CHICHEN  ITZA

Nel 1556 l’arcivescovo Diego de Landa aveva scritto un’opera intitolata Relacion de las cosas de Yucatan, che però andò perduto; il ritrovamento del manoscritto, nel 1862 da parte di Brasseur de Bourbourg, fu decisivo per la scoperta di una delle stazioni archeologiche più importanti del paese dei Maya: Chichen Itza, località che era ripetutamente citata nel testo, ma di cui non vi era nessuna traccia. Thompson studiando il manoscritto andò alla ricerca della città perduta fino a quando, in mezzo alla foresta tropicale, non si imbattè in delle mura. Era, finalmente, la città di Chichen Itza, la capitale del regno creato dai Maya e dai Toltechi, dopo che questi ultimi li avevano raggiunti nel nord del paese per scampare all’invasione degli Atzechi. Tali scavi, infatti, misero in luce una città che presenta caratteristiche tolteche e che vengono fatte risalire a circa il X secolo d.C., poco dopo cioè l’abbandono da parte dei Maya di centri come Copan. L’incontro tra queste due civiltà dette vita anche ad una trasformazione della religione maya. Infatti, apparvero numerosi riti religiosi improntati ad uno stile <messicano>, basati sui racconti mitici e sulle avventure di Quetzalcoatl (Serpente Piumato). Anche i sacrifici umani, per quanto sempre limitati e tai da non rivestire mai il carattere di strage come avveniva presso gli Aztechi, ebbero in questo periodo un certo rincrudimento; questo lo si deduce dalle sculture sui monumenti e dalle pitture murali dei templi che raffigurano giaguari ed aquile che banchettano con i cuori delle vittime sacrificali, oltre a pareti interne scolpite con immagini di teschi umani. Chichen Itza divenne la città santa, dove la casta sacerdotale manteneva in vita riti indispensabili per la sopravvivenza del popolo.

Secondo la leggenda Maya la città di Chichen Itza divenne la nuova capitale dei Toltechi provenienti dal mare. A guidarli era un dio-re chiamato Topilzin-Ce-Acatl, che assunse il titolo di Quetzalcoatl o Kukulcan. Sembrerebbe che fosse lo stesso re menzionato dagli aztechi, che un tempo aveva regnato sui toltechi a Tollan prima di essere detronizzato dal rivale Tezcatlipoca, ovvero <Specchio Fumante>. La leggenda parla di lui come di un capo pacifico che, lasciata la sua patria, giunse nello Yucatan ed istituì una nuova capitale proprio a Chichen Itza. Queste leggende differiscono, però, da ciò che si evince dalle iscrizioni le quali descrivono, invece, di una invasione violenta, che comportò il rovesciamento della dinastia maya locale. I murales del Tempio dei Guerrieri mostrano con dettagli in che modo i Toltechi assunsero il controllo del paese, prima vincendo uno scontro navale contro i Maya del posto, che si spinsero in mare a bordo di zattere per respingerli, e poi sostenendo un’altra grande battaglia nei pressi della città. Rimasti padroni del campo, ridussero i nemici in schiavitù, sacrificando i capi al dio sole. Chiaramente con tutti questi elementi sembra impossibile che il mite re della leggenda sia lo stesso che sottomise il popolo maya di Chichen Itza. Anzi ha tutte le caratteristiche del dio il cui ritorno era stato profetizzato dagli Atzechi e che Cortes, forse venuto a conoscenza, impersonificò riuscendo nell’intento di assoggettare tutto il Messico.

La città, comunque, divenne anche la più grande di tutto lo Yucatan. Il centro monumentale non è disposto secondo un rigido ordine architettonico, come ad esempio a Copan, ma gli edifici sono secondo un ordine a piacimento dei costruttori. Nella parte più antica della città gli edifici sono ricoperti da fregi, stucchi e bassorilievi tutti raffiguranti serpenti. La zona centrale della città mostra un carattere architettonico di impronta militare, poiché il popolo dei Toltechi era prettamente militare. Essi, infatti, portarono con sé, e trasmisero ai Maya, la disciplina militare. Il cosiddetto Castillo costituisce la costruzione più imponente; è infatti una piramide consistente in nove piattaforme sovrapposte alta più di 24 metri, con un tempio alla sommità e misura più di 55 metri su ogni lato: quattro scale, una per ciascun lato della piramide conducono fino alla piattaforma, mentre gli scalini, addizionati allo zoccolo, sono in totale 365 come i giorni dell’anno. Questa magnifica piramide è allineata con tale precisione alla traiettoria del tramonto dei due equinozi che proietta un’ombra sul fianco occidentale della scalinata nord. Quest’ombra assume le sembianze di un gigantesco serpente ondulante con sette spire d’ombra. La coda del serpente raggiunge la piattaforma superiore della piramide, mentre il suo corpo si stende lungo la balaustra fino a terra, dove un’immensa testa di serpente con le mascelle spalancate completa l’effetto ottico alla base della scalinata. Conglobata al suo interno vi è un’altra piramide con il suo tempio alla sommità. Il Castillo è orientato perfettamente ai quattro punti cardinali che i Maya identificavano con quattro dei chiamati Bacab. Questi erano 4 fratelli che dio collocò nelle quattro parti del mondo affinché sostenessero il cielo per impedirne la caduta.

A Chichen Itza anche il campo per il gioco della palla era il più grande di tutto lo Yucatan e misura 168 metri di lunghezza per 70 metri di larghezza e si trova ai bordi di una vastissima piazza. Qui si trova una piattaforma, chiamata Tzompantli, che serviva per mettere in mostra le teste delle vittime umane.

All’estremità opposta della piazza si erge il "Tempio dei Guerrieri", molto simile nello stile al Tempio del Serpente Piumato a Tula, capitale dei Toltechi. Vi è poi un edificio rotondo edificato su una piattaforma quadrangolare chiamato "Coracol" che è un osservatorio astronomico. La maggior parte degli edifici possiede una decorazione a rilievi: in particolare, degni di nota sono quelli che si trovano nel campo da gioco che raffigurano la decapitazione di uno dei giocatori sconfitti da parte di quelli che avevano vinto la partita.

Thompson aveva letto nel manoscritto di Diego de Landa che c’era un pozzo, chiamato Cenote, dove era dedicato il culto per il dio della pioggia a cui venivano sacrificate alcune fanciulle, fatte sfilare in processione e poi gettate vive nel baratro insieme ad offerte consistenti in oggetti preziosi d’oro, d’argento e pietre rare. L’archeologo pensava che se avesse trovato il pozzo avrebbe conosciuto meglio l’indole e la natura dei Maya, sia pure ormai sotto l’influenza dei riti cruenti provenienti dal vicino Messico. Egli trovò il Cenate, umido orifizio pieno di detriti e di fanghiglia rossastra indefinibile. Con una draga fu sondato il fondo che fu saggiato ad una ventina di metri, per diversi giorni, finché cominciarono a risalire in superficie gioielli, armi, pugnali, lance, ceramiche, giada e alcuni scheletri di fanciulle. Quando la draga non portò alla superficie più alcuna cosa, si immerse. Il pozzo risultò essere profondo circa 25 metri, il fondo roccioso e ineguale. Incastrate tra queste rocce furono ritrovate molte statuette di giada e figurine intagliate in foglie d’oro, blocchetti di resina profumata e di coppale, pezzi d’oro quasi puro, su cui erano incisi segni indecifrabili. Quelle immersioni provocarono a Thompson una infezione ad una gamba e la perdita quasi totale dell’udito. Ma quando la morte lo colse nel 1935, egli aveva dato la più grande prova di coraggio che un archeologo abbia mai dato. Ancora oggi il suo nome è ricordato e amato dagli indios della zona poiché dedicò tutta la sua vita, rimase più di 50 anni nel sito di Chichen Itza, per ritrovare la stirpe dei Maya.

LA PIRAMIDE-TEMPIO DI KUKULKAN

IL TEMPIO DEI GUERRIERI

IL TEMPIO DEI GIUAGUARI

IL CAMPO DA GIOCO

IL CORACOL

IL TEMPIO DELLE TRE (LINTELS)

LA (IGLESIA)