai lette fino a stanotte. Io ero… occupato. - Trasse un respiro profondo e incontrò lo sguardo di Olivia. Per la prima volta, ella pensò di vedere lacrime dietro il suo sguardo d’acciaio.

- Perché? - La domanda era dolente, ma irosa allo stesso tempo.

- Perché? - fece eco Olivia.

- Perché qualcuno dovrebbe amarmi? Io non le avevo chiesto di farlo. - Una lacrima gli colò dalla guancia, ed egli la strofinò via in fretta, cercando di nascondere il gesto con un colpo secco ad un insetto immaginario. - Non volevo che lo facesse. Perché non poteva restare una cosa semplice… normale…?

- E’ naturale desiderare essere felice. - La voce di Olivia era molto bassa. Pensava alle lettere che lei aveva mandato a Massimo tanto spesso… ai disegni. Terribile pensare che egli potesse non averle lette. Cominciò a provare compassione per la povera ragazza morta che lei non aveva mai conosciuto. - Specialmente quando si è tanto giovani. - Il viso di Quinto era tormentato dalla colpa. I suoi occhi imploravano Olivia in cerca di rassicurazione. Ella si chiese, futilmente, se avessero mai avuto una possibilità di felicità. Quanto erano fortunati lei e Massimo. La felicità era così rara ed effimera.

- Deve averti voluto bene, - disse Olivia dopo una lunga pausa. Il viso di lui si rilassò leggermente. - E a te… non ti… dispiaceva… lei.

- Mi piaceva andare a letto con lei, - disse Quinto chiaro e tondo. - Ecco perché è morta.

- Poteva succedere a chiunque, Quinto. Sarebbe successo a chiunque. Se non a te…

- Ma sono stato io, - disse sommessamente. - Sono stato io… - Egli aveva di nuovo lo sguardo fisso, gli occhi vitrei come la brocca di vino posata sul pavimento.

Olivia comprese infine che la conversazione era finita. Quinto probabilmente non se ne sarebbe ricordato, la mattina dopo, e forse era meglio così. Muovendosi senza far rumore, Olivia rimise il tappo al vino e spense il piccolo lume.
- Hai bisogno di dormire, Quinto, - disse dolcemente. Gli posò la mano sulla spalla, invitandolo a  sdraiarsi sulla branda.

Egli obbedì. Sospirando di sollievo, Olivia si diresse verso la porta.

- Diciassette anni. - Il mormorio di lui sembrava quasi soprannaturale nell’oscurità. - Morta.


Capitolo 79 – Ricordi

Massimo girò e rigirò la lettera nelle sue mani cercando d’indovinare da chi potesse provenire. Gli era giunta da Roma via Vindobona e gli era quasi sfuggita, in mezzo al consueto cumulo di missive militari e quotidiani messaggi di Olivia. Era l’inizio della sera e Cicero oziava intorno alla tenda accendendo le lanterne e tentando di rendere gli austeri quartieri abitati il più comodi possibile per il generale. Abile nell’anticipare ogni desiderio di Massimo, fece scivolare la lanterna attraverso lo scrittoio per illuminare meglio la lettera, mentre Massimo si sedeva, l’espressione del viso che rifletteva la sua curiosità. Senza alzare lo sguardo, il generale allungò la mano e Cicero immediatamente la riempì con una coppa di vino speziato.

- Tutto bene, signore?

Massimo guardò Cicero, sorpreso.
- Sì. Perché?

- Ti sei accigliato, a quella lettera.

Il viso del generale si ammorbidì e Massimo sorrise.
- Non sapevo di essere accigliato. Solo che non riesco ad immaginare chi, a Roma, mi scriverebbe una lettera personale. Il sigillo mi è sconosciuto.

- C’è soltanto un modo per scoprirlo, - disse Cicero, guardando esplicitamente il rotolo di papiro. - C’è nient’altro che possa portarti, generale?

- No, Cicero, grazie. - Massimo era di nuovo assorbito dalla lettera. - Leggerò la mia posta e più tardi cenerò. - Cicero silenziosamente lasciò la tenda, mentre Massimo faceva scivolare l’unghia del pollice sotto la ceralacca, rompendo il sigillo; si accomodò nuovamente nella sedia dopo aver appoggiato sullo scrittoio i piedi calzati da stivali, in una posizione insolitamente disinvolta. Sbadigliò profondamente e si passò una mano tra i corti capelli, un gesto consueto quando era stanco. La costante attesa della guerra stava riscuotendo il tributo sui suoi nervi ed egli cominciava a chiedersi se aveva ragione nel supporre che Castra Regina sarebbe stato il successivo bersaglio dell’ira dei barbari.

Cercando una distrazione, Massimo srotolò il papiro e lo inclinò per cogliere la luce, sollevando gli angoli della bocca in un segreto sorriso mentre leggeva.

Giulia Servilia al generale Massimo Decimo Meridio, Comandante dell’Esercito del Nord,

Ave!

Prima di tutto, prego per la tua salute e salvezza, possano gli déi proteggerti dal pericolo e darti la forza di compiere i tuoi molti doveri.

Arrivai a Roma dopo un lungo viaggio privo di avvenimenti degni di nota, la legione dell’imperatore più che sufficiente per proteggerci dai pericoli delle strade. Incontrammo del maltempo subito dopo averti lasciato e subimmo un certo ritardo, ma arrivai in città in buona salute e così anche le altre donne.

Dopo un’assenza di due anni, trovai Roma un luogo diverso da quanto ricordavo, ancor più vivace e colorato. L’indennità dell’imperatore fu più che generosa, gli déi lo benedicano e gli concedano una lunga vita, e io mi sistemai in un appartamento in un quartiere tranquillo. Le altre donne preferirono rimanere più vicine al Foro, invece era mio desiderio vivere in un posto più appartato. Per far questo, ci perdemmo di vista, e sebbene essere sola per la prima volta nella mia vita fu strano all’inizio, non ho rimpianti. Che gli déi mi siano testimoni, avevo bisogno di restare in solitudine. La mia vita fu tranquilla, nel mio primo anno da donna libera, ed io ho preferito così.

Durante questo primo anno passai la maggior parte del tempo da sola nel mio appartamento e raramente uscii, tranne che per comprare nei mercati locali ciò di cui avevo bisogno o andare ai bagni pubblici. Non presenziai mai a teatro o ai giochi, preferendo invece placare il mio spirito con l’apprendimento, la bellezza ed i libri che desideravo ma non avevo mai potuto leggere; come tu sai, generale Massimo, io fui educata in altre materie e la mia istruzione era rimasta incompleta. Mi rifiutai di comprare uno schiavo greco che mi facesse da insegnante privato, non potendo infliggere ad altri ciò che io avevo dovuto sopportare sin dalla nascita, ciò che starei tuttora sopportando se gli déi non avessero avuto misericordia di me facendo incrociare le nostre strade.

Invece, assunsi un liberto qualificato, Apollinario, come insegnante, e quando il mio spirito fu guarito assunsi anche una domestica che si prendesse cura di me e dell’appartamento. Fu lei che introdusse un altro cambiamento nella mia vita. Lei e suo marito erano i custodi di uno degli appartamenti del mio vicino di casa, un facoltoso costruttore di navi che trascorreva la maggior parte del tempo nei suoi cantieri navali e nei porti dell’impero. Quest’uomo, di nome Mario Servilio Tibullo, ritornò a Roma di lì a poco e io lo incontrai per caso quando andai al mercato con Nicia, la mia domestica. Egli rimase in città per tre mesi e presto cominciò a corteggiarmi. Prima di far ritorno ai suoi cantieri navali - che aveva trascurato restando a Roma tanto a lungo - si dichiarò. Non ho mai pensato a me stessa come a una donna sposata, generale Massimo, ma una volta tu mi dicesti, quand’ero in grande afflizione, che un giorno avrei trovato qualcuno speciale. Allora, non fui propensa a crederti, ma ti sei rivelato essere tu il più saggio tra noi.

Desiderando essere sincera con Mario Servilio Tibullo, gli raccontai che ero nata schiava, e che soltanto recentemente ero stata liberata dalla benevolenza di un grande generale romano e dell’imperatore, gli déi vi benedicano entrambi. Mario Servilio Tibullo mi accettò nonostante ciò e, poco tempo dopo, diventai sua moglie, trasferendomi da lui e diventando signora delle sue proprietà. Come regalo di matrimonio, mio marito accolse il mio desiderio di non avere schiavi in casa e liberò quelli che possedeva, impiegando schiavi soltanto nei suoi cantieri navali.

Grazie alle lezioni di Apollinario, ero in grado di compiere i miei nuovi doveri e diventare una moglie adeguata per mio marito. Gestire le proprietà di mio marito e la casa richiede la maggior parte del mio tempo, ma ne trovo ancora per leggere e scrivere e gustare le molte cose belle che Apollinario molto pazientemente m’insegnò. Forse, in avvenire, farò dei viaggi, anche se il ricordo del mio ultimo viaggio non è piacevole.

La mia vita è completamente differente da quella che era quando le nostre strade s’incrociarono, generale Massimo, una vita che non avrei mai sognato e che non avrei mai avuto, se non ti avessi incontrato. Ti devo la mia libertà e la mia vita, possano gli déi ricompensarti, dal momento che io non potrò mai farlo, non importa quanto a lungo viva. Ti ricordo nelle mie preghiere ogni giorno e chiedo loro di mantenerti in buona salute e di darti una lunga vita felice.

Consegnare a Vindobona al Generale Massimo Decimo Meridio, Comandante degli Eserciti del Nord. Consegnare all’accampamento della legione Felix III.

Massimo rilesse la lettera, quindi abbassò le mani in grembo, mentre una curiosa miscela di emozioni gli attraversava rapidamente il viso in ombra. Si passò meditabondo la mano sulla barba, rievocando un’immagine di Giulia dalla memoria. Poteva vederla chiaramente, come se fosse in piedi davanti lui. Alta, snella con curve sinuose, un manto lungo e folto di capelli d’oro rosso, una pelle perfetta e gli occhi d’un blu abbagliante. Era stata stupenda.

Massimo aveva fatto indagini su Giulia tramite un agente a Roma, circa sei mesi dopo la sua liberazione dalla schiavitù. Era stato preoccupato per lei, che per la prima volta era rimasta sola al mondo, curioso di vedere che percorso avesse preso la sua vita. Aveva ardentemente sperato che non avesse dovuto prostituirsi, ed era stato pronto a prestarle qualunque assistenza finanziaria e morale di cui ella avesse avuto bisogno per mantenerla lontana da quella vita. Tuttavia, lei era semplicemente sparita... l’agente non era stato capace di trovarla... e questa lettera spiegava perché.

La bellezza di Giulia era stata superata soltanto dalla sua acuta intelligenza e dal suo coraggio, e Massimo si domandò che genere d’uomo l’avesse attirata nel matrimonio. Non era stato un matrimonio organizzato, si era sposata di sua volontà. Giulia non descriveva il marito nella lettera, tranne per dire che era facoltoso... così forse era quello il motivo per cui l’aveva sposato.

Era probabilmente anche giovane e molto bello...

Massimo gettò da parte la lettera e si tenne occupato con l’altra posta, cercando di scacciare le sgradite emozioni che gli rodevano lo stomaco. Anche se aveva mandato Giulia per la sua strada, a Roma, sapendo che non l’avrebbe mai più rivista, segretamente aveva sperato di ritrovarla, un giorno. Il che sembrava improbabile, ora che entrambi erano sposati.

Turbato, si alzò e voltò le spalle allo scrittoio. Dopo pochi minuti che smistava e rismistava l’altra posta senza leggerla, la ributtò sulla scrivania e riprese la lettera di Giulia. Perché l’aveva mandata? La lettera era debitamente formale e cortese, indirizzandosi a lui con il suo titolo e rango, ma tradiva anche un certo tono confidenziale, giacché lei più di una volta gli ricordava il breve tempo trascorso insieme vicino al Mar Nero, dove avevano condiviso intrighi… e intimità.



- Generale? Non ti piace la festa?

Massimo si voltò e si trovò di fronte ad una deliziosa rossa che poco prima era stata serrata nell’abbraccio di un tribuno dai capelli grigi.
- No, - disse schiettamente, cominciando ad andarsene.

Lei gli afferrò il braccio e lo tirò indietro con forza sorprendente, poi premette i seni contro la sua corazza, mentre la mano gli cingeva la nuca e le sue labbra gli sfioravano l’orecchio.
- Ho un messaggio per te, generale. - Ella si tirò indietro e sorrise alla sua espressione stupita, le morbide labbra color corallo e i vivaci occhi blu dalle folte ciglia. La sua pelle perfetta era pura come panna
e i suoi capelli erano come una cascata d’oro rosso che le ricadeva sui fianchi in folte onde. La sua tunica era di seta bianca intessuta con fili d’oro che luccicavano alla luce del lume. Essa rivelava le sommità dei suoi seni pieni e aderiva alla sua vita sottile grazie ad una cintura dorata lavorata a treccia. Il morbido tessuto le avvolgeva i fianchi sinuosi, aprendosi sul davanti per scoprire le lunghe gambe armoniose. Massimo non poté far altro che fissarla.

La donna era di appena pochi centimetri più bassa di Massimo e sostenne il suo sguardo senza difficoltà. La voce di lei era leggermente roca quando sussurrò:
- Vieni a sederti, generale. Ho notato che non hai mangiato nulla. - Sorrise. - Più tardi potremo rimanere più appartati.

Egli rifiutò di muoversi.
- Come ti chiami?

- Giulia..

- Giulia, - ripeté Massimo, ma senza sapere perché.



Non menzionava bambini nella lettera. Aveva un figlio? Massimo portò il papiro al naso e lo annusò. Suvvia, che cosa lo aveva spinto a farlo?



- Generale, quella corazza sembra così calda e rigida. Perché non lasci che ti aiuti a toglierla? - Egli obbedientemente sollevò le braccia e lei, svelta, slacciò le fibbie. La corazza fu subito posata sul pavimento, vicino al tavolo. - Così va meglio. - Giulia fece un passo indietro per ammirarlo. Massimo ora indossava una semplice tunica rosso-vino di lana leggera che gli copriva a stento le ampie spalle e arrivava a metà coscia, stretta in vita da una larga cintura di pelle. Le sue gambe muscolose erano nude, tranne che per gli stivali con stringhe che gli coprivano i polpacci. - Fa molto caldo qui, generale. Non saresti più comodo con i sandali? Posso trovarne...

- Sono avvezzo agli stivali. Vanno benissimo.

- Come desideri. - Giulia era ben conscia delle molte donne nella stanza che la stavano osservando con invidia, anche se stavano servendo altri uomini. Lei non aveva intenzione di far loro mettere le mani su questo, e spostò il corpo per bloccare loro la vista di Massimo una volta che si fu seduto.

Massimo si sentiva molto ridicolo disteso sul divano, con una donna che lo imboccava, ma era determinato a non rischiare la sicurezza della giovane comportandosi in modo poco collaborativo. Giocò con i capelli di lei, mentre ella sceglieva piccoli bocconi di cibo e glieli portava alla bocca. Egli baciò le sue dita prima che lei le tirasse indietro. Fece scorrere le mani lungo la pelle di seta delle braccia di lei, facendola rabbrividire e sorridere.

Massimo inghiottì un boccone di cibo e chiese:
- Da dove vieni, Giulia?

Ella si soffermò con la mano a mezz’aria tra il piatto e la bocca di lui.
- Sono nata a Roma.

- Sei una schiava?

Ella annuì.

- Com’è accaduto?

- Sono nata schiava, signore. Non so chi siano i miei genitori. - Si chinò in avanti e lo baciò, un lungo bacio indugiante. Prima di tornare a sedersi, sussurrò: - Fai troppe domande.

Egli insisté.
- Quanti anni hai?

- Non ne sono certa. Circa diciassette, credo.

Massimo sorseggiò il vino e la studiò. Era semplicemente la donna più bella che avesse mai visto o immaginato, e si sentiva male al solo pensiero che lei dovesse essere il trastullo di Cassio o di qualunque ufficiale che la desiderasse. Sospirò gravemente pensando alle cose che era stata probabilmente obbligata a fare nella sua giovane vita.

Giulia si preoccupò.
- Non ti sto rendendo felice. - Fece scorrere la mano sulla sua coscia e sotto la sua tunica, prima che lui le afferrasse il polso per fermarla. - Per favore, generale. Capiranno che qualcosa non va, - sussurrò lei pressante. - Di solito sono molto brava a soddisfare gli uomini.

Egli allentò la presa sul polso di lei, ma non la lasciò andare.
- Sono sposato, - disse con calma.

- Come la metà degli uomini che si trovano qui. Cassio è sposato. - I suoi occhi lo imploravano.

Egli sospirò di nuovo.
- Vieni qua, - disse, tirandola sopra di sé, le gambe di lei lungo i fianchi, i seni premuti contro il suo petto. Una mano le carezzò la schiena, poi le natiche, mentre l’altra le girava il viso verso il proprio collo. Le sussurrò nell’orecchio. - Giulia, non intendo rischiare la tua vita. Ma devi capire questo: ho promesso a mia moglie di rimanerle fedele e manterrò quella promessa, non importa quanto possa essere difficile per me, non importa quanto io ti desideri. Adesso baciami, poi andremo in una di quelle stanze sul retro dove la conversazione non è così rischiosa. - Egli girò il viso di lato e le catturò la bocca in un bacio che spedì i sensi di lei a turbinare vorticosamente, con la lingua di lui che le esplorava la bocca socchiusa. Quando lui cercò di metter fine al bacio, lei non glielo permise e serrò la propria bocca sulla sua. Ella sapeva che lui era eccitato,
ma lo era anche lei... e ciò la sconvolse. Finalmente ritrasse la lingua dalla sua bocca e gli baciò con delicatezza gli occhi chiusi, mentre lui lottava per riprendere a respirare con regolarità.

- Massimo, - mormorò lei.

Gli occhi di lui si aprirono in fretta.
- Non chiamarmi così, - brontolò.

Le piacque la sua voce profonda.
- Perché no?

- E’ troppo... troppo... familiare. Chiamami "Generale".

- Massimo, sono sdraiata sopra di te. Non c’è quasi nulla che separi i nostri corpi, e tu pensi che chiamarti per nome sia troppo familiare? - Ella rise e lo baciò ancora.

Egli non riuscì a pensare ad una replica a quel commento e lei approfittò del suo silenzio per rannicchiarsi contro il suo petto, soddisfatta nell’udire il suo cuore battere forte come il proprio. Le sue braccia muscolose l’avvolsero e la tennero stretta.

- Massimo, - sospirò lei contro il suo petto. - Questo nome ti si adatta. Così forte. - Ella giacque ferma per qualche istante, poi si tirò su sorreggendosi per guardarlo in viso, e gli arruffò i folti capelli con le dita. - Ma così gentile. - Il suo tono era leggermente incredulo. - Gli uomini non sono gentili con me molto spesso, Massimo. Non ricordo di esser mai stata tenuta tra le braccia, prima.

Con sorpresa di Giulia, Massimo parlò in tono iroso.
- Tu sei una delle cose che intendo far pagare a caro prezzo a Cassio.
Detto questo, Massimo fece rotolare Giulia di lato e l’afferrò prima che cadesse dal divano, con un braccio sotto le ginocchia di lei e l’altro sotto le braccia. La sollevò come se fosse fatta d’aria e la strinse contro il petto, mentre si dirigeva verso una stanzetta provvista di tende, scavalcando o scalciando da parte qualsiasi cosa intralciasse il suo cammino.



Massimo fissava con sguardo assente le pareti di canapa della tenda, i ricordi di Giulia che gli inondavano la mente. Riusciva quasi a sentirsela tra le braccia, a udirla, a sentirne il profumo...



- Shhh... - Massimo aveva notato un lieve movimento della tenda ed un piccolo raggio di luce filtrò obliquamente sul pavimento. Chiunque ci fosse nell’altra stanza, stava diventando curioso o impaziente. La luce scomparve. - Giulia, dobbiamo fare rumore. Qualche... suono appassionato.

Nonostante la loro situazione pericolosa, Giulia non riuscì a resistere dal prenderlo un po’ in giro.
- Allora dovrai fare l’amore con me, Massimo.

- No. Ti ho detto...

- Sì, sì, stavo solo scherzando. Non ti preoccupare, so fingere. E’ qualcosa che faccio spesso, credimi. - Giulia posò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi permettendo al proprio respiro di farsi più grave.

- Puoi ascoltarmi mentre lo fai?

Ella annuì e sottolineò i suoi respiri con qualche ansito.

Massimo continuò.
- Di’ a Marcello che avevo intenzione di arrestare Cassio fino all’arrivo di Marco Aurelio, ma non ho idea di quando questo avverrà, così il piano di uccidere Cassio è l’unico che abbia senso, adesso.

Giulia annuì e produsse un roco gemito profondo di gola.

Il respiro dello stesso Massimo cominciò ad accelerare e Giulia sorrise soddisfatta quando se n’accorse.
- Oh, generale, - mormorò. - Oh, fallo ancora. - Mosse i fianchi contro di lui ed egli le afferrò le natiche, tenendole ferme, poi tirò via le mani come se avesse toccato il fuoco. Giulia baciò delicatamente la ruvida peluria sul collo di lui, prima di intensificare di nuovo il respiro. Ella era pienamente consapevole che la propria passione andava ben oltre la finzione. Appoggiandosi contro Massimo, fu facile immaginare che le sue forti braccia la sollevavano e la sistemavano sopra i suoi fianchi, mentre lui...

- Giulia, di’ a Marcello di andare avanti col suo piano e che io gli darò l’appoggio di cui ha bisogno. Per farlo, tuttavia, dovrò essere nei paraggi quando entrerà in azione. E’ molto importante che sia
lui a farlo... uno degli uomini di Cassio... per dimostrare agli altri... Giulia? Giulia? Mi hai sentito? - sussurrò Massimo con insistenza.

- Sì... - La voce della giovane suonava sognante ed i suoi fianchi premettero di nuovo contro di lui, ma Massimo capì che le azioni di lei erano adesso al di là del suo controllo cosciente. Era profondamente eccitata e lui temeva che lei stesse perdendo la concentrazione. La scosse leggermente.

- Giulia, ascolta. Sono strettamente sorvegliato. Sarà difficile per me sfuggire ai miei guardiani, ma potrei tentare di scivolar fuori di notte, con l’aiuto di Claudio. - Massimo lanciò di nuovo un’occhiata alla cortina e la vide muoversi avanti e indietro ad un ritmo veloce, come se qualcuno stesse appoggiato contro di essa, respirando con una certa difficoltà. L’interpretazione di Giulia stava eccitando qualcun altro, oltre che lei stessa... e lui.

Massimo fece qualche respiro profondo, sforzandosi di controllare le proprie emozioni, poi in un unico rapido movimento sollevò Giulia e la depose sul divano, le cui gambe di legno scricchiolarono leggermente in segno di protesta. Massimo rimase in piedi a fianco del divano, di fronte a Giulia, bilanciando il peso su una gamba, poi con delicatezza mise l’altro ginocchio in alto tra le cosce divaricate di lei. Ella si allungò per attirarlo a sé, ma lui scosse la testa e le afferrò le mani, tirandole da parte. Un po’ di pressione fu tutto quel che ci volle e lei arcuò la schiena quando venne, gridando il suo nome. Qualche attimo dopo, un gemito profondo fu esalato dall’altro lato della tenda. Massimo digrignò i denti per la frustrazione, l’unico del trio a restare insoddisfatto.



Non riusciva a ricordare di aver mai desiderato tanto una donna quanto aveva desiderato Giulia quella notte... non sua moglie... non Lucilla. Era arso di desiderio per Giulia. Tuttavia, l’aveva usata proprio come chiunque altro, anche se in modo differente e per motivi differenti. Massimo guardò la lettera che stringeva in mano. Doveva rispondere? Che cosa sperava, lei, di sentirgli dire? Che cosa avrebbe dovuto dirle, lui? Che cosa realmente voleva dirle?



Giulia sospirò con gravità e Massimo vide le lacrime luccicarle negli occhi. La voce di lei era esitante.
- Quello che mi hai fatto... era solo perché dovevi?

Massimo non rispose, perché in tutta onestà non conosceva la risposta.
- Giulia, troverai qualcuno, un giorno. Qualcuno molto speciale, - disse.

- Massimo, io sono una schiava. - La voce di lei suonava leggermente strozzata, mentre lacrime non versate le serravano la gola.

- Quando Cassio sarà morto avrai la tua libertà. Te la sei guadagnata, e anche le altre donne.

- C’è un solo
te, però. E tu sei impegnato.



Massimo si sedette allo scrittoio ed estrasse un foglio di papiro nuovo, quindi tuffò la penna nell’inchiostro. Cominciò a scrivere:
Generale Massimo Decimo Meridio, Comandante degli Eserciti del Nord, a Giulia Servilia, Salve a te.
Scritta la formula iniziale, Massimo era incerto su che cosa dire dopo. Fissò ancora la parete della tenda, la mente di nuovo sul Mar Nero.



Giulia abbassò lo sguardo su Massimo dall’alto del cavallo che l’avrebbe portata a Roma.
- Ti rivedrò mai? - chiese.

- No, - fu la semplice risposta, ma la voce di Massimo era dolce e gentile.

Lei gli sorrise.
- Io non la penso così.

Lui restituì il sorriso.
- Sarai indaffarata ad organizzare la tua nuova vita. - Le toccò il piede. - Sicura di non voler viaggiare nel carro?

Ella scosse la testa, le onde rosso-oro dei capelli dell’identico colore del sole del primo mattino.
- No, mi sembra una prigione e ne ho avuto abbastanza di essere prigioniera.

Massimo annuì con comprensione.

Giulia esitò, poi disse:
- Non c’è bisogno che ti preoccupi, Massimo. Non dirò a nessuno che conosco personalmente il grande generale romano.

Un’espressione corrucciata gli corrugò la fronte.
- Perché la cosa dovrebbe preoccuparmi?

Giulia fissò un punto al di fuori dell’accampamento.
- Non voglio metterti in imbarazzo.

- Giulia. - Massimo le scosse il piede. - Giulia, guardami.

Lei lo fece con riluttanza ed egli vide le lacrime brillarle negli occhi.

- Sono orgoglioso di conoscere una donna di tali carattere, forza e intelligenza. Ciò che Cassio ti ha fatto era al di là del tuo controllo. Se gli avessi resistito egli ti avrebbe uccisa. Lo sai questo.

Lei annuì e trasse un respiro incerto, poi guardò ancora in lontananza.
- Ti auguro una vita molto lunga e felice con la tua famiglia, Massimo.

- Generale?

- Generale Massimo?

- Generale!

Sussultando, Massimo ruotò la testa riconoscendo Cicero.
- Che c’è? - disse scioccamente, la mente restia a cedere al presente.

- Signore, un esploratore ha appena segnalato che i barbari hanno attraversato il fiume circa cinque miglia ad Est e stanno per arrivare qua!

Massimo lasciò cadere la penna, spruzzando inchiostro sullo scrittoio e sulla lettera di Giulia. Si alzò in fretta, colpendo col ginocchio lo scrittoio e urtando il vasetto d’inchiostro nella foga d’indossare l’uniforme. Il liquido nero impregnò la sua lettera incompiuta, cancellando le poche parole ivi racchiuse. Alcuni istanti dopo, la spada in mano, tirò indietro il risvolto della tenda, invitando una raffica della fredda aria della sera a turbinare attraverso la piccola apertura. Il refolo sollevò l’angolo della lettera di Giulia e vi guizzò sotto, facendola svolazzare fuori dello scrittoio, dove essa andò pigramente alla deriva fino ad un angolo buio, prima di conficcarsi saldamente sotto una plica della tela di canapa, dove la parete incontrava il pavimento, quasi completamente oscurata dalle ombre profonde.


Capitolo 80 - La stanza sotterranea

- Signore! Signore! - urlò il messaggero precipitandosi nel pretorio, scivolando e cadendo nella ghiaia poco fitta, poggiando una mano a terra per sorreggersi. Era seguito dappresso da quattro sentinelle della legione con le facce torve. Il trambusto attirò Quinto e tre tribuni che si erano appena seduti davanti al loro pasto di mezzogiorno, ed anche Olivia e Persio, che si precipitarono alla porta, Olivia con il cuore in gola ed il figlio in braccio. Potevano soltanto essere notizie da Massimo… o su Massimo.

- Papà è tornato? - chiese Marco assonnato, strappato dal suo sonnellino pomeridiano.

Olivia gli allontanò i capelli dalla fronte.
- Non ancora, tesoro mio, ora sssh... dobbiamo ascoltare.

Eliminando ogni formalità, il messaggero afferrò il braccio di Quinto, concentrando con urgenza l’attenzione del legato completamente su di sé, quindi ansimò le sue notizie.
- Signore, reco ordini direttamente dal generale Massimo. L’attacco a Castra Regina era molto più modesto di quanto previsto. Il generale pensa che sia stato un diversivo e che almeno seimila barbari si stiano dirigendo da questa parte. Dice che sono già da questo lato del fiume. Vuole che il villaggio sia immediatamente evacuato e che la gente sia portata nelle caverne ad est di qui. Ha detto di farlo fare alla cavalleria, perché la vuole fuori dell’accampamento con tutti i cavalli. Devono raggiungerlo all’incrocio a sud del villaggio. Vuole anche che tutte le tende siano smontate ed arrotolate e nascoste sotto mucchi di rocce, così che i barbari non possano appiccarvi il fuoco lanciando frecce oltre le mura. Vuole che qualunque cosa fatta di legno sia imbevuta d’acqua. Ha ordinato che tutti i rifornimenti e le attrezzature dell’infermeria siano trasferiti nella sua casa. - L’uomo boccheggiò per prender fiato, ma non allentò la sua stretta su Quinto. - Il generale vuole tutti gli altri soldati sulle mura, perché i barbari devono essere tenuti fuori dell’accampamento ad ogni costo. Egli ha un distaccamento di due legioni e si stanno già dirigendo da questa parte, per avvicinarsi a Vindobona da sud. Spera di intrappolare i barbari tra noi e lui. - Gettò uno sguardo ad Olivia, dal viso bianco come latte. - Ordina che sua moglie e suo figlio si nascondano immediatamente, signore. - Esausto, l’uomo infine allentò la presa e indietreggiò, le spalle incurvate.

Quinto fece un cenno col capo ai tribuni che come lui avevano sentito gli ordini di Massimo, ed essi si precipitarono fuori per trasmetterli ai centurioni, che avrebbero preparato i loro uomini all’imminente battaglia. Poi rivolse la sua attenzione ad Olivia.
- Domina… - cominciò, subito fermato dalla moglie di Massimo.

- Hai molte cose per la testa, Quinto. Stai tranquillo, Marco ed io faremo immediatamente come Massimo ha ordinato. Tu devi occuparti degli abitanti del villaggio. - Senza aspettare risposta, superò Persio sfiorandolo e si diresse verso la sua camera cercando di calmare un Marco inquieto, che non aveva capito il contenuto delle parole del messaggero, ma ne aveva certamente percepito la tensione. Depositò il figlio sul letto, parlandogli in tono rassicurante mentre lei si affaccendava nella stanza. - Ricordi il nascondiglio che papà ci ha mostrato, Marco?

Egli annuì incerto, le dita premute in bocca, guardando la madre radunare i loro vestiti. Persio entrò nella stanza con le coperte nelle braccia.

- Ce ne sono già in abbondanza là sotto, - disse al fratello, un po’ esasperata.

- Potete sempre usarne di più. Prendo anche i giocattoli di Marco.

- Devi radunare qualche tuo vestito, Persio.

Egli guardò direttamente negli occhi la sorella e sollevò il mento con aria di sfida.
- Io non vengo con voi.

- Persio…

- No, Olivia. Posso essere più utile quassù. Verrò a trovarvi spesso, per accertarmi che non abbiate bisogno di nulla.

- Persio, tu non sei addestrato per combattere.

- No, ma posso spostare i rifornimenti dall’infermeria dentro la casa, come Massimo ha ordinato. Posso essere utile. - Olivia si sentì serrare lo stomaco. Aveva trascinato lei Persio in quest’odissea ed ora egli rischiava di restare ferito... o peggio. Capì dal suo sguardo che non aveva intenzione di capitolare, in ogni caso. Riluttante, Olivia annuì in segno d’assenso.

Marco tirò fuori della bocca le dita umidicce.
- Io voglio rimanere con lo zio Persio, - dichiarò abbastanza fermamente, con un accenno di piagnucolio nella voce.

Olivia si accoccolò vicino al figlio e riconobbe la paura nei suoi grandi occhi scuri. Non lo toccò per timore che potesse accorgersi del tremito delle sue braccia.
- Marco, papà vuole che andiamo nel nascondiglio e questo è ciò che dobbiamo fare. Saremo perfettamente al sicuro là e…

- Al sicuro da cosa? - chiese lui, con le lacrime che gli luccicavano negli occhi enormi e gli angoli della bocca che cominciavano ad abbassarsi.

Olivia brancolò alla ricerca di parole che spiegassero l’urgenza della situazione senza spaventare ancor di più il bambino - già sentiva gli uomini spostare i rifornimenti medici nell’atrio - ma Giovino scelse quel momento per far capolino dal vano della porta.

- Bene, bene - disse con una risata tonante. Si mise le mani sui fianchi e guardò Marco inclinando la testa e ammiccando con gli occhi. - Non ti ho mai mostrato il mio nascondiglio segreto, ragazzo?

Marco annuì solennemente, al momento non dell’umore giusto per tollerare la spensieratezza dell’ingegnere.

- No, non quel nascondiglio. L’altro mio nascondiglio. Oh, è anch’esso là sotto, Marco, ma è un posto che soltanto io conosco. - Entrò nella stanza e si avvicinò al ragazzo. - A volte gli déi vi lasciano cose molto interessanti, perché io le trovi... ti piacerebbe vederlo?

- Che genere di cose? - L’interesse del bambino era stato palesemente stimolato e Olivia toccò la spalla di Giovino in un gesto di ringraziamento, prima di continuare il proprio compito.

Giovino si accovacciò davanti al figlio del suo generale.
- Tutti i generi di cose. Una volta una pietra scintillante!

Marco indubitabilmente non aveva l’aria impressionata.

- Un’altra volta trovai una spada magnifica che gli déi avevano lasciato proprio per me.

- Una spada? Come quella di papà? - Questo era più interessante.

Giovino annuì.
- Ma sai quale fu la cosa più bella?

- Quale?

- Un gattino. Un micino grigio e bianco... proprio per me.

- Un gattino? - Il viso di Marco s’illuminò mentre prendeva in considerazione questo nuovo sviluppo.

- Sì, e sai una cosa? Proprio l’altra notte ho chiesto agli déi un altro gattino, per te, ma non ho ancora avuto il tempo di andar là a controllare. Vorresti aiutarmi a cercare?

Marco sorrise ed annuì mentre rivolgeva uno sguardo supplicante alla madre per averne il permesso. Il sorriso di Olivia era pieno di sollievo.
- Va’ con Giovino, Marco, io vi raggiungerò molto presto.

Giovino sollevò il ragazzo tra le braccia e, con una strizzatina d’occhio ad Olivia, si diresse nella camera di Cicero, verso la botola celata sotto il letto.




La pesante botola di legno si chiuse con un tonfo deciso facendo piombare Olivia nell’oscurità. Rimase in piedi sul gradino centrale delle ripide scale e si rannicchiò al rumore stridulo, quando Persio spinse il letto di Cicero di nuovo al suo posto. Si sentì come se fosse stata appena sepolta viva. Vindobona sarebbe sopravvissuta all’attacco? Aveva visto suo marito per l’ultima volta? Si sedette sul gradino e stancamente si strofinò gli occhi. Non aveva previsto questa svolta degli eventi, quando aveva ordito il suo piano per raggiungere il marito in Germania. Aveva creduto di capire i pericoli della vita di Massimo in questo luogo, invece non aveva capito niente. Niente di niente. Non aveva mai immaginato nulla di simile.

- Mia signora? - domandò Giovino gentilmente dal gradino più basso.

Olivia aprì gli occhi, scoprendo di riuscire a vedere con chiarezza, ora che si erano adattati alla luce fioca. Sentendosi fiacca e ridicola, si strofinò gli occhi e si esortò ad alzarsi.

- E’ del tutto legittimo avere paura, mia signora. Tutti ne abbiamo. Anche il soldato più temprato sente nello stomaco lo spasmo della paura, prima di una battaglia.

- Anche Massimo? - bisbigliò lei.

- Oh sì, solo che lui la frena, perché i suoi uomini siano ispirati dal suo coraggio. - Giovino tese la mano ed aiutò Olivia a scendere i restanti pochi gradini. - Vieni a sederti. Ho passato un certo tempo a preparare questo luogo per la moglie del mio generale e penso che lo troverai abbastanza confortevole.

- Grazie, Giovino.

- Massimo mi ha chiesto di rimanere con voi.

- Sono sicura che saresti molto più contento con i soldati.

- No, mia signora. Se posso fare qualcosa per rassicurare Massimo anche solo un po’, allora questo è un compito più importante, in un simile frangente. - Giovino sorrise mentre versava ad Olivia un po’ di vino addolcito con miele. - Vi ospiterò e proteggerò io mentre tuo marito è assente.

Rimasero seduti in silenzio per un certo tempo e guardarono Marco coccolare un gattino grigio e bianco miagolante. Un piccolo fuoco crepitava nella fornace, scaldando la stanza ed illuminando lo spazio con una tenue luminosità. Il silenzio era soprannaturale… i pavimenti così spessi che nessun suono penetrava da sopra.

- Giovino... rivedrò mai Massimo vivo?

- E’ difficile dirlo, mia signora.

- Ti ha chiesto di occuparti della sua famiglia nel caso lui... - la voce di Olivia s’affievolì.

- Sì, mia signora. - Giovino lanciò un’occhiata intorno alla stanza sotterranea. - Questo non è il posto più desiderabile dove trovarsi, ma è caldo e sicuro. C’è abbondanza di cibo ed acqua. Tuo marito ha salvaguardato la vostra sicurezza. Purtroppo, non può salvaguardare la propria. È importante che tu lo sappia. È un guerriero.

- Lo so.

- Tuttavia, non prevedevi che potesse accadere nulla del genere, quando decidesti di raggiungere Massimo qui.

Lei scosse la testa con aria infelice.

- Naturalmente no. Nessuna madre esporrebbe mai deliberatamente il figlio ad un tale rischio, - disse Giovino gentilmente. - Penso che a volte uomini come il tuo giovane fratello credano che Massimo viva una vita avventurosa ed eccitante. È tutto tranne che quello. Ha uno dei più difficili compiti dell’impero, ma Marco Aurelio scelse saggiamente quando promosse tuo marito a quella posizione. Purtroppo, essa gli lascia poco spazio per rilassarsi ed assolutamente nessuno spazio per errori di giudizio.

- Stai dicendo che non avrei dovuto venire qui? Che io lo distraggo?

- No, mia signora, per niente. La tua presenza ha sollevato il suo spirito in modo straordinario. Soltanto, adesso stai vedendo da te perché Massimo non può raggiungervi in Ispania a volte per anni.

Olivia trasse un respiro profondo.
- Massimo starà bene. Non gli accadrà niente, - disse con poco convincente determinazione.

Giovino valutò attentamente le parole che stava per dire.
- Mia signora, sai perché i generali indossano vestiti color rosso-vino?

- E’... è il colore del comando dell’esercito.

- Vero, ma lo è diventato perché quel colore non mostra il sangue del generale e non demoralizza i suoi uomini. Un generale potrebbe sanguinare a morte ed i suoi vestiti non mostrarlo.

- Giovino... dovrebbe farmi sentire meglio… questo parlare del sanguinare di mio marito?

- Mia signora, penso che sia importante che tu capisca ciò che tuo marito ed i suoi uomini affronteranno molto presto. - Giovino studiò il viso grazioso della moglie del suo generale. - Sai che Massimo ha l’abitudine di sfregarsi il terreno fra le mani prima di ogni battaglia, e di annusarlo?

- Lo fa ancora? Glielo vidi fare la prima volta alla sua fattoria, quando ritornò a casa molti anni dopo essere diventato un soldato.

- Sai perché lo fa?

- E’ un contadino...

- Sì, ma c’è di più. Glielo chiesi, una volta, e lui sembrò quasi imbarazzato, ma riuscii a strappargli una risposta dopo non pochi calici di vino. Ha bisogno di sentire e fiutare l’odore del terreno che potrebbe assorbire il suo sangue e ricoprire il suo corpo mortale. Lo fa prima di ogni battaglia. È molto consapevole della propria mortalità.

Olivia era così stupita da versare le lacrime che le stringevano la gola.
- Tuo… tuo figlio… c’è anche lui, lassù.

- Sì, è un soldato.

- Allora dovresti capire come mi sento.

- Sì, e possiamo pregare insieme per la salvezza dei nostri cari. Possiamo pregare insieme per la loro salvezza.