Storie de Il Gladiatore

Storie ispirate dal film Il Gladiatore (Gladiator, 2000)

 

 Missione di soccorso

di Ilaria Dotti

 

176 DC.

Massimo Decimo Meridio entrò nel suo alloggio richiudendosi la tenda alle spalle per tenere fuori il freddo vento invernale. Il Generale era stanco morto ma la vista della tinozza di legno già collocata vicino ai bracieri lo rianimò un po'.
"Che gli dei ti benedicano, Cicero!" esclamò al suo attendente "Che cosa farei se non ci fossi tu!"
Cicero gli si avvicinò sorridendo e lo aiutò a liberarsi del mantello e della pesante armatura di cuoio. Poi mentre Massimo finiva di spogliarsi andò a versargli l'acqua calda per il bagno.
"Ah," sospirò il Generale immergendosi e lasciando che l'acqua profumata di erbe lavasse via il fango, il sudore e parte della stanchezza accumulata negli ultimi giorni. Posò il capo sul bordo della tinozza e chiuse gli occhi. Con un po' di concentrazione poteva anche riuscire a dimenticare di trovarsi nel mezzo di un paese inospitale e pensare di essere a casa sua, sulle dolci e calde colline di Trujillo. Poteva anche immaginare di essere nella stanza da bagno della sua villa e di sentire su di sé le mani delicate di sua moglie intenta a strofinargli spalle... Purtroppo però il rumore di un drappello di soldati che marciava fu più che sufficiente a riportarlo bruscamente alla realtà.
Cicero gli si avvicinò silenzioso e gli porse una coppa di vino caldo.
"Grazie, amico mio," mormorò Massimo prendendola e portandosela alle labbra.
"Vuoi che ti versi ancora dell'altra acqua?" chiese l'attendente.
"Sì, grazie: ho intenzione di restare a bagno ancora per un po'. Accidenti, si vede che sto proprio diventando vecchio, una volta non mi riducevo in questo stato dopo una sola notte passata in bianco."
Cicero sorrise e replicò: "Una sola? A me sembrano almeno tre! E so che molti soldati più giovani di te sono stati sorpresi a dormire già la prima notte dopo che è scattato l'allarme. Quinto era furibondo, abbiamo sentito le sue urla per tutto l'accampamento!"
Massimo fece una smorfia. "Quinto è troppo nervoso in questi giorni, ma del resto chi di noi non lo è? Questi barbari sono subdoli ma sono molto furbi. Ci stanno logorando lentamente i nervi. Sanno che non possono batterci in uno scontro diretto e allora hanno deciso di tenerci sempre sul chi vive, nella speranza di farci commettere qualche errore fatale. Invece di affrontarci preferiscono attaccare i vari villaggi e ritrarsi prima del nostro arrivo, mantenendoci in uno stato di continua tensione, a romperci la testa nel tentativo di prevedere quale sarà il loro prossimo obiettivo."
Il Generale sospirò e sorseggiò il vino.
"Non potremmo stanarli, Massimo?"
Massimo si lasciò scappare un breve risata. "Stanarli, amico mio? E come? Queste foreste sono un labirinto pieno di nascondigli. L'unica possibilità sarebbe quella di incendiare i boschi per costringere i barbari a riparare in qualche radura dove sarebbero un facile bersaglio, ma ora come ora, con questi forti venti che non smettono mai di spirare, sarebbe un suicidio dare fuoco agli alberi perché non saremmo in grado di controllare le fiamme e rischieremmo di rimanere intrappolati."
In quel momento si udì del trambusto fuori dalla tenda e la voce di Quinto gridò: "Massimo, posso entrare? E' urgente!"
Massimo lasciò cadere la coppa ormai vuota ed afferrò la coperta portagli dal fidato Cicero. Alzandosi in piedi si avvolse in essa ed uscì dalla tinozza, mentre l'attendente andava ad aprire il lembo della tenda.
Quinto, il suo secondo in comando, entrò di corsa e disse: "Massimo, siamo nei guai: i barbari hanno catturato l'imperatore!"

II

"Cosa!?" esplose il Generale.
Quinto annuì poi mise la testa fuori della tenda e gridò: "Tu, vieni subito qui!" Pochi secondi dopo spinse nella tenda un giovane soldato, vestito con una armatura nera. Massimo riconobbe subito l'uniforme dei pretoriani, la guardie del corpo dell' imperatore e della sua famiglia. Il giovane era infreddolito, sporco di fango e perdeva sangue da una ferita sulla fronte.
"Parla soldato!" gli ordinò secco Quinto.
Il pretoriano fece scorrere lo sguardo confuso tra Quinto e Massimo e poi cominciò a parlare a scatti ed in maniera appena comprensibile. "Generale... siamo stati attaccati... erano dappertutto... il comandante ha ordinato... sono tutti morti... e l'imperatore…" Il ragazzo sembrava non essere in grado di dire una sola frase coerente e per quanto fosse impaziente, Massimo decise di andarci piano.
"Cicero" ordinò "offrigli una coppa di vino." Poi si avvicinò al pretoriano e gli disse: "Dimmi ragazzo, qual è il tuo nome?"
"Antonio, signore."
"Bene, Antonio, ora ascoltami. Ho bisogno di sapere esattamente che cosa è successo. Calmati un attimo, bevi un po' di vino e poi raccontami tutto."
Antonio annuì e guardò ammirato Massimo, che non aveva perso nulla della sua dignità e della sua statura di Generale anche se indosso aveva solo una coperta di lana. La sua forza e il suo carisma erano così palpabili che il giovane pretoriano sentì l'irresistibile impulso di fare tutto ciò che fosse in suo potere per compiacerlo. Bevve il vino e riacquistata la sua compostezza cominciò a raccontare.
"Siamo partiti cinque giorni fa dall'accampamento base, perché l'imperatore voleva trascorrere qualche giorno con gli uomini della Legione Felix. Abbiamo viaggiato leggeri, solo il carro imperiale e trentacinque uomini di scorta. Tutto è andato bene finché stamattina presto non siamo stati attaccati." Il pretoriano si interruppe e Massimo lo esortò a continuare con uno sguardo. "E' stato un massacro. Ci hanno preso alla sprovvista e quasi tutti i miei compagni sono morti..."
"E l'imperatore?" domandò Quinto.
"L'imperatore è stato fatto prigioniero. Lo hanno condotto nel loro accampamento perché vogliono chiedere un riscatto."
"Come fai a saperlo?"
"Lo so perché li ho seguiti. Io sono rimasto ferito quando il mio cavallo è stramazzato al suolo colpito da una freccia, poco lontano dal resto del gruppo. Ad ogni modo, quando ho visto che le cose si mettevano male, mi sono nascosto pensando che avrei potuto essere più utile all'imperatore da vivo che da morto. Così ho visto i barbari prendere prigioniero Cesare e trascinarlo via. Alcuni di loro parlano una specie di latino e li ho sentiti ripetere più volte la parola "riscatto". Dopo un po' di tempo si sono allontanati con l'imperatore e si sono inoltrati nella foresta e io li ho seguiti fino al loro accampamento... Poi mi sono messo alla vostra ricerca: sapevo che non eravate molto distanti e ringraziando gli dei, sono riuscito a trovarvi."
Massimo annuì con aria grave e domandò ad Antonio: "Saresti in grado di ritrovare quell'accampamento?"
"Certo, signore."
"Anche al buio?"
"Sì, Generale, anche al buio."
Massimo annuì ancora poi si rivolse a Quinto. "Raduna la cavalleria e falla preparare: tra venti minuti al massimo voglio mettermi in marcia."
Il suo secondo in comando assentì e poi uscì di corsa dalla tenda. Massimo tornò a rivolgersi al giovane pretoriano. "Vai a farti medicare quella ferita e poi vai nelle scuderie a farti dare un cavallo."
"Sì, signore," scattò Antonio e poi uscì a sua volta.
Una volta soli, Massimo si voltò a guardare Cicero che gli si era avvicinato con la sua uniforme e sospirò. "A quanto pare non riuscirò a dormire neanche stanotte."
Il suo attendente fece un sorriso grave e poi lo aiutò a rivestirsi.

III

La marcia nella buia foresta parve interminabile, ma alla fine Massimo e i suoi uomini giunsero in prossimità dell'accampamento nemico, che si trovava in una piccola radura. Grazie all'ottimo senso dell'orientamento di Antonio, fu possibile per Massimo lasciare la maggior parte degli uomini e tutti i cavalli a distanza di sicurezza ed avvicinarsi all'accampamento a piedi, in maniera da poterne studiare la struttura. Prima di sferrare l'attacco era infatti fondamentale scoprire dove fosse tenuto l'imperatore.

Massimo e Quinto si accucciarono dietro a dei cespugli e studiarono i loro nemici.
C'era aria di festa nell'accampamento, come se i germani stessero celebrando la cattura del loro importante prigioniero. Tuttavia, quello che più colpì Massimo fu la maniera ordinata in cui erano disposte le tende, così inusuale per un accampamento barbaro. Mentre rifletteva su quella stranezza gli tornarono in mente alcune parole pronunciate da Antonio e tutto gli fu improvvisamente chiaro.
"Quinto, dobbiamo stare attenti. Credo che il capo di questa gente sia un disertore delle truppe ausiliarie."
"Come fai a dirlo?"
"Guarda come è strutturato l'accampamento: sembra il nostro, solo che è in scala ridotta. E poi ricordati che il pretoriano ha detto che alcuni barbari parlavano un po' di latino... Dove avrebbero potuto impararlo se non nell'esercito?"
Quinto assentì. "Hai ragione. Io ho sempre pensato che non ci si dovesse fidare di questa gente e farne degli ausiliari. Questi barbari non capiscono che la forza e gli atti di clemenza dell'imperatore sono interpretati come debolezze. Dovremmo sterminarli tutti e farla finita una volta per tutte."
Massimo annuì distrattamente e poi indicò qualcosa con la mano. "Forse so dove potrebbe essere l'imperatore."
Quinto strizzò gli occhi e guardò nella direzione indicata. "Dove?"
"Vedi quelle due tende al centro dell'accampamento? Sono le uniche con degli uomini di guardia. Credo che in una di esse ci sia l'imperatore e nell'altra, probabilmente, il capo tribù."
I due rimasero in osservazione per qualche minuto ancora e poi tornarono indietro dal resto degli uomini.

Una volta ricongiuntosi con il resto dei suoi soldati Massimo spiegò la situazione e poi illustrò il suo piano di battaglia.
"Li attaccheremo non appena inizierà ad albeggiare, colpendoli contemporaneamente su due lati. Io attaccherò frontalmente mentre Quinto li prenderà alle spalle. L'imperatore dovrebbe trovarsi in una delle due tende centrali: dobbiamo riuscire a raggiungerlo, a liberarlo e a portarlo via il più in fretta possibile. E' tutto chiaro?"
"Sì, Massimo!" dissero all'unisono i cavalieri e il Generale sorrise.
"Ora riposatevi un po', se ce la fate. L'alba arriverà fin troppo presto."
Massimo si allontanò da loro e andò a sedersi sotto un albero. Prima di ogni battaglia sentiva il bisogno di starsene da solo a riflettere e a concentrarsi. Chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro il tronco, respirando a pieni polmoni l'aria profumata di pino. Dietro le sue palpebre chiuse cominciarono a danzare immagini di Marco Aurelio. Massimo amava l'imperatore come un padre ma a volte trovava alcune sue abitudini, come quella di fare visite a sorpresa, molto frustranti. Le improvvisate potevano andare bene in zone già sotto il completo controllo romano, ma non vicino alla frontiera renana-danubiana. E poi i Pretoriani, la guardia speciale dell'imperatore, erano soldati che raramente avevano partecipato a qualche battaglia e non possedevano l'esperienza sul campo dei Legionari.
Massimo riaprì gli occhi dopo quelli che gli parvero solo pochi minuti ma quando alzò gli occhi verso la luna si accorse che la sua posizione era mutata. Per quanto aveva dormito? si domandò distrattamente. Non aveva importanza, ora era il momento di agire. Si alzò in piedi e tornò verso i suoi uomini.

Non appena i soldati lo videro, scattarono in piedi e uno di loro gli si avvicinò con il suo cavallo, il fido Argento, nato lo stesso giorno in cui Massimo aveva conosciuto Marco Aurelio.
Il Generale si avvicinò a Quinto e disse. "E' ora. Andate a prendere posizione. Attaccheremo non appena il sole sorgerà."
Quinto annuì e Massimo sollevò la sua spada e disse: "Forza e onore!"
"Forza e onore!" gli risposero in coro i soldati, che da tempo avevano adottato come proprio il motto del loro Generale.

Massimo guardò Quinto allontanarsi con parte della cavalleria ed inoltrarsi nel folto della foresta, per poter aggirare da un distanza sicura l'accampamento nemico e portarsi alle sue spalle senza far scattare l'allarme.
Quando furono scomparsi, il Generale si chinò e raccolse una manciata di terriccio, fregandosela lentamente tra le mani. Era un gesto che ripeteva prima di ogni battaglia, e che i suoi uomini conoscevano bene, ma se qualcuno gliene avesse chiesto il significato, lui non sarebbe stato in grado di dirglielo. Non sapeva nemmeno lui perché lo facesse. Forse era per avere una migliore presa sull'elsa della spada o forse perché il toccare la terra lo faceva sentire più vicino alla sua eredità contadina, a quella che lui considerava la sua vera vita. O forse perché, morbosamente, pensava alla possibilità di morire e quella manciata di terra simboleggiava il terriccio che un giorno avrebbe ricoperto il suo corpo. Probabilmente, pensava Massimo, si trattava di un misto di tutte e tre queste ragioni.
Ad ogni modo, compiuto il rituale, Massimo si infilò l'elmo e montò in sella, preparandosi all'attesa.

Il tempo passò con lentezza esasperante ma piano il buio della notte lasciò posto alla prima luce dell'alba.
Massimo scrutò in lontananza, nel punto dove avrebbero dovuto trovarsi Quinto e i suoi uomini e annuì con approvazione scorgendo il rosso pennacchio che ornava l'elmo del suo secondo in comando.
Voltò il cavallo verso la strada e sollevata la spada ordinò: "Seguitemi."
I cavalleggeri sguainarono le loro armi e in formazione compatta seguirono il loro Generale.

IV

L'accampamento barbaro si stava appena risvegliando dopo una notte di bagordi quando i suoi occupanti sentirono la terra tremare. Non fecero nemmeno in tempo a chiedersi che cosa stesse succedendo che i soldati romani gli furono addosso, lanciando alte grida di guerra.
I germani afferrarono le loro armi e cercarono di resistere ma non poterono nulla contro gli uomini della Legione Felix che consideravano la cattura del loro imperatore come un'onta che andava lavata solo con un massacro.
Le due ali della cavalleria piombarono sul villaggio quasi in contemporanea e cominciarono a falciare i barbari senza alcuna pietà.

Massimo si fece largo tra i nemici come una falce tra il grano, combattendo come una furia, guidato più dall'istinto che dalla ragione, il gladio la naturale estensione del suo braccio. Davanti a lui si stagliava il suo obiettivo, le due tende centrali che doveva raggiungere prima che qualche barbaro decidesse per vendetta di uccidere l'imperatore.
Scese di sella e si fece largo a colpi di spada, uccidendo chiunque gli si parasse davanti. Alla fine raggiunse le tende e guardò dentro di esse. La prima era vuota, ma nell'altra, ringraziando gli dei, vide la sagoma del suo imperatore, nobile e fiero anche se era legato e imbavagliato.
Marco Aurelio guardò il suo Generale e sollevò i polsi in maniera che Massimo potesse recidere la corda che li serrava con un rapido colpo di spada. L'imperatore si alzò in piedi, togliendosi il bavaglio e poi si rivolse al suo salvatore. "Sapevo che saresti arrivato Massimo, ne ero certo."
Massimo annuì con la testa e poi disse: "Cesare, ti devo portare fuori di qui. Stammi il più vicino possibile."
Marco Aurelio annuì, prendendo ordini dall'unico uomo al mondo da cui li avrebbe accettati, e seguì Massimo fuori dalla tenda.

All'esterno la battaglia era quasi finita e il terreno era ormai ricoperto di sangue, di morti e di feriti. I soldati della Legione Felix si aggiravano qua e là distribuendo colpi di grazia e radunando i barbari che si erano arresi.
Massimo fece un cenno a uno dei suoi uomini di portare un cavallo all'imperatore e il soldato obbedì prontamente. Il Generale aiutò l'anziano Cesare a salire in sella e quando i legionari lo videro proruppero in esclamazioni di gioia. Marco Aurelio alzò la mano per zittirli ed aprì la bocca per dire qualcosa quando un urlo bestiale lacerò l'aria e un gigante barbaro, coperto di pelli si fece avanti brandendo una spada. L'uomo abbatté come fuscelli i soldati che gli si pararono davanti e si avventò sull'imperatore. Massimo lo vide arrivare e reagì immediatamente, colpendo il cavallo dell'imperatore di piatto con la spada e facendolo allontanare. Il barbaro emise un altro urlo terrificante e gli si lanciò contro. Massimo riuscì a frenare l'assalto a mala pena ma una volta recuperato l'equilibrio prese a rispondere ai colpi dell'avversario con tutta la sua forza. Tutto attorno a loro i legionari cercavano di colpire il gigante ma i due duellanti erano troppo vicini per poter arrischiare un colpo. Il barbaro combatteva bene e il Generale, riconoscendo la tecnica romana si rese conto di avere davanti l'ausiliario traditore.
All'improvviso Massimo scivolò sul terreno reso viscido dal sangue e cadde a terra. Il capo tribù gli fu subito addosso e cercò di infilzarlo con la spada. Massimo riuscì a rotolare via ma non abbastanza velocemente per evitare del tutto il colpo. Il metallo gli morse la carne di una coscia, e il Generale strinse i denti per soffocare un gemito. Il dolore però parve dargli nuovi stimoli e rialzatosi in piedi, seppure zoppicante, si lanciò nuovamente sul suo nemico. Sapeva che non poteva abbatterlo usando la forza bruta e allora usò l'astuzia: finse di scivolare di nuovo ma questa volta quando il gigante sollevò la spada per colpirlo lui era pronto. Si rialzò di scatto e gli piantò il suo gladio nel petto con tanto impeto che la lama passò da parte a parte. Il gigante barcollò, lasciando cadere la spada e fu subito fatto a pezzi dai soldati romani.
Grida di vittoria si alzarono giubilanti ma si interruppero bruscamente quando Massimo, mossi pochi passi verso l'imperatore, stramazzò al suolo, faccia in giù nel fango.
Quinto si precipitò su di lui e lo voltò con delicatezza. Il respiro del Generale era debole e affrettato e il suo viso era coperto di sudore. Le mani di Quinto corsero alla coscia ferita e strapparono il tessuto intriso di sangue, mettendo a nudo lo squarcio. Il soldato si lasciò scappare un'imprecazione e poi, toltosi la cintura, la strinse attorno alla coscia del suo comandante, a monte della ferita per frenare l'emorragia. Poi si tolse anche il mantello e lo usò come bendaggio provvisorio. Quando sollevò la testa si accorse che tutti i soldati si erano raccolti attorno a lui e a Massimo ed attendevano con un'ansia le sue parole. Quinto si rialzò e si rivolse all'imperatore, che si era fatto largo e che lo stava fissando con aria interrogativa. "E' vivo, Cesare, ma dobbiamo portarlo all'accampamento il più velocemente possibile. Se la ferita non verrà cauterizzata al più presto, morirà dissanguato."
Marco Aurelio annuì e disse: "Fate tutto quello che è necessario per sarvargli la vita e non badate troppo a me."
"Sì, Cesare." rispose Quinto e cominciò a dare ordini per il trasporto di Massimo.

V

Nell'accampamento romano regnava un'atmosfera di calma irreale: gli uomini attendevano ai loro doveri senza fare rumore o cercando di farne il meno possibile e alla distribuzione del rancio o nelle tende dormitorio non si sentivano né storielle spinte né risate. Persino gli animali sembravano più tranquilli del solito.

Davanti alla tenda di Massimo era radunato un piccolo gruppo di soldati. Gli uomini andavano avanti ed indietro, scambiandosi poche parole, in attesa di avere notizie del loro amato Generale.
All'improvviso un uomo alto e distinto fece la sua comparsa e i legionari si fecero da parte, chinando la testa e mormorando: "Cesare."
Marco Aurelio entrò nella tenda e si diresse verso la parte più privata dell'alloggio. Massimo era a letto, sepolto sotto una pila di pellicce, la gamba sinistra avvolta dalle bende. Al suo fianco, seduto su uno sgabello, c'era Cicero. L'attendente si preparò ad alzarsi non appena scorse l'imperatore ma Marco Aurelio lo fermò con un gesto della mano. "Stai comodo, figliolo," disse a voce bassa. Poi si avvicinò al letto e chiese: "Nessun segno di risveglio?" Cicero scosse la testa tristemente e sospirò.
L'imperatore guardò meglio il giovane attendente, il cui viso era pallido e tirato e domandò: "Da quanto tempo non dormi e non mangi?"
Cicero scrollò le spalle e rispose: "Non lo so, signore: ho perso la nozione del tempo."
Marco Aurelio sorrise debolmente e disse: "Ho visto che la cucina ha appena sfornato dello stufato: va a prendertene una ciotola. Penserò io a stare di guardia."
Cicero nascose il suo stupore e con un inchino rispettoso, lasciò il suo sgabello all'imperatore e si allontanò.
Marco Aurelio si sistemò al fianco del letto e si chinò su Massimo, contemplando quei lineamenti forti e allo stesso tempo gentili che aveva imparato ad amare come e più di quelli di un figlio. Il Generale aveva gli occhi chiusi e sembrava semplicemente addormentato, ma il medico che aveva cauterizzato la ferita aveva detto che c'era la possibilità che non si risvegliasse mai più. L'imperatore rimase alcuni minuti con lo sguardo perso nel vuoto a pensare. Doveva esserci un modo per richiamare Massimo alla vita, non poteva lasciarlo scivolare nei Campi Elisi senza nemmeno lottare.
Lottare... ecco quella era la chiave. Marco Aurelio si chinò e scostò le stuoie che ricoprivano il terreno, mettendolo a nudo. Poi raccolse una manciata di terriccio e, prese le mani di Massimo, le strofinò tra le sue, imitando il gesto che gli aveva visto compiere innumerevoli volte prima di una battaglia. Dopodiché, tenendo le mani del ferito tra le sue gli disse con voce decisa. "Generale, ora sei pronto per combattere e io ti ordino di farlo! Non puoi lasciarti andare senza lottare, la tua vita è troppo preziosa. Cerca dentro di te, sicuramente c'è qualcosa per cui vale la pena combattere."
Massimo rimase immobile ma l'imperatore fu quasi certo di avere avvertito un movimento tra le mani.
"Forza Massimo," lo incoraggiò ancora, "svegliati e ti prometto che ti concederò tutto quello che vorrai."
La mano del ferito si mosse di nuovo poi le sue palpebre tremolarono e alla fine si aprirono. Marco Aurelio lasciò che un ampio sorriso gli si dipingesse sul volto e disse: "Ben tornato tra noi, Massimo."
Il Generale sbatté le palpebre alcune volte e poi fissò i suoi occhi azzurro-verdi in quelli dell'imperatore.
"Casa..." sussurrò con voce debole.
"Che cosa?" domandò Marco Aurelio.
"Voglio andare a casa." ripeté Massimo con voce leggermente più forte.
"Oh," commentò l'imperatore sorridendo, "ti stai riferendo alla ricompensa che ti ho promesso per vincere questa battaglia?"
Massimo annuì e Marco Aurelio gli sorrise di nuovo. "Allora rimettiti in fretta, amico mio, perché non appena sarai in grado di cavalcare ti attenderà un lungo viaggio. Credo che l'Hispania sia splendida in questo periodo dell'anno e sicuramente un gran miglioramento rispetto a questo posto da lupi."
Massimo sorrise e sussurrò: "Grazie Cesare," prima di chiudere gli occhi e ripiombare nel sonno.
"Grazie a te Massimo," mormorò l'imperatore, prima di alzarsi per andare a dare la buona notizia al resto dell'accampamento.

 

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