Il primo dopoguerra e l’avvento del Fascismo 

In Italia, il ritorno alla pace fu reso più difficile da numerosi problemi: uno di questi consisteva nel malcontento per l’esito dei trattati di pace che, contrariamente agli accordi del patto di Londra, non avevano portato all’Italia la Dalmazia e la città di Fiume. Anche il tentativo dello scrittore e poeta Gabriele D’Annunzio che, in nome del più convinto nazionalismo, aveva occupato con alcuni volontari, in modo del tutto arbitrario, la città di Fiume, aveva dimostrato che lo Stato italiano era troppo debole per imporre con chiarezza la propria linea politica. Questa situazione aveva diffuso l’opinione che per l’Italia si fosse trattato di una "vittoria mutilata".Inoltre la crisi economica che aveva investito il paese aveva contribuito a ingenerare il grave fenomeno dell’inflazione; i reduci della guerra non riuscivano e trovare un posto di lavoro; i contadini e i braccianti non avevano ottenuto la terra come era stato loro promesso; gli operai chiedevano la riduzione a otto ore della giornata lavorativa; la disoccupazione minacciava molti strati della popolazione poiché la ripresa industriale stentava a decollare. A seguito di questa situazione, gli anni compresi tra il 1919 e il 1921, furono definiti "biennio rosso", perché dominati dalla propaganda della Sinistra che, attraverso i consigli di fabbrica, e le manifestazioni che inneggiavano alla forza della classe lavoratrice, proponeva una serie di cambiamenti come quelli avvenuti in Russia. La classe dirigente era preoccupata da questo "pericolo rosso", che però non si rivelò mai troppo incisivo a causa della spaccatura della Sinistra: infatti il maggiore partito della Sinistra, il Partito Socialista, fondato da Filippo Turati nel 1892, era diviso nelle sue posizioni tra riformisti – che richiedevano il cambiamento attraverso una politica di riforme - e massimalisti – che richiedevano più immediati cambiamenti e in tempi più brevi. Infine dallo stesso Partito Socialista si distaccò, nel 1921, per iniziativa di Antonio Gramsci, il Partito Comunista Italiano.

Nelle elezioni del 1919 svoltesi con il sistema proporzionale - in base al quale il numero dei seggi venivano distribuiti proporzionatamente tra i partiti che avevano ricevuto il più alto numero di voti - i seggi in Parlamento andarono, oltre che al Partito Socialista e a quello Comunista, anche al Partito Popolare, fondato nello stesso 1919 da un sacerdote siciliano, Luigi Sturzo che raccoglieva i voti dei cattolici ufficialmente tornati ad occuparsi di politica e a riconoscersi in un unico partito. Infine, 35 seggi andarono ai Fasci italiani di combattimento, fondati da Benito Mussolini nel 1919, destinati a diventare, nel 1921,  il Partito Nazionale Fascista.

L’incertezza politica del momento consentì l’affermazione del Fascismo: il Movimento nacque a Milano nel 1919 e si caratterizzava per l’assenza di un’ideologia chiara e coerente e per la straordinaria violenza con cui vere e proprie squadre di combattimento attaccavano gli operai che scioperavano per i loro diritti, o distruggevano le sedi dei lavoratori. La loro azione non venne subito fermata perché considerata dalle classi borghesi, che temevano la reazione degli operai, come un mezzo per fermare i continui scioperi e le numerose manifestazioni. Infatti in un primo tempo l’azione delle squadracce venne considerata la manifestazione transitoria di irrequietudine giovanile. Il programma dei Fasci di combattimento prevedeva l’istituzione di un governo repubblicano, il suffragio universale con il voto alle donne e agli elettori dai 18 anni di età, la giornata lavorativa a otto ore, i minimi salariali, Con queste premesse il capo dei Fasci, Mussolini, il successivo 28 ottobre 1922 organizzò la cosiddetta "marcia su Roma" con cui le squadre fasciste provenienti da tutta Italia si ritrovarono nella capitale. Il re rinunciò a mandare contro Mussolini l’esercito ma gli diede invece l’incarico di formare un governo. Da subito il nuovo capo del governo poteva contare sull’aiuto delle classi borghesi e degli industriali, ma di fatto il governo da lui istituito divenne espressione del solo Partito Fascista, come erano stati ribattezzati i Fasci di combattimento.

Nelle elezioni del 1924 il successo del Partito Fascista fu schiacciante. Il deputato socialista, Matteotti, che ebbe il coraggio di denunciare in Parlamento i brogli elettorali, le minacce, le violenze e le intimidazioni delle squadre di cui ancora Mussolini si serviva, durante la campagna elettorale, venne rapito e poi trovato ucciso. All’annuncio in Parlamento dell’omicidio di Matteotti, Mussolini ammise le responsabilità sue e del Partito Fascista, ma si disse convinto di tali violenze per l’affermazione del nuovo governo. Ormai era la prova che le istituzioni non avevano più alcuna autorità.

Tra il 1925 e il 1926 il governo varò le prime limitazioni delle libertà di associazione e di stampa. Con una serie di leggi dette fascistissime aveva ormai fine lo Stato liberare ma si affermava lo Stato totalitario: il Parlamento di fatto vedeva limitati i propri poteri a vantaggio dei poteri di Mussolini che era a capo di una dittatura con l’appellativo di duce. Da duce, cioè da comandante, Mussolini inserì i suoi uomini in tutti gli apparati dello Stato, reintrodusse la pena di morte, soppresse la stampa antifascista, sciolse tutte le associazioni di lavoratori e tutti i sindacati ad eccezione di quelli fascisti, istituì un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, fondò l’OVRA, (Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo), una specie di polizia speciale, istituì le corporazioni, organizzazioni di lavoratori e di datori di lavoro che avevano lo scopo di avvicinare tra loro le classi sociali e di fatto di controllare eventuali oppositori al regime, infine istituì la "battaglia del grano", allo scopo di adeguare la produzione nazionale di cereali ai bisogni alimentari del paese, evitando di ricorrere alle importazioni. Nel 1928 sempre per diminuire le esportazioni e stimolare la produzione nazionale, iniziò un programma di bonifiche di terreni paludosi e avviò una convincente politica del consenso attraverso gli incentivi per l’aumento della popolazione e la nascita di attività di socializzazione per bambini, ragazzi, donne e lavoratori. Infine, consapevole dell’importanza dei voti dei cattolici, sanò una volta per tutte i rapporti tra Stato e Chiesa con i Patti Lateranensi, nel 1923, quando era papa Pio XI, che sancirono il rispettivo riconoscimento dello stato di Città del Vaticano da parte dello Stato italiano e del Regno d’Italia da parte della Chiesa. Inoltre la dottrina cattolica era riconosciuta come unica religione di Stato. L’affermazione del regime era chiaramente avvenuta, destinata a durare per il cosiddetto ventennio: Mussolini governava con il consenso del re e del Parlamento. Chiunque osasse contravvenire alle imposizioni del regime fascista rischiava le prigione o il confino lontano dalla propria città di origine o la condanna a morte: questo destino toccò a convinti antifascisti tra i quali anche Antonio Gramsci.