PRIMO LONGOBARDO
Medaglia d'oro al valor militare
A cura di Andrea MILO
Motivazione della Medaglia d'Oro
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"Ufficiale Superiore animato
di purissima fede e ardente passione patriottica, sollecitava più volte ed
otteneva infine di riprendere il comando di sommergibile oceanico che aveva
dovuto lasciare per altro incarico direttivo a terra. |
Longobardo nacque a La Maddalena il 19 ottobre 1901, da Vincenzo ed Ersilia Culiolo; entrato in Marina giovanissimo, dopo gli anni di accademia e gli imbarchi prima sul Vespucci e poi sul Da Recco, nel 1929 fu destinato a Tienstin sul Caboto quale vice comandante del battaglione italiano in Cina. Fu qui che tra gli uomini dei contingenti internazionali che mantenevano la pace in Cina, conobbe l’ufficiale inglese J. S. Dalison col quale strinse rapporti di fraterna amicizia; questi, fatalmente, sarebbe stato poi il nemico della sua ultima battaglia. Ma la grande passione di Longobardo furono i mezzi subaquei; imbarcato su i F.lli Bandiera, nel 1936 passò poi sul Galileo, di seguito sul Calvi, sull’Otaria, il Dessiè, l’Alagi e l’Adua, poi sul Bragadin, l’Ametista, il Capponi, il Mameli, il Toti ed infine sullo Jalea. La sua conoscenza dei diversi tipi di sommergibile era completa e l’esperienza acquisita nei lunghi anni di navigazione sui mezzi subacquei avevano fatto di lui un vero comandante; non c’era sommergibilista che non lo conoscesse.
Nel 1941, ormai quarantenne, fu
destinato alla scuola sommergibili di Pola, incarico di grande prestigio, ma pur
sempre un incarico a terra. Era iniziata la guerra e i nostri mezzi subacquei
erano già in piena attività in Atlantico; in Italia, sia pur gonfiate dalla
propaganda, arrivavano le notizie di imprese eroiche che acuivano la sua
insofferenza. Il suo comando a terra, oltre a farlo sentire tagliato fuori dalla
vita sul mare, gli dava il rimpianto di non poter dare alla Patria tutto se
stesso e non si dette pace fintanto che non riuscì, malgrado l’età’, ad avere un
imbarco. In Atlantico c’è gloria per tutti, diceva, ed ottenuto il comando del
Torelli diede subito prova delle sue capacità sperimentando una nuova ardita
tattica di attacco in superficie con la quale coglieva il nemico di sorpresa
infliggendo gravi perdite ai mezzi di scorta ed ai convogli. Nel giro di poco
tempo aveva già affondato quattro navi, ma ben presto l’esigenza di impiegare
nei comandi di unità subacquee giovani ufficiali e la necessità di avere ai
vertici uomini di grande esperienza determinò il suo richiamo a Roma alle
dirette dipendenze del comandante in capo della squadra sommergibili.
Cominciò per lui un’altro
periodo di insofferenze; la sua vita era sul mare ed era lì che lui voleva a
tutti i costi tornare. Pochi pensavano che potesse riuscirci poiché i giovani
ufficiali erano certamente più idonei a sostenere il notevole impegno fisico
necessario per il comando di un sommergibile in attività di guerra. Infine
l’ebbe vinta; in un momento in cui si era a corto di ufficiali la sua domanda fu
accettata. Raggiunta la base di Betasom a Bordeaux gli fu affidato il comando
del Calvi col quale si diresse in Atlantico per intercettare un convoglio
inglese scortato da cinque corvette.
Sognava di ritornare da quella
missione con molte bandierine azzurre e rosse issate sulla cima del periscopio.
Le rosse indicavano l’affondamento di navi da carico, le azzurre più rare ma più
gloriose, la distruzione di navi da guerra. La palma, come scrive Luigi Rinaldi
era “... fino a quel momento tenuta dal capitano Carlo Fecia di Cossato,
soprannominato <L’affondatore>, insonne ed implacabile comandante del
gloriosissimo Tazzoli”.
Avvistato il convoglio nemico
fra Madera e le Azzorre, Longobardo fu subito intercettato dalla silurante
britannica “”Lulworth” che
costrinse il Calvi, ormai scoperto, ad una rapida immersione; ma la “Lulworth”,
dotata di moderni mezzi tecnologici per l’individuazione delle unità in
immersione, diresse contro il nostro sommergibile due salve di bombe di
profondità che causarono danni irreparabili.
Longobardo, deciso a non morire
sul fondo senza aver dato battaglia ordinò immediatamente l’emersione; il suo
mezzo, malgrado le grandi avarie, era uno dei più bei sommergibili italiani
armato di due cannoni da 120, quattro mitragliatrici e otto tubi di lancio.
Non appena emersa l’unità
nemica lo fece subito segno al tiro della sua artiglieria mentre i bengala e i
riflettori illuminavano il mare rendendo vano ogni tentativo di sfuggire
all’attacco.
Più volte la nave britannica
tentò lo speronamento, ma Longobardo, perfettamente padrone del suo mezzo,
riuscì ogni volta a manovrare e ad evitare il contatto.
Mentre il tiro della nave
nemica falciava gli uomini che si alternavano ai pezzi, Longobardo fece un
ultimo tentativo con il lancio di due siluri che la “Lulwort” riuscì ad evitare. Vistosi perduto,
ordinò che il sommergibile fosse predisposto per l’auto affondamento e subito
dopo cadde anch’egli colpito da una raffica. Il suo ufficiale di rotta, Capitano
Aristide Russo, che aveva assunto il comando, accortosi dell’avvicinarsi di un
battello nemico messo in mare con l’evidente intenzione di catturare l’unità
ormai priva di equipaggio, aiutato nell’operazione dal secondo capo silurista
Pietro Bini, né accellerò l’autoaffondamento ordinando agli uomini l’abbandono
della nave. La scialuppa inglese riuscì tuttavia ad abbordare la nostra unità e
il tenente di vascello North, già salito a Bordo nell’estremo tentativo di
salvarla scomparve con esse.
Mentre il Calvi scendeva negli
abissi ed il battello inglese si apprestava a raccogliere i superstiti apparve
sulla scena dello scontro il sommergibile tedesco U130. La “Lulwort” , dopo aver
evitato un siluro, si lanciò all’inseguimento dell’unità nemica abbandonando
così i naufraghi e la scialuppa sulla quale stavano per essere raccolti. Fallito
l’inseguimento, la “lulwort” , fece ritorno dopo quattro ore per riprendere i
suoi uomini e raccogliere i naufraghi del Calvi. La notizia era frattanto
rimbalzata via radio sull’unità capo flottiglia “Londonderry” sulla quale
vennero poi trasbordati i superstiti. I nostri marinai, subito interrogati,
dichiararono il nome della loro unità e quello del suo comandante; furono
trattati con estrema cortesia dal comandante della “Lulwort”, che appariva
profondamente turbato; egli offrì agli uomini da fumare aprendo un
portasigarette d’argento all’interno del quale era inciso “Con fraterna amicizia
Primo Longobardo”.
Si trattava dell’ufficiale
inglese J.S. Dalison che tanti anni prima, nella lontana Cina, aveva ricevuto in
dono da Longobardo quel prezioso portasigarette. Avuta conferma dell’espressione
quasi incredula dei marinai italiani, che alla vista di quel portasigarette
erano impalliditi, di aver combattuto quella battaglia contro il suo amico di un
tempo, ripose il portasigarette e voltò lentamente le spalle ai nostri uomini
per nascondere loro i suoi occhi lucidi di pianto.
L’epilogo fatale della storia di questi due nobili uomini
di mare, amici in pace e nemici in guerra, avrà la sua conclusione in Canada,
nel 1949, nei pressi di Renfrew.
Il comandante Dalison portava
ancora con se, quasi come un talismano, il dono di Longobardo, un oggetto dal
quale non aveva mai voluto separarsi ed al quale erano legati i suoi più cari
ricordi. Durante una partita di pesca il prezioso portasigarette gli sfuggi di
mano e scomparve nelle acque limacciose del lago. Dalison rimase profondamente
scosso da quella perdita, con il volto teso lasciò i compagni di pesca e ripartì
alla guida della sua automobile. Fu ritrovato qualche ora dopo con l’auto
schiantata contro un albero.