La Storia di Massimo: Capitoli 66 – 70

 

 

 

Capitolo 66 - Settimio

Massimo stabilì che Orazio, un tribuno esperto, agisse da legato in assenza di Quinto, e Orazio portò la Felix III a Vindobona per l'inverno intanto che Massimo si dirigeva a ovest per visitare le altre sue legioni lungo il Danubio ed il Reno. Sebbene durante i mesi invernali le probabilità di guerra aperta fossero poche, le scorrerie dei barbari erano una precisa possibilità ed egli voleva che le legioni fossero vigili e pronte.

Avvolto in lana e pellicce, e scortato da un contingente di guardie, Massimo passò da una legione all'altra, rimanendo circa una settimana con ciascuna, accertandosi che le strade lungo il percorso del fiume fossero mantenute transitabili, in modo da consentire la rapida concentrazione di reparti, se necessario. Tutti i generali avevano appreso dell'assedio ed erano ansiosi di discuterne, compresa l'evidentemente erronea voce della morte del loro comandante. Il sollievo in egual misura attraversò rapidamente il viso di sentinelle, soldati ed ufficiali, quando Massimo in persona comparve ai loro cancelli. Ciò diede a Massimo una scusa conveniente per parlare di strategia con gli ufficiali di ogni legione, per assicurarsi che i generali sotto il suo comando stessero tuttora svolgendo efficacemente i loro compiti.

La seconda missione di Massimo era quella di rafforzare le fortificazioni che occupavano il territorio tra i fiumi Reno e Danubio. Le trincee erano state scavate anni prima, ma ora egli ordinò che lungo l'intera zona fosse costruito anche un muro di pietra, ed il pattugliamento costante dalle torri di guardia poste lungo la sua lunghezza.

Una scorreria dei barbari coronata da successo poteva portare non solo straordinario prestigio a quella particolare tribù, ma anche un considerevole bottino. E avrebbe significato la morte di molti soldati e l'indebolimento della stretta di Roma nel Nord. Perfino la percezione della vulnerabilità di Roma non poteva essere tollerata. Massimo sperava che le tribù trascorressero l'inverno attaccandosi reciprocamente, come accadeva spesso. Tuttavia, se si fosse verificata un'incursione vittoriosa contro l'impero, Massimo doveva essere pronto ad un'immediata rappresaglia conducendo una colonna di truppe, spogliata del bagaglio non necessario e con razioni sufficienti alla sola durata della spedizione punitiva. Massimo si rendeva conto che, sotto molti aspetti, anche Roma prendeva parte a quel modello di guerra tribale, ma con potenza ed effetti molto più devastanti. Egli sperava in un inverno tranquillo.

Massimo aveva un'altra ragione per questo viaggio: aveva bisogno di trovare alcuni centurioni esperti che parlassero gli idiomi barbari. Questi soldati avrebbero potuto essere utilizzati per intervenire ai raduni tribali, se richiesto da Marco Aurelio. In quel modo l'imperatore poteva tentare di mitigare le prospettive di battaglie in primavera, tuttavia Massimo sapeva bene che gli uomini intervenuti in passato a quei raduni, talvolta non erano tornati vivi. Erano stati mandati indietro legati ai loro cavalli, decapitati.

Nonostante quel che qualcuno potesse pensare, l'inverno fu un periodo molto indaffarato per Massimo.

Avendo portato a termine la maggior parte dei suoi obiettivi, egli trascorse qualche giorno a rilassarsi con il generale Solino della legione Germanica II accampata vicino Colonia. La seconda sera si stavano godendo la quarta coppa di vino quando furono interrotti dal servitore di Solino.

- Scusatemi, signori, ma c'è qui un tribuno proveniente da Roma per vedere il generale Massimo, se ha tempo.

Massimo guardò incuriosito un Solino dallo sguardo appannato.
- Personalmente non conosco nessun tribuno a Roma, e tu? - Allo scuotere della testa di Solino, Massimo disse: - Vediamo che cosa vuole. - Annuì al servitore. - Fallo entrare.

L'uomo s'inchinò e lasciò la tenda, rapidamente sostituito da un uomo di modesta statura, dalla pelle e dai capelli scuri. S'inchinò ai generali:
- Signori, sono Settimio Severo, tribuno della plebe a Roma e fratello di Settimio Geta, legato della legione Italica I.

Massimo si alzò in piedi e tese la mano.
- Benvenuto, Settimio, nel gelido Nord. Io sono il generale Massimo delle legioni Felix, comandante dell'esercito settentrionale. Questo è il generale Solino della Germanica II. Che cosa ti ha fatto lasciare il calore del Sud per venire qua in questo periodo dell'anno?

Settimio fissò Massimo, momentaneamente a corto di parole.
- Io… sono giusto in licenza, signore.

- E hai scelto di venire qua? - Massimo fece cenno all'uomo di sedersi. - A giudicare dal tuo accento, sei cresciuto in Africa.

- Hai un buon orecchio, generale. Sono nato nella città di Leptis Magna, vicino a Cartagine.

- E che cosa ti porta così lontano da casa? - chiese Massimo mentre il servitore versava del vino all'uomo.

- Volevo incontrare te, generale.

- Me? - disse Massimo, colto chiaramente di sorpresa. - Come hai saputo di me?

- La tua reputazione di comandante e guerriero è assai diffusa, signore. Sappiamo tutti come hai salvato l'impero dalle grinfie di Cassio, e ora apprendo di un assedio e della tua scampata morte. Sembra che la tua leggenda continui a prosperare.

Solino scherzosamente colpì col piede la gamba di Massimo.
- Hai sentito, Massimo? Sei una leggenda! - Era leggermente ubriaco e si divertiva molto nel vedere il tribuno adulare il generale.

Massimo, tuttavia, era a disagio.
- Non sono per nulla una leggenda, soldato. Sono semplicemente un uomo che serve Roma nel modo migliore che conosce.

- Può darsi, signore, ma quel modo lo conosci meglio di chiunque altro.

Solino ruttò e si alzò in piedi, malfermo sulle gambe.
- Se non vi dispiace, generale… tribuno Settimio… credo che adesso andrò a letto. - Fu sorretto dal suo servitore. - A domani, generale?

- Sì, a domani. - Massimo represse un sorriso. - Non troppo presto, se non ti spiace, Solino.

- Be'… se vorrai dormire un po' fino a tardi, generale, capirò. 'Notte, signore.

- Dormi bene, generale. - Massimo soffocò un sorriso e riportò l'attenzione sul suo ospite. - Sei venuto fin qua, in queste condizioni, solo per conoscere me?

- Sì, signore… prevalentemente. Sto anche facendo un giro dell'impero. Spero di vedere il più possibile per cercare di capire i problemi specifici di ogni area.

- Posso vedere i tuoi documenti di riconoscimento, per favore? Sono certo che le sentinelle li hanno verificati accuratamente, ma non si è mai troppo cauti. - Il tribuno prontamente produsse i documenti e Massimo li studiò prima di restituirglieli con un sorriso che rivelava la sua soddisfazione. - Dove sei stato prima di qua, Settimio?

- Ho visitato l'Ispania, poi ho viaggiato attraverso la Gallia per giungere qua. Ho anche visitato gran parte dell'Italia. Spero di tornare in Africa attraverso la Macedonia e l'Oriente, poi l'Egitto, e di vedere le Grandi Piramidi.

- Molto ambizioso. Avrai visto dell'impero più tu di me. Non sono mai stato in Africa o in Egitto.

- Sarei lieto che tu mi facessi visita a Roma in qualunque momento, signore, o alla mia famiglia in Africa.
Massimo rise. - Da un uomo delle province ad un altro, ti ringrazio.

- Vieni dall'Ispania, vero, generale?

- Sì.

- Vivi ancora là, quando non sei qui, naturalmente?

- Sì. Ho una fattoria vicino ad Emerita Augusta, e una moglie ed un figlio. Spero di ritornare presto per una visita e poi per congedarmi e lavorare la terra, una volta che i problemi lungo questo confine siano risolti.

- Credi che accadrà mai, signore?

Massimo si strinse nelle spalle.
- Si può solo sperare, Settimio.

- Se posso osare rubarti ancora del tempo, vorresti parlarmi della situazione in questa regione, generale?
Massimo considerò il giovane di fronte a lui. Settimio Severo aveva circa la sua età e una corporatura forte, ma era piuttosto basso. Inoltre erano entrambi provinciali, ma lì finivano le affinità. Settimio sembrava molto ambizioso; al contrario Massimo era motivato dal suo desiderio di servire l'imperatore, e dal suo bisogno di tornare dalla sua famiglia. Prese un altro sorso di vino, poi chiese:
- Come hai fatto a trovarmi, Settimio? Sono in viaggio da un bel po' di tempo.

- Lo so, signore. Mi ci sono volute settimane per rintracciarti. In qualche accampamento ti ho mancato per pochi giorni; alla Gallica XVI, per poche ore soltanto.

- Sei tenace. - Massimo sorrise.

Settimio restituì il sorriso.
- Così mi dicono. - Si mosse leggermente nella sedia. - Posso dire qualcosa di personale, signore?

Non lo aveva già fatto? Massimo distese la mano, in un segnale a procedere.

- Mi aspettavo per qualche motivo che tu fossi un gigante, signore. Alto due metri con spalle larghe quanto questa stanza. - Rise, allargando le braccia. - E' rassicurante vedere che sei un uomo normale. Un uomo mortale che realizza cose immortali. Questo rende molto più possibile ad un uomo come me aspirare alla tua grandezza.

Con suo grande disagio, Massimo si sentì avvampare e sviò la conversazione da se stesso.
- Ed è questo ciò che vuoi fare, Settimio?

La risposta fu molto schietta.
- Sì, signore.

- Be', mi sembra che sei sulla buona strada. Stai attivamente perseguendo i tuoi sogni in un modo molto pratico. - Massimo fissò per un momento nella sua coppa di vino e fece roteare il liquido rosso prima di aggiungere: - Che cosa vorresti conoscere della situazione politica in questa parte dell'impero?

Ma Settimio non aveva ancora finito con le domande personali.
- I tuoi uomini pensano un gran bene di te, signore. Sarebbero fieri di sacrificare la vita per te. Come ci sei riuscito?

Massimo batté le palpebre un po' di volte, poi distolse lo sguardo per meditare sulla sua risposta.
- Sai, mi è stato chiesto molte volte, e onestamente non sono certo di quale sia la risposta, tranne che mi preoccupo per loro. Li considero come individui singoli, non solo estensioni delle loro armi. - Massimo posò la coppa su di un tavolo, poi appoggiò i gomiti sulle ginocchia e intrecciò le mani, posandovi il mento. Sembrava molto pensieroso e Settimio lo studiò intento. - Suppongo che derivi dal fatto che non chiederei mai loro di fare qualcosa che io stesso non farei, - guardò il suo ospite, - ed essi lo sanno.

I due uomini si osservarono silenziosamente l'un l'altro per un momento, poi Massimo si appoggiò all'indietro, intrecciò le mani dietro la testa e allungò le gambe, incrociando le caviglie.
- Adesso che cosa vorresti sapere della vita in questa parte del mondo?

- Tutto, signore… - Settimio abbassò gli occhi rendendosi conto all'improvviso di quanto tempo stava esigendo dal generale.

- Dunque, cominciamo con le tribù che si sono così calorosamente opposte alla nostra permanenza in quest'area. E' difficile tenersi aggiornati su di loro, davvero, perché sono molto instabili. I loro capi cambiano in continuazione a seconda di quale uomo abbia la maggior influenza monetaria, o la personalità più dinamica al momento. E riallineano costantemente le loro alleanze. Così, una tribù può essere di poche centinaia d'uomini una settimana, e poi riemergere con un potere dieci volte superiore un'altra.

- Riuscite a tener traccia di tutti?

- Di sicuro ci proviamo. Se fallissimo, o commettessimo un errore, sarebbe a nostro rischio e pericolo. Le terre montuose oltre il Danubio sono controllate per la maggior parte da quattro tribù principali… i Sarmati, i Marcomanni, i Catti, i Quadi e gli Iazigi. Sono gente dura, forte e determinata e non dovrebbero mai essere sottovalutati. Vedono in noi una minaccia al loro modo di vivere, e temono di essere resi schiavi… a buona ragione. L'impero romano si è comportato in tal modo più spesso che no. - Massimo si alzò e intrecciò le mani dietro la schiena, poi prese ad andare lentamente su e giù, somigliando in tutto e per tutto ad un insegnante che tenesse lezione. - Fu Traiano, naturalmente, a spingere l'impero così a Nord, combattendo con i Daci più a oriente di qui… una civiltà ben affermata. Non erano certo i selvaggi che ai romani piaceva credere fossero. Avevano un governo forte, instaurato scambi e commerci, artigiani e ingegneri specializzati, perfino un alfabeto: qualcosa di semplice come i ramponi di ferro che i nostri soldati ora usano per camminare sulla neve e sul ghiaccio, proveniva da loro.

- Quelle guerre sono commemorate su una grande colonna a Roma.

- Così so.

- Vuoi dire che non l'hai mai vista?

- Non sono mai stato a Roma. L'imperatore mi tiene troppo occupato qui e quando ho del tempo libero vado dritto a casa.

- Devi vederla, un giorno, signore. E' magnifica. E' così alta che la devi osservare dalle finestre degli edifici vicini per vederla interamente. E' colorata e i legionari hanno perfino delle piccole spade di bronzo in mano. La storia delle battaglie si avvolge tutt'intorno ad essa in strisce. - Si fermò quando si rese conto che Massimo si era appoggiato coi fianchi contro un tavolo e lo stava osservando divertito, le braccia incrociate. - Continua, generale.

- Mmm?

- Stavi dicendo dei Daci…?

- Oh. La mia opinione è che sia troppo facile liquidare i nostri nemici come selvaggi degni di essere tratti dalla loro indigenza dal grande impero romano.

- Suona come se li ammirassi, signore.

- Li rispetto. E' sempre saggio rispettare il tuo nemico, Settimio.

Il tribuno annuì, bramoso di ricevere parole di saggezza da questo granduomo.
- Marco Aurelio intende penetrare ancora di più nel loro territorio, signore? - Settimio seppe di aver commesso un errore quando Massimo si raddrizzò ed i suoi occhi blu si strinsero pericolosamente. La sua voce profonda si abbassò ad un livello che era quasi un ringhio.

- Questa è un'informazione segreta, Settimio. Non ho licenza di rivelare i piani del nostro imperatore.

- Na… naturalmente no, signore, - balbettò il tribuno. Inspirò a fondo, frastornato da quanto poteva essere intimidatorio, in modo terrificante, questo generale, e fu sollevato quando la condotta amichevole di Massimo fece ritorno.

- Devi capire fin dove spingere la tua curiosità, Settimio, - disse allegramente Massimo.

- Sì, signore, lo so. E' stato imperdonabile da parte mia. Mi scuso.

Massimo annuì accettando le scuse e disse:
- Di sicuro non abbiamo intenzione di rinunciare alle terre che abbiamo già. - Andò alla porta, lasciando intendere che il loro incontro era finito e tese di nuovo la mano, che Settimio afferrò prontamente. - Torna domani mattina e ti avrò preparato una lettera che ti garantirà l'entrata in qualunque mia legione lungo i fiumi. Sarai libero di visitare e imparare quello che puoi di questa parte dell'impero, mentre sei qui. Stai certo, comunque, che se fossimo attaccati, ti arruolerò al mio servizio immediatamente.

- Sarebbe un onore, signore! Grazie, signore. Grazie per avermi permesso di monopolizzare tanto del tuo tempo. Non mi hai sicuramente deluso, signore. Non vedo l'ora di raccontare…

Al sorriso obliquo di Massimo e al suo leggero scuotere la testa, Settimio saggiamente decise di non aggiungere altro e uscì in fretta dalla tenda, eccitato di aver finalmente incontrato il suo eroe. E non era stato deluso. Oh, non era stato deluso per niente!

 

Capitolo 67 - Inizio primavera 175 d.C.

Quando Massimo fu di ritorno a Vindobona, due mesi dopo essersi separato dalla Felix III, era soddisfatto di aver realizzato tutto quello che si era proposto di fare. Sapeva che le legioni sotto il suo comando si erano ben preparate alle scorrerie delle tribù barbare, ma aveva comunque ordinato ai soldati di continuare a riparare gli accampamenti, le torri di guardia, le mura e gli altri rafforzamenti lungo i fiumi Reno e Danubio.

Anche il suo umore era migliorato, grazie all'aspro odore di fango nell'aria e alle minute salde gemme color porpora che punteggiavano i rami degli alberi sopra la sua testa. Il cielo che tra di essi appariva era ora più sovente blu che grigio e la tenue luce dorata del sole attraversava veloce i visi dei soldati in motivi simili a merletti. Macchie di fiori selvatici giallo e blu su steli delicati s'infilavano attraverso le friabili foglie brune che coprivano i lati della strada. All'ombra degli alberi, cumuli di neve si ritiravano quotidianamente, creando pozze d'acqua ferma e rivoletti che scorrevano ai lati delle strade solo per gelare la notte, prima di sciogliersi di nuovo nel sole del mattino. Scoiattoli rimproveravano l'unità di soldati dalla sommità dei rami delle alte querce e Massimo scorse nei boschi una daina ed un cerbiatto maculato, arrestando il corteo così da poterli osservare fino a quando fuggirono veloci, senza curarsi del fatto che il suo agire aveva provocato del divertimento tra la sua scorta.

Massimo amava la primavera. Era il periodo dell'anno dedicato alla nascita: agnelli, capretti, vitelli, puledri, ed il suo stesso bambino. Sorrise immaginando sua moglie in attesa della nascita del loro secondo figlio e sperò che non fosse troppo agitata. Ricordava con chiarezza l'arrivo del primo, Marco, e desiderò disperatamente poter essere là per reclamare il bimbo come suo e imporgli il nome, ma quell'onore sarebbe andato a suo suocero, che avrebbe agito al posto di Massimo su sua richiesta. Non sapeva quanto ci sarebbe voluto prima che avesse modo di tenere il prezioso fagotto nelle proprie braccia.

Massimo era ansioso di riprendere la sua corrispondenza con la moglie. Prima di iniziare il suo viaggio lungo i fiumi, le aveva mandato una lettera dicendole che non gli sarebbe stato possibile ricevere la sua corrispondenza finché non avesse fatto ritorno, sebbene egli tuttora le mandasse lettere con cadenza settimanale da qualunque legione stesse visitando in quel momento. Era ansioso di trascorrere alcune ore tranquille aggiornandosi su qualunque notizia venisse dall'Ispania e sperava che lo attendessero almeno un paio di plichi.

Mentre si avvicinava al cancello dell'accampamento fu compiaciuto di vedere che vi era stato aggiunto un altro piano, spingendone l'altezza a quattro piani, con torri di guardia in solida pietra ad ogni estremità. Era un impressionante ingresso all'accampamento, e quest'ultimo ormai somigliava quasi ad una fortezza. Osservò le difese passando… trincee nascoste che celavano lance affilate chiamate gigli, profonde trincee a forma di V contenenti serie di spuntoni messi ad un'angolazione tale da sventrare chi, uomo o cavallo, avesse tentato di superarle. Le alte mura erano di solida pietra, con torri di guardia a ciascun angolo. Pensava fiduciosamente che l'accampamento fosse sicuro.

Le sentinelle nelle torri del cancello acclamarono il loro generale ed egli ricambiò con un allegro agitare di mano ed un largo sorriso. Era bello essere tornati. Quando Massimo smontò di là dell'entrata principale, un gruppo di centurioni e tribuni gli si radunò intorno offrendo calorosi saluti. Mentre si stringevano le mani, di colpo fu quasi gettato in ginocchio da dietro. Sorretto da un soldato, girò il viso per affrontare un violento assalto da un muso peloso ed una lingua umida.
- Erc…, - prese a dire, ma la stessa lingua si rovesciò nella sua bocca aperta e Massimo contorse il viso, soffiando e sputacchiando mentre afferrava il cane per la collottola e lo trascinava indietro, serrandolo tra le ginocchia. - Bleah! - sputò pulendosi la bocca col dorso della mano tra le rauche risate dei soldati che lo circondavano. - Be', sembri completamente guarito. Edepol!(*). Guarda quanto sei diventato grasso! - Massimo si accovacciò ed esaminò il suo cane, che continuava a leccarlo e a dargli zampate. - Non riesco nemmeno a sentirti le costole. Hai un gran bisogno di fare esercizio, Ercole. - Si rialzò in piedi e in tono beffardo abbassò le sopracciglia e la voce. - Spero che il resto di voi non sia ingrassato come il cane, mentre io ero via a lavorare duro.

- No, generale, - azzardò un centurione. - Anche noi abbiamo lavorato duro.

- Lo vedo. Il cancello sembra molto robusto e imponente. Ben fatto.

I soldati si scambiarono occhiate e sorrisi.
- Stanco, generale? - chiese uno.

- Non troppo, Fabio, ma non mi dispiacerebbe una ripulita, però. Ragguaglierò gli ufficiali dopo. - Massimo si diresse alla sua tenda, con Ercole ed un gruppo di soldati, come branco d’oche schiamazzanti, alle calcagna. Si voltò ad affrontarli, le mani sui fianchi. - C'è qualcosa che dovrei sapere?

- Uh, nossignore. Non credo, signore, - disse senza batter ciglio un centurione, l'unico del gruppo che sembrava in grado di controllare l'allegria.

Che cosa stavano combinando? si chiese Massimo. Quando svoltò l'angolo ed il pretorio apparve alla vista, si fermò di colpo e rimase a fissare. Lanciò una rapida occhiata intorno, per assicurarsi di essere nel luogo giusto, poi scrutò con attenzione nel punto in cui era sempre stata la sua tenda. Non c'era più. Al suo posto c'era una solida struttura di pietra grigia con un tetto di tegole impeciate. Giovino gironzolava sul vano della porta, un sorriso smisurato sul volto.

- Benvenuto a casa, generale. - L'ingegnere s'inchinò fin dove gli permise lo stomaco e distese il braccio, facendo segno a Massimo di precederlo all'interno.

- Che significa tutto questo, Giovino?

- E' una casa, signore. Ci era avanzata un po' di pietra dopo aver ricostruito i cancelli, ed eravamo in vena di costruzioni, così abbiamo deciso di continuare.

Massimo rimase sul vano della porta e osservò l'interno.
- Una casa? - disse, chiaramente perplesso.

- La tua casa, generale. Entra, entra! - Giovino lo strattonò per un braccio, con aria eccitata. - E' alla buona, ma molto confortevole, come puoi vedere. - L'ingegnere scortò Massimo nell'atrio ombreggiato e i soldati si affollarono attorno alla porta dietro di loro, sforzandosi di vedere la reazione del generale al loro operato.

Egli rimase fermo proprio sulla soglia, assolutamente senza parole. Ercole sedeva al suo fianco, la lunga coda che spazzava il pavimento.

Giovino non si scoraggiò davanti al silenzio del suo generale.
- Ha tutte le caratteristiche di una buona casa romana, signore, compreso il cortile… solo in scala più piccola, come puoi vedere. Perché non le dai un'occhiata?

Massimo fece un passo nello spazio assolato e si accovacciò per esaminare i fiori che vi erano stati piantati con cura… gli stessi delicati fiori selvatici che aveva ammirato lungo il ciglio della strada. Una panca ed un tavolo magnificamente scolpiti nella pietra erano stati posti in una posizione adatta a cogliere la luce del sole ed entrambi si riflettevano nella piccola piscina progettata per raccogliere l'acqua piovana. Massimo colse un bocciolo tra le dita concedendosi del tempo per padroneggiare le emozioni prima di guardare Giovino. Quando si alzò, i suoi occhi erano asciutti, ma la voce rauca ne tradiva le emozioni.
- Tu hai fatto questo?

- Io l'ho progettata, signore, ma gli uomini laggiù… loro l'hanno costruita. - Egli indicò il vano della porta dove i soldati bloccavano completamente la luce, nel tentativo di vedere e udire la reazione del generale.

Massimo deglutì a fatica prima di guardarli e dire sommessamente:
- Sono commosso. Assolutamente commosso.

Giovino mostrò ai soldati un segnale di pollice recto ed essi scoppiarono a ridere, dandosi l'un l'altro pacche sulla schiena per congratularsi.

Massimo cominciò ad andare verso i legionari, ma Giovino gli afferrò di nuovo il braccio.
- Non abbiamo ancora finito, signore. Tocca il pavimento nell'atrio.

- Il pavimento?

- Sì, toccalo.

Massimo s’inginocchiò e distese la mano sopra il calcestruzzo decorato a mosaico.
- E' caldo! - esclamò alzando lo sguardo su Giovino.

- E' riscaldato, signore. Tutte le stanze principali lo sono… sottoterra. Vedi, c'è una fornace sotto la tua stanza da letto, generale, e intercapedini sotto il pavimento che trasportano il calore per tutta la casa. Non avrai più freddo, generale. E' proprio un peccato che non l'abbiamo fatto lo scorso autunno, così te lo saresti goduto per tutto l'inverno. Non avrai bisogno di scaldini per riscaldare il letto, ora, generale. Vieni con me e ti mostrerò come funziona.

- Resta qui, - ordinò Massimo quando Ercole sembrò volerli seguire giù per i ripidi gradini. Giovino era assolutamente raggiante mentre faceva mostra della sua maestria.
- I pavimenti sono sorretti da pilastri di pietra… vedi, generale? - chiese Giovino tenendo alta una torcia perché Massimo controllasse. - La fornace è qui ed è alimentata da legna. Abbiamo proprio una bella provvista di legna da queste parti, signore. I pavimenti si riscalderanno lentamente, ma a quel punto resteranno caldi a lungo. - Guardò le gocce di sudore che si stavano sviluppando sulla fronte di Massimo. - Mi dispiace, signore, so che fa molto caldo quaggiù, ma non rimarremo a lungo. Ecco come il calore ed i gas prodotti dal fuoco vanno sotto i pavimenti e poi passano nei muri attraverso condotti bordati di piastrelle, prima di fuoriuscire sotto la grondaia del tetto. E' chiamato sistema ipocausto e solo le case migliori lo hanno. Quello che faremo è accenderlo per te sul tardo pomeriggio, signore, così che la casa sarà calda la notte, poi lasciarla raffreddare di mattina così che tu non ti arrostisca durante il giorno. In questo modo, generale.

Il caldo nel sotterraneo era opprimente e Massimo seguì in fretta l'ingegnere di nuovo su per i gradini, tergendosi il sudore dagli occhi con la manica.

- Lascia che ti mostri la tua stanza da letto, adesso, signore. Ce n'è una per te ed un'altra per un ospite, come l'imperatore, e Cicero ne ha una piccola, così da poter rimanere nelle vicinanze.

Uscirono di nuovo nel cortile poi in un corridoio allo scoperto sorretto da colonne, prima di aprire una pesante porta di legno ed entrare nella stanza da letto. Giovino chiuse la porta dietro di loro per dimostrare che la luce poteva entrare nella stanza attraverso una serie di finestre dalle griglie di ferro poste in alto nel muro. Di notte le imposte potevano restare chiuse per mantenere il calore all'interno o lasciate aperte in estate per far uscire il caldo.

Massimo si guardò intorno. La stanza era molto più larga di quanto lo era stata la sua tenda, eppure letto, divano, baule, sedie, armadio e tappeti erano stati spostati all'interno e attentamente disposti nel modo in cui lo erano stati nella tenda. Tutto questo grazie a Cicero, senza dubbio, che al momento si stava affannando con della biancheria nel grande armadio, dando le spalle ai visitatori.

- Cicero, sapevi che stavo per avere una casa?

- E' bello riaverti qui, generale. No, non lo sapevo. Non finché sono venuti ad abbattere la tenda. Ho avuto poco tempo per preparare i tuoi effetti personali e traslocarli. - Scoccò un'occhiata derisoria a Giovino che lo ignorò.

- Mi dispiace per l'inconveniente, Cicero, - disse Massimo, - ma sembra che anche tu trarrai beneficio dai pavimenti caldi.

- Sì, ecco, questa è la bella notizia, ma non aspettarti che Ercole dorma ancora vicino al tuo letto. Abbiamo provato questo posto la scorsa notte e io l'ho messo nella tua camera per farlo abituare. Nel mezzo della notte l'ho udito uggiolare e grattare la porta. L'ho fatto uscire ed è andato difilato al cortile, dove si è gettato nella piscina lappandola fin quasi a prosciugarla. Ha dormito il resto della notte lì fuori.

Massimo lanciò un'occhiata al cane e notò che stava già ansimando, così lasciò che il grosso animale uscisse di nuovo. Massimo si strinse nelle spalle davanti al suo ingegnere. - Non è abituato ad un tale lusso, Giovino. - Si mosse a disagio. - Molto francamente, forse anch'io mi sento alquanto a disagio, sapendo che i miei uomini stanno congelando nelle loro tende mentre io sono qui al caldo. Un po' colpevole, capisci.

- Signore, tu non sei un normale soldato e non devi essere trattato come se lo fossi. Sta' certo che gli ufficiali ed i soldati hanno discusso se dovevamo o no andare avanti con la tua casa e la risposta è stata un travolgente 'sì'. Gli uomini che l'hanno costruita hanno messo a disposizione il loro tempo liberamente… e così colui che l'ha decorata.

Lo sguardo di Massimo seguì il dito puntato di Giovino che indicava il dipinto di una magnifica aquila d'oro dalle ali spiegate sopra la porta della sua stanza da letto.

- L'ha fatto un giovane di nome Polibio, - spiegò Giovino. - Ha steso tutto il pigmento lui stesso e ne è molto orgoglioso. Ha dipinto l'aquila mentre i muri erano ancora umidi così che potesse durare molto a lungo. Dipingerà per te il resto dei muri intonacati, quando deciderai che cosa ci vuoi sopra, signore.

Giovino non aveva ancora finito con le sue sorprese. Aprì un'altra porta dalla camera da letto e orgogliosamente proclamò:
- E questo è il tuo bagno privato. Anch'esso bello e caldo.

- Non so come ringraziarti, Giovino.

- L'espressione del tuo viso quando hai visto per la prima volta questa casa è stato tutto il ringraziamento che volevo, signore. Spero che tu possa trascorrere dei momenti sereni e riposanti nella tua nuova casa-lontana-da-casa.

Massimo fece un lento cerchio attorno alla stanza e si rivolse a Giovino e Cicero con un luccichio nello sguardo.
- Perché non facciamo qualcosa di più che scaldare i pavimenti di questo luogo? Giovino, va' a dire ai cuochi di preparare un banchetto e faremo una festa. Tutti gli uomini sono invitati… anche se spero che non arrivino tutti nello stesso momento. Non conosco altro modo per ringraziarli.

Giovino era entusiasta.
- Che idea magnifica, signore. Agli uomini che l'hanno costruita piacerà molto mostrarla agli altri.

- Assicurati di presentarmi quegli uomini perché voglio ringraziare ciascuno personalmente.

- Naturalmente, signore, - gridò un euforico Giovino mentre si dirigeva verso le cucine dell'accampamento.

Massimo gli urlò dietro:
- E di' ai cuochi di non essere spilorci con il vino! - Egli poi si sedette sul letto e fischiò ad Ercole. Qualche attimo dopo il grosso cane fece capolino dalla cornice della porta, ma sembrava riluttante ad entrare nella stanza.

- Ercole, vieni qua. - Massimo indicò un punto tra i suoi piedi e il cane mise la coda tra le gambe e trotterellò lì.

Massimo sorrise e lo grattò dietro le orecchie mentre si rivolgeva a Cicero con tono d'accusa.
- Hai lasciato che ingrassasse.

- Che cosa! Io! - bofonchiò il servitore. - Ti faccio sapere, signore, che quel cane è ingrassato tutto da solo.

Massimo sollevò le sopracciglia aspettando una spiegazione.

- Le sue zampe sono guarite settimane fa, ma ogni giorno lui se n’andava di tenda in tenda in cerca di commiserazione e cibo. L'ho osservato, un giorno, e sai che cosa faceva? Camminava del tutto normalmente finché arrivava vicino all'entrata della tenda, poi cominciava a zoppicare ed uggiolare. Quando i soldati uscivano, si affaccendavano attorno al povero cagnolino ferito e gli davano del cibo. Andava di tenda in tenda facendo così. Quando li avvisavo di non dare cibo al cane si limitavano a dire che stavo diventando spilorcio!

Massimo rise e afferrò Ercole per il mento, ma il cane rifiutò di incontrare il suo sguardo.
- Da questo momento in poi le tue razioni saranno ridotte, Ercole, e le tende dei soldati sono vietate. - Arruffò il pelo del cane poi lo lasciò tornare al clima più fresco.

- Hai la mia posta, Cicero?

- Sì, signore. Non c'è molto questa volta. - Cicero porse a Massimo due lettere.

- Dissi ad Olivia che non sarei stato qui - Massimo si accigliò esaminando una lettera dall'Ispania che non era nella calligrafia di sua moglie, - a ricevere la posta.

Cicero si girò e si diresse verso la porta.
- Mentre le leggi, io vado a…

Ma Massimo non udì le ultime parole di Cicero perché stava dando una scorsa alla lettera di suo cognato, Tito. Mentre lo faceva, lentamente sprofondò nel letto, le gambe come acqua e le mani che tremavano così forte che riusciva a malapena a distinguere le parole.

 

 

Circa un'ora dopo Cicero bussò alla porta della camera di Massimo. Non udendo risposta, aprì la porta spingendola con la spalla, le braccia piene di biancheria da riporre negli armadi. Dopo aver acceso alcune candele, canticchiando mentre lavorava, dispose i vestiti di Massimo in pile secondo l’uso. Una volta finito, si voltò e sobbalzò violentemente, portandosi la mano al cuore. Massimo era là, dopo tutto, seduto nello stesso posto in cui Cicero lo aveva visto l'ultima volta, la faccia sepolta nelle mani, il corpo che dondolava lentamente avanti e indietro.

- Massimo? - chiese Cicero sommessamente, timoroso di spaventarlo.

Il dondolio continuò. Il pavimento ai piedi di Massimo era disseminato di pergamene srotolate.
- Massimo… ti senti male?

Massimo prese ad annuire, poi invece scosse la testa, il viso ancora sepolto.

Cicero andò rapidamente alla porta.
- Vado a cercare un medico.

- No... NO! - implorò Massimo, facendo sì che Cicero si voltasse e si avvicinasse lentamente a lui. Ansimò quando Massimo infine alzò il viso… le guance striate e i gonfi occhi arrossati un chiaro segno che aveva pianto.

Massimo diede un respiro da far venire i brividi e sussurrò:
- La mia bambina è morta. Cicero, mia figlia è morta.

 

 

 

(*) In latino anche nel testo: Accidenti! (N.d.T.)

Capitolo 68 - Dolore

Marciano era seduto su una sedia foderata di cuoio e guardava Massimo andare su e giù, tentando di offrirgli quel po' di conforto che poteva.

- Perché, Marciano? Perché è accaduto? Perché non è sopravvissuta?

- Massimo, la lettera dice che tua figlia è nata molte settimane prima del tempo…

- Ma Tito diceva che sembrava perfetta; che era perfetta.

- All'esterno forse, ma i suoi piccoli polmoni potrebbero non essersi sviluppati completamente, o il suo cuore. La sua lettera dice che ha vissuto poche ore, ma non era forte abbastanza per sopravvivere da sola fuori del grembo materno.

- Ma perché è nata troppo presto? - Massimo picchiò il pugno sulla scrivania di quercia intagliata, in preda ad un miscuglio di dolore, frustrazione e rabbia.

- Non lo so. Accade spesso, temo. So che non ti è d’alcun conforto in questo momento, ma accade davvero spesso. Massimo, sia tu sia Olivia dovete capire che non è stata colpa di nessuno. Accade e basta.

Massimo afferrò una pagina di pergamena e l'allungò all'amico, tuttavia gli occhi di Marciano non lasciarono mai il volto provato del suo generale.
- La seconda lettera è di Olivia. La scrisse qualche giorno dopo la morte della figlia. Biasima se stessa, Marciano. Ha la sensazione di aver fatto qualcosa che ha affrettato la nascita prematura. Dice che sente di avermi deluso. Guarda… guarda le macchie di lacrime su di essa.

- Allora devi assolutamente scriverle subito una lettera assicurandole che non è così.

- Certo che non è così, - gemette Massimo, - ma lei si rimprovera lo stesso. E mio figlio non riesce a capire che cosa è accaduto alla sua sorellina.

- E' difficile per chiunque comprendere, ancor più per un bambino. So che ti sarà d'aiuto, Massimo, ma io ho perduto due figli, entrambi maschi. Quando accade sembra che il mondo debba fermarsi, ma non succede. Il sole continua a sorgere. Tu continui a vivere.

Massimo smise di andare su e giù e fissò l'amico.
- Mi dispiace molto, Marciano. Come sono morti?

- Il primo nacque morto e per il secondo, era una situazione molto simile alla tua, ma egli visse qualche mese.

- C'eri quando accadde?

- Sì, tutt'e due le volte. Io sono medico e nondimeno non potei salvarli. Neanche tu avresti potuto salvare tua figlia. Non tormentare te stesso.

- Mio suocero non ha nemmeno avuto il tempo di rivendicare Massima come figlia mia, è accaduto tutto così in fretta. Avrei potuto almeno fare quello se fossi stato là. E' morta senza essere stata riconosciuta come figlia mia.

- E' solo una formalità, Massimo. - Marciano conosceva Massimo da quando era un ragazzo e sentiva nel suo stesso cuore la perdita della figlia dell'amico. - Massima. Chi le ha dato il nome?

- Olivia. Non voleva che la nostra bambina morisse senza un nome. E' sepolta in uno dei luoghi della fattoria da me preferiti. Sotto un albero… un enorme pioppo proprio all'interno del cancello di fronte alla mia fattoria.

- Massimo, quando un neonato muore, di solito c'è una ragione. Se fosse sopravvissuta avrebbe potuto soffrire e tu questo non l'avresti voluto. - Marciano si alzò e afferrò Massimo per le spalle per obbligarlo a stare fermo un momento. - Ascolta, perché non vai da Olivia? Avete bisogno l'uno dell'altra, esattamente adesso.

- Non posso, Marciano.

- Perché no?

- L'imperatore ha proibito tutte le licenze.

- Farà un'eccezione per te.

- Sono già state fatte troppe eccezioni per me. Hai notato qualcun altro qui attorno con una casa propria? No. No, non andrò in licenza.

- Potrei darti io una licenza medica.

- No, Marciano. - Massimo si liberò dalla sua presa con una scrollata di spalle. - Io… Io apprezzo il tuo interesse, ma starò bene, e anche Olivia. Non posso partire in questo periodo. Forse in autunno, quando le cose torneranno a calmarsi. - Massimo guardò la porta chiusa della stanza da letto e sospirò gravemente. - Gli uomini lo sanno?

- Sì. Quando la festa è stata annullata si sono chiesti perché e abbiamo creduto che fosse meglio dirglielo. Non conoscono tutti i dettagli. Massimo, lascia che ti dia qualche consiglio basato sull'esperienza. Prenditi tempo per soffrire e non cercare di forzare te stesso a superare troppo in fretta la perdita della tua bimba.

Massimo annuì.
- Non capirebbero, vero?

- Chi?

- I miei uomini. Non capirebbero perché sono così sconvolto per la perdita di una figlia femmina.

- Forse. Pochi uomini possono permettersi il lusso di avere figlie femmine.

- Tu capisci?

- Sì, io sì. Niente potrà prendere il suo posto, Massimo, ma tu sei giovane e avrai altri bambini… figli e figlie in buona salute; e ti daranno dozzine di nipotini; e morirai vecchissimo, circondato da generazioni di tuoi cari.

Un sorriso sfiorò brevemente il viso di Massimo, prima di dissolversi, sostituito di nuovo da una tristezza mitigata dalla speranza.
- Lo pensi veramente?

- Certo. Ora andrò via e ti darò il tempo di cui hai bisogno per rimanere solo, e dirò a chiunque di lasciarti solo finché sia tuo desiderio cercare la loro compagnia. Ti avviso, però: se non ti vedo tra pochi giorni, vengo a prenderti. Puoi soffrire senza isolarti, come tu hai la tendenza a fare.

Gli occhi di Massimo si spalancarono per un attimo, poi si accigliò.
- Sei la seconda persona che me lo dice.

- E' vero.

Egli fece un gesto di futilità con le mani.

- Non intendo farlo.

- Lo so. E' solo il tipo di uomo che sei, ma talvolta pensi troppo. - Marciano sorrise con calore poi andò alla porta, lo sguardo attratto dall'aquila dorata sopra la cornice. Proteggi il tuo generale, stanotte, disse silenziosamente al simbolo della grandezza e del potere di Roma, poi si voltò a guardare Massimo. - Vuoi che faccia entrare Ercole?

Massimo si piegò e toccò il pavimento.
- Non ve n'è motivo. Fa caldo, quindi non rimarrebbe.

- Sai dove trovarmi se hai bisogno di qualcosa. Buonanotte, Massimo.

- Grazie, Marciano.

Massimo rimase fermo per un lungo momento prima di andare finalmente alla scrivania dove radunò inchiostro e pergamena. Come poteva, il suo mondo, sembrare così vuoto, dopo aver perso una figlia che non aveva mai visto? E come avrebbe mai trovato le parole per esprimere alla moglie il suo dolore e offrirle conforto ad un tempo?

Delle unghie rasparono fuori della porta. Massimo l'aprì e trovò Ercole seduto, che lo fissava da sotto in su con luminosi occhi marrone.

- Vuoi entrare? Ti avverto, fa caldo qui.

Ercole entrò nella stanza con calma dignità, le unghie che producevano un suono secco sul pavimento di cemento, poi silenziose quando passò sul tappeto di lana colorata di fianco alla scrivania di Massimo. Quando Massimo si sedette a scrivere, il grosso cane posò il mento sul ginocchio del suo padrone, non muovendo un muscolo per tutte le ore che ci vollero a Massimo per scrivere le parole più difficili che avesse mai dovuto scrivere.

 

Capitolo 69 - Quinto ritorna

Massimo era seduto a cavalcioni di Argento sulla collina direttamente sopra l'accampamento e fissava la foresta sulla riva opposta del Danubio. Dopo ripetuti strattoni alle redini, lo stallone vinse infine il privilegio di abbassare la testa e masticare le radici di succulenti germogli d'erba novelli. Gialle farfalle volteggiavano intorno al naso del cavallo e l'animale sbuffò ripetutamente per scacciarle, occasionalmente lanciando in aria la criniera per scoraggiare i morsi delle mosche di primavera che gli ronzavano intorno agli orecchi.

Un enorme bombo ronzava pigramente verso Massimo ed egli lo guardò arrivare, affascinato dall'aggraziato volo d'un tal goffo insetto, finché non gli fu così vicino che i suoi occhi s'incrociarono cercando di metterlo a fuoco ed egli si chinò improvvisamente per sottrarsi al suo percorso. Il bombo allora si tuffò verso un fiore d'un giallo luminoso che fluttuava sopra la testa di Ercole, sdraiato nell'erba. Le mascelle del cane schioccarono verso l'ape, mancando misericordiosamente l'insetto che quindi svolazzò via, lasciando ritornare Ercole alla sua posizione originale. Le sopracciglia del cane si contrassero mentre osservava le buche appena scavate e pazientemente attendeva di avventarsi sul primo giovane coniglio abbastanza sventurato da mostrare la testa.

Massimo sventolò distrattamente una mano davanti al viso per scacciare le zanzare e i neri mosconi che cercavano prede più facili del cavallo. Si schiaffeggiò il collo quando uno trovò la delicata pelle dietro l'orecchio. Massimo si grattò il punto irritato poi si passò la mano sulla nuca riscaldata dal sole, rassegnato ad accettare gli inconvenienti della primavera insieme ai suoi piaceri.

L'uomo sul cavallo sembrava completamente rilassato, addirittura indolente, ma i suoi occhi e la sua mente erano concentrati sulla fitta foresta dal lato opposto del fiume, dove il folto fogliame ora rendeva impossibile rilevare qualunque movimento tra gli alberi. Finora tutto era tranquillo, ma i suoi esploratori gli avevano riferito che le due tribù più grandi, i Marcomanni e i Quadi, stavano tenendo veementi riunioni e potevano aver formato un'alleanza. Non era una buona notizia.

- Sapevo che ti avrei trovato qui.

Massimo si girò nella sella per dare un volto alla voce familiare.

- Dormivi sotto il sole caldo, eh? Chissà come piacerebbe, ai barbari, trovarti così. Buona cosa che la tua scorta vigili su di te, - sogghignò Quinto facendo affiancare il suo cavallo a quello del suo generale.

Massimo afferrò la mano del suo legato.
- Quinto, è meraviglioso riaverti qui. Come stai, amico mio?

- Benissimo, e felice di essere tornato. - Lanciò un'occhiata al di là del fiume. - E' bello vedere che è tutto tranquillo.

- Non durerà molto, temo. Vieni, sediamoci laggiù all'ombra. Voglio sapere tutto del tuo viaggio. - Massimo smontò e andò verso un paio di grandi rocce che sporgevano dal lato della collina a fianco di un boschetto di giovani querce. - Hai un ottimo aspetto.

- Sto bene, - rispose Quinto, sistemandosi tra i ranuncoli, la schiena contro un masso. Colse un filo d'erba e lo masticò sull'estremità succulenta. Massimo gli si sedette a fianco su di una roccia piatta, un ginocchio piegato a sorreggere l'avambraccio destro, mentre Ercole continuava a cercare la sua fortuna alle buche per conigli.

- Ci sono notizie da Roma? - lo imbeccò Massimo quando Quinto rimase silenzioso.

- Nulla di politicamente eccitante. Calpurnio Piso e Salvio Giuliano sono stati eletti consoli poco prima che io partissi. La grossa notizia è che l'imperatrice è morta un mese fa.

- Annia Galeria Faustina morta? Commodo aveva accennato al fatto che non stava bene. - Massimo aveva incontrato una sola volta l'imperatrice e non ne era rimasto particolarmente impressionato, ma era la moglie del suo imperatore e gli dispiaceva moltissimo che Marco Aurelio fosse addolorato. - L'imperatore è là?

- La famiglia intera era là quando sono partito e Roma era ufficialmente in lutto.

- Li hai visti?

- No, ma mio padre mi ha detto che Commodo è estremamente turbato e che Lucilla sta confortando sia il fratello che il padre.

- Suppongo che ciò significhi che non vedremo Marco qui per un po' di tempo. Speriamo che i Germani si comportino bene. - Massimo poi cambiò tono con una rapidità molto familiare a Quinto e volse la conversazione su argomenti personali. - Che mi dici di te? - sorrise. - Com'è andato il tuo viaggio?

- Benissimo.

Massimo alzò un sopracciglio.
- Sposato…? - azzardò.

- Come ordinatomi.

- Cosa? - Massimo scoppiò a ridere facendo sì che Ercole momentaneamente interrompesse la sua caccia, gli orecchi vigili alla voce del suo padrone. - Quinto, sei proprio un soldato ligio al dovere. - Diede una gomitata alla spalla del suo compagno. - Come si chiama?

- Antonia.

- Antonia, - ripeté Massimo. - Dove l'hai conosciuta?

- Alle nostre nozze.

- Mmm, un matrimonio combinato. Sei molto sentimentale.

Quinto fece spallucce.
- Sei tu l'uomo tutto casa e famiglia. Perciò… dimmi, che cos'era stavolta? Un altro maschio?

Massimo volse il viso altrove e fissò le creste viola in lontananza.
- Una femmina.

Sorpreso dall'espressione solenne di Massimo, Quinto chiese:
- E ti dispiace?

- E' morta subito dopo la nascita.

Non avvezzo al sentimentalismo, Quinto brancolò alla ricerca di parole che esprimessero la sua comprensione.
- Mi spiace, - fu tutto ciò che riuscì a trovare.

Massimo annuì.

Sedettero in silenzio per un po', Quinto decisamente a disagio.
- Ho sentito che accade spesso... che i neonati muoiano. Non è… non è come se l'avessi vista realmente...

- Sì, Quinto, nella mia mente. Somigliava esattamente alla sua mamma. Bella, con riccioli neri e pelle candida. Aveva un sorriso dolce e la vocina come un campanellino.

- Non tormentarti, Massimo. Si vede che non era destino.

- Sai, Quinto, molta gente me lo ha detto ultimamente, ed io ci ho pensato molto, ma quello che non capisco è questo: se non era destino che avessi una figlia allora perché, in primo luogo, è stata concepita?

- Forse era destino che tu perdessi una figlia.

- Ma perché? - insisté Massimo.

- Forse per fare di te un uomo ancora più forte. Forse ti fa apprezzare di più la vita. Massimo... - la voce di Quinto tradiva una punta d’esasperazione, - ti fai troppe domande.

Silenzio.

Quinto sbirciò la posa risoluta della mandibola di Massimo e cercò in qualche modo di alleggerire la conversazione.
- Ho visto la tua nuova casa. Ti sei ammosciato un po' nella tua mezza età? Pavimenti riscaldati, una stanza da bagno dentro casa... presto diventerai rotondo come Giovino; oh, come sarai viziato.

Le labbra di Massimo si stirarono.
- Geloso?

- Dannazione, sì.

- Be', nelle serate fredde e tempestose potrai venire da me per una partita a scacchi… prima di ritirarti nella tua buia e gelida tenda a rabbrividire per tutta la notte.

- Sei troppo gentile.

- Devo ammettere che non mi sono mai sentito così al sicuro in alcun accampamento. Anche se i barbari superassero il cancello avrebbero ancora del filo da torcere prima di prendermi, al riparo nella mia piccola fortezza.

Ciò diede a Quinto la battuta d'avvio per volgere di nuovo la conversazione al dovere.
- Dicevi che ti aspetti presto dei guai dalle tribù?

Massimo annuì.
- E' troppo tranquillo. Non c'è stato segno di guai da nessuna delle due rive del fiume e tu sai quanto sia inusuale in questo periodo dell'anno. I nostri esploratori temono che le tribù più importanti stiano formando un'alleanza e che questo possa significare grossi problemi per noi quando alla fine troveranno il modo di controllarla.

- Allora dobbiamo tenere gli uomini ben preparati. Esercitazioni ogni giorno. - Quinto era sollevato che la conversazione non fosse più personale. Erano soldati. I soldati non si soffermano su questioni personali.

- Sì. La compiacenza è un'altra dei nostri nemici.

- Vorresti che me ne occupassi io?

Massimo annuì ancora.
- Ora che sei qui sarò libero di viaggiare lungo il fiume e controllare i forti e gli accampamenti per assicurarmi che tutte le legioni siano pronte come la nostra.

Quinto era contento che gli fosse data la responsabilità di comandare la legione ancora una volta. Questa volta non avrebbe commesso errori.

I due uomini si alzarono e montarono sui loro cavalli. Continuarono a discutere i loro piani mentre trottando tornavano all'accampamento, con davanti a loro Ercole, che correva con la sua frustrazione dopo un giorno senza successo di caccia al coniglio.

 

Capitolo 70 - Colonia

Ad inizio settembre, Massimo conosceva così bene le 2500 miglia del percorso del fiume che pensava di poterlo percorrere anche nel sonno… e a volte non era sicuro che non l'avesse fatto. Da lungo tempo aveva smesso di notare la bellezza della campagna maestosa e si limitava a guardare fisso davanti a sé mentre cavalcava lasciando vagare la mente e la sua scorta condurre il passo. Era l'unico momento, quello, in cui poteva rimanere solo con i suoi pensieri, ed egli assaporava questi momenti d’intimità, nei quali non doveva parlare di strategia militare o prendere decisioni che coinvolgessero le vite di migliaia di uomini. La primavera era sfumata in un'estate afosa senza che quasi Massimo se n’accorgesse, poi l'estate si era trasformata in un autunno frizzante, con altrettanta poca attenzione da parte sua.

Dopo gli ultimi tre mesi di pace, durante ciò che solitamente era il periodo più pericoloso dell'anno, stava diventando sempre più difficile mantenere le menti dei soldati sui loro compiti quand'essi non riuscivano a vedere alcuna minaccia immediata. Molti pensavano che il tempo passato nelle esercitazioni quotidiane poteva essere usato in modo migliore, ma Massimo argomentava che il lungo periodo di pace stava semplicemente generando assalti ancor più feroci di quelli usuali. Parecchi uomini avevano dovuto essere puniti dai loro generali per insubordinazione, ma nessuno nella Felix III, fortunatamente, perché Quinto stava facendo un buon lavoro, mantenendo i soldati sulle loro incombenze. Massimo aveva visto poco la sua casa nell'accampamento… Vindobona era semplicemente divenuta un luogo di riposo lungo il suo itinerario.

Massimo riusciva a sentire l'odore del fumo proveniente dai fuochi di cottura nel villaggio vicino all'accampamento e ruotò la testa per sciogliere i nodi da collo e spalle. Desiderava ardentemente il suo letto e i suoi effetti personali. Le piccole sculture erano sempre con lui, naturalmente, ma non portava con sé nient'altro della sua famiglia per timore di perdita o danni. Le lettere e le illustrazioni di Olivia venivano conservati gelosamente nel suo forziere ed egli sperò che nuova corrispondenza lo stesse aspettando.

Quando lui e le sue guardie attraversarono il villaggio egli sollevò una mano per rispondere ai saluti amichevoli dei residenti. La loro esistenza stessa dipendeva dall'accampamento militare ed il generale Massimo si era assicurato che fosse loro pagato un giusto salario per i loro lavori e prodotti. Le prostitute del villaggio sollevarono le loro gonne un po' più in alto quando lui fu nei pressi, e spinsero in avanti i seni così che i loro capezzoli si tesero contro il tessuto sottile… ma Massimo le ignorò come di consueto. Queste donne avevano scommesso su quale di loro lo avrebbe avuto per prima, ma finora nessuna aveva vinto. Dovettero accontentarsi, invece, dei soldati semplici e chiamarono per nome a gran voce i soldati della scorta, mentre questi si avvicinavano a cavallo, con loro grande imbarazzo di fronte al loro generale.

Massimo sentì la tensione defluire dal corpo quando i cancelli dell'accampamento si chiusero dietro di lui ed egli smontò, passando le redini di Scarto al suo stalliere. Accettò i saluti dei suoi uomini, ma non sprecò tempo scambiando battute scherzose e si diresse verso la sua casa. Il suo piede non aveva toccato il primo gradino, tuttavia, che egli esitò, la sua attenzione di nuovo attratta dai cancelli quando il loro gemito pesante indicò che venivano riaperti. Si voltò, riparandosi gli occhi per esaminare più attentamente lo scarmigliato cavaliere che galoppò nell'accampamento ad un passo insolitamente convulso, il cavallo coperto di schiuma, ansimante e quasi privo di fiato.

L'uomo scivolò dal dorso dell'esausto animale e afferrò per le spalle il soldato più vicino, quasi scrollandolo nella fretta di trasmettere il suo messaggio. Massimo guardò gli occhi del soldato spalancarsi e aspettò sul gradino mentre gli si avvicinava di corsa.

- Signore!

- Che succede, soldato?

- Quell'uomo… viene da Colonia. Dice che l'accampamento è stato assalito e che sono quasi tutti morti.

Massimo era prudente.
- E' un soldato della Germanica II?

- Questo è quello che dice, generale. Chiede di parlare con te.

- Dammi un po' di tempo, poi mandamelo qui. Assicurati che sia ben sorvegliato. Non sappiamo chi sia realmente.

- Sì, signore.

Ma Massimo non riuscì neppure a fare un passo nel suo atrio che udì una voce affannosa chiamarlo ad alta voce dal cancello:
- Generale! Generale! Devi venire subito! Colonia. Colonia è stata attaccata! - La voce del corriere si spezzò per l'emozione. - Sono morti… sono tutti morti. - Fece un passo verso Massimo, ma fu bloccato dalle guardie.

- Dov'è Quinto? - chiese Massimo al soldato.

- E' con la pattuglia di ricognizione, signore, fuori dell'accampamento.

- Trovalo e digli che ho bisogno di lui.

- Sì, signore. - Massimo stava per andarsene. - Signore? - aggiunse il soldato.

- Che cosa c'è?

- Per favore, fai attenzione, generale. Potrebbe essere una trappola. - Immediatamente abbassò gli occhi, vergognoso per aver offerto un consiglio non richiesto a questo formidabile generale.

- Grazie, Claudio. Farò attenzione. - Massimo lo congedò con un sorriso poi si voltò verso l'atrio in ombra, dove il suo sorriso si dissolse mentre scacciava la fatica dagli occhi.

 

 

- Qual è il tuo nome, soldato?

- Paolo, generale.

- Paolo, sei un soldato della Germanica II di stanza a Colonia?

Il giovane annuì ed alzò i suoi occhi arrossati ad incontrare lo sguardo calmo del generale Massimo.
- Lo ero, signore. E' rimasta poca cosa. Massacrati. Tutti massacrati. - Lanciò un'occhiata alle due guardie armate sull'attenti dietro la sua sedia ed il suo mento fremette per l'emozione.

- Quand'è avvenuto l'attacco?

- Circa due settimane fa, signore. Di notte.

- Chi ha attaccato Colonia?

- I Marcomanni, signore. Erano a migliaia… più uomini di quanti ce n'erano nella nostra intera legione… e hanno attaccato di notte mentre dormivamo. Hanno trucidato uomini disarmati… - La frase finì in un singhiozzo strozzato.

Massimo fece un cenno col capo a Cicero, che diede all'uomo sconvolto del vino freddo annacquato ed egli lo bevve in un unico lungo sorso.

Massimo si alzò e camminò su e giù, le mani intrecciate dietro la schiena.
- Che ne è del vostro generale?

- E' morto. Il generale Solino è morto. So che non mi credi, generale, ed io non ti biasimo. Comunque, ti vidi a Colonia non più d'un mese fa. Ordinasti che il muro settentrionale venisse alzato di più e pattuglie extra fuori del cancello. Rimanesti tre giorni, credo. E prima di allora, quell'uomo che veniva da Roma ti fece visita. Ricordi?

Massimo sospirò e si strofinò il collo per cercare di ridurre la tensione dolorosa che vi si stava sviluppando.
- Ci sono molte legioni molto più vicine di questa a Colonia. Le hai avvisate mentre venivi qua?

- Sì, signore. Stanno mandando degli uomini a Colonia, ma il generale Nonio mi ha detto di continuare a cavalcare e trovare te.

- Hai fatto la cosa giusta, Paolo. Partirò per Colonia in mattinata con alcuni soldati della mia cavalleria. Non posso lasciare questo forte senza difese. - Massimo si passò le mani tra i corti capelli. - Spero solo di non trovare altri accampamenti assaliti lungo il cammino.

- Massimo? Ci sono guai? - chiese Quinto dal vano della porta.

Massimo guardò il suo legato con sguardo affaticato.
- E' cominciata, Quinto.

 

 

 

L'odore putrido di carne bruciata assalì le narici di Massimo ancor prima che riuscisse a scorgere l'accampamento. Una guardia dietro di lui vomitò, invece il generale tossì, deglutì a fatica e continuò. Galoppò attorno alla curva che conduceva al cancello dell'accampamento e tirò le redini di Argento ad un arresto improvviso, totalmente impreparato davanti all'estensione della devastazione che vide attraverso il cancello scomparso. All'interno delle mura bruciate, l'accampamento era quasi inesistente… non molto più che una pila di macerie bruciate. I soldati che avevano raggiunto l'accampamento prima di lui indossavano maschere di stoffa su nasi e bocche mentre facevano bruciare i resti dei soldati della Germanica II, bianca cenere che turbinava attorno alle loro teste. Quando videro Massimo, annuirono, poi continuarono il loro macabro compito.

Il legato della Primigenia XV lo avvicinò.
- E' terribile quello che è accaduto qui, generale. Almeno tremila morti all'interno dell'accampamento ed un altro migliaio circa nei boschi… abbattuti mentre cercavano di scappare. Sono stati sventrati, le teste spaccate in due… terribile.

- Ci sono sopravvissuti? - chiese Massimo mentre osservava i danni dal suo cavallo.

- Pochi, signore, ma la maggior parte ha rifiutato di parlare.

- Perché?

- Troppo vergognosi, penso. Vergognosi di non essere morti con gli altri.

- Intendo stanziare l'accampamento con i miei uomini sulla collina sopravvento a questo luogo. Mandami un superstite che abbia voglia di parlarmi al tramonto. Voglio dare un'occhiata ai dintorni. - La preoccupazione immediata di Massimo era di scoprire come avevano fatto i barbari a prendere l'accampamento così completamente di sorpresa da riuscire ad ucciderne quasi tutti gli abitanti. Non doveva più accadere.

Colpì coi pugni e pungolò il terreno intorno alla base delle pareti di pietra bruciacchiate, smuovendo sporcizia e cenere bianca, ma trovando la prova della corda, annodata per formare scalette. Quello poteva spiegare come gli uomini avevano scalato le mura. Un'ulteriore ricerca rivelò sezioni di robuste tavole di legno che erano state chiaramente stese sopra le trincee dagli spuntoni aguzzi che avevano circondato la parte esterna delle mura. Ma posizionare le assi avrebbe richiesto una certa organizzazione e le sentinelle avrebbero dovuto facilmente avere il tempo di avvisare i soldati dell'invasione. Ovviamente, le guardie erano state ridotte al silenzio prima di allora. Ma come? Avrebbero dovuto esserci circa trenta di loro in servizio in quel momento.

Doveva parlare con i superstiti.

 

 

Massimo sorrise e offrì una sedia all'uomo sconvolto, prima di sedersi di fronte a lui.
- Qual è il tuo nome, soldato?

- Licinio, signore, - disse l'uomo con voce tremula, curvandosi a disagio nella sedia, le braccia strette intorno alla vita.

- E da dove vieni, Licinio?

- Ispania, generale, come te. - Licinio sollevò lo sguardo per la prima volta, come se implorasse comprensione da un compagno delle province.

- Davvero? Dove in Ispania?

- Bilbilis, signore.

- Ah… Sono passato di là molte volte. E' un bel posto.

Licinio gemette e annuì.

- Licinio, sono certo che sei ansioso di andare a casa… e certamente ti meriti una lunga licenza dopo quello che hai passato.

- Io non merito…

- Non hai fatto nulla di sbagliato, Licinio, - lo interruppe Massimo. - Sei stato fortunato a sopravvivere.

Lacrime grondarono lungo il viso dell'uomo ed egli pronunciò con voce soffocata parole che Massimo udì a fatica.
- Mi sono nascosto.

Massimo sospirò.
- Ecco, in altre circostanze potrebbe non essere opportuno, ma non in questo caso. Ritengo che ai soldati sia stato teso un agguato e che fossero in forte minoranza numerica.

- Sì, signore.

- Quello che devo scoprire è come sia accaduto, per essere sicuro che altri accampamenti non siano altrettanto vulnerabili. Ho bisogno del tuo aiuto per farlo. Capisci?

Il soldato annuì.

- Sai dirmi quel che è successo… quel che ricordi… più dettagliatamente possibile?

- Mi svegliai nel mezzo della notte… era buio pesto fuori… quando le guardie presero ad urlare. Corremmo fuori nelle nostre camicie da notte… io e centinaia d'altri… e vedemmo la tenda del generale in fiamme. Le guardie stavano urlando e la indicavano. Così, corremmo a prendere dell'acqua e a fare quel che potevamo. C'era una tale confusione…

- Vedesti il generale?

- Nossignore. Non uscì mai. Le fiamme si diffusero velocemente perché c'era vento e tutti gli uomini uscirono correndo dalle loro tende.

- Ovviamente senza le loro armi.

- Sì, signore. Le armi non servono molto per spegnere un incendio.

Massimo annuì in assenso.
- Sai se le sentinelle rimasero ai loro posti mentre i fuochi stavano bruciando?

- Credo che qualcuna lo fece, signore, ma ne vidi qualcuna unirsi a noi… era la tenda del generale, signore… dovevamo cercare di salvarlo.

- Capisco, Licinio. Non sto cercando di accusare nessuno; solo di capire gli eventi di quella notte. E' corretto assumere che mentre i soldati stavano cercando di spegnere gli incendi, i barbari scavalcarono le mura?

- Sì, signore. Tutte le mura. Arrivarono da ogni direzione, urlando e gridando. Avevano armi terrificanti e abbattevano tutti gli uomini a destra e a sinistra. Non avemmo nessuna possibilità.

- Puoi descrivere i barbari… che cosa indossavano? Le loro armi?

- Avevano capelli molto lunghi, signore. Alcuni legati sopra le loro teste così che penzolavano come code, ma per la maggior parte ricadevano lungo le loro facce. I capi qualche volta indossavano elmi… cose alte a punta. Indossavano tuniche con maniche lunghe, credo. Alcuni avevano mantelli… cose molto rozze.

- Le loro armi?

- Scudi fatti di legno… alcuni alti di forma ovale e alcuni più rettangolari… e scavati come un piatto. Avevano asce e alcuni avevano spade. Avevano anche giavellotti, e archi.

- Indossavano corazze?

- Non penso, almeno non quelli che vidi io.

Massimo digerì questa informazione.
- Che cosa hanno rubato?

- Tutto, signore. Armi, vestiti, corazze, cavalli, carri, animali, cibo… tutto. Usarono le nostre stesse armi su di noi. Li vidi spingere i soldati nelle tende poi dar loro fuoco e bruciare vivi gli uomini. Altri li tagliarono in due e sventrarono. Fu terribile… - Licinio crollò e singhiozzò.

Massimo si alzò e gli mise la mano sulla spalla.
- Mi hai detto quello che volevo sapere, Licinio. Appena ti sarai ripreso ti manderò a casa. Adesso va' a riposarti un po'. Starai in questo accampamento con i miei uomini.

Licinio lasciò la tenda singhiozzando e tirando su dal naso, pulendosi il naso con la manica. Appena se ne fu andato Cicero entrò nella tenda con un plico in mano.
- Un corriere ha appena consegnato questo, signore. Ha il sigillo dell'imperatore. - Il servitore svanì nell'ombra mentre Massimo rompeva il sigillo e leggeva la missiva, accarezzandosi inconsciamente il mento mentre lo faceva.

- Cicero.

- Sì, signore? - rispose il servitore del generale riemergendo alla luce tremolante.

- L'imperatore è con la legione Rapax XXI tra i due fiumi e desidera avere un resoconto del massacro. Tornerò là a cavallo per prima cosa domattina. Tu puoi pure rimanere qui. - Cicero uscì per fare i preparativi e Massimo rimase qualche istante con la lettera in mano fissando la parete della tenda. Invece che canapa sbiancata, davanti ai suoi occhi danzò una splendida visione, con occhi verdi e scuri riccioli castano dorato.

Lucilla era con suo padre. Lucilla era in Germania.