IL LAGOTTO

A cura di Denis Ferretti

 
E' una razza di origine italiana e più precisamente romagnola, classificata dalla Federazione Cinologica Internazionale nell'ottavo gruppo, quello che racchiude tutti i cani da riporto, cerca e da acqua, alla terza sezione, dedicata appunto ai cani da acqua.

Le origini

Lo standard è recentissimo, approvato definitivamente dal Consiglio Direttivo Nazionale dell'Enci il 25 Febbraio 1993, ma le origini sono ben più antiche. Esse vanno ricercate nel Barbet, e, ancora prima, nel Canis Aquaticus, già presente nella classificazione di Linneo, frutto dell'incrocio di segugi con cani da pastore. L'obiettivo di quest'incrocio fu quello di ottenere un cane da caccia specializzato nel recupero della selvaggina abbattuta, con mantello abbondante che lo rendesse insensibile al freddo, dotato di istinto per il riporto e con un alto grado di addestrabilità. E' comprovato che il lagotto esisteva già nel XVI secolo. Nel secolo successivo questi cani divennero molto popolari in Francia e, soprattutto, nell'Italia settentrionale, dal Piemonte alla Romagna, assumendo in ogni zona nomi e nomignoli differenti: chien caniche, barbet, barbichon (diminutivo di barbet da cui bichon), barboncino, barbone (molti testi del secolo parlavano di "barbone italiano"). Il termine "Lagotto" deriva dal dialetto romagnolo "can lagòt", il nome attribuito dai "vallaroli" di Comacchio e delle Lagune ravennate al cane comunemente usato nella caccia in acqua (riporto). Il suo compito era quello di cercare la selvaggina abbattuta tuffandosi in acqua per raggiungerla e riportarla. Il suo mantello folto e ricco di sottopelo lo facilitava nel lavoro compiuto nelle acque più gelide. Anche nei giorni più freddi, il lagotto era in grado di nuotare per ore, facendo tratti sott'acqua e rompendo lastre di ghiaccio per riportare la selvaggina alla barca. Il suo finissimo olfatto unito al suo istinto per il riporto, gli hanno però permesso di svolgere anche altri compiti nei periodi in cui non si cacciava. La seconda attività ampiamente diffusa tra i vallaroli era quella della ricerca dei tartufi, nella quale il lagotto romagnolo si distinse dimostrandosi il più efficace tra tutte le altre razze presenti nella zona. Il suo pelo fittissimo idrorepellente lo rende ideale nella ricerca fra i rovi del sottobosco, dove il tartufo trova il suo habitat ottimale. Quando, alla fine del XIX secolo, gran parte dei territori paludosi romagnoli fu bonificata, la funzione originaria di cani da riporto in acqua andò gradualmente in declino, e il lagotto divenne l'unica razza al mondo specializzata nella ricerca dei tartufi. Questo cambiamento di funzioni si fa risalire alla metà dell'800, e si ritiene che in Romagna, nel periodo tra le due grandi guerre, pressoché tutti i cani impiegati nella ricerca dei tartufi, fossero lagotti. Fu sempre in questi anni, però, che aumentò la propensione dei tartufai a ricercare il "cane ideale" per il lavoro; lagotto o no, bastava che trovasse il tartufo. L'allevamento prese quindi un orientamento prettamente utilitaristico e gli accoppiamenti con razze diverse, che nei decenni di utilizzo del lagotto come cane da riporto erano solo episodi sporadici, divennero la norma. Per ottenere cani adatti alla ricerca del tartufo, il lagotto fu incrociato con numerose altre razze, nell'eterna ricerca della combinazione migliore. Il mondo dei tartufai è un mondo imperniato su tradizioni, gelosie e segreti di famiglia. In fatto di cani, spesso ogni tartufaio vuole avere la propria "ricetta" personale e sogna utopisticamente di poter incontrare un giorno il cane sopra alla norma per poter superare i concorrenti. Questo ha portato a sperimentare di volta in volta nuovi incroci, immettendo sangue di pointer, barboni, setter, spinoni, épagneul breton, segugi e bastardini. Verso la fine degli anni 70 il lagotto era in una situazione di grande disomogeneità e sull'orlo dell'estinzione. Il recupero è iniziato verso la fine degli anni settanta ed è stato possibile solo con un durissimo lavoro di selezione, operando spesso in stretta consanguineità; ma fondamentale fu pure la crescente apertura mentale dei tartufai, che finalmente si resero conto che i risultati migliori si ottengono con la selezione all'interno della stessa razza, e che il lagotto è indubbiamente superiore a ogni altra razza in questo particolare compito. Fu così che alcuni appassionati allevatori e tartufai romagnoli riuscirono a recuperare l'antica razza, salvandola in extremis e iniziando una vera opera di ricostruzione seria e mirata. Furono organizzati incontri e raduni. Furono scelti i cani che meglio rispondevano alle caratteristiche di razza, fotografati, misurati, tatuati e registrati, iniziando ad allevare un tipo di cane ben definito. Le caratteristiche fisiche selezionate sono tutte in funzione del lavoro. La taglia medio-piccola è il compromesso ideale tra agilità, resistenza e moderazione nelle esigenze alimentari. Il mantello ricciuto e abbondante, che comunque viene tosato, garantisce protezione dai rovi e ben si adatta al clima delle regioni dell'Italia settentrionale. L'orecchio pendente, come nelle razze da caccia, facilita la percezione olfattiva, creando un microclima isolato intorno al naso e favorendo una maggior concentrazione sulle emanazioni sul terreno. Oggi il lagotto è tornato ad essere una razza pura, ed avendo addirittura migliorato le sue capacità di cercatore per merito selezione sia morfologica che attitudinale, sta gradualmente conquistando le simpatie dei tartufai, che sempre più spesso lo preferiscono rispetto ad altre razze o a meticci.

Il lavoro

E' del tutto logico che siano stati i cani da riporto a dimostrarsi i più abili nella ricerca del tartufo. L'istinto al riporto è fondamentale per questo lavoro e l'addestramento è completamente imperniato su questa passione . Il cane impara a riportare la palla o altri oggetti divertendosi un mondo. Poi, l'addestratore rende il gioco ancora più divertente: dapprima insegna al cane a rimanere fermo e a partire per la ricerca del riportello solo dopo un certo periodo di tempo dal lancio dello stesso. Poi, passa a nascondere il riportello e farlo cercare al cane e man mano che l'abilità aumenta sceglie nascondigli sempre più difficili, fino ad arrivare a sotterrare il riportello. Alcuni utilizzano riportelli impregnati dell'odore del tartufo (ad esempio una pallina da tennis in cui si è fatto un buco e si è introdotto un pezzo di tartufo). Altri utilizzano svariati oggetti perché il cane si abitui a cercare di tutto, per poi passare al tartufo. Molti adoperano uno straccio di lana con cui avvolgono un pezzetto di tartufo, per poi lanciarlo e farlo riportare dal cane. In un secondo tempo, si sotterrerà l'involucro e l'addestratore fingerà di lanciarlo per farlo cercare dal cane, che per riportarlo dovrà scavare. Quando il lavoro è svolto correttamente il cane viene premiato, per rafforzare ancora di più la passione al lavoro. In passato, in tempi di ristrettezze economiche, il premio consisteva, generalmente, in un pezzo di pane. Oggi si usano bocconcini prelibati a base di carne o formaggio. Ma anche il gioco o le carezze sono ricompense gradite dal cane: il tartufaio che istruisce il cane deve, innanzitutto, volergli un gran bene, e per questo sarà sicuramente contraccambiato. Alcuni tartufai danno da mangiare tartufi ai propri cani, soprattutto in giovane età, affinché si abituino a riconoscerne odore e sapore. Ma molti altri non lo danno mai: in terreni sabbiosi se il tartufo è poco profondo, il cane potrebbe trovarlo e mangiarlo prima dell'arrivo del tartufaio. Molti abituano invece il cane a riportare il tartufo senza rovinarlo; così facendo non si dovrà pedinare il cane, avendo la certezza che il tartufo trovato verrà riportato. L'addestramento del cane da tartufo inizia in età molto precoce e si conclude anche dopo i due anni. Le femmine sono di regola più precoci e possono dare ottimi risultati già a due anni, mentre con i maschi si deve aspettare circa un anno in più. Quando il cane, a sèguito degli esercizi sopraddescritti, avrà imparato a ritrovare gli oggetti e il cibo nascosti, lo si potrà finalmente portare sulle tartufaie naturali, magari insieme ad un cane già istruito affinché impari anche osservando i suoi simili. In alcuni casi i tartufai sono stati presi di mira dagli animalisti e accusati di addestramenti coercitivi e di maltrattamenti, tra cui la prassi di lasciare il cane senza cibo per diversi giorni affinché, spinto dalla fame cerchi il tartufo più assiduamente. Chi si comporta così, non è un tartufaio, ma solo un ignorante che non ha capito niente dell'addestramento alla ricerca e avrà sempre risultati mediocri dai propri cani. Purtroppo ci sono stati e ci sono ancora tartufai improvvisati, che sperano di fare fortuna con quest'occupazione a volte molto redditizia, e intraprendono addestramenti basati su queste credenze e "voci" di popolo, che si conducono spesso a risultati fallimentari in fatto di raccolte. I veri tartufai sanno bene che non è la "fame di tartufo" che invoglia il cane alla ricerca. Il cane ricerca il tartufo solo per gioco, come i nostri cani da salotto cercano la palla sotto il divano, come i cani antidroga ricercano le sostanze stupefacenti e i cani da soccorso e da catastrofe ricercano le persone disperse. Tutt'al più si può far leva sul maggior desiderio del cane di ricevere ricompense mangerecce se questi ha fame, ma non bisogna dimenticare nemmeno che un cane dà il meglio di sé stesso quando è sano, in piena forza fisica e ben alimentato.

Il carattere

Alla stessa stregua del suo aspetto fisico, ogni singola sfumatura del carattere del lagotto è finalizzata a un maggior rendimento nell'attività di ricerca. L'istinto per il riporto è una componente imprescindibile. Ma ci sono anche altre qualità che danno al lagotto quel qualcosa in più che lo rende migliore di tutte le altre razze da lavoro e non. Per prima cosa, l'assoluta mancanza di istinti predatori. Il lagotto, a differenza dei cani da caccia, non viene distratto dal proprio lavoro, per il passaggio di una lepre, o l'emanazione di un fagiano o altra selvaggina. Rispetto ai cani da guardia o da pastore, presenta invece il vantaggio di non avere aggressività alcuna nei confronti dei propri simili. Non sono ossessionati dal dover marcare il territorio e per questo non sono distratti da segnali olfattivi lasciati da altri cani; nemmeno sono interessati ad attaccar briga con i loro simili, se ne dovessero percepire la vicinanza durante l'attività di ricerca. La scarsa propensione all'abbaio è molto importante, in quanto il lavoro deve essere svolto in silenzio, per non rivelare ad altri la zona in cui si sta cercando.

Il lagotto in famiglia

La graduale eliminazione selettiva di ogni istinto di caccia e di guardia ha reso il lagotto particolarmente adatto al ruolo di cane da compagnia e da famiglia. E' il cane che ci segue tranquillamente nelle passeggiate, senza scappare alla ricerca di eventuali "prede" né creandoci problemi di aggressività nei confronti di persone o altri cani per la difesa del territorio. E' altresì un compagno ideale per i bambini. Robusto quanto basta per sopportare i giochi dei più piccoli, è sempre ben disposto verso chiunque, uomini, cani, animali. Vivace ma non maldestro, il lagotto è molto legato al padrone, ma sa anche starsene tranquillo quando questi è assente. Un altra caratteristica che può rivelarsi preziosa è la particolare consistenza del pelo. Il lagotto è praticamente esente da muta. Il sottopelo rimane aggrovigliato al pelo di copertura. Se non viene rimosso, facilmente infeltrisce. Questo può essere evitato tosando il cane due volte all'anno, all'inizio e alla fine dell'estate. Il pelo può essere tagliato anche molto corto. Molti lo lasciano un po' più lungo su testa e muso, ma sempre lasciando ben visibili gli occhi del cane. Ad ogni modo, la tosatura tradizionale del lagotto lascia un aspetto molto più "naturale" rispetto al barbone. Niente pon pon, niente zone rasate, solo un accorciatura regolare e uniforme all'insegna della massima funzionalità. La cura del mantello, infatti, non è particolarmente impegnativa. Pettinature o spazzolate sono spesso superflue. Basterà controllare di tanto in tanto il pelo intorno alle orecchie, che, in tutte le razze a pelo lungo, è più soggetto all'infeltrimento. Consigliabile, invece rimuovere il pelo che frequentemente cresce all'interno degli orecchi, costituendo l' habitat ideale per i parassiti. Il lagotto è una razza robusta. Non si segnalano malattie ereditarie particolari, mentre si può segnalare una longevità superiore alla media: non di rado raggiungono e superano i 16 anni di età.

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