Omeopatia Veterinaria – 2

 

Oltre a raccontare le origini dell’omeopatia ed a spiegare come il sottoscritto ne è venuto per la prima volta a diretta conoscenza, nel precedente articolo ho lanciato alcuni sassi nello stagno.

Il primo di questi era relativo all’evidente efficacia di questo tipo di medicina, ma da scettico di natura capisco benissimo quanto sia difficile, per chi è totalmente digiuno della materia, accettare passivamente queste mie parole.

Non ho la presunzione di convincere nessuno del fatto che l’omeopatia funziona, ma mi piacerebbe insinuare almeno il germe del dubbio in quanti, per fidarsi di una terapia, hanno finora avuto bisogno di un preciso meccanismo d’azione.

L’unica maniera di convincersene è…provare, esattamente come ho fatto io.

Il secondo sasso riguardava l’assoluta necessità di una diagnosi clinica estremamente accurata, formulata prima di pensare a qualunque terapia.

Cominciamo da qui.

Parlando di omeopatia con amici, conoscenti, o comunque con persone non ferrate sull’argomento, mi capita spesso di sentire pareri del tutto errati.

E’ purtroppo radicato nella mentalità della maggior parte della gente il fatto che la prescrizione omeopatica sia basata solo ed unicamente sul rilievo di un sintomo.

Se fosse vero, una visita omeopatica si potrebbe fare anche per telefono.

Ricordo invece che le prime due cose che mi insegnarono al corso al quale mi iscrissi furono che:

 

a)     l’omeopatia non può prescindere dalla formulazione di una diagnosi clinica;

b)     non è assolutamente la cura di qualsiasi malattia.

 

Sapendo questo e mettendolo in pratica, avremo la certezza di poter lavorare davvero “in scienza e coscienza”, scegliendo di volta in volta la terapia che più delle altre, secondo noi, porterà giovamento al nostro paziente.

Mi piace infatti considerare le varie materie mediche (i volumi che racchiudono le descrizioni dei rimedi omeopatici) alla stregua di un secondo Informatore Farmaceutico.

Ritengo che la differenza fra un medico esperto in omeopatia ed uno che la rifiuta a priori sia che il primo può scegliere fra un maggior numero di alternative terapeutiche rispetto al secondo.

Ma in pratica, come fa il proprietario di un cane a decidere di far beneficiare di queste maggiori possibilità il suo amico peloso?

Semplice: va da un veterinario esperto di omeopatia.

Ma questa non può essere altro che una battuta, perché il problema non è assolutamente di facile soluzione.

In Italia, infatti, pur essendo stata legalmente riconosciuta come “atto medico”, la pratica omeopatica non è ancora annoverata fra le possibili specializzazioni: in campo veterinario, esattamente come in campo umano, la prescrizione di un medicinale omeopatico è assolutamente libera, come libera è la sua vendita in farmacia.

Partendo da questi presupposti è facile intuire la confusione nella quale si trova chi ricerca esperti del settore, i quali, al di là della comunicazione strettamente verbale fra professionista e cliente, non possono legalmente far nulla per informare la clientela riguardo alle pratiche terapeutiche che adottano.

Il tutto si riduce al passaparola, oppure al consiglio di quei pochi veterinari che, pur  non essendo esperti in questo campo, ne rispettano la dignità ed indirizzano verso un collega che pratica questa disciplina i clienti che manifestano questo desiderio.

Nel contempo, la libera vendita di questi farmaci viene incentivata da rotocalchi che titolano: “Curatevi con l’omeopatia, ecco la cura per il mal di pancia, l’artrosi ed il raffreddore”.

Va da sé che, in una disciplina così complicata e così strettamente legata al singolo individuo, è piuttosto difficile che una terapia letta sulle pagine di un giornale abbia una qualche efficacia: e fra queste esperienze negative i detrattori dell’omeopatia vanno chiaramente a nozze.

Per questo motivo eviterò, in questi miei articoli, di citare diluizioni e posologia dei rimedi omeopatici che nominerò: al di là di alcuni collaudati protocolli, da adattare sempre e comunque al soggetto da trattare, un farmaco omeopatico con grande efficacia, per esempio, sulla tonsillite del mio cane, difficilmente avrà la medesima azione terapeutica sulla medesima patologia a carico di un altro cane.

Ma vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Come si arriva ad una prescrizione?

Abbiamo già detto e ripetuto che innanzitutto bisogna visitare l’animale; a questo punto, in base ai dati raccolti e quindi in seguito alla formulazione di una diagnosi clinica, si decide se il caso va trattato in maniera convenzionale oppure con l’omeopatia.

Se il veterinario sceglie quest’ultima strada, ora e solo ora può cominciare la visita omeopatica. Questa è volta alla comprensione della natura dell’animale ed annovera, fra le altre, anche domande alle quali molti proprietari faticano a dare una risposta, semplicemente perché non sono preparati a darla.

Il limite dell’omeopatia veterinaria è proprio qui: c’è un filtro fra il medico ed il paziente, rappresentato dal proprietario.

Ed è il filtro stesso, spesso inconsapevolmente influenzato dalle proprie opinioni, a dover fornire all’omeopata le indicazioni che porteranno ad una tipizzazione dell’animale.

Faccio un esempio pratico: alcuni rimedi omeopatici hanno nella loro patogenesi (ovvero: causano, se somministrati a dosi ponderali) determinati stati d’animo.

Uno di questi è il gradire o meno la pioggia.

Se un omeopata umano chiede ad un suo paziente se ami uscire nelle giornate di pioggia, riceverà una risposta il più delle volte chiara. Per un omeopata veterinario non è sempre così, perché il “sì” od il “no” verranno probabilmente influenzati dal gradimento che il proprietario del cane (e non il cane, che è il paziente!) ha riguardo alle giornate piovose.

Capirete che, salvo il caso di trovarsi di fronte ad un proprietario che a sua volta ricorre ad un omeopata per i suoi malanni, spesso il cosiddetto “interrogatorio omeopatico” è per noi veterinari cosa assai ardua.

Ammesso e non concesso di aver individuato la tipologia dell’animale, a questo punto il perfetto veterinario omeopata ha già in mente quali rimedi sono indicati per il suo paziente; fra questi sceglie quello che più si avvicina ai sintomi fisici e psichici che l’animale presenta, decide la “potenza”, ovvero la diluizione del rimedio, e ne stabilisce la posologia.

Ecco, oltre a non essere il perfetto veterinario omeopata, io sarò magari anche un pessimista…ma solo di rado mi capita di trovarmi di fronte a casi tanto semplici e logici da avere l’immediata ispirazione per la prescrizione di un solo rimedio.

Mi spiego meglio: l’omeopatia classica prevede l’individuazione e quindi la prescrizione di un solo rimedio alla volta, seguita dall’osservazione delle reazioni del paziente alla terapia.

Se questo è già molto difficile in medicina umana, risulta quasi impossibile in veterinaria, perché il livello di approfondimento dell’”interrogatorio” è per forza di cose decisamente inferiore, soprattutto dal lato mentale.

E’ infatti piuttosto difficile riuscire a capire se un labrador sogna barboncine nude o giganteschi piatti di tagliatelle.

E’ uso corrente dire che l’omeopatia è unicista per definizione, pluralista per necessità e complessista per disperazione.

Non è così in maniera assoluta, ma nella comune pratica clinica capita solo di rado il caso del perfetto omeopata appena descritto.

La maggior parte delle volte la scelta cadrà su una prescrizione pluralista, che comprende generalmente un rimedio “di fondo”, volto a riequilibrare il “terreno” dell’animale, unito ad un secondo, scelto fra quelli che rispecchiano la sintomatologia presentata dal paziente.

Le prescrizioni complessiste, più frequentemente usate nel trattamento delle patologie acute, non sono altro che mix di rimedi a diluizione variabile, uniti fra loro per determinare una sorta di sinergismo d’azione. Vengono scelte in base alla sintomatologia e personalmente le considero valide solo quando non ci sono il tempo o l’occasione per un approfondimento del caso.

Un consiglio per quanti decideranno un giorno di portare da un veterinario omeopata il loro cane: siate pronti a tutto!

Le domande che vengono poste non sono mai le stesse e molto spesso potranno risultare strane, a volte quasi assurde, alle orecchie di chi è stato finora abituato al veder seguire da una ricetta una visita clinica.

Non è così. Bisogna armarsi di santa pazienza e cercare di aiutare il professionista nel suo tentativo di capire fino in fondo “che tipo è” il vostro cane…possibilmente senza chiamare il reparto psichiatrico prima che questi abbia concluso la visita.