Herpes virus meccanismi di latenza e immunosoppressione
Citomegalovirus
I virus isolati da urine di pazienti non sono riconosciuti da sieri
iperimmuni o da Moabs prodotti contro ceppi di citomegalovirus propagati
serialmente in vitro.
Cio' e' dovuto al fatto che i CMV integrano nel loro tegumento
la ß2 microglobulina a partire dai fluidi organici.
1) La ß2 permette al CMV di infettare le cellule che esprimono
gli HLA classe I con conseguente internalizzazione
2) LA ß2 protegge il virus dal riconoscimento degli anticorpi
circolanti.
3) non essendo antigenica (fa parte degli HLA classe I come struttura
stabile) nel passaggio da un’individuo a un’altro (trapianti) non e'
riconosciuta come antigene estraneo, e percio' protegge il virus.
4) Nella fase di maturazione virale la proteina UL19 (il recettore
per la ß2) complessa in sede intracitoplasmatica gli HLA classe I
e ne impedisce il trasporto alla superficie cellulare.
5) il virus si lega alla ß2 perché codifica una proteina
virale tipo HLA classe I che emprime un epitopo (un'ansa di 6 A.A.) che
conserva la capacita' di legarsi alla ß2.
Herpes simplex
1) neurotropismo
2) neurolatenza
3) Durante le reinfezioni nono danneggia la cellula nervosa
4) non e' riconosciuto da sistema immunitario in modo efficacie.
neurotropismo
L'HSV1 integra nel proprio tegumento una citochina, il FGFb (fattore
di crescita per fibroblasti cellule endoteliali e cellule nervose). Lo
acquisisce al momento dell'infezione litica di cellule muco epiteliali
che lo esprimono in forma submembranaria. HSV1 induce un segnale di attivazione
biologica specifico dello FGFb nel momento in cui entra in contatto col
recettore della citochina e attraverso questo meccanismo il parassitaggio
delle attivita' biosintetiche della cellula infettata inizia gia'
nella fase di adesione.
Neurolatenza
Questo fenomeno e' condizionato da fattori virali e da fattori
cellulari. Dato che le cellule nervose sono cellule postmitotiche esse
sono sprovviste del fattore trascrizionale OCT-1 che si lega alla
proteina virale VP16 e forma un complesso di attivazione che si lega a
sequenze octameriche che sono a monte dei promotori dei geni precocissimi
(a). In assenza della trascrizione dei geni a, il genoma virale entra in
fase di latenza sotto forma di molecole circolari episomiali, di struttura
cromatinica endonucleari. Vi e' assenza totale di sintesi di proteine
virali, e la sola espressione stabile del genoma virale e' costituita
dalla presenza di due RNA non poliadenilati e non protetti (LAT), che non
sono trascritti e restano allo stato primario.
Le sequenze LAT e le sequenze IPCO situate sui siti opposti delle catene
di DNA, sono parzialmente complementari: le sequenze LAT potrebbero percio'
complessare ed inattivare le sequenze IPCO e favorire la latenza. Infine
il promotore della unita' di trascrizione LAT e' piu'
attivo nei neuroni.
Un fattore cellulare che potrebbe condizionare la fase di latenza e'
il NGF. In vitro infatti e' possibile ottenere la cultura di
neuroni dei gangli simpatici. L'infezione in vitro di queste cellule con
HSV1 provoca il ciclo litico. Se pero' l'infezione avviene in presenza
di NGF non si avra' infezione litica e assenza totale, stabile nel
tempo, di produzione virale. si toglie dal terreno di cultura il NGF o
se lo si blocca con MoAb specifici si osserva di nuovo produzione virale
e ciclo litico.
Reinfezione
in vivo in caso di recidiva il virus che dalle cellule nervose arriva
alla mucosa labiale e da origina un nuovo episodio infettivo, non provoca
la lisi dei neuroni che lo ospitano contrariamente a quanto avviene in
vitro. In vivo sembra che il virus migri lungo le vie nervose fino alla
placca neuromucosa sotto forma di acido nucleinico infettante sprovvisto
di proteine del tegumento.
Insensibilita' al sistema immunitario
Cellule citolitiche (NK e lak) che siano messe in contatto con cellule
infettate con HSV1 a partire dalla sedicesima ora sono paralizzate nella
loro citolisi non solo verso le cellule infettate ma anche verso cellule
tumorali sprovviste di HLA. E' necessario il contatto tra NK e cellule
infettate per indurre l'anergia. il fenomeno e' inibito trattando
le cellule infettate con la tunicamicina (un inibitore della glicosilazione).
Cio' suggerisce che l'anergia e' prodotta da una glicoproteina
virale.
rhinovirus
Appartengono ai picornavirus e ne esistono due classi di sierotipi
che comprendono piu' di 100 sottotipi. la classe piu' numerosa
(il 90% di tutti i sierotipi) riconosce come recettore la proteina
ICAM-1 .
La ICAM-1 e' una proteina di adesione intercellulare il cui controrecettore
é l'integrina LFA-1, che e' espressa da cellule linfoidi attivate
e da cellule citolitiche.
Il legame LFA-1/ICAM-1 e' il meccanismo di adesione che stabilizza
il contatto tra cellula citolitica e cellula bersaglio.
1) L'occupazione del sito icam-1 da parte del virus genera una competizione
di legame con le cellule citolitiche, il che porta a una protezione delle
cellule infettate.
2) Il sito recettoriale virale e' situato nel canyon la cui larghezza
massima e' di 25 armstrong, da cui impossibilita' di accesso
per le immunoglobuline anche allo stato di frammenti FABI.
3) La zona che circonda il canyon e' una struttura antigenica
ipervariabile che muta sotto la pressione selettiva immunitaria.
4) Durante il raffreddore si ha flogosi della mucosa nasale con
liberazione locale di citochine infiammatorie che provocano un aumento
di espressione di icam-1 sulle cellule epiteliali. il che porta a una ancor
piu' efficiente diffusione locale del virus.
Virus di Epstein Barr (EBV)
L'EBV e' un grosso herpes virus di 180 kb panendemico che e'
associato con una varieta' di patologie benigne o maligne.
L'infezione primaria puo' essere dimostrata in piu' del 90%
della popolazione mondiale.
Forme benigne: forme subcliniche o modeste di mononucleosi infettiva.
Piu' raramente provoca forme severe, questi pazienti hanno un rischio
di sviluppare leucemie o linfomi moltiplicato per 10.
Forme maligne: l'EBV 1) e' direttamente implicato
nello sviluppo del carcinoma nasofaringeo (CIna)
2) e' un cofattore nello sviluppo del linfoma di Burkitt (centroafrica)
3) e' implicato nel 50 dei linfomi di Hodgikin.
4) e' responsabile dei linfomi oligo o policlonali che si sviluppano
,in soggetti immunodepressi.
In vitro e in vivo l'EBV puo' immortalizzare linfociti B umani
in cui persiste allo stato latente come episoma endonucleare.
Recettori cellulari e virali
Il virus si lega attraverso la glicoproteina virale GP/220 alla molecola
CD21 che e' il recettore per il fattore C3d del complemento.
Per la penetrazione del virus e' necessaria una proteina fusogena
la GP 85 il cui controrecettore e' ancora sconosciuto.
IL CD21 e' espresso dai linfociti B da certi linfociti t e da
cellule epiteliali (nasofaringe, e vie genitali) che sono i bersagli principali
del virus. Le cellule epiteliali esprimono IL CD21 in funzione della fase
di differenziazione e potrebbero essere il serbatoio naturale
del virus che si replica soltanto in un piccolo numero di cellule.
Nonostante tutte le cellule B o pre-B posseggano il recettore solo una
minoranza di esse e' competente per l'azione trasformante del virus.
Esistono quindi fattori cellulari che determinano strettamente la sensibilita'
al virus.
Cellule B o pre-B fetali del midollo osseo sono sensibili al 60%
Cellule adulte B normali meno del 10% (0,1-10%) sono sensibili.
Cellule B o pre-B adulte del midollo osseo sono resistenti. Queste
cellule rispondono alla infezione virale con un numero limitato di repliche
cellulari (5) e con produzione di immunoglobuline.
Fasi della trasformazione virale
La quantita' di CD21 alla superficie non e' correlata colla
efficenza di trasformazione. Dopo la penetrazione del virus si osserva
1) un lento aumento del CA++ in un unica onda, 2) traslocazione e
attivazione della PKC, con 3) rapida alcalinizzazione del citosol, 4) fosforilazione
specifica e rapida di due proteine di 130-140 e 55-60 kd. Queste tappe
metaboliche precoci sono bloccate trattando le cellule infettate con EGTA
(blocco del flusso del Ca++) o con amiloride (inibitore della pompa Na+/K+).
Questo blocco della trasformazione non interferisce colla entrata
del virus o con la lettura di geni virali precoci a 18 ore dall'inizio
della infezione (EBNA-1 ,BKRF-1) . Solo la reintroduzione di Ca++ o di
Na+ puo' rilanciare il processo di trasformazione.
Nel 10% delle cellule si assiste quindi a trascrizione di geni virali
precoci (EBNA, LMP, BKRF1 a partire dalla decima ora), sintesi di
DNA cellulare (40h) e produzione e secrezione di immunoglobuline.
Nello 1% delle cellule puo' verificarsi immortalizzazione.
Nelle cellule trasformate il virus entra in una fase di infezione latente
con replica episomiale che e' sotto il controllo di un programma
virale specifico. Raramente in meno dell'1% delle cellule si ha ciclo litico
con espressione di geni virali tardivi tra cui l'IL-10 virale che ha un
azione immunodepressiva.
Papillomavirus
Sono picculi virus a DNA (55 nM) sprovvisti di peplos, e percio'
molto resistenti nell'ambiente esterno. Sono forniti di un DNA bicatenario
circolare ( 8000 pb).
Hanno uno spiccato tropismo per gli epiteli malpighiani e provocano
selettivamente patologie neoplastiche (benigne e/o maligne).
La replica virale e' possibile solo nelle cellule allo stadio
di differenziazione terminale.
La loro classificazione puo' essere fatta solo in genotipi e
non in sierotipi in quanto esiste un antigene comune a tutti i papilomavirus
umani o animali.
Fino ad oggi sono stati identificati piu' di 50 genotipi: si parla
di un nuovo genotipo quando l'isolato virale presenta meno del 50% di omologia
di sequenza con i genotipi gia' repertoriati.
I papillomavirus provocano soprattutto patologie cutanee (verruche),
o patologie dei tessuti della sfera anogenitale (condilomi, displasie epiteliali,
carcinomi).
I ceppi responsabili di patologie cutanee non sono coinvolti nello
sviluppo delle patologie anogenitali.Queste ultime devono percio'
essere considerate e trattate come malattie sessualmente trasmissibili.
I genotipi 6 e 11 (HPV6 e HPV11) sono isolati nel 90% dei condilomi
acuminati e nel 30% dei papillomi orali.
I genotipi HPV16, HPV18 sono isolati rispettivamente nel 50%
e nel 20% dei carcinomi anogenitali, mentre i genotipi HPV33, HPV31 e HPV11
sono isolati in un ulteriore 10% di questi carcinomi. L'HPV16 e'
stato anche isolato in rari casi di carcinomi orali, faringei o del polmone.
L'HPV16 E11 provocano una lesione istopatologica caratteristica definita
koilocitosi che corrisponde all'accumulo endocellulare del prodotto del
gene E4.
l'HPV16 e 18 provocano invece una lesione istopatologica definita di
tipo bowenoide caratterizzata da marcata atipia nucleare ed immagini di
carcinoma in situ. In tutte le linee cellulari derivate da questo tipo
di tumori si isolano i genotipi HPV 16 e 18. In vivo i ceppi HPV
6 e 11 sono sempre in forma episomiale.
Nelle lesioni precoci di tipo bowenoide e nei carcinomi in situ, l'HPV
16 e 18 sono presenti come forme episomiali mentre nei tumori primari la
presenza di forme integrate e' la regola.
Nelle linee cellulari i papillomavirus sono sempre in forma integrata.
L' HPV 6 e 11 in vivo sono sempre in fase di attiva replica virale
e sono percio' facilmente trasmissibili per via sessuale.
Mentre l'HPV 16 e 18 dato che spesso provocano il blocco della differenziazione
sono raramente in fase di attiva replica virale, cio' nonostante
la possibilita' di contagio sessuale esiste, in quanto sono stati
effettuati ripetuti isolamenti di uno stesso clonotipo sul pene di partner
sessuali.
meccanismi molecolari di trasformazione
La prima tappa e' quella del passaggio da forma episomiale a
forma integrata. Per integrarsi il genoma deve linearizzarsi e il punto
di rottura e' nel gene E2 che regola l'espressione dei geni E6 e
E7.
Nelle forme integrate quindi si osserva trascrizione incontrollata
e continua produzione nel tempo dei prodotti dei geni E6 e E7.
Il genoma dei papillomavirus contiene tre geni a potenziale azione
trasformante: E5, E6, E7. Schematizzando si puo' dire che:
E5 stimola la proliferazione cellulare
E6 blocca al differenziazione
E7 immortalizza
I prodotti dei geni E6 e E7 si complessano ai prodotti di due anti oncogeni
(P53 e RB). Si associano cioe' a delle proteine cellulari che normalmente
regolano funzioni cellulari, quali la proliferazione e la differenziazione
e ne bloccano l'azione.
Il prodotto del gene E5 mima l'azione di fattore di crescita (e'
attivo soprattutto in fibropapillomi).
La proteina E6 si lega alla P53, ne accelera la degradazione e ne blocca
l'attivita' di repressione che la P53 esercita sul promotore di geni
inducibili (che contengono una TATA box).
La P53 e' una fosfoproteina nucleare implicata nel controllo
della proliferazione della differenziazione e dell'apoptosi. Forme mutate
delle P53 sono un reperto frequente in molti tumori solidi.
La P53 normale regola la crescita cellulare e blocca l'azione di molti
oncogeni. Mentre le forme mutate stimolano queste funzioni.
Il complesso E6/P53 normale in vitro ha un azione trasformante
Il prodotto del gene E7 si lega al prodotto del gene cellulare RB.
RB e' un regolatore della proliferazione. In vivo la perdita,
o l'inattivazione del gene RB, e' legata alla insorgenza di retinoblastomi
o di tumori renali (sono patologie neoplastiche trasmesse su base genetica).
In vitro E7 attiva il gene E2 della regione E1A degli adenovirus e
puo' quindi aumentarne il potenziale trasformante.
Il gene E1A contiene due sequenze la 12S che collabora con RAS e la
13S che complessa RB.
In vitro il complesso E7/RB sregola la proliferazione e favorisce l'immortalizzazione
senza causare il blocco della differenziazione.
Se si aggiunge per trasfezione alla cellule portatrici del transgene
E7 un transgene E6 si osserva blocco della differenziazione e incremento
dei tassi di proliferazione.
E5 codifica per una piccola proteina di 7kd associata alla membrana,
che e' sufficiente da sola in vitro a provocare stabili alterazioni
della crescita e della morfologia cellulare. E5 e' il piu'
piccolo prodotto trasformante conosciuto, e' portatore di due siti
attivi: 1) un piccolo sito attivo di 7 amminoacidi e 2) una regione idrofobica
con un singolo residuo idrofilico, che si lega a una proteina di membrana.
Questo sito ha forti omologie di sequenza con il PDGF che e' un potente
fattore di crescita per fibroblasti e cellule epiteliali.
E5 interagisce con la catena ß del recettore del PDGF e ne mima
permanentemente il segnale di attivazione (tirosin fosforilazione del recettore)
il che scatena uno stimolo continuo della proliferazione.
L'azione di E5,E6, ed E7 sono importanti nelle fasi iniziali della
carcinogenesi in vivo, dato che questi geni sono ugualmente attivati in
linee cellulari a bassa malignita'.
Altri fattori sono percio' importanti nella progressione tumorale
in vivo: fattori ambientali, genetici, cellulari e interazioni con altri
agenti infettivi (HSV2,HIV, EBV).
Esempi animali di progressione multifattoriale nelle patologie
da HPV
conigli: 1) fattore genetico nella specie sylvilagus si ha 50% di regressione
mentre nella specie oryctolagus solo il 10%.
2) fattore ambientale la malattia si manifesta solo negli stati bagnati
dal missisipi.
carcinomi digestivi dei bovini: 1) fattore geografico Scozia e nord
dell'Inghilterra.
2) fattore ambientale ingestione di una felce tossica che provoca una
sindrome radiomimetica.
3) Fattore virale specifico solo Il genotipo BPV4 provoca epiteliomi
dell'intestino mentre i genotipi BPV 1 e 2 provocano tumori della vescica
Esempio umano evoluzione in carcinoma di papillomi cutanei (epidermodisplasia
bollosa verruciforme).
1) fattore genetico, e' una malattia a trasmissione autosomica
recessiva
2) immunodepressione in quanto si verifica una papillomatosi multipla
provocata cioe' dalla infezione di piu' genotipi
3) fattore ambientale la progressione tumorale si manifesta nelle zone
cutanee esposte alla luce solare.
4) fattore virale specifico l'evoluzione tumorale si manifesta solo
nei papillomi provocati da HPV5 e HPV8 e dopo esposizione alla luce solare.