La Storia di Massimo: Capitoli 71 – 75

 

 

Capitolo 71 - Si rincontrano

- Massimo.  Massimo, è passato tanto tempo, - disse Marco Aurelio stringendo la mano destra del giovane con entrambe le sue.  - E' così bello rivederti.

- Anche rivedere te, Cesare. Ti trovo bene. - Era una bugia. L'imperatore era invecchiato notevolmente da quando Massimo lo aveva visto l'ultima volta. Le rughe nel suo viso erano più profonde ed i suoi capelli erano quasi completamente bianchi. Gli fluttuavano intorno al viso in ciocche sottili. Sembrava in un certo qual modo più basso… leggermente incurvato… e si muoveva in modo più esitante. L'imperatore stava invecchiando ed il cuore di Massimo si spezzò nel comprenderlo. - Mi dispiace che dobbiamo incontrarci in queste circostanze, Cesare.

- Siediti, Massimo, siediti. Ero in Gallia con mia figlia quando ho appreso dell'incursione. Volevo mandare Lucilla a casa, ma tu sai quanto può essere ostinata. Ha rifiutato di lasciarmi e adesso si trova in questo accampamento. Mia figlia mi si è aggirata intorno come una bambinaia sin dalla morte di mia moglie.

- Mi è dispiaciuto sentire della morte dell'imperatrice, Cesare.

- Sì, sì, ma era molto malata ed è stato meglio che non abbia sofferto.

Massimo annuì.

- E come sta il più grande generale di Roma?

- Ah… io… sto bene, Cesare, ma sarei stato meglio se quest'evento terribile non fosse accaduto. - Massimo trovava tuttora sconcertante ogni riferimento alla sua 'grandezza'.

Marco annuì mentre un servo versava del vino per i due uomini. Massimo sorseggiò da un calice d'oro riccamente ornato, lanciando un'occhiata negli angoli bui dell'ampia tenda. Lei non c'era.

- Sono certo che sei affamato. Pranzeremo presto e stasera ci prenderemo un po' di meritato riposo, poi domani andremo a Colonia. Quanto tempo ci vuole per arrivare là?

- Circa due giorni, Cesare. - Massimo esitò. - Potrebbe non essere saggio portare là tua figlia, Cesare. Il fetore è opprimente e c'è il rischio di malattie.

- Non preoccuparti, lei non verrà con noi. - Marco sorrise. - Posso puntare i piedi, se necessario, sai. Perfino con lei.

Massimo sorrise brevemente, incerto se sentirsi sollevato o deluso.

- Allora, raccontami degli sfortunati eventi di Colonia.

Massimo riferì quello che aveva visto e ciò che Licinio gli aveva detto.
- Sospetto che la tenda del generale Solino sia stata data deliberatamente alle fiamme, per distrarre le sentinelle ed attirare i soldati lontano dai loro quartieri.

Marco si accigliò.
- Deliberatamente?

- Sì, io…

- Padre?

Due teste maschili ruotarono come una sola in direzione dell'entrata della tenda.

- Entra, mia cara. Massimo è qui. So che sei ansiosa di rivederlo.

Massimo si alzò, girandosi per porsi di fronte alla porta, la testa chinata, riluttante ad incontrare gli occhi di lei fino a che non avesse dovuto.

- Non c'è bisogno di tanta formalità, Massimo. O dovrei chiamarti generale Massimo ora? - chiese Lucilla, fermandosi appena all'interno della porta.

- Mia signora, puoi rivolgerti a me in qualunque modo ti sia gradito. - Massimo infine si raddrizzò. Oh… era bella. Si era dimenticato quanto bella. I riccioli castano dorato le ricadevano come una cascata sulla schiena e sopra le spalle, sollevati e allontanati dal volto, fermati da fasce dorate costellate di minuscoli gioielli. La sua pelle vellutata era perfetta, gli occhi scintillanti d'un verde cupo, e le labbra colorite d'un tenero rosa.  Era più snella che mai e le sue curve delicate erano accentuate dai nastri di seta blu che le avvolgevano il corpo, fissando il drappeggio della sua stola di lana fine.

- Bene, sei certamente un generale dalla testa ai piedi, ma preferisco pensare a te come un amico, Massimo.

- Sono effettivamente quello, mia signora.

Marco era radioso mentre guardava i due in piedi ai lati opposti della tenda, i loro sguardi incatenati l'un l'altro.

Massimo aveva un aspetto davvero magnifico in armatura, mantello e pellicce. Lucilla riusciva facilmente ad immaginarlo condurre in battaglia migliaia di uomini, così come lo immaginava spesso tenerla dolcemente tra le sue forti braccia.
- Non ho mai avuto l'occasione di ringraziarti personalmente per aver risposto così rapidamente ed efficientemente quando ti chiesi di difendere Roma dalla congiura di Cassio per rovesciare mio padre. Mi rassicura sapere che possiamo contare su di un uomo come te.

- E' stato un onore così come un dovere, mia signora. - Massimo si chinò ancora e tenne la testa abbassata mentre lanciava uno sguardo significativo all'imperatore.

Cogliendo il cenno, Marco intervenne.
- Massimo stava giusto descrivendo l'incursione su Colonia ed i suoi sospetti sugli eventi contingenti.

- Posso rimanere, padre?

- Se lo desideri. Siediti qui vicino a me, mia cara. Massimo, prendi la tua sedia e continua, per favore.

- Sì, Cesare. - Non c'era alcuna possibilità per Massimo di poterla evitare. Ella si sedette proprio a fianco del padre ed egli la poté vedere con chiarezza quando guardò l'imperatore. Cercò di mantenere gli occhi su Marco, ma essi deviavano verso sua figlia, che scintillava e sfavillava nella tremula luce dorata del lume.

Massimo non riusciva a ricordare di che cosa stesse parlando.

Marco sorrise con affetto al suo molto turbato generale e lo imbeccò:
- Tu credi che qualcuno abbia appiccato il fuoco alla tenda di Solino? Perché?

Massimo si schiarì la gola.
- E' troppo una coincidenza che la tenda del generale Solino abbia preso fuoco nel momento esatto in cui i Germani stavano aspettando di scalare le mura. Avevano bisogno di confusione e l'incendio l'ha fornita.

Marco annuì.
- Continua.

- E' possibile che da un albero un barbaro abbia lanciato una freccia incendiaria di là dal muro, ma è estremamente improbabile, di notte. Penso che il fuoco sia stato appiccato da uno dei nostri stessi soldati. Il generale Solino poteva perfino essere già stato assassinato.

- Un traditore? - chiese Lucilla, sinceramente scossa.

Massimo la guardò dritto negli occhi.
- Sì.

- Ma che cosa avrebbe da guadagnarci, un soldato, facendo una cosa così terribile? - continuò lei.

- Una parte sostanziosa del bottino; un posto d'onore con i barbari che non potrebbe conseguire all'interno dell'esercito. - Massimo scrollò le spalle. - Chi lo sa? In ogni legione nordica ci sono soldati che parlano le lingue germaniche e soldati che fungono da esploratori. Uno di loro potrebbe aver tradito per motivi noti soltanto a lui. Non sono sicuro che i barbari lo avrebbero lasciato vivere, comunque. Probabilmente è stato massacrato con gli altri.

Lucilla studiava Massimo mentre lui dava voce ai suoi pensieri. Era un uomo adulto, ora, e molto più formale di quanto era stato dieci anni prima, quando lei lo aveva visto l'ultima volta. Desiderava intensamente rivedere il suo sorriso sfrontato, udire la sua risata profonda e vedere i suoi occhi blu incresparsi d'allegria; vederlo come era stato prima che il destino li forzasse in direzioni opposte e ciascuno adempisse il proprio dovere verso l'impero in maniera molto diversa. Vederlo come era stato quando si erano reciprocamente dichiarati il loro giovanile amore.

Aveva pensato che le sue fantasticherie su Massimo sarebbero morte alla fine, una volta che avesse rivisto l'uomo reale… che egli non avrebbe mai potuto soddisfare i requisiti impossibili dei suoi sogni… ma il rapido battito del suo cuore mentre lo guardava parlare con suo padre, gesticolando con le grandi mani espressive, le rivelò ora infallibilmente che lo amava ancora. Se mai, era anche più magnifico poiché reggeva la responsabilità della regione settentrionale dell'impero romano sulle sue ampie spalle. La sua presenza era travolgente. Riempiva la stanza.

Lucilla lanciò un'occhiata al padre. Anche lui adorava Massimo. Lo capiva dal suo sguardo quando guardava il suo generale. Lui mai, mai aveva guardato Commodo con tale amore. Lucilla fu scossa bruscamente dalle sue riflessioni quando la sua coscienza si fermò sulla parola 'punire'.
- Che cosa? - chiese, confusa.

- Sei stanca, mia cara? - domandò suo padre, preoccupato.

- No, no. Che cos'hai appena detto a Massimo?

- Che i Germani devono essere severamente puniti per ciò che hanno fatto. Massimo ha acconsentito a condurre un'incursione in territorio nemico per punire i colpevoli.

Lucilla si sentì come se qualcuno l'avesse colpita violentemente alle spalle, strappandole dolorosamente l'aria dai polmoni. Territorio nemico?
- Pensi che sia saggio, padre? - Si rivolse a Marco, ma i suoi occhi erano su Massimo. - Sembra estremamente pericoloso. - Ella volse il suo sguardo preoccupato sul padre. - Spero tu non stia progettando di unirti a lui.

Marco rise.
- Mia cara, è ovvio che stavi ascoltando la nostra conversazione solo per metà. Massimo ha già chiarito abbastanza che non desidera essere responsabile del mio vecchio corpo in quest'incursione. Rimarrò nel suo accampamento.

Quello era soltanto la metà di ciò che Lucilla voleva udire.
- Padre, pensi sia saggio rischiare la vita di uno dei generali per Roma più preziosi? E' proprio necessaria quest'incursione?

- E' più che necessaria e Massimo è l'unico uomo che può condurla. Fine della discussione. Lucilla, per favore va' a vedere se il nostro pasto è pronto.

Lei rivolse uno sguardo ferito a Massimo, che la stava studiando con curiosità. Riusciva a leggerle nel pensiero? Sapeva che cosa provava per lui? Si alzò rapida ed uscì dalla tenda in un turbinio di seta, lana e oro prima che lui potesse scrutare oltre nella sua mente.

I due uomini rimasero in silenzio per un momento, ciascuno perso nei propri pensieri. Massimo fissava il liquido rosso nella sua coppa, rigirandosela tra le dita.

Marco lo guardava giocherellare nervosamente.
- Tiene ancora molto a te, sai, - azzardò alla fine. - E… potrei sbagliarmi… ma penso che tu nutra sentimenti analoghi per lei.

Ogni movimento cessò e Massimo inchiodò lo sguardo di Marco.
- Cesare… io sono sposato.

Marco agitò la mano irritato.
- Sì, sì, lo so. Ma da quando il matrimonio di un uomo significa che tutti i pensieri per le altre donne sono cancellati dalla sua mente? Particolarmente per una che egli una volta ha amato...e che forse ama ancora?

Massimo rimase testardamente muto, lo sguardo di nuovo sul vino, la mascella irrigidita.

Marco sospirò mentre studiava il giovane che egli desiderava più di chiunque altro come genero. Non era la prima volta che si rammaricava di aver dato a Massimo il permesso di sposarsi, anni prima.
- E' ancora felice il tuo matrimonio?

- Sì, Cesare. - Massimo non aveva alcuna intenzione di entrare in altri dettagli su sua moglie e suo figlio...e sulla figlioletta morta.

Marco si alzò e sorrise e tese la mano a Massimo, posandola sulla spalla del giovane quando questi si levò in piedi.
- D'accordo, d'accordo. Non t'infastidirò più inseguendo quel pensiero. Vieni, mangiamo e rilassiamoci e parliamo di altre cose per un po'.

Tuttavia il pranzo fu ben lungi dall'essere rilassante, poiché Massimo si era trovato così vicino a Lucilla che le loro braccia a volte si sfioravano mentre pranzavano. Si scusò alla prima occasione possibile, citando la stanchezza e si diresse alla sua tenda attraversando il pretorio.

- Massimo? - bisbigliò la voce dalle ombre dietro di lui.

Lui finse di non aver sentito e continuò a camminare.

- Massimo! - Stavolta Lucilla si assicurò che la sentisse.

Egli si arrestò, ma non si voltò.

- Vieni qua, per favore.

Doveva obbedirle? Era la figlia dell'imperatore di Roma, ma questo significava forse che doveva obbedirle? Non si mosse.

- Ancora più testardo che mai, vedo, - disse Lucilla venendo allo scoperto per rimanere a faccia a faccia con lui, i loro busti quasi sfiorandosi. - Desideravo soltanto ringraziarti per aver scoraggiato mio padre dall'accompagnarti nell'incursione.

- Non è più in grado di farlo, mia signora. Viaggiamo di notte trasportando soltanto le provviste minime. È difficile e pericoloso.

- Tuttavia, deve essere fatto? Devi rischiare la tua vita per l'onore di Roma?

- Sì.

La sua voce profonda le mandò dei brividi giù per la schiena. Lucilla cercò di prendergli la mano destra. Egli cominciò a ritrarla, ma lei gli afferrò il polso tirandolo a sé, guardando con curiosità le sue dita quando esse si chiusero a pugno. Col pollice gli carezzò il palmo e con i polpastrelli, le nocche. Fu contenta di sentire la sua mano rilassarsi e di udirlo trarre un respiro irregolare.
- Porti rancore per molto molto tempo, Massimo.

- Non porto nessun rancore, mia signora.

- Chiamami Lucilla, com'eri solito fare.

Egli cercò di ritirare la mano, ma l'altra mano di lei gli strinse il polso come una morsa ed ella gliela riafferrò, continuando la sua carezza finché le dita di lui le si avvolsero intorno al pollice, obbligandola a fermarsi.

Ella rise sommessamente.
- Massimo, chiamami Lucilla.

Lui rifiutò.

- Per favore.

Lui rimase muto.

L'irritazione la rese avventata.
- Te lo ordino. - Oh, non era questo il modo in cui aveva sperato accadesse. Si avvicinò a lui, ma egli indietreggiò, poi diede un poderoso strattone al braccio, strappando la mano dalla stretta di lei.

- Lucilla, - sibilò, poi si voltò per allontanarsi.

- Massimo, se non parli con me qui e subito ti farò trascinare dai pretoriani fuori della tua tenda per avere un'udienza con me. Lo farò e tu lo sai. Ti farò incatenare, se necessario.

Egli non ne dubitò nemmeno per un istante. Raddrizzò le spalle e si costrinse ad usare un tono calmo e cortese mentre l'affrontava ancora.
- Che cos'è che devi discutere così urgentemente, mia signora? - Si accorse di tre ancelle di Lucilla che coprivano le loro risatine tenendosi nascoste dietro una porta cortinata. Sperò che si stessero godendo lo spettacolo.

- Io… io desideravo ringraziarti per la tua risposta immediata alla mia lettera su Cassio…

Massimo sollevò il mento e lasciò che il sarcasmo condisse le sue parole.
- Mi hai già ringraziato per quello.

Lei lo ignorò.
- Voglio anche parlarti di mio fratello.

- Commodo? Che cosa sta combinando adesso tuo fratello?

Lucilla si strofinò le braccia sotto il mantello.
- Massimo, fa freddo qui fuori. Non vuoi entrare? - lo blandì.

- No, - bisbigliò lui con fermezza e lo sottolineò scuotendo la testa.

- La morte di mia madre ha sconvolto Commodo più di quanto chiunque potesse immaginare. Passa il tempo tenendo il broncio o sfogando il suo dolore e la sua furia sugli schiavi. Io… ho paura che stia scivolando nella pazzia, Massimo. È molto instabile, ma mio padre è troppo assorbito dal suo leggere e scrivere e fare la guerra per avvedersene. Un motivo per cui sono qui… è perché avevo bisogno di allontanarmi da mio fratello per qualche tempo. Lui…lui… - deglutì con forza.

Il tono demoralizzato di lei rivelava molto più delle sue parole e, malgrado i suoi sforzi di rimanere neutro, Massimo si sentì in ansia per lei.
- Hai discusso di questo con tuo padre? - chiese gentilmente.

- Sì, ma non se ne preoccupa. Liquida i miei timori come infondati e futili.

- Che cosa posso fare io a tale proposito?

- Mio padre ti ascolta. Se fossi tu a dirgli quello che ti ho detto io, ti ascolterebbe.

- Saprebbe anche che non ho visto Commodo, ultimamente, e che le mie informazioni non sono basate sull'osservazione personale.

Lucilla gli si avvicinò di nuovo e gli afferrò le braccia proprio sotto le spalline della corazza.
- Allora vieni a Roma e vedilo da te.

Massimo le sorrise per la prima volta da quando era arrivato alla legione Rapax, ma era un sorriso ironico, non quello tenero che lei bramava.
- Ho troppe responsabilità qui, Lucilla, per visitare Roma.

- Lascia che sia un altro a guidare l'incursione e ritorna a Roma con me. - Egli sentì i pollici di lei carezzargli i bicipiti con un movimento provocante.

Dunque era quello. Era tutto uno stratagemma per portarlo a Roma.
- Come faccio a sapere che quello che dici è proprio la verità?

Le dita di lei si strinsero sulle sue braccia, le unghie conficcate nella sua carne.
- Non ti fiderai mai più di me, vero?

Occhi blu guardarono furiosi quelli verdi.
- No.

Invece di tirarsi indietro come egli aveva previsto, Lucilla si avvicinò ancor di più e gli bisbigliò contro la bocca:
- Feci quello che dovevo fare. - Appena le labbra di lei sfiorarono le sue, egli bruscamente girò la testa di lato ed il bacio di lei si perse nella sua morbida barba. Imperterrita, Lucilla premette i seni contro la sua corazza d'ottone e gli solleticò la guancia e l'orecchio con la lingua, nello stesso tempo afferrandogli saldamente le braccia, tenendolo immobile con le unghie pungenti. Era consapevole della forza in quelle braccia… che egli avrebbe potuto staccarsi facilmente se l'avesse desiderato… ma sembrava paralizzato quanto lei dalle loro roventi emozioni. Lentamente egli voltò di nuovo il viso di fronte a quello di lei e trovò le sue labbra con le proprie. Le afferrò i capelli in una mano, facendole male all'inizio, poi con gentilezza quando le punte delle sue dita le esplorarono i riccioli, infine immergendosi più in profondità per trovare la sua pelle. Il suo bacio rifletteva i movimenti della sua mano: forte, poi delicato mentre la lingua carezzava le labbra di lei, quindi dilagante quando si spinse profondamente nella sua bocca socchiusa, possessivo ed esplorante. L'altro braccio si allungò sotto il mantello di lei e le premette con fermezza i fianchi contro i propri, mostrandole chiaramente quanto la desiderasse. Lucilla gemette mentre anni d'intenso desiderio le inondavano l'inguine e le trasformavano le gambe in acqua. La mano di lei trovò i suoi capelli, poi gli afferrò il collo, frustrata che la sua schiena fosse coperta dall'armatura. Ella si protese il più possibile all'interno della scollatura, spingendo l'altra mano verso l'alto da sotto il mantello di lui, fino a trovarne la nuda carne calda della vita.

Massimo la spinse nell'ombra con il corpo, facendola appoggiare contro un palo montante.
- E' questo quello che vuoi da me? - domandò rabbioso. - E' questo il vero motivo per cui mi vuoi a Roma? - La sua mano trovò il seno di lei ed egli stuzzicò il capezzolo indurito, stringendo e tirando attraverso il tessuto sottile, strofinandole al contempo la bocca contro il collo.

Lucilla ansimò, comprendendo a stento le sue parole.
- No… sì...

La bocca di lui trovò di nuovo la sua mentre con entrambe le mani a coppa le teneva le natiche. Facendole aprire le gambe con le sue egli si schiacciò contro di lei quasi dolorosamente.
- Facesti già quest'offerta, una volta, non ricordi?

Lei armeggiò con le fibbie ai lati della sua corazza, disperata nel voler sentire l'intero corpo di lui premuto contro il proprio.

Egli la spinse con forza contro il palo.
- Ricordi? - incalzò.

- Io non… non… - Ella aveva allentato le fibbie quanto bastava per far strisciare una mano all'interno e aveva disteso le dita sul suo petto sopra il suo cuore martellante, quando furono fatti sobbalzare da quattro pretoriani che passarono a circa cinque metri da loro, parlando a voce alta, non notando la coppia appassionata perché i loro sguardi erano concentrati sulle graziose ancelle di Lucilla.

Massimo trascinò le mani di lei fuori del proprio corpo e le afferrò i polsi in un solo pugno, quindi glieli tirò sopra la testa e li tenne contro il palo.
- Puoi avere qualunque altro amante tu voglia. Io non sono disponibile, - ringhiò Massimo e la lasciò andare così d'improvviso che lei quasi crollò a terra. Afferrando il palo per sostenersi, lo guardò turbinare via, il mantello spalancatosi come ali di pipistrello prima che gli s'avvolgesse attorno al corpo, per poi ondeggiare dietro di lui, a posto.

- Ma io voglio soltanto te, - bisbigliò lei mentre le sue ancelle la circondavano, con gran confusione dei pretoriani che guardavano dalle donne al generale che si stava rapidamente ritirando.

Il giorno dopo, di buon mattino, Lucilla se ne stava con aria infelice sotto una fredda pioggerella, riconoscente che la pioggia dissimulasse le sue lacrime, mentre suo padre e Massimo stavano seduti sui loro cavalli, pronti a partire per Colonia. Le trombe annunziarono l'inizio del viaggio ed i pesanti cancelli si spalancarono. Ella guardò sparire il vessillo dell'aquila dorata, seguìto dalle insegne viola e oro dell'imperatore. Guardò i pretoriani vestiti di nero disporsi ai fianchi del padre mentre egli si girava sulla sella agitando una mano verso di lei in segno di saluto. Guardò Massimo spronare il suo cavallo, poi lanciarle una breve occhiata, gli occhi carichi di rammarico prima di volgere di nuovo lo sguardo avanti, il viso severo. Lo guardò uscire dal cancello e dalla sua vita ancora una volta.

Sarebbe partita di lì a breve per Roma, le sue fantasie sul generale a cavallo dello stallone nero l'unica cosa che la riscaldasse durante il suo lungo viaggio verso casa.

 

Capitolo 72 - La grotta

Massimo si accovacciò dietro il fitto cespuglio aggrovigliato, la spada stretta in mano. Indossava l'armatura leggera, e tutte le vestigia di generale erano scomparse. I duecento uomini dietro di lui, tuttavia, non avevano dubbio alcuno di chi fosse al comando.

Era metà gennaio e faceva ancora molto freddo. Il terreno era congelato, ma un po' di neve era caduta, rendendo ideali le condizioni per l'incursione. Non avrebbero lasciato impronte. Erano rimasti sul lato nemico del fiume per tre giorni, dormendo in caverne nelle montagne durante il giorno e spostandosi solo di notte. Avevano fiancheggiato un villaggio dopo l'altro, cercando  soltanto coloro appartenenti ai guerrieri Marcomanni, non interessati a nuocere agli innocenti. Il generale aveva chiarito la sua posizione sull'argomento ancor prima di attraversare il fiume. Dovevano cercare vendetta su coloro che avevano ucciso i loro uomini, non sulle loro famiglie o su altre tribù. Massimo sapeva che sarebbero morti degli innocenti, come sempre accadeva in quel genere di operazioni, ma aveva proibito rigorosamente l'omicidio o lo stupro indiscriminati come strumenti di vendetta, nonostante la loro lunga storia come tali. La pena per chiunque gli avesse disobbedito sarebbe stata rapida e severa.

Massimo separò leggermente il cespuglio e scrutò il villaggio disposto nella valle del fiume sotto di loro. Tutto sembrava normale: le persone si muovevano attorno ai fuochi da campo serali attendendo ai lavori quotidiani. I bambini vestiti negli strati di rozza pelliccia s'inseguivano l'un l'altro dentro e fuori gli edifici di legno, rimproverati dalle loro madri.

- In quanti supponi che siano, laggiù? - Massimo chiese a Giulio, il legato della legione Primigenia XV.

- Mmm...forse tre o quattrocento al massimo. Difficile dire quanti ce ne sono nelle abitazioni. Non vedo molti uomini.

Massimo annuì in assenso.
- Quelli che riesco a vedere io sono anziani. I guerrieri sono evidentemente altrove al momento, perciò dovremo essere pazienti fino a che non ritorneranno.

- Sei sicuro che questo sia il posto giusto, generale?

Massimo annuì di nuovo.
- Osserva sopra la porta della casa dei raduni, all'estremità nord del villaggio.

Giulio ansimò.
- Lo stendardo dell'aquila della Germanica II.

- Esatto. Un simpatico trofeo, in mostra affinché tutti vedano. E' questo il posto giusto. - Gettò uno sguardo dietro di sé, al pendio della collina apparentemente privo di vita umana. - Di' agli uomini di ritornare alla caverna pochi alla volta, poi mandami Giovino.

Pochi minuti dopo il figlio dell'ingegnere era al suo fianco, eccitato per essere d'aiuto al suo generale.
- Giovino, ho bisogno che tu faccia un lavoro per me. Ho intenzione di ritornare alla caverna con la maggior parte degli uomini. Voglio che tu ed altri tre esploratori strisciate più vicino al villaggio, avvisandomi quando i guerrieri torneranno a casa. Ci può volere del tempo, perciò  dovrete essere pazienti...e molto, molto cauti. Non dovrete, per nessun motivo, permettere loro di vedervi. Se sarete catturati, per noi potrebbe non essere possibile salvarvi.

- Sì, signore. Capisco.

- Qui, prendi la mia coperta. - Massimo si scrollò dalle spalle la pelliccia nera e la drappeggiò intorno alle spalle del giovane.

- Non ne ho bisogno, signore.

- Sì, invece. Farà molto freddo quando sarai rimasto qui fuori per un po'. Ne hai più bisogno tu di me. Io me ne starò disteso davanti ad un bel fuoco nella caverna. - Massimo arruffò con affetto i rossi capelli indisciplinati del ragazzo, poi scivolò nelle tenebre senza un rumore.

 

Ci fu poca conversazione all'interno della caverna. Tutti gli uomini erano stati scelti accuratamente da varie legioni per quest'incursione grazie alla loro esperienza, ma Massimo conosceva alcuni di loro personalmente. Avrebbe impartito loro le direttive ancora una volta,  prima che l'incursione cominciasse, ma fino ad allora, la maggior parte avrebbe dormito, i loro grugniti ed il russare amplificati dalla vuota cavità della caverna.

Massimo fissò il fuoco modesto e guardò le scintille svilupparsi a spirale verso l'alto prima di andare in fumo, solo per essere da altre inseguite.

Si spostò, cercando di stare più comodo sul duro terreno, ma si arrese, rassegnato alla schiena indolenzita che l'umido pavimento di pietra della caverna avrebbe certamente cagionato. Giacque sul fianco, con la testa appoggiata all'avambraccio e lasciò che la sua vagasse dove voleva. Una tentatrice dai capelli castano dorato e dagli occhi verdi invase immediatamente i suoi pensieri, l'indistinta e velata immagine di lei che gli saltellava davanti agli occhi, facendogli cenno di avvicinarsi. Massimo batté in fretta le palpebre, sperando di scacciare la visione, ma Lucilla lo tormentò ancora.

Era disgustato di se stesso per il modo in cui l'aveva trattata quella notte di alcune settimane prima. Lei aveva dato inizio alla seduzione, quello era vero, ma lui non aveva certo fatto del proprio meglio per porvi un freno e, non facendolo, l'aveva incoraggiata. Non poteva ingannare se stesso nel pensare di essere stato nient'altro che un partecipante molto ben disposto, pronto a fare l'amore con lei malgrado la sua irritazione al tentativo di lei di attirarlo a Roma. Dieci anni prima ella aveva provato disperatamente a convincerlo ad arruolarsi nei pretoriani e a diventare il suo amante segreto, ed ella sembrava ancora intenta in quella missione nonostante l'elevata posizione di lui all'interno dell'esercito… ed il suo matrimonio.

Massimo si alzò a sedere e ravvivò il fuoco con un rametto, mandando un altro spruzzo di scintille a danzare nell'oscurità. Fin dove si sarebbe spinto, se quei pretoriani non fossero passati  lì vicino? Avrebbe preso Lucilla direttamente là nel pretorio, contro il palo, mentre il suo corpo lo spronava a farlo, o sarebbe prevalso il buon senso? Non conosceva la risposta e ciò lo innervosiva. Lucilla sembrava l'unica persona al mondo che potesse sfondare le sue barriere morali ed attirarlo in un luogo in cui lui non voleva andare.

Massimo tirò su le ginocchia e vi avvolse le braccia intorno per conservare il calore del corpo, sempre fissando nelle fiamme come ipnotizzato. Doveva scriverle e chiederle perdono per quello che aveva fatto… o per quello che non aveva fatto? Doveva dirle che aveva quasi voltato il cavallo per tornare al galoppo tra le sue braccia, lasciando che suo padre continuasse da solo il viaggio fino a Colonia? Doveva confessarle che ogni notte dal loro incontro si agitava nel sonno sognando di lei, tormentato da un'intensa, brutale frustrazione sessuale?

Forse sarebbe dovuto andare a Roma, una volta finito questo periodo di conflitto. Non aveva mai visto Roma e sembrava una cosa appropriata da fare, per un generale dell'esercito romano. E lei sarebbe stata là...  ad aspettarlo...

Era possibile essere innamorato di una donna, ma desiderarne un'altra così intensamente? Peggio ancora, era possibile che Marco avesse ragione e che ciò che provava per Lucilla andasse oltre il semplice desiderio fisico?

Nonostante il suo amore per Olivia, Massimo a volte si chiedeva come sarebbe stata la sua vita se dieci anni prima avesse accettato l'offerta di Lucilla. Sarebbe stato felice a Roma? Lei si sarebbe stancata di lui o lui di lei? Non riusciva a immaginare se stesso essere felice di vivere in una città, fosse anche Roma, ma non poteva saperlo con certezza perché non aveva mai provato.

Perché stava cominciando a fare congetture a posteriori sulle sue scelte di vita? Massimo fissò  nell'oscurità oltre il fuoco e si sentì solo come mai in vita sua. Si sentiva come se fosse l'unico individuo vivente, condannato a vivere per sempre in solitudine e oscurità, e si ritrovò a combattere un malcontento profondamente radicato verso ogni aspetto della sua vita. Era un generale. E allora? Quale gran gioia gli recava questo? Era sposato... ma la sua famiglia era lontanissima... raramente c'era quando ne aveva più bisogno. Marco Aurelio lo amava come un figlio, ma egli non aveva un vero padre. Era amico di molti, ma confidente di pochi. La sua posizione di generale lo teneva a distanza dagli altri per la natura stessa delle decisioni che doveva prendere… decisioni di vita e di morte.

Molta gente lo ammirava, ma non era sicuro di capire perché. Si sentiva un impostore. Non era nient'altro che un contadino di bassa estrazione delle province…

Massimo si alzò in fretta e brancolò nel buio lungo le umide pareti fredde della caverna fino all'entrata. Il suo malcontento stava portando i suoi pensieri in luoghi pericolosi e aveva bisogno di schiarirsi le idee. All'esterno, si appoggiò contro le rocce irregolari e respirò a fondo per calmare le sue emozioni, il fiato fumante di vapore che creava una nube soffice che si dissolveva rapidamente per essere da un'altra sostituita. Guardò in su la luna nuova e si domandò se Olivia stesse guardando la stessa luna... o Lucilla.

Si domandò se gli uomini e le donne nel villaggio stessero guardando la stessa luna. Uomini e donne di cui stava per distruggere le vite.

Aveva un bisogno disperato di stare del tempo lontano da quel luogo. Forse Roma...

- Signore! Sono tornati, signore.

Trasalendo, Massimo si girò di scatto trovandosi a faccia a faccia con Giovino, sul viso uno sguardo così turbato da spaventare il ragazzo. Massimo lo sostituì subito con un sorriso che non  raggiunse i suoi occhi.

- Bravo. Quanti ce ne sono, secondo te?

- Molti. Forse cinquecento. - Giovino lo guardò con aria interrogativa. - Stai bene, generale?

- Sto benissimo. Sono tutti armati?

- Di tutto punto, e hanno spade e scudi romani.

Massimo diede a Giovino una pacca sulla spalla.
- Ben fatto. - Gli piaceva quel ragazzo… be', non proprio un ragazzo. Doveva avere vent'anni o giù di lì. - Vai a dormire un po' mentre impartisco le direttive agli uomini.

- Vorrei venire con voi, signore.

Massimo scosse la testa.
- Non hai ancora abbastanza esperienza per una missione come questa. Inoltre, sei di gran lunga troppo importante per me come esploratore. Vai a riposarti un po'.

Massimo rimase da solo e fissò nell'oscurità, ascoltando la fredda raffica di vento attraverso i rami brulli… l'unico suono in quella notte invernale. Un suono sconsolato che sembrava annunziare lo spargimento di sangue che sarebbe cominciato di lì a qualche ora.

 

Capitolo 73 - Conseguenze

Massimo fissava il sangue che gli gocciolava lungo le braccia. Ne seguì il flusso con lo sguardo, mentre dai tagli sugli avambracci gli colava in rivoletti sopra le mani e giù dalle punte delle dita, le goccioline che atterravano con un morbido tonfo sul viso senza vita dell'uomo ai suoi piedi, mescolandosi con il suo sangue, prima che il loro volume congiunto impregnasse il pavimento di terra, macchiandolo di cremisi.

Dimentico delle grida all'interno e all'esterno dell'edificio di legno dal tetto basso, Massimo rimase immobile, recuperando le forze dopo la sua battaglia con il capo dei Marcomanni, che lui aveva svegliato di soprassalto. Anche se più basso della sua controparte, Massimo aveva il vantaggio della sorpresa, della velocità e della maestria. L'uomo aveva fatto un balzo per impadronirsi di un'ascia nascosta sotto il suo materasso di paglia e l'aveva roteata con tutta la sua forza verso la testa di Massimo, mentre la moglie piangeva e gridava aiuto. Ma gli altri barbari stavano combattendo per salvare le loro stesse vite e non potevano venire in aiuto del loro capo. La ferocia della lotta era evidente dai muri e dai vestiti schizzati del sangue dei due comandanti, anch'essi macchiati di rosso cupo, e dall'abbassarsi e sollevarsi delle spalle dell'uomo ancora in piedi.

Isterica, la moglie del barbaro urlò a Massimo, rannicchiandosi nell'angolo, spingendo protettivamente dietro di sé i suoi due bambini. Soffocò i singhiozzi nelle mani, poi alzò di nuovo lo sguardo e allungò una mano incerta, implorando il guerriero romano di lasciarli vivere. Massimo sollevò entrambe le mani, ad indicare che non avrebbe intrapreso ulteriore azione. Gettò ancora uno sguardo agli occhi privi di vita ai suoi piedi, poi scavalcò il corpo, ben conscio che avrebbe potuto facilmente essere lui l'uomo sul pavimento. Con un ultimo sguardo alla moglie del barbaro, Massimo aprì la porta e camminò nella notte.

Il terreno era disseminato di Marcomanni morti. I soldati romani si aggiravano per tutto l'accampamento, pungolando i corpi per scoprire gli uomini che fingevano di essere morti e finendo coloro che erano feriti mortalmente. I singhiozzi delle donne e dei bambini si alzavano dall'interno della casa dei raduni, che era sorvegliata da due soldati, la porta sprangata dall'esterno. I piccoli fuochi sotto molte delle costruzioni di legno rapidamente raggiunsero slancio, attizzati dal vento freddo. I fiocchi che avevano cominciato a cadere non sarebbero stati sufficienti a spegnerli.

Massimo gridò ai soldati più vicini.
- Spegnete i fuochi!

- Signore? Pensavo che avremmo bruciato il villaggio.

- No. Le donne, i bambini e gli anziani hanno ancora bisogno di un luogo in cui vivere e di cibo per nutrirsi. Lasceremo in piedi il villaggio.

- Ma generale, hanno distrutto il nostro accampamento!

- Non c'erano donne e bambini nel nostro accampamento, soldato. Fai come ho ordinato, subito.

Parecchi soldati si fissarono a vicenda increduli, poi con riluttanza cominciarono a gettare terra  sulle fiamme. Giulio si avvicinò a Massimo.

- Non gradiscono questa decisione, signore, - disse tranquillamente.

- Non me n'importa, Giulio. Si sentirebbero molto diversamente se ci fossero le loro famiglie dentro quella sala. Per quella gente sarà già abbastanza dura sopravvivere, in questo periodo dell'anno, senza gli uomini.

Giulio annuì, d'accordo, mentre guardava la carneficina.
- Abbiamo fatto un buon lavoro.

- Sì. Quanti sono i barbari morti?

- Ne abbiamo contati cinquecentotrentanove, signore.

- E i nostri uomini?

- Finora, quarantasei… appena.

- Che cosa vuoi dire con 'finora'?

- Ne mancano tre all'appello, signore.

- Sono molti i feriti gravi?

- Alcuni. Sembra che anche tu abbia bisogno di una certa attenzione medica, generale.

- La maggior parte di questo sangue non è mia. Quanti civili sono stati uccisi?

- Circa due dozzine. Alcuni uomini anziani che pensavano di poter fare la loro parte, undici donne che hanno preso le armi, quattro ragazzini, una ragazza.

Massimo si sfregò gli occhi con il dorso della mano, imbrattandosi ancor più il viso di sangue.
- Darò un'occhiata intorno, Giulio, mentre tu ti accerti che i fuochi siano spenti. Poi raduna gli uomini. Non voglio essere attaccato su questo lato del fiume quando si spargerà la voce di questo massacro.

- Sì, generale.

Da dove si trovava, Massimo riusciva a vedere quasi tutta la zona comune, così si diresse dietro le capanne per scoprire se qualcuno dei loro uomini fosse stato ferito o non notato. Si rifiutava di andarsene fino a che tutti fossero risultati all'appello, vivi o morti. Tenendo sempre la spada in mano, colpì i mucchi di rifiuti e foglie, tirò via alcuni tronchi dalle pile di legna e fece sparpagliare pecore e capre terrorizzate quando camminò a gran passi nell'aia.

Aveva percorso fino a metà il perimetro dell'accampamento quando trovò i tre soldati dispersi. Occupati, non lo videro. Avevano steso a terra una ragazza di circa dodici anni dai capelli color lino pallido, le braccia e le gambe tenute spalancate da due uomini mentre un altro la violentava brutalmente, crudelmente incoraggiato dai suoi due complici. La bambina, terrorizzata, da molto tempo aveva cessato di lottare e giaceva con gli occhi serrati, chiusi contro il dolore, la bocca spalancata in un grido silenzioso.

Non vide la spada del generale romano abbattersi con un arco feroce sul collo dell'uomo alla sua sinistra; non vide la testa rimbalzare e rotolare mentre il corpo cadeva all'indietro, il sangue che usciva a fiotti dal collo squarciato. Non vide l'uomo alla sua destra tenere le mani alzate davanti alla faccia solo per perdere quelle insieme alla testa, in un altro colpo selvaggio della spada del generale.

Non vide il suo aggressore alzarsi in ginocchio, il sangue che gli colava dal pene tanto velocemente quanto gli defluì dalla faccia mentre fissava il suo carnefice in silenziosa supplica. Ella aprì gli occhi soltanto quando udì l'uomo gridare, il suono interrotto bruscamente nel momento in cui un brusco fendente della spada troncò la sua spina dorsale con uno scricchiolio nauseante e l'uomo cadde all'indietro, senza vita, le brache ancora intorno alle caviglie.

Massimo gettò da parte la spada insanguinata e cadde in ginocchio, raccogliendo la bambina terrorizzata nelle sue braccia, stringendola protettivo mentre le mormorava frasi in tono gentile. Sapeva che lei non poteva capirlo, ma sperò che il suo tono le comunicasse che ora era al sicuro. Coprì meglio che poté le sue esili gambe nude poi si alzò in piedi, premendola contro il suo petto.

Fece un passo verso la casa dei raduni, poi si arrestò bruscamente. Giulio era fermo a fianco della capanna, il viso come gesso mentre guardava da Massimo ai corpi per terra.

Massimo rimase silenzioso, rifiutando con aria di sfida di giustificare le sue azioni a chiunque.

- Ah… noi… abbiamo radunato tutti i nostri morti e feriti. Gli uomini non volevano lasciare che  i morti fossero mutilati dalle donne della tribù.

Massimo annuì.

Fortemente scosso dalle esecuzioni di cui era appena stato testimone, Giulio guardò ancora i cadaveri sul terreno.

- Lasciali lì, - ringhiò Massimo.

- Ma…

- Le donne della tribù possono fare quello che vogliono a quei cadaveri. Non meritano di essere chiamati romani.

- Sì, generale.

La ragazzina gemette e Massimo la strinse più vicina a sé.
- Portami qui una della donne. Svelto!

Giulio inciampò leggermente nella fretta di lasciare quella scena terrificante, ma ritornò qualche momento dopo con una donna della tribù scortata da due soldati. L'orrore di lei quando osservò i corpi decapitati fu sostituito dalla confusione quando si rese conto che gli uomini morti erano romani. Poi guardò Massimo e la bambina nelle sue braccia. Egli le porse la ragazzina e fu sollevato di vedere il lampo di comprensione negli occhi della donna. Ella spalancò le braccia per accettare la bambina poi annuì una volta a Massimo e si allontanò in fretta, i lunghi capelli biondi della ragazzina che si riversavano fluttuando dietro di loro.

Per alcuni silenziosi momenti Massimo restò a fissare lo spazio vuoto e nero in cui erano scomparse, rapidamente oscurato dalla nevicata che s'infittiva.

- Signore? - chiese infine il legato.

- Giulio, conduci gli uomini a sud e attraversate il fiume appena possibile.

- Che cosa intendi fare?

- Sarò proprio dietro di voi. Andate.

Giulio esitò a lasciarlo.
- Signore…

- Va', - ripeté Massimo con calma.

Rimasto solo, Massimo frugò all'interno della sua tunica ed estrasse due piccole figurine che teneva sempre nascoste vicino al suo cuore. Sentiva l'urgente bisogno di tenerle in mano in quel momento. Ne portò prima una, poi l'altra, alle labbra e le baciò.

Massimo restò a osservare finché l'ultimo romano lasciò il villaggio quindi salì i due gradini della porta della casa dei raduni. Sollevandosi sulle punte dei piedi, tirò con forza lo stendardo della Germanica II dal suo luogo di disonore, riducendo in schegge il legno grigio quando l'asta dorata si staccò nella sua mano. Poi egli levò il catenaccio alla porta e si voltò, camminando lentamente verso i cancelli del villaggio, la spada che oscillava al suo fianco e lo stendardo stretto nella mano destra. Nella sinistra, nascondeva le piccole figurine.

La porta si aprì cigolando e le donne fecero capolino. La neve stava cadendo fitta, quasi cancellando l'alba. Guardarono la figura che si ritirava e scambiarono parole affrettate. Alcune donne cominciarono a scendere i gradini raccogliendo qualsiasi cosa trovassero che potesse essere usata come un'arma, gridando minacce e oscenità al romano solitario. Ma una donna si spinse davanti al gruppo e fissò il generale romano, riconoscendolo. Ella allargò le braccia davanti all'adirata moltitudine e pronunciò qualche frase tagliente per cercare di prendere tempo. Silenziosamente esortò Massimo ad andarsene più celermente, ma egli non aumentò il suo passo misurato. Al contrario, si arrestò e si voltò, mettendo a fuoco con i suoi penetranti occhi blu l'unico viso familiare nel gruppo. Egli fece un leggero cenno col capo ed ella gli restituì il saluto. Allora egli sollevò l'aquila dorata diritta ed in alto sopra la testa e si girò, dissolvendosi come un fantasma nella turbinante neve bianca.

 

Capitolo 74 - Vindobona

Massimo attraversò a cavallo i cancelli di Vindobona, ricevendo una calorosa accoglienza dai suoi uomini.

- E' bello riaverti qui, generale, - gridò un uomo. - Sei stato via per dei mesi, signore.

- E' bello ritornare, soldato, - rispose Massimo con sincerità. Egli scrutò i visi familiari e amichevoli e si domandò come dire loro che sarebbe ripartito presto. Era qui solo per mettere insieme la sua posta e dormire nel suo letto per qualche notte prima di ripartire difilato per visitare altri forti e per condurre altri uomini in altre battaglie. E quando le guerre infine si fossero placate, voleva ritornare in Ispania. Aveva bisogno di vedere sua moglie e suo figlio.

Si sporse dal suo cavallo e strinse le mani che si allungavano verso di lui. Le notizie delle sue vittorie decisive nelle battaglie in Germania occidentale, generate dall'incursione romana sull'accampamento germanico, erano giunte fino a Vindobona, ed i suoi uomini erano fieri di lui. Egli poteva anche essere il comandante di tutte le legioni nordiche, ma era il loro generale.

Smontò e gettò le redini ad un soldato in attesa, dirigendosi verso la sua casa senza sprecare tempo, con Ercole che gli trotterellava alle calcagna. Gettò un'occhiata intorno all'accampamento mentre camminava, soddisfatto di vedere che tutto era in ordine. Quinto aveva fatto un buon lavoro.

Massimo rallentò il passo scorgendo un bambino in lontananza. Un ragazzino, sembrava, che tirava calci ad una palla insieme ad alcuni soldati. Ciò era estremamente insolito. L'accampamento non era un posto sicuro per i bambini ed ai soldati non era consentito portarvi le loro famiglie. Massimo sperò che Quinto non si fosse rammollito al riguardo. Decise di occuparsi più tardi di quella faccenda e continuò in direzione della casa. Ercole si arrestò, tuttavia, e fissò il bambino, gli orecchi dritti per la curiosità.
- Vieni, bello. Sono sicuro che ti piacerebbe giocare con lui, ma probabilmente lo terrorizzeresti e basta. - Dopo un altro momento d'esitazione il grosso cane seguì il suo padrone, ma questi fu presto nuovamente distratto, questa volta dall'ingegnere, Giovino, fermo proprio fuori del pretorio. Egli si batté le ginocchia chiamando a sé il cane.

Massimo fece un largo sorriso a Giovino passandogli vicino.
- Da quando, tu ed Ercole siete così buoni amici?

- Mi è sempre piaciuto il cagnetto, signore. - Giovino afferrò il collare dell'animale per trattenerlo dal seguire Massimo. - E' bello rivederti qui, generale, e grazie per esserti preso cura del mio ragazzo.
Massimo si limitò a rispondere con un cenno della mano, continuando a camminare.

Gettò le sue pellicce sul letto e diede uno strattone ai lacci del mantello, fissando la branda che desiderava intensamente… la sua, tanto per cambiare. C'era qualcosa di diverso riguardo alla sua stanza e le sue mani smisero di tirare. Era un odore insolito. Annusò, poi alzò lo sguardo. Precipitosamente, accese due lanterne per moltiplicare la luce di quella che già bruciava.

Fissò per un attimo la parete dietro il suo letto, quindi allungò una mano incerta, per seguire con la punta delle dita le figure colorate. La sua casa. Stava guardando la sua casa in Ispania, come se vista dalla strada; la sua casa appollaiata su una collina, circondata da alberi di frutta matura e campi di grano pronti per la mietitura. Cavallini giocavano su una collina lontana. Un muro di pietra circondava la proprietà, con alti pioppi che fiancheggiavano la strada fino alla sua casa. Un pioppo gigante si levava fiero vicino al cancello, con fragili fiori selvaggi che ne circondavano il tronco, il luogo in cui era sepolta sua figlia. Il cielo era azzurro, con nubi d'un bianco abbagliante, e l'intera scena era bagnata dalla dorata luce del sole. Il dipinto murale copriva l'intera parete.

Com'era possibile? Come poteva sapere, il giovane Polibio, che aspetto avesse la sua casa, a meno che avesse esaminato attentamente gli effetti personali di Massimo e visto le illustrazioni di Olivia? Avrebbe osato fare una cosa simile?

Confuso ed irritato, Massimo si voltò e si diresse alla porta, per arrestarsi bruscamente e fissare a bocca aperta la parete alla sua sinistra. Era coperta da un ritratto a grandezza naturale e finito solo in parte di se stesso, seduto su uno dei suoi stalloni neri. Il dettaglio della sua uniforme era minuzioso… la corazza, il mantello ondeggiante e le pellicce, perfetti… e la sua somiglianza prodigiosa. La sua figura era fiera e regale, ma un lieve sorriso alla bocca ed agli occhi ritraevano l'uomo reale sotto gli ornamenti da generale. Dietro la sua figura c'erano il fiume blu del Danubio, e i violacei picchi montuosi e le verdeggianti foreste della Germania.

- Ho pensato che una parete dovesse descrivere dove sei, e l'altra parete, dove dovresti essere. - La voce proveniva dall'entrata.

Il respiro gli si fermò in gola ed il sangue gli defluì dalle membra. Cominciò a tremare e le lacrime gli offuscarono la vista, distorcendo l'immagine del suo affresco.

- Massimo? - Olivia corse da lui ed egli la prese nelle braccia tremanti, seppellendo il viso nei suoi capelli, piangendo senza vergogna. La moglie mormorò tenere parole d'amore e gli baciò la  guancia, l'orecchio ed il collo, i suoi stessi occhi luccicanti.

La voce di Massimo era un rauco bisbiglio.
- Come sapevi che avevo bisogno di te?

- Lo sapevo perché io avevo altrettanto bisogno di te. Oh, Massimo, mi sei mancato.

Nessuno di loro notò Cicero sorridere mentre chiudeva adagio la porta della camera o udì Ercole guaire quando fu trattenuto dal gettarsi addosso ad Olivia.

- Quando…, - cominciò Massimo.

- Sono qui da trentasei giorni a preoccuparmi a morte per te, mentre tu eri via in battaglia. - Olivia gli prese il viso fra le mani e baciò via le sue lacrime. - E non osare dirmi che non avrei dovuto venire.

- Non avresti dovuto, ma non lo dirò. - Massimo la serrò tra le braccia e lottò per controllare il tremito causato dall'acuto affaticamento e dall'emozione di trovare sua moglie in Germania. - Gli dei hanno udito le mie preghiere. - Massimo studiò il viso di lei. - Hai un bell'aspetto.

- E tu hai un aspetto terribile, e puzzi come un cavallo, - lo prese in giro Olivia. - Ho intenzione di trascinarti a fare un bagno. - Tuttavia non fece alcuna mossa di lasciare le sue braccia.

- Deve essere Marco, quello che ho visto giocare con i soldati. Non l'ho riconosciuto, è cresciuto tanto.

- Avrà cinque anni il suo prossimo compleanno, sai. Non è più un neonato.

- No, non lo è. Mi sono perso quella parte della sua vita, vero?

 - Puoi rimediare. È così eccitato di vederti.

- Si ricorderà di me, questa volta?

- Massimo, mentre stavo dipingendo il tuo ritratto sulla parete, lui mi correggeva se facevo anche il più piccolo errore. Si ricorda bene di te.

- Chi lo sta sorvegliando?

- Suo zio Persio. Ho persuaso il mio fratellino ad accompagnarmi nel viaggio nonostante i suoi dubbi. Sapeva che sarei partita anche da sola, se non lo avesse fatto.

Massimo si limitò ad annuire, la guancia appoggiata contro i capelli di lei, gli occhi chiusi. Sospirò profondamente.
- Mi fai un favore?

- Qualunque cosa.

- Dipingerai te e Marco, in quel murale della nostra fattoria, in piedi vicino al grande pioppo?

- Naturalmente, - bisbigliò Olivia accarezzandogli la guancia. - Ti piacciono?

- Più di quanto riesca a dire. Sono stupefacenti. - Massimo la strinse così forte che l'aria le uscì di colpo dai polmoni.

Quando Olivia ricuperò il fiato disse:
- E' stato un periodo difficile per te, vero?

Suo marito tirò su dal naso e bisbigliò:
- Sì. A volte credo che ci si aspetti che io sia un dio piuttosto che un uomo.

- Un uomo simile a un dio? - chiese Olivia.

- Sono solo un uomo che ha disperatamente bisogno della sua famiglia. Niente di più.

- Bene, la tua famiglia è qui per te, amore mio, e saremo qui finché avrai bisogno di noi.

- No, non potete rimanere così a lungo.

Olivia era perplessa.
- Quanto tempo?

- Per sempre.

La dolce risata di lei fu soffocata dal bacio di Massimo, un bacio profondo che sembrò durare per sempre...

 

Massimo si portò le dita alle labbra mentre camminava verso il gruppo che dava calci alla palla, indicando il suo desiderio di osservare inosservato suo figlio per un momento. Il suo bambino era cresciuto molto… non più il bimbetto che aveva visto l'ultima volta, ma un robusto ragazzino che poteva correre e saltare e dar calci con compostezza e forza.

Egli sorrise ai suoi uomini che ammorbidivano le loro usuali imprecazioni quando mancavano la palla, in onore del giovane figlio del generale e della sua bella moglie dai neri capelli, entrambi dei quali erano riusciti ad affascinare quasi ogni soldato nell'accampamento, mentre i due ansiosamente aspettavano che lui ritornasse.

Persio calciò la palla a Marco, ma deliberatamente mirò oltre il ragazzo ed essa rimbalzò fino a Massimo, che la fermò con il piede calzato dallo stivale. Lo sguardo sulla palla, Marco si voltò per intercettare il calcio di ritorno e restò sorpreso quando l'uomo se ne rimase là fermo. Lentamente, egli alzò lo sguardo sul corpo attaccato a quel piede… sul lungo mantello con le pellicce, sulla corazza d'ottone decorata e sulla tunica rosso vino. L'uomo si accosciò ed il suo familiare viso barbuto entrò in vista.

- Papà? - chiese Marco, non sicuro se stesse vedendo il suo vero padre o soltanto una personificazione dei suoi desideri e sogni.

Massimo annuì e sorrise, spalancando le braccia per avviluppare il ragazzino, che corse da lui senza esitazione.

Più di alcuni uomini improvvisamente dovettero girarsi per tirar su dai loro nasi quando il loro generale si strinse suo figlio forte al cuore, la grande mano che quasi nascondeva la testa del bambino. Dopo alcuni momenti silenziosi e teneri, Massimo si asciugò gli occhi con le dita poi  si issò il figlio sulle spalle e tese la mano a suo cognato.
- Persio.

Il sollievo spazzò il viso del giovane.
- Felice di rivederti, Massimo. Felice di vedere che non sei arrabbiato, anche.

- Dovrei esserlo. Era un viaggio molto pericoloso per mia moglie e mio figlio, ma sono felice che siano qui. Molto più felice di quanto potrai mai sapere. Grazie per averli accompagnati.

- Be', se non l'avessi fatto, Olivia se ne sarebbe andata via da sola, lo sai.

- Lo so. - Entrambi capivano chiaramente la determinazione nel carattere della donna.

- Sia come sia, Tito e gli altri non ne sapevano nulla. Spedii loro una lettera non appena giunti qui e ne ricevetti una molto, ah... collerica in risposta.

- Scriverò a Tito spiegando che va tutto bene.

- Grazie. - Persio si mise le mani sui fianchi e fece scorrere lo sguardo sull'accampamento. - Che bel posticino ti sei fatto qui. Tutti ci stanno trattando molto bene. Aiuta, essere parenti del generale, suppongo.

Massimo rise.
- Suppongo. - Lo faceva sentire così bene, ridere ancora. Egli volse in su lo sguardo sul figlio e Marco poggiò il mento sulla fronte del padre e gli sorrise in risposta. I soldati che guardavano non poterono fare a meno di notare la somiglianza del bambino con il padre quando sorrise, malgrado generalmente avesse le sembianze della madre. - Vieni, Marco. Andiamo a trovare la mamma. - Massimo afferrò saldamente entrambe le caviglie del figlio e partì per il pretorio, dove Olivia li stava aspettando.

- Dov'è il tuo cavallo? - chiese il bambino.

- E' nella scuderia.

- Posso vederlo?

- Adesso?

Marco annuì.

- E' appena tornato da un viaggio lungo e duro ed è molto stanco.

- La mamma lo ha dipinto sulla parete.

- L'ho visto.

- Ha dipinto te che lo cavalchi.

- Ho visto anche quello. La mamma dipinge molto bene, vero?

Marco annuì, continuando la sua conversazione con il padre mentre Massimo camminava verso la scuderia con passi lunghi e sicuri.

Cicero era in piedi di fianco ad Olivia all'entrata del pretorio.
- Visto, - le disse. - Ti avevo detto che non c'era niente di cui preoccuparsi.

Olivia gettò un'occhiata al servitore con un sorriso.
- Massimo sarebbe stato distrutto se Marco avesse esitato ad andare da lui. - Ella liberò un enorme sospiro represso. - Andiamo a preparargli il bagno, Cicero. Non intendo dormire, stasera, con un uomo che puzza come un cavallo.

 

Capitolo 75 - Il bagno

Marco si sforzò di bilanciare sulla testa l'elmo piumato del suo papà, ma alla fine si arrese quando il peso si rivelò essere troppo per il bambino, ed esso cadde sul pavimento a mosaico con un tonfo fragoroso.

- Marco, che cosa stai facendo? - chiamò sua madre dalla stanza da bagno.

- Niente, - fu la poco convincente risposta.

Olivia e Massimo si scambiarono un'occhiata ed Olivia roteò gli occhi prima di alzarsi dal suo posto a fianco del marito, che si stava rilassando col suo bagno. Ella si asciugò le mani sulla stola  dirigendosi verso la stanza da letto per indagare su quale birichinata stesse combinando il bambino.

Massimo sorseggiò del vino, poi sorrise di puro appagamento quando udì la risata di sua moglie. Ella tornò subito nella stanza, seguita dal loro figlio, drappeggiato nel mantello e nelle pesanti pellicce grigie di lupo di Massimo. Il lungo mantello rosso vino strisciava sul pavimento come una coda e le pellicce si trascinavano dietro il bambino sulle mattonelle bagnate. Marco era seguito da vicino da Ercole, che camminava proprio sul mantello, quasi strappandolo dalle esili spalle del bambino.

- Il pavimento è bagnato. Fai attenzione con quelli, - ammonì Olivia.

- Non importa. Quegli indumenti sono già rovinati perché li indosso con ogni genere di tempo e anche nelle battaglie. Ci dormo, persino, a volte, secondo le circostanze. Non può danneggiarli. - Massimo sorrise al figlio, che continuava a marciare intorno alla vasca tenendo alte la testa e le ginocchia, nel modo in cui immaginava lo facesse un generale.

- Dov'è la tua spada, papà?

- La mia spada? La mia spada non è qualcosa con cui giocare, figliolo. È molto pericolosa.

- Ma ho bisogno d'una spada per essere un generale.

Massimo guardò il bambino con grande affetto mentre Olivia massaggiava con dita energiche le spalle e il collo del marito. Egli sospirò profondamente e chiuse gli occhi.
- Sai che ti dico, Marco. Domani vedrò se possiamo trovare un'uniforme per te.

- Prometti? - chiese il bambino eccitato.

- Prometto. - Massimo sospirò ancora mentre sua moglie scopriva i nodi di tensione nei suoi muscoli e continuava a massaggiarli in profondità. Egli gemette lievemente quando lei trovò un punto particolarmente indolenzito.

- Ti fa male? - chiese lei, preoccupata.

- No… è magnifico.

Olivia baciò la guancia del marito e gli sfiorò l'orecchio con la lingua.
- Non vedo troppe cicatrici in più dall'ultima volta che ti ho visto.

- Temo che le mie cicatrici siano in punti che la gente non può vedere.

Olivia stava meditando su questo commento quando Marco saltò ancora su.
- Papà, guarda. Guardami! - Il ragazzino aveva trovato un cuscino e lo stringeva forte fra le  ginocchia come se si trovasse a cavallo, sforzandosi di galoppare intorno alla stanza da bagno, cercando di destreggiarsi tra cuscino, mantello e pellicce, tutto allo stesso tempo. Almeno non  aveva cercato di salire su Ercole… non ancora.

- Ti piacerebbe andare a cavalcare, domani, Marco? - chiese Massimo.

- Sì! Sì!

- Faremo un giro intorno all'accampamento su Scarto. Che te ne pare?

- Sìiii! - gridò Marco tornando al galoppo nella stanza da letto.

- E' così fiero di te, - disse Olivia insaponando i capelli di Massimo, massaggiandogli la cute. - Durante il nostro viaggio fin qui, ogni volta che vedeva un soldato, annunciava a tutti quelli che erano a portata d'orecchio che il suo papà è un generale. Desidera essere proprio come te.

- La mia vita deve sembrargli molto emozionante ed eccitante. - Massimo allungò una mano all'indietro ad accarezzare i lunghi capelli serici della moglie.

- Lo è.

- Non lo è. E' dura e terrificante e solitaria. Non voglio incoraggiarlo a diventare un soldato.

- Massimo, per favore, non distruggere i suoi sogni su di te. C'è molto tempo per lui per scoprire com'è realmente la tua vita qui.

- Si farebbe piccolo per l'orrore se realmente sapesse. E anche tu.

- Massimo, lasciagli godere le sue fantasie ancora per qualche anno. La notte dorme sognando di un uomo in un'uniforme magnifica, su un grande stallone, alla guida di migliaia di soldati in armature luccicanti.

- Voglio essere reale per lui, Olivia. Non una fantasia che prende vita.

- Tu sei reale per lui. Alla fattoria gli mostro i comuni alberi che hai piantato, i comuni carri che hai costruito, il comune letto dove hai dormito, i comuni vestiti che hai indossato. Conosce quel lato di te. Ma non capisce questo lato. - Olivia accennò alle pareti della stanza da bagno, indicando l'accampamento al di là. - Non capisce il suo papà, il generale. Così compone fantasie innocue e tranquille su questa vita, per acquietare i suoi timori quando sei via per così tanto tempo. Capisci?

Massimo annuì lentamente.

- Lasciagli le sue fantasie. Altrimenti...tremerebbe e piangerebbe nel suo letto, la notte.

Massimo si contorse per guardare in viso la moglie e vide l'emozione nei suoi occhi.
- Come fai tu?

- Sì, come faccio io. Non posso certo fingere di cominciare almeno a capire che cosa significhi essere un generale, combattere sanguinose guerre contro i barbari...uccidere la gente e condurre i propri uomini alle loro possibili morti. Posso solo pregare ogni notte che tu sopravviva a tutto questo e che torni a casa sano e salvo, un giorno, fisicamente intatto, mentalmente stabile e pronto per una vita con la tua famiglia.

- Sono pronto adesso per quello. Peccato che non sia possibile. - Massimo baciò le mani della moglie. - Olivia, mi dispiace fartene passare tante.

- Sapevo chi e che cosa eri quando ti sposai, Massimo. Capii la cosa e l'accettai come una condizione per amarti. È difficile, ma me la cavo. Tu vali ogni attimo d'angoscia che io abbia sofferto. Ora chiudi gli occhi mentre sciacquo via il sapone.

Con il corpo ed i capelli così puliti da scricchiolare, Massimo si appoggiò indietro nella vasca ed Olivia gli avvolse le braccia intorno alle spalle, poi infilò le mani sotto le sue braccia vigorose. Gli pizzicottò la pelle della nuca.
- L'acqua si sta raffreddando, - mormorò.

Massimo chiuse gli occhi, crogiolandosi nella sensazione dei morbidi seni premuti contro la sua schiena.
- Va benissimo. È meglio che fare il bagno in un gelido ruscello.

Lei premette la guancia contro la sua.
- Sai che cosa mi fa più paura?

- Che cosa?

- Che tu ti sia talmente abituato al ritmo frenetico e alle opprimenti responsabilità della tua vita da generale da trovare noiosa e monotona la vita da contadino, al confronto.

Massimo cominciò a protestare, ma lei lo zittì.

- So che ami molto la tua casa, Massimo, ma quanti anni potresti trascorrere prima di cominciare a sentirti irrequieto? Sei un uomo abituato a prendere decisioni di vita e di morte, non semplicemente a decidere quando mietere un certo raccolto o quando le olive sono mature. Sei un uomo ammirato da migliaia, forse milioni di persone… non soltanto dalla sua famiglia. Sei un uomo che frequenta imperatori ed ufficiali, non semplici commercianti e contadini. Ti sei abituato ad avere nella tua vita un certo livello di tensione ed eccitamento e io temo che tu abbia cominciato ad averne bisogno, che te ne renda conto o no. Non sono certa che tu possa sentirti completamente soddisfatto, senza. In questo momento la tua casa in Ispania è una tregua per te, ma come ti sentirai quando non vi sarà altro?

Massimo restò in silenzio a lungo prima di dire:
- Che donna perspicace ho sposato. Quando sto qui non desidero altro che tornare in Ispania. Ma quando sono in Ispania, dopo un po' cominciano a mancarmi l'accampamento e i miei soldati. Sono forse destinato ad essere un uomo mai completamente soddisfatto di dov'è e di ciò che ha?

Olivia gli spostò la testa di lato e gli baciò le labbra con tenerezza.
- Dovremo semplicemente avere tanti bambini che ti tengano occupato e soddisfatto.

- Non vedo l'ora, - bisbigliò Massimo. - Dove dormirà stanotte Marco, a proposito?

- Nell'altra camera, con Persio. Io ho dormito nel tuo letto e Marco è stato con Persio. Desideravo farlo abituare a quella disposizione prima del tuo ritorno. Staremo da soli, stanotte. - Ella gli prese il labbro inferiore tra le sue e lo mordicchiò. - Ed anche Ercole può dormire là dentro.

Massimo restituì il bacio.
- Moglie astuta. Parlando di Marco...le cose sono tremendamente tranquille nella stanza da letto, non credi?

Olivia scattò in piedi e uscì in un baleno. Massimo si tirò fuori dalla vasca e canticchiò con aria felice avvolgendosi un telo intorno ai fianchi e usandone un altro per asciugarsi i capelli umidi. Ridacchiò divertito quando udì la voce della moglie dalla stanza attigua.

- Marco, che cos'hai fatto? Lo sai che non devi toccare le cose di papà...

Massimo rise forte mentre si asciugava un piede, poi l'altro e con passo felpato se ne andò in camera a raggiungere sua moglie e il suo birichino figliolo.