La Storia di Massimo: Capitoli 46 – 50

 

 

 

Capitolo 46 - L'inganno

- Psst, generale.

Stavolta Massimo si svegliò in un attimo, coltello alla mano, e poco dopo fu sul pavimento della sua tenda, sentendosi leggermente disorientato. Che ore erano? Si sentiva come se si fosse addormentato da poco.
- Sono qui, - sussurrò in risposta.

- Non andare a cavallo più tardi, generale.

Massimo pensò ironicamente alla sua conversazione con Giulia.
- Non era nei miei piani.

- Cassio vuole portarti a vedere i dintorni. Vuole farti cadere da cavallo quando ti troverai su uno stretto ponte, farti cadere nel fiume e annegare. Se non affogherai, i suoi uomini ti terranno sotto finché lo farai.

Massimo quasi rise.
- E questo dovrebbe sembrare un incidente? Non c'è uomo nell'esercito romano che crederebbe che io cadrei così da cavallo.

Il tono di Claudio suonò un po' offeso.
- Ti sto solo dicendo quello che ho udito, signore.

- Mi dispiace, Claudio. Sono solo molto stanco e qualunque cosa mi sembra ridicola, al momento. - Massimo scosse la testa con aria incredula a quanto stava udendo.

- Hanno in mente di tagliare lo straccale¹...

- E come lo prepareranno per far sì che lo straccale si rompa proprio nel momento in cui io sarò sul ponte? - L'intera faccenda sembrava assurda... così assurda che Massimo all'improvviso fu completamente sveglio e molto sospettoso. Era saggio a fidarsi di Claudio, dopo tutto? Si alzò in piedi e, silenzioso come un gatto, si spostò verso la parete posteriore della tenda, dove inserì il coltello nella cucitura facendolo scivolare verso l'alto, separando i due lembi e allargando l'apertura con le dita. Ritornò altrettanto di soppiatto al suo posto sul pavimento.

- ... devi fidarti di me... - fu tutto quel che Massimo colse dell'ultima frase di Claudio.

- Mi fido di te e starò molto attento. Grazie per avermi avvertito, Claudio. Hai parlato con il tribuno dopo la cena? - Era riluttante a pronunciare il nome di Marcello.

- Non ne ho ancora avuto l'opportunità, signore. Ho pensato di venire subito ad avvisarti.

- Lo apprezzo, Claudio, e starò molto attento.

- Ti lascio tornare a dormire, signore. - Claudio si alzò e si diresse verso il fondo della tenda come aveva fatto in precedenza. Massimo ne seguì i passi dall'interno e osservò attentamente attraverso l'apertura il ritirarsi dell'uomo... e la sua testa calva. La stessa testa calva che aveva visto lasciare la stanza a fianco di quella che aveva diviso con Giulia. Massimo lentamente si lasciò andare sul pavimento. Sapeva che il suo ricordo di Claudio era preciso. L'uomo che aveva ricevuto quella medaglia per il suo coraggio in Germania aveva avuto folti capelli biondi. Avrebbe scommesso la sua vita su questo. Avevano ucciso Claudio e poi quest'uomo calvo aveva assunto l'identità del soldato per attirarlo in trappola con un falso senso di sicurezza? Che cosa stava succedendo?

Anche Marcello e Giulia erano a parte di quest'inganno? Marcello doveva esserlo... ma Giulia? Il sangue gli ribollì per la collera. Massimo fece alcuni respiri profondi per calmarsi, poi bighellonò all'entrata della sua tenda facendo trasalire le guardie assopite. Sorrise con aria cospiratoria.
- Ho un certo prurito che pare proprio non riesca a mandar via.
Quella schiava dai capelli rossi... Giulia... Portatemela.

Le guardie si guardarono l'un l'altra evidentemente all'erta e una disse:
- E' proprietà di Cassio, signore.

- Bene, Cassio era del tutto ben disposto a condividerla, all'inizio della serata. Sono certo che non gli dispiacerà farlo ancora. - Le guardie non si mossero. - Io sono suo ospite, in fin dei conti.

Dopo un attimo di riflessione, la guardia più anziana fece un cenno con la testa e un'altra si affrettò in direzione del pretorio. Meno di quindici minuti dopo ritornò trascinandosi dietro una Giulia chiaramente spaventata che si serrava sui seni una veste sciolta. Quando vide Massimo, spalancò gli occhi e fu gettata rudemente nelle sue braccia. Egli fece un cenno di ringraziamento alle guardie, la sollevò da terra passandole un braccio sotto i seni, e attraversò l'ingresso portandola vicino al suo letto, prima di metterla giù, tenendola ancora fermamente nella sua stretta.

Il volto di lei rifletteva un misto di paura e confusione.
- Massimo... - Le parole le si strozzarono in gola quando sentì la punta acuminata di un coltello sotto l'orecchio. Ancora più spaventoso era il suono della voce di Massimo quando le ringhiò nell'orecchio.
- Bella interpretazione, stasera, Giulia.

- Massimo, non capisco. - L'intero corpo di lei tremava.

- Abbassa la voce o ti taglio questa gola graziosa.

Giulia cercò disperatamente di alleggerire l'umore di lui.
- Sapevo che eri insoddisfatto, ma questo...

- Sta' zitta e fa' come ti dico. Descrivimi Claudio.

- Non l'ho mai visto.

Una delle guardie tirò da parte la pesante cortina e mise dentro la testa.
- Fuori! - abbaiò Massimo, facendo trasalire Giulia come se fosse stata colpita. La cortina ricadde al suo posto e Massimo continuò il suo interrogatorio. - Chi ha disposto che tu ti incontrassi con me stasera?

- Marcello.

- Marcello. E' davvero un tribuno, Giulia?

Ella piagnucolò sommessamente, terrorizzata dall'improvvisa brutalità di Massimo.
- Sì, sì. E' uno dei consiglieri più vicini a Cassio.

- E ti ha suggerito lui che cosa dire?

- Ti ho solo ripetuto esattamente quello che lui mi ha detto di dirti. Generale, che cosa c'è che non va?

Il petto di Massimo si gonfiò di rabbia e il suo respiro suonò aspro nell'orecchio di lei. Ruggì:
- Claudio non è Claudio.

- Che cosa?

- Conosco Claudio dalla Germania e l'uomo che afferma di essere lui non gli assomiglia per niente. Claudio è... era... di media corporatura e biondo. Quest'uomo è tozzo e senza capelli.

- E' Balbino. E' un tribuno amico fedele di Marcello. Massimo... che cosa sta succedendo?

- Non lo so. Ma tu ne fai parte.

- Ti prego... Io ho solo trasmesso il messaggio, Massimo. Non faccio parte di alcuna cospirazione contro di te. - Giulia piangeva in silenzio, adesso. - Credi che potrei farti questo?

- Credo che tu possa fare qualunque cosa voglia. Che bella recita hai messo su per me, stasera!

Giulia posò una mano tremante sul pugno di lui, che le teneva il coltello alla gola.
- Non era una recita, Massimo.

Egli permise alla mano di lei di allontanare il coltello, poi Giulia arretrò e si voltò per fronteggiarlo, stringendosi le braccia attorno al corpo e cercando di reprimere i singhiozzi che le sfuggivano attraverso la cascata di capelli rosso-oro che le nascondeva il viso abbassato.
- Non volevo... non... io... - balbettò tra i singhiozzi.

Massimo sospirò con impazienza, infilò il coltello nella cintura dietro la schiena e provò ad abbracciare Giulia. Lei si oppose e cercò di appallottolarsi lontano da lui, ma egli insistette e lei gradualmente si lasciò andare contro di lui, mentre le sue lacrime fluivano liberamente, bagnandogli la tunica. Egli sussurrò nei suoi capelli, con tono di scusa:
- Mi dispiace. Ti ho fatto piangere molto, stasera. Non ho idea di chi io possa fidarmi, Giulia, o di chi stia cercando di tendermi una trappola. E non so qual è il tuo ruolo in questo piano.

- Nessuno ha fiducia in me, Massimo. Io vengo semplicemente usata... come messaggero, come strumento di piacere. Io non posso far altro che servire i bisogni degli uomini. Nient'altro. - Si allontanò per guardarlo negli occhi. - Se pensassi di aver fatto qualcosa che possa averti nuociuto... anche inavvertitamente... non potrei vivere con una tale colpa.

- Non l'hai fatto. Vieni qui e siediti. - Ella seguì Massimo fino al letto, dove sedettero fianco a fianco, vicini ma senza toccarsi. - Non ti avrei mai fatto del male con quel coltello, - cercò di rassicurarla gentilmente lui.

- Be', sembravi molto convincente. Sai essere terrificante, quando vuoi.

- Lo so. Talvolta si rivela utile. - Abbassò la voce in un bisbiglio. - Giulia, ho bisogno del tuo aiuto.

- Come ti posso aiutare?

- Devo uccidere Cassio e fare in modo che sembri che sia stato uno dei suoi uomini a farlo.

- Perché uno dei suoi uomini?

- Perché se io lo uccidessi, non uscirei vivo da qui, e nemmeno i miei uomini. Ma se i soldati di questa legione credono che uno di loro lo ha ucciso, ciò li getterà in una confusione sufficiente perché i sostenitori di Marco Aurelio raccolgano le forze di cui hanno bisogno per prendere il controllo... con il mio aiuto, naturalmente. - Lasciò che lei assorbisse quell'informazione, poi aggiunse:
- Mi aiuterai?

Ella annuì. - Sai che lo farò. - Fece una pausa, poi disse: - Ti fidi di me?

- Sì.

- Sei sicuro? Non voglio essere trascinata qui di nuovo, con un coltello alla gola.

Massimo sorrise al suo tono scherzoso.
- Non posso darti torto.

- E riguardo il complotto contro di te? Anche tu sei in pericolo, ricordi?

- Balbino mi ha avvisato di non andare a cavallo fuori dall'accampamento più tardi. Forse Cassio intende lasciare l'accampamento, dopo avermi spaventato per farmi restare in disparte, dove io, per il momento in cui ritornerà, sarò convenientemente morto, così che le sue mani restino impeccabilmente pulite.

Giulia rabbrividì.

- Devo solo contrastare qualunque cosa lui abbia in mente, - disse Massimo con disinvoltura, posando la sua grande mano sopra quella di lei e coprendogliela completamente. - Hai familiarità con le abitudini di Cassio?

Giulia annuì. - Fin troppa...

- Descrivimele affinché io possa decidere quando e dove farlo.

I due si sedettero vicini sul letto di lui, conversando con calma. Di quando in quando Massimo tirava indietro un ricciolo dei capelli di lei e allo sguardo di un osservatore casuale sarebbero sembrati amanti che si scambiavano parole e gesti d'affetto.

 

¹Straccale: finimento per animali da tiro che fascia orizzontalmente i fianchi e le cosce (N.d.T.)

 

Capitolo 47 - Destino delle guardie

Quando il mattino seguente il sole fu ben alto in cielo e il generale Massimo ancora non era apparso, le guardie non si preoccuparono. Dopo tutto, quell'uomo aveva avuto una nottata piuttosto movimentata e perfino lui aveva bisogno di dormire. Ma quando non era ancora comparso a metà pomeriggio, decisero di svegliarlo. Quello che trovarono fu una cucitura di tenda lacerata ed un letto vuoto.

I quattro soldati di guardia per un attimo rimasero raggelati per il panico. Cassio li aveva incaricati di tener d'occhio il generale Massimo ogni minuto di ogni giorno ed ora essi non avevano idea di dove egli fosse. L'immagine rovente dei centurioni che marcivano sulle croci lampeggiò simultaneamente nelle loro menti, facendo rivoltare i loro stomaci e infiacchendo le loro gambe. Dopo una rapida, frenetica discussione, due corsero via per interrogare gli uomini di Massimo e gli altri due partirono per interrogare Giulia.

Gli uomini della cavalleria di Massimo erano occupati ad accudire i loro cavalli o sedevano in piccoli gruppi chiacchierando, quando le guardie si slanciarono su di loro agitando le armi e urlando minacce. Imperterriti, gli uomini della Felix III indugiarono a guardarli con curiosità, poi tornarono alle loro attività, ignorando apertamente il trambusto. Si fecero da parte quando i loro quartieri furono perquisiti, ma non alzarono un dito per aiutare. Invece si scambiarono sguardi d'intesa: così Massimo era sfuggito loro, vero? Ciò significava che il loro generale aveva deciso che era tempo di agire. Dopo un'ora di ricerca, le guardie, intensamente frustrate e spaventate fecero un grosso errore. Una di esse afferrò i capelli di un soldato seduto in silenzio con la schiena girata verso di loro e diede uno strattone violento, piantandogli una lama sotto il mento, esigendo risposte. Immediatamente tutti gli uomini furono in piedi, armi in mano, pronti a difendere il loro amico.

Il portavoce della cavalleria, Gallieno, disse con calma :
- Hai rovistato dappertutto senza trovare traccia del generale Massimo. Noi non sappiamo dove sia e quest'uomo, - Gallieno accennò con la testa al soldato minacciato, - non sa niente di più del resto di noi. Se gli fai del male morirai. Se fai del male al generale Massimo nessuno di noi avrà requie finché non morirai. Così, come vedi, sei in una posizione piuttosto precaria. Lascia immediatamente la spada e liberalo.

La mano della guardia si allentò e la spada sotto il mento del soldato si abbassò. Immediatamente Gallieno balzò sull'uomo, buttandolo a terra con un colpo deciso al collo e l'altra guardia fu atterrata nello stesso modo mentre tentava di fuggire. Gli uomini di Massimo trascinarono le guardie in una stanza sul retro e le disarmarono, poi due soldati indossarono le loro uniformi e si diressero verso la tenda vuota di Massimo per montare la guardia come se niente fosse.

 

Giulia seppe che erano arrivate le guardie quando udì gli strilli delle altre schiave mentre coprivano di insulti gli uomini che sembravano determinati a rivoltare come un guanto i loro quartieri. Dalla sua posizione nella stanza da bagno, ella udì che i letti venivano capovolti e gli armadietti strappati via dai muri e fracassati sul pavimento, il legno ridotto in schegge. Si tese e si accovacciò più in basso nella grande vasca, le ginocchia piegate contro il petto, spostando alcuni petali di rosa che fluttuavano sull'acqua eccessivamente profumata, oscurandone la superficie riflettente.

I soldati irruppero dalla porta contorcendosi per evitare le grinfie delle donne adirate che li inseguivano, graffiando loro la faccia, strappando vestiti e capelli, e tirando calci nei loro stinchi. Quando una guardia raggiunse Giulia, ella si coprì i seni con le mani e ordinò:
- Fuori di qui, zoticone! Non vedi che sto facendo il bagno?

- Dov'è lui? - urlò la guardia.

- Dov'è chi? - chiese Giulia con freddezza.

- Il generale Massimo! Era con te la scorsa notte ed ora se n'è andato!

- Idiota! Mi hai scortato tu stesso la scorsa notte, ed è lampante che non c'era lui, con me!

L'uomo balzò su Giulia, le afferrò il braccio e la trascinò via dall'acqua, rivoletti che si riversavano giù dal suo corpo nudo e sporadici petali incollati alla sua pelle scintillante. Subito le altre donne si interposero tra Giulia e la vasca, avvolgendo la giovane con aria protettiva in un grande telo morbido, assumendo un aspetto minaccioso contro le guardie.

- Ebbene? Mi hai strappata al mio bagno. E adesso? Vuoi che ti mostri di nuovo i nostri quartieri, guardia? Per provarti ancora una volta che il generale Massimo non è qui?

Il soldato rimase fermo lì, completamente incerto sul da farsi, così Giulia gli afferrò il braccio e lo spinse in direzione dei quartieri dormitori.

- Non così in fretta, - disse l'uomo guardandosi intorno nella stanzetta. Non c'era nulla per poter nascondere un uomo, ma lui trafisse comunque i tendaggi e le pile di teli per asciugarsi, prima di seguire di nuovo Giulia e parecchie sue amiche nelle camere, dove le ragazze guardarono impazienti mentre il luogo veniva frugato un'altra volta. Le poche donne rimaste nella stanza da bagno, in silenzio chiusero la porta, poi raggiunsero freneticamente l'acqua del bagno coperta di petali, allungandosi per afferrare Massimo per i capelli e trarlo in superficie.

Egli venne su sputacchiando e boccheggiando in cerca d'aria, la bocca spalancata, gli occhi serrati. I polmoni gli bruciavano per aver trattenuto il fiato così a lungo e si sfregò gli occhi con le nocche nel tentativo di strofinare via gli oli profumati che li irritavano. Con i polmoni ancora doloranti, sedette nella vasca e mise le mani sul bordo, poggiando la fronte sulle nocche. Eugenia e Onora gli posero un telo sui capelli e gliene drappeggiarono un altro attorno alle spalle, ascoltando con attenzione il trambusto nell'altra stanza, pronte a spingerlo di nuovo sotto, se necessario.

Il rumore bruscamente si quietò e Giulia presto ritornò nella stanza da bagno precipitandosi da Massimo e accoccolandosi al suo fianco, togliendo il telo e strofinandogli la testa mentre gli mormorava poche parole. Avvolta in una veste sciolta, gli mise le mani sotto le ascelle reggendolo mentre si alzava, l'acqua che si rovesciava a cascata dalla sua tunica bagnata fradicia, riempiendo di pozzanghere il pavimento di mattonelle rosse. Una dozzina di mani femminili si allungarono verso di lui e una giovane gli porse un panno inzuppato di acqua pulita, che egli con gratitudine si premette sugli occhi mentre stava in ginocchio nella vasca, la tunica modellata intorno al suo corpo muscoloso.

Odorando di lana bagnata e rose, egli infine aprì gli occhi arrossati e scavalcò il bordo della vasca, facendo attenzione a non scivolare sul pavimento sdrucciolevole. Guardò Giulia e fece un ampio sorriso.
- I miei ringraziamenti, mia signora, per avermi permesso di dividere il tuo bagno, ma la prossima volta usa una mano più leggera con gli oli profumati. Fanno bruciare gli occhi come fiamme! - Giulia sorrise di rimando e le sue compagne soffocarono delle risatine mentre ammiravano la sua figura virile. - Se ne sono andati? - chiese lui.

Più di una dozzina di teste annuì in risposta.

- Grazie, mie signore. Sarete presto donne libere. Giulia, vestiti e vieni con me... indossa qualcosa di affascinante. - Mentre Giulia indossava in fretta degli indumenti, Massimo strizzò quanta più acqua possibile dalla propria tunica e s'infilò gli stivali, che erano stati riposti sotto i pesanti abiti di due ragazze. Un'altra gli porse la spada, ancora calda del suo nascondiglio vicina alla pelle di lei.

La schiava bionda che era stata al fianco di Cassio alla festa si precipitò nella stanza ridendo.

- Ho visto quei soldati che se ne andavano, - ridacchiò. - Erano pallidi come lenzuola e sapete dove andavano?

- Dove? - chiesero quasi due dozzine di voci contemporaneamente.

- Proprio fuori dall'accampamento. Ci giurerei! Hanno attraversato il cancello principale e hanno cominciato a correre verso i boschi dall'altro lato. Li ho visti!

Massimo non riuscì a trattenere un piccolo sorriso di trionfo. Fin lì tutto bene.

 

Capitolo 48 - Autorità

Cassio sedeva alla grande scrivania decorata scrivendo in un registro, quando Giulia entrò nella sua tenda senza preavviso. Egli alzò lo sguardo su di lei, quindi abbassò di nuovo la testa al suo compito. Senza guardarla chiese:
- Che cosa vuoi?

- Volevo solo vederti. Mi manchi, quando lavori tanto. - La sua veste semi-trasparente fluttuava intorno a lei, ella gironzolò attorno alla scrivania e fece scorrere le lunghe dita sulla mano di lui, poi lungo il braccio e su fino alla spalla, dove ella usò entrambe le mani per massaggiargli i muscoli tesi del collo. Dopo qualche istante ella notò che la sua velocità nello scrivere diminuiva considerevolmente, fino a fermarsi del tutto quando l'uomo chiuse gli occhi e cedette alle sue attenzioni.

- Ah, Giulia, - sospirò. - Tu sei la migliore che io abbia mai allevato.

Giulia riuscì a mantenere il ritmo delle proprie dita costante e uniforme.

- Ho due delle tue sorelline, sai... pronte a seguire le tue orme. Quando andremo a Roma ti incaricherò di istruirle. Saranno dei grandi doni, penso, per gli uomini della cui alleanza ho bisogno.

Massimo si acquattò mentre Cassio pronunciava quelle parole con indifferenza e si concentrò per mantenere il respiro calmo e inudibile dal suo nascondiglio dietro la pesante cortina vicino all'entrata. La guardia della cui uniforme si era vestito era priva di sensi, legata e chiusa dentro un armadietto. Massimo pregò che Giulia non reagisse alla lusinga di Cassio.

- Farò qualsiasi cosa ti faccia piacere, Cesare, - disse Giulia, la voce regolare come le sue dita. Era acutamente consapevole, tuttavia, del coltello celato proprio sotto la tunica... un coltello che perfino Massimo non sapeva che lei possedesse. Mentre Cassio si rilassava, il mento gli cadde contro il petto e lei spostò una mano per afferrare il manico d'argento, estraendolo lentamente dal suo nascondiglio. Quando Marcello si precipitò nella stanza, ella trasalì violentemente, quasi facendo cadere la lama.

- Cassio! - gridò l'uomo. - C'è qualcosa che non va. Due degli uomini che sorvegliavano Massimo sono fuggiti dall'accampamento, stasera... - Si fermò bruscamente quando vide Giulia. - Bene, bene... forse c'è qualcuno che ci può dire cosa sta succedendo. Massimo, sembra, non è ancora stato visto oggi, e ho udito che tu eri con lui la scorsa notte, nella sua tenda.

Cassio fece per girarsi verso di lei, ma ella fu più svelta e gli affondò il coltello nella giugulare, fino all'impugnatura. Il sangue sprizzò in un ampio arco e inzuppò le carte sotto le mani di lui prima che la testa gli cadesse sulla scrivania con un tonfo nauseante.

Marcello era troppo stupito per muoversi e l'unica parola che riuscì a pronunciare fu perduta nel momento in cui la sua testa venne girata con un rapido gesto e il suo collo spezzato con un rumore secco da una guardia vestita di nero. Massimo lasciò scivolare lentamente il cadavere sul pavimento, gli occhi blu su Giulia, ancora ferma accanto alla scrivania,  che con calma restituì lo sguardo fisso di Massimo.

- E' morto, - disse semplicemente.

- Lo vedo, - rispose lui mentre scavalcava Marcello e andava da lei lentamente. - Non è esattamente andata come progettato…

- Dovevo farlo.

Massimo annuì.
- Ti capisco. Ma adesso abbiamo un problema. Dobbiamo fare in modo che sembri che sia stato Marcello.

- Tu puoi andartene, Massimo. Dirò che ho visto Marcello uccidere Cassio, così io ho ucciso Marcello.

Massimo guardò il corpo contorto che giaceva scomposto ai suoi piedi.
- Non penso che qualcuno crederà che tu possa spezzare il collo di un uomo, Giulia. - La vide ondeggiare leggermente. - Julia, non svenirmi adesso. Dobbiamo finire qui. Sii forte.

Ella deglutì a fatica e annuì.

- Adesso, vai via di qui stando molto attenta a evitare il sangue sul pavimento. Non toccarlo coi piedi o con la tunica.

Fece come lui chiedeva, non osando guardare il cadavere seduto scompostamente alla scrivania, col sangue vitale che velava il legno e andava ad inzuppare il sottostante tappeto intarsiato.

- Siediti su questa seggiola mentre io insceno un assassinio. - Massimo usò il suo mantello per detergere con delicatezza il sangue dalle dita e dalle braccia di lei, mentre la guidava ad una sedia sul lato opposto della stanza, poi entrò in azione. Trascinò per i piedi il corpo senza vita di Marcello, quindi se lo issò sulle spalle, passando con attenzione dietro la scrivania. In questa posizione Massimo strinse la mano floscia del tribuno e la usò per estrarre il coltello dal collo di Cassio, assicurandosi che le dita e le braccia di Marcello si coprissero di sangue nel procedimento. Il coltello si liberò con un suono gorgogliante mentre l'aria soffiava attraverso il buco aperto. Massimo lanciò un'occhiata al viso bianco come il gesso di Giulia. - Piegati, metti la testa in mezzo alle ginocchia e respira attraverso la bocca. Respira lentamente e profondamente. Non svenire adesso.

Giulia obbedì e i suoi capelli rossi ricaddero sul pavimento attorno a lei in una raggelante parodia dell'uomo che aveva appena ucciso.

Massimo fece cadere il coltello di Giulia sul pavimento e usò la mano di Marcello per raccogliere il tagliacarte dalla scrivania e inserirlo nell'apertura lasciata libera dall'arma del delitto. Poi fece cadere Marcello sul pavimento nel sangue vischioso e diede al corpo piccole spinte dattorno con il piede per assicurarsi che il petto del cadavere fosse coperto dalla macchia cremisi.

Una rapida occhiata assicurò Massimo che Giulia era ancora cosciente. Era seduta di nuovo eretta, le ciglia scure come macchie sul suo pallido volto. Sapeva ciò che lei stava provando... che cosa si sente a prendersi la vita di un uomo per la prima volta. Era sbalorditivo come fosse facile farlo.

Massimo si spogliò in fretta dell'uniforme della guardia, mostrando la sua tunica umida e sgualcita al di sotto. Trascinò la guardia, che non aveva ancora ripreso conoscenza, dall'armadietto e imprecò sottovoce mentre goffamente rimetteva l'uniforme addosso all'uomo. Poi Massimo usò la spada della guardia per squarciare con un taglio profondo il collo di Marcello, sapendo che il suo cuore senza vita non avrebbe pompato la quantità di sangue necessaria a rendere convincente la ferita sotto un esame accurato e rigoroso.

Massimo gemette di ripugnanza per ciò che doveva fare adesso.
- Almeno morirai da eroe, - mormorò con rammarico affondando la spada della guardia nel suo stesso ventre, poi fece cadere l'uomo sopra Marcello, la spada schiacciata tra di loro. Con le mani tinte di sangue e macchie rosse che gli striavano la tunica sgualcita, Massimo indietreggiò e contemplò la scena. Non era troppo convincente, ma avrebbe dovuto esserlo.

Recuperò il coltello di Giulia, lo pulì e lo inserì nella propria cintura, poi afferrò un pesante mantello appartenente a Cassio e se lo avvolse intorno al corpo. Si accovacciò davanti a Giulia e prese le gelide mani di lei nelle proprie.
- Giulia, ascoltami. Devo andare a lavare via questo sangue e a mettermi una tunica pulita. Aspetta finché ritorno prima di dare l'allarme, ma se nel frattempo entra qualcuno devi fingere che ti sei imbattuta nella scena del delitto e sei svenuta prima di rianimarti abbastanza da riuscire a sederti. Non spiegare niente a nessuno, mi hai capito?

Giulia annuì, mentre un po' di colore le tornava alle guance, e mantenne lo sguardo su Massimo quando lui si diresse alla porta scomparendo nella notte.

 

Meno di mezz'ora dopo le urla di Giulia fecero accorrere guardie e tribuni. Al generale Massimo e ai suoi due restanti guardiani accadde di essere proprio nei paraggi per vedere Cassio e arrivarono giusto alle loro calcagna. Nello scompiglio che seguì, il generale Massimo prese in fretta il controllo esercitando la sua autorità senza sollevare dubbi. Le sue due guardie rimossero opportunamente il corpo del generale Cassio dalla scena del delitto e lo portarono al suo letto per restituire all'uomo il rispetto che la sua carica meritava. Poi Massimo separò lui stesso gli altri due cadaveri esclamando enfaticamente che Marcello aveva chiaramente ucciso Cassio e che la coraggiosa guardia era morta cercando di fermarlo. Egli impedì che Giulia fosse interrogata... dopo tutto, quanto era attendibile la testimonianza di una donna isterica? ... e la pose sotto la sua personale protezione.

La cavalleria di Massimo riportò sollecitamente l'ordine in tutto lo sconvolto accampamento, proclamando Massimo il nuovo generale della legione. Per mezzanotte i tribuni e i centurioni di Cassio erano stati messi sottochiave in attesa del difficile compito di distinguere coloro che avevano tradito Marco Aurelio da coloro che gli erano fedeli. Alle prime luci dell'alba i corrieri erano in cammino per le altre legioni orientali, rendendo noto che il generale Massimo aveva l'autorità, che egli agiva per conto di Marco Aurelio e che chiunque gli si fosse opposto sarebbe stato accusato di tradimento e messo subito a morte.

Altri quattro corrieri partirono per Roma per portare la notizia a Lucilla e alla sua famiglia che l'impero era salvo e che Massimo sarebbe rimasto in carica dell'intero esercito romano finché Marco Aurelio stesso fosse arrivato in Moesia.

 

Capitolo 49 - Il ritorno di Marco Aurelio

Marco Aurelio comparve molto prima di quanto Massimo avesse previsto. Cinque giorni dopo gli omicidi, le trombe annunciarono l'arrivo dell'imperatore e dei suoi pretoriani, come pure di due legioni di uomini completamente armati.

Massimo ebbe a mala pena il tempo di organizzare la legione per accogliere degnamente l'imperatore, prima che Marco attraversasse l'entrata principale, scendesse da cavallo e si dirigesse direttamente verso di lui, piegato su un ginocchio in segno di rispetto. Marco non se ne diede per inteso. Tirò in piedi il suo generale e lo avvolse in uno stretto abbraccio di fronte a quindicimila uomini sorridenti e acclamanti. Stringendo ancora il giovane al suo petto Marco sussurrò:
- Chi altri se non tu poteva portare a termine quest'eroica impresa, Massimo? Chi altri se non tu. Mi aspettavo di essere coinvolto in una mortale guerra civile, ma tu hai reso superfluo tutto quello spargimento di sangue. Non so come potrò mai ringraziarti abbastanza. - L'imperatore arretrò di un passo e afferrò la mano di Massimo, sollevandola in alto nell'aria in segno di stima. Le acclamazioni furono assordanti.

- Prepareremo una festa in tuo onore, Cesare, ma non so come sfameremo tutti quegli uomini. - Massimo guardò con perplessità il mare di armature grigie che coprivano come un manto ogni pezzo di accampamento e le colline al di là.

Marco lasciò cadere le loro mani e spostò le sue per appoggiarle sull'avambraccio di Massimo, mentre lentamente si incamminavano attraverso la moltitudine di persone verso il pretorio.
- Sono certo che troveranno il modo di prendersi cura di se stessi ora che non devono uccidersi l'un l'altro, - rise Marco.

Massimo divenne all'improvviso molto serio.
- Cesare, perché Cassio credeva di poterla fare franca?

- Io ero in Egitto, avendo fatto un giro d'ispezione del Nord Africa, abbastastanza lontano da Roma e assente da abbastanza tempo perché Cassio pensasse che il popolo avrebbe creduto alle voci della mia morte... voci a cui egli stesso aveva dato inizio, naturalmente. Avrei dovuto essere più consapevole della sua ambizione. - Marco strinse il braccio di Massimo. - Egli certamente ti ha sottovalutato, comunque. Ti rendi conto, Massimo, che tu ora hai il controllo e la lealtà dell'intero esercito romano, non solo delle legioni settentrionali?

Le parole dell'imperatore mandarono un brivido giù per la spina dorsale di Massimo. Era una responsabilità schiacciante.

- Non ho saputo di questo complotto finché non sono tornato a Roma e Lucilla mi ha detto che si era appellata al tuo sostegno. Si fida di te completamente, Massimo, e anch'io. Completamente.

 

Più tardi quella sera i due uomini si ritirarono nei quartieri riservati all'imperatore, dove Marco Aurelio si rilassò su un divano tenendo in mano una coppa di vino, con Massimo seduto vicino in una comoda sedia. Tre bottiglie aperte di vino... due già vuote... fecero sciogliere la lingua dell'imperatore. Marco sospirò con gravità.
- Non avrei mai dovuto lasciare che il senatore Licinio ti adottasse... avrei dovuto farlo io stesso. - Egli guardò Massimo con affetto attraverso gli occhi arrossati. - Saresti andato così bene per la mia famiglia, Commodo ha bisogno di un fratello come te, e Lucilla, be', Lucilla non ti ha mai dimenticato, sai.

- Lucilla? - Massimo chiese con cautela.

- Ah, sì... Lucilla ti amava prima di sposare Lucio e ti ama ancora. Lo so. - Marco fece una pausa per prendere un lungo sorso di vino, poi agitò la coppa in direzione di Massimo per attrarre l'attenzione del suo generale che fissava pensosamente nello scuro liquido del proprio calice. - Prenderesti mai in considerazione l'idea di spo…

- Io sono già sposato, Cesare, - lo interruppe in fretta Massimo, timoroso di udire ciò che l'imperatore era sul punto di dire.

- Ah, sì... Ricordo. Buon per te. Buon per te. - Marco fece una pausa, poi aggiunse. - Ti diedi io il permesso di sposarti, vero?

Massimo annuì.

- Ah, sì. Un altro errore. Avrei dovuto farti sposare nella mia famiglia.

Massimo si infiammò.
- Marco, per favore non chiamare il mio matrimonio un errore.

La testa dell'imperatore si girò di scatto all'uso familiare di Massimo del suo nome.
- Perdonami, figliolo. Perdonami. Stavo solo pensando ad alta voce, ecco tutto. E' stato terribile da parte mia dire una cosa simile.

Massimo accettò le scuse con un rapido cenno della testa.
- Cesare, ho una richiesta.

- Qualunque cosa, Massimo. Qualunque cosa al mondo.

- Voglio tornare a casa a vedere la mia famiglia. Sono passati due anni...

- Certo. Certo che puoi andare, ma non per troppo tempo. L'impero può sbriciolarsi senza di te, - disse Marco in tono scherzoso, ma intendeva ogni parola che aveva detto.

- Per quanto tempo, Cesare?

- Mmm? - Marco si stava per assopire.

- Per quanto tempo posso rimanere in Ispania con la mia famiglia?

- Oh, qualche mese, suppongo. Sono sicuro che l'impero può sopravvivere qualche mese senza di te.

- Grazie, Cesare.

- Manderò con te i miei pretoriani più fidati.

- Cesare...

- No, Massimo. Non ti lascerò andare da solo. Fine della discussione. - Entrambi sedettero in soddisfacente silenzio per un po' prima che Marco facesse sobbalzare il giovane alzando un sopracciglio e dicendo con aria scettica. - Così Marcello ha ucciso Cassio e una guardia ha ucciso Marcello.

Massimo rimase in silenzio.

Marco lo guardò da vicino poi sorrise.
- Ora... dimmi che cosa è accaduto davvero.

Massimo raccontò a Cesare l'intera storia in dettaglio e Marco ascoltò attentamente finché egli ebbe finito.

- Questa giovane donna... Come hai detto che si chiama?

- Giulia.

- Sì... Giulia. E' molto coraggiosa.

- Sì, Cesare, lo è. Lei e le altre donne sono state trattate in modo terribilmente ingiusto da Cassio; è un torto che va  raddrizzato.

- Che cosa suggerisci?

- Dovrebbero tornare a Roma sotto la tua protezione e bisognerebbe dare ad ognuna una sostanziosa somma di denaro perché cominci una nuova vita.

Marco annuì.
- Continua.

Massimo sospirò.
- Non so se sia vero o no, ma Cassio si vantava di allevare queste giovani schiave a essere serve sessuali e diceva di avere altre ragazze... alcune molto giovani... nascoste da qualche parte a Roma. Voglio che si indaghi su questo, Cesare.

- Allevare? - Marco era incredulo.

- Cesare, le schiave vengono allevate da molto tempo. E' disgustoso, ma è così. Solo, sembra anche peggio quando sono allevate per servire gli uomini in quel modo.

- L'intero aspetto della schiavitù ti dà fastidio, vero, Massimo?

- Sì, Cesare.

- Anche a me. - Marco si strinse la radice del naso come se avesse mal di testa. - Ma è consolidata nella società romana ad una tale estensione che l'impero collasserebbe senza di essa... finanziariamente e socialmente.

- Si potrebbe programmare fase per fase.

- Ci vorrebbero generazioni.

- Forse, ma si dovrà cominciare prima o poi.

Marco all'improvviso cambiò argomento.
- Massimo, sto pensando seriamente di far tornare Roma una repubblica, dopo la mia morte. - Egli sollevò una mano quando vide lo shock sul viso del giovane. - No, non sto per morire, ma non sono giovane e devo considerare queste cose seriamente.

- Commodo...

La voce di Marco era pervasa di collera.
- Commodo, Commodo. Commodo avrebbe dovuto fermare l'insurrezione di Cassio in mia assenza. Invece, con tutte le cose che potrebbe fare, egli trascorre i suoi giorni nel Colosseo giocando a fare il gladiatore. Tu hai fatto ciò che lui avrebbe dovuto fare. Tu hai tenuto insieme l'impero. Questo mi dà certamente qualcosa su cui pensare, - soggiunse Marco in modo enigmatico. - Ma basta parlare, per stanotte. Sono esausto... e ubriaco... e sono sicuro che anche salvare l'impero sia un lavoro stancante. In mattinata manderò le donne a Roma, accompagnate da una delle legioni. Mi piacerebbe che tu trascorressi un altro giorno con me, poi potrai partire per l'Ispania. - Marco si piegò verso Massimo e gli afferrò le spalle. - Ma sta' tranquillo, se dovessi aver bisogno di te ti richiamerò immediatamente.

- Be', speriamo che non ne avrai bisogno, Cesare. Buona notte.

 

Giulia abbassò lo sguardo su Massimo dall'alto del cavallo che l'avrebbe portata a Roma.
- Ti rivedrò mai? - chiese.

- No, - fu la semplice risposta, ma la voce di Massimo era dolce e gentile.

Lei gli sorrise.
- Io non la penso così.

Lui restituì il sorriso.
- Sarai indaffarata a organizzare la tua nuova vita. - Le toccò il piede. - Sicura di non voler viaggiare nel carro?

Ella scosse la testa, le onde rosso-oro dei capelli dell'identico colore del sole del primo mattino.
- No, mi sembra una prigione e ne ho avuto abbastanza di essere prigioniera.

Massimo annuì con comprensione.

Giulia esitò, poi disse:
- Non c'è bisogno che ti preoccupi, Massimo. Non dirò a nessuno che conosco personalmente il grande generale romano.

Un'espressione corrucciata gli corrugò la fronte.
- Perché la cosa dovrebbe preoccuparmi?

Giulia fissò un punto al di fuori dell'accampamento.
- Non voglio metterti in imbarazzo.

- Giulia. - Massimo le scosse il piede. - Giulia, guardami.

Lei lo fece con riluttanza ed egli vide le lacrime brillarle negli occhi.

- Sono orgoglioso di conoscere una donna di tali carattere, forza e intelligenza. Ciò che Cassio ti ha fatto era al di là del tuo controllo. Se gli avessi resistito egli ti avrebbe uccisa. Lo sai questo.

Lei annuì e trasse un respiro incerto, poi guardò ancora in lontananza.
- Ti auguro una vita molto lunga e felice con la tua famiglia, Massimo.

- Grazie. - Massimo annuì al centurione che stava sull'attenti lì vicino e questi gridò l'ordine di procedere. Massimo indietreggiò quando il cavallo di Giulia iniziò a muoversi e lei non lo guardò più. Egli salutò alcune altre donne che erano montate a cavallo, poi rise e rispose alle mani ondeggianti che sbucarono dai finestrini del carro.

Il giorno seguente egli guidava otto pretoriani giù per la stessa strada, nel cammino verso la sua casa in Ispania. 

 

Capitolo 50 - L'incontro

Massimo si accovacciò sotto un grande pioppo vicino ai gradini principali della sua casa, il corpo che scompariva nell'ombra densa mentre si appoggiava contro il tronco. Il suo sguardo non si staccava dalla donna e dal bimbo che giocavano sui gradini non molto lontano da dove era lui.

Olivia non lo aspettava e, non volendo allarmarla, egli aveva lasciato il suo stallone ai piedi della collina dopo aver congedato i pretoriani nell'ultimo villaggio. Mentre si avvicinava a piedi alla casa, la dolce voce di sua moglie gli giungeva trasportata dal vento, risa mista a canzoni. Olivia sedeva sul gradino più alto, la mano tesa per guidare il bambino mentre il piccolo, gattonando, entrava in contatto con i gradini, gorgogliando felice e chiamando la sua mamma per assicurarsi che stesse ammirando i suoi progressi.

L'ultima volta che Massimo aveva visto suo figlio era ancora in fasce, ma ora era un bimbo con i capelli neri come l'ebano che gli si arricciavano sul collo e gambe grassocce sotto una corta tunica bianca. Massimo osservava in un silenzio stupito mentre il piccolo raggiungeva l'ultimo gradino e guardava verso di lui, la sua attenzione attratta da una variopinta farfalla. Massimo trasse un respiro irregolare. Era bello... l'immagine della sua mamma, con enormi occhi neri... pochi dentini bianchi che si scoprivano quando rideva gioioso.

Olivia applaudì, poi con la mano e la voce invitò il bambino a risalire i gradini. Massimo osservò l'avanzare di suo figlio e si unì a Olivia nel cantare, la voce profonda risonante dalla macchia ombreggiata. Sussultando, ella si guardò rapidamente intorno, si alzò e prese suo figlio protettivamente nelle braccia, riparandosi gli occhi e guardando fisso nella sua direzione.

- Massimo? - domandò incerta.

Egli si alzò dal suo nascondiglio e sorrise in risposta, gli occhi blu che guizzavano dalla madre al figlio.

- Massimo! - strillò lei. Il bambino nelle sue braccia trasalì al grido improvviso di lei, si premette un pugnetto in bocca e cominciò a piangere. Olivia lo cullò e tranquillizzò con voce sommessa, gli occhi inchiodati al viso di suo marito. Il viso caro e stanco di suo marito.

Servitori preoccupati fecero capolino dalle finestre, poi sorrisero prima di ritrarsi rapidamente. Il padrone era tornato a casa.

Massimo lentamente salì i gradini che suo figlio aveva appena attraversato, l'attenzione del piccolo attratta dall'uomo stranamente vestito che gli si stava avvicinando. Massimo udì Olivia dire al bambino la parola "papà" più e più volte, tenendolo stretto contro il seno e facendolo dondolare dolcemente.

Massimo si fermò sul secondo gradino dal fondo, guardando il labbro inferiore del bimbo che cominciava a tremare di nuovo e il timore crescere nei giovani occhi. Non sapeva che cosa fare e guardò Olivia in cerca d'aiuto.

Lei strofinò via le lacrime dai propri occhi e gli disse:
- Va tutto bene, Massimo. E' spaventato dalla tua uniforme, ecco tutto. Avvicinati lentamente, amore mio. - Rivolse di nuovo la sua attenzione al bambino e mormorò parole rassicuranti.

Ma Massimo stava ancora là fermo. Il grande generale romano, che aveva appena salvato l'impero dalla guerra civile, non aveva idea di come avvicinare questo bambino diffidente. Il suo bambino. Suo figlio.

Servitori con grandi sorrisi si raccolsero dietro Olivia, ma lei era dimentica della loro presenza.
- Massimo, resta lì e verrò io da te. Forse andrà meglio, in questo modo. - Ella continuò a mormorare la parola "papà" al bambino mentre lentamente saliva i gradini, fermandosi su ognuno per valutare il livello di paura del piccolo. Nel frattempo Massimo si slacciò la corazza scolpita e la gettò a terra, sopra il mantello e le pellicce. Ora aveva solo una semplice tunica, le mani sui fianchi, le dita che nervosamente attorcigliavano la stoffa.

Olivia stava solo due gradini sopra di lui adesso, e si allungò per carezzargli il viso barbuto.
- Massimo, - sussurrò. - Non riesco a credere che tu sia davvero a casa.


Lentamente suo marito alzò la mano e guidò quella di lei alle proprie labbra, dove la baciò dolcemente più e più volte, con gli occhi chiusi, sopraffatto dall'emozione.

Marco non distolse mai lo sguardo dal viso dello straniero, mentre si schiacciava indietro contro sua madre cercando di evitare il contatto con l'uomo. Massimo spostò lo sguardo sul bambino e lentamente allungò una mano verso il ginocchio del piccolo, pieno di fossette. Lievemente strofinò la pelle di seta con il dorso delle sue dita e sussurrò:
- Salve, figlio mio. Salve, Marco. - Gli occhi del piccolo si spostarono sul ginocchio, dove le grandi dita abbronzate toccavano la sua pelle candida, poi lanciò un'occhiata di nuovo al volto barbuto prima di avvolgere le braccia attorno al collo della madre, seppellendole il viso nella spalla.

Il volto di Olivia rifletteva il dolore di suo marito.
- Massimo, mi dispiace. Gli parlo di te tutto il tempo. Credo che sia diverso vederti in carne e ossa. Lo supererà presto.

- Va tutto bene. Capisco. - Massimo costrinse il suo tono a essere vivace, nonostante il cuore pesante. Non era così che aveva immaginato il suo ritorno a casa.

Olivia consegnò Marco a una delle serve e il bambino si allontanò di buon grado, stendendo le braccine per ricevere l'abbraccio della donna. Una travolgente, irragionevole gelosia si riversò su Massimo, vedendo suo figlio teneramente coccolato nelle braccia della donna, prima che fosse portato in casa lontano dalla sua vista.

Olivia trasse Massimo vicino a sé e gli premette il viso nella propria spalla, come se fosse un bambino bisognoso di conforto. Gli baciò il collo e gli sussurrò all'orecchio:
- Non è niente, Massimo. E' solo che non ti conosce, tutto qui. Ciò cambierà presto. - Ella scese per affiancarsi al marito ed egli si gettò nelle braccia di lei per un lungo abbraccio. - Ti amo, - mormorò lei. - Ti amo tanto. Grazie agli dei sei a casa.

Massimo restituì le parole affettuose e carezzò i capelli e la schiena della moglie mentre la stringeva tra le braccia.

- La guerra in Germania è finita? - chiese Olivia.

- Per un po'. Sono stato nell'Est, invece, per risolvere dei problemi che c'erano là.

- Est? Che cosa...? - Olivia si trattenne. - Viene dentro, amore mio, al riparo dal sole che scotta. Devi essere esausto e affamato. Parleremo più tardi. - Carezzò la guancia di suo marito e lo guardò negli occhi, il cuore dolente alla mescolanza di stanchezza e disappunto che ella vi vide. - In questo momento hai bisogno di cibo, di un bagno e di riposo. Qualunque altra cosa può attendere.