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Un nome da torero

di Luis Sepúlveda

 

a cura di Umbertino nda Padura

Un nome da torero potrebbe rientrare in quello che Vázquez Montalbán definisce "giallo ideologico" inscrivendovi i romanzi del suo malinconico Carvalho e, ad esempio, i libri di Pennac, Daeninckx, Sciascia, Paco Ignacio Taibo II. Il "giallo ideologico" sarebbe un incrocio fra diverse forme espressive adatto a descrivere la realtà in crisi.
Il romanzo inizia nel pieno della seconda guerra mondiale, una collezione di antiche e preziosissime monete d'oro, sottratta dalla Gestapo al suo legittimo proprietario, scompare dai forzieri dove è stata nascosta. A rubarla sono stati due semplici soldati tedeschi, che sognavano la libertà lontano dal loro paese. Cinquant'anni dopo, in una Berlino ormai liberata dal Muro, un ex guerrigliero cileno dal denso passato riceve da una compagnia di assicurazioni l'incarico di ritrovare il tesoro là dove uno dei due complici lo ha portato e sepolto: nella Terra del Fuoco. Belmonte (il suo nome è quello di un famoso torero) accetta la proposta, soprattutto per amore di una donna lasciata in Cile: ma la sua missione si trasforma ben presto in una gara micidiale. In quella stessa Berlino, infatti, un ufficiale dei servizi segreti della Germania Est, ormai disoccupato, viene a sua volta ingaggiato per recuperare quel tesoro.
All'interno del romanzo vi è un bellissimo intermezzo che spiega il simbolismo nascosto dietro la sparizione delle monete d'oro:


Lasciai Tangeri, la mia città natale, il 13 giugno 1325 (secondo il calendario cristiano). Avevo ventun anni e giustificai la mia decisione con le ragioni del pellegrino. Così lasciai i miei genitori, i miei fratelli, le mie mogli, i miei figli, i miei amici e i miei beni. Partii con la stessa solenne tranquillità dell'uccello che abbandona il nido. Solo l'Altissimo, il Clemente, il Degno delle novantanove Virtù conosceva la direzione dei venti che mi spingevano…
[Con queste parole inizia la narrazione che lo sceicco Abù 'Abd Allah Muhammad ibn Ibrahim al Lawati, noto come Ibn Battuta lungo i centoventimila chilometri che calpestarono i suoi piedi, dettò più di seicento anni fa.]

…Durante i miei viaggi, che non hanno ancora fine - solo l'Insondabile sa che cosa cerco e se un giorno mi sarà dato di trovarlo -, ho conosciuto tre specie di viaggiatori. Prima ci sono i devoti pellegrini. Che il Generoso vegli su di loro. Poi vengono i sereni commercianti, che seguono le tracce delle carovane. Che il Perfetto abbia cura dei loro beni e li moltiplichi. E infine ci sono coloro che sospirano contemplando il vago orizzonte del mare. Strani uomini senza alcun attaccamento ai beni che Allah dispensa loro. Preferiscono dipendere dalla sua volontà durante le terribili tempeste che godere dell'amorosa ospitalità del bazar. Le loro anime trovano maggiore pace nello spaventoso ruggito del vento, che nella pia voce dell'imam quando dall'alto del minareto annuncia l'ora della preghiera. Che il Misericordioso allevi le loro pene e le mie, perché sento che questi sono miei fratelli…

[Nel 1367, dopo più di quarant'anni passati a viaggiare per tre continenti aprendo innumerevoli rotte, Ibn Battuta trovò rifugio sotto la protezione del sultano di Fez. In quella città, dove la ruota era proibita, fu ospite dell'onorevole Università di Quarawiyin. Con l'aiuto del poeta andaluso Ibn Giuzavy lavorò per due anni alla redazione della sua Rihla, sorprendente libro di viaggi e navigazioni, il cui manoscritto è oggi proprietà della Biblioteca Nazionale di Parigi.
Ibn Battuta morì nel 1369, a Fez, a sessantaquattro anni. Il suo desolato protettore, il sultano, fece coniare in suo omaggio cento monete d'oro di dieci once ciascuna, che dovevano essere sepolte a cento diversi incroci di strade che il viaggiatore aveva percorso. Ma la volontà del sultano non giunse mai perfettamente a compimento, e le monete cambiarono padrone innumerevoli volte. Nel catalogo del Museo Numismatico di Zurigo si legge che l'ultimo proprietario delle monete - sessantatré delle cento - fu un prestigioso argentiere di Brema chiamato Isaac Rosemberg, scomparso nel 1943 nel campo di concentramento di Bergen Belsen. Le monete furono viste per l'ultima volta a Berlino nel 1941. Sono note come la Collezione della Mezzaluna Errante.]