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Il deserto dei Tartari
di Dino Buzzati
a cura di Isabella
Parla di guerra, il Deserto dei Tartari, ma di una
guerra inesistente perché forse non arriverà mai. Attesa e bramata, poi divenuta vana speranza, annebbiata da anni di ragnatele e sospinta in fondo al cuore con tutta la forza per non provare il dolore che il desiderio infranto infligge. Ma la Guerra in questo libro è un evento solo accidentale, e non è certo per ricollegarmi a tristi eventi di questi giorni che ho scelto di raccontarvi di questo libro.
La trama è semplice, quasi inesistente.
Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina... per raggiungere la Fortezza Bastiani sua prima destinazione. ... Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensò alle giornate squallide all'Accademia militare si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice. ... Si, adesso egli era ufficiale, avrebbe avuto i soldi, le belle donne lo avrebbero forse guardato... |
E poi avviene il deludente arrivo alla Fortezza Bastiani, l'insofferenza, la determinazione ad andare subito via verso una sede più dignitosa, affatto diversa da quella, dimenticata dal Signore e dal Comando dell'Esercito. Chiusa tra altissime montagne ed un fantasioso deserto pianeggiante del quale non si vede la fine, a causa delle nebbie che stagnano al Nord, la Fortezza, in tempi ormai lontani, era un importante fortilizio di difesa del confine, ma la salda pace sancita con il Paese del Nord la rendeva ormai inutile.
Il Deserto è chiamato Deserto dei Tartari perché in tempi antichi questi facevano scorrerie.
Qualcosa di strano c'era in quella Fortezza, però. Drogo non riesce a capire come in un posto simile, dal quale lui contava di scappare prestissimo, vi fossero molti ufficiali e soldati di stanza ormai da più lustri. Non capiva come quegli ufficiali resistessero a quel piatto vivere ed a quella apatia, alla monotonia inevitabile, all'inutilità del ferreo rispetto di regolamenti e sistemi di sicurezza maniacali che tuttavia...non li avrebbero mai salvati dall'assalto di alcun nemico, perché nemico non c'era.
Eppure per un nemico inesistente si prendono precauzioni, c'è silenzio e rispetto della segretezza, nonché quel senso di continuo allarme e attesa vibrante di qualcosa che accadrà. Attesa, attesa dell'attesa.
Più che attesa, inspiegabile certezza.
Ma Giovanni Drogo vede che nulla può accadere, e spera di andar via dopo quattro mesi.
Ma in quei quattro mesi lui è lì e vive lì, e scopre nell'incontro con un soldato sarto ottuagenario, quale sia il segreto degli ufficiali che sacrificano tra quelle mura gialle la vita, gli affetti, la speranza di una moglie e di figli ed anche una carriera più brillante e rapida, tutti i piaceri che si possono immaginare.
Tutti quegli uomini aspettano la guerra. Dall'alto della rupe, dai bastioni della Ridotta Nuova aspettano, aspettano e sono certi che prima o poi la guerra arriverà
attraverso il deserto. Appariranno in qualche modo i nemici e loro saranno lì ad accoglierli: saranno gli unici a poterne arginare l'avanzata.
Sono certi, sicuri, sacrificano tutta la vita a questa aspettativa, pure se non tutti hanno il coraggio di ammetterlo apertamente.
"Guerra?" si sarà chiesto per un attimo Drogo, "ma come ci si fa ad aspettare la guerra in un posto simile?"
Eppure questa rivelazione è la fine di Drogo.
Drogo non vede più. All'occasione di essere trasferito decide di restare. E vi resterà, alla fine, per sempre, anche contro la sua volontà.
Un sogno svela, infatti, il suo destino. Egli vede una strada
che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme dietro e nessuno ci aspetta... ... ...si capisce che il tempo passa è la strada un giorno dovrà pur finire ... |
Si sa come andrà a finire, che si giunge in riva ad un mare grigio, con il cielo grigio, da solo, perché tutti gli altri si sono persi per la strada, perché nessuno più guarda benevolo dalla finestra, e nessuno ti indica più sorridente un punto luminoso nel futuro
E' troppo tardi per accorgersi che il buono era indietro e che si è passati avanti senza saperlo.
E questo è il destino di Giovanni Drogo, che cade nella fascinazione che ha colpito anche gli altri ufficiali, e trascorre il tempo il quella Fortezza, tutto il tempo, gli anni, la giovinezza, senza amore, senza figli, senza carriera, senza speranza, senza prospettiva.
Anche lui aspetta, aspetta, aspetta... quasi quarant'anni.
Qualche piccola emozione ogni tanto, il movimento di un puntino lontano nel Deserto, fa correre la fantasia verso orizzonti lontani e meravigliosi, ma poi tutto ritorna come prima.
Ed ecco arrivare prematuramente la fine del cammino di Giovanni Drogo, lineare e pianeggiante, scontato fin dalla partenza come il Deserto dei Tartari: pianeggiante e visibile perfettamente fino all'orizzonte, con una sola piccola duna al centro che oscura qualche metro di terreno allo sguardo, non si sa quanto, e poi le nebbie al Nord, che avanzano ed arretrano ma non hanno mai lasciato intravedere alcunché oltre la loro fitta cortina perenne.
La fine di Giovanni Drogo giunge nel momento in cui scoppia la guerra, quando le truppe dal Nord, quello che egli ha scrutato per anni con il suo binocolo, si riversano con l'artiglieria nel Deserto. Viene portato via dalla fortezza mentre arrivano i rinforzi, mentre la fortezza assurge ad un'importanza mai avuta prima... Vecchio, malato e malandato, guardato con pietà dai nuovi soldati che arrivano... viene portato a morire in una stanza di una città, la sua, nella quale, ormai, non ha più nessuno ad attenderlo, dove la vita dei suoi amici ha seguito un percorso completamente diverso dal suo. Solo, alla fine.
All'ultima pagina, quando tutto era detto, sono rimasta interdetta.
Che cosa faccio? che cosa dobbiamo fare tutti?
Come ha fatto Buzzati nel 1940, mascherare sotto un romanzo che apparentemente parla di guerra, il dramma del nuovo millennio dell'interrogativo della strada da prendere, della scelta da effettuare tra le strade che si incontrano nella vita.
Insoddisfazione e realtà, desideri e sogni, vita reale e sognata, vita trascorsa nel solco scavato da altri o fuga verso un chissà posto
chissà dove... Noia o avventura, vita convenzionale o straordinaria.
Difficile la definizione di tali parole e sensazioni.
Certo è che una strada va scelta! Anche salire sul cavallo e fare come Drogo, che ne è stato portato alla Fortezza, e poi passivamente è stato condotto fino in fondo alla vita. Se non si ha nulla di meglio da fare...
Viene voglia, dopo averlo letto di frenare bruscamente e fare una inversione ad U sgommando e correre spediti verso un'altra destinazione, e poi cambiarne ancora ed ancora per
godersi tutto, o per tentare almeno di fermarsi un po' nel punto di quella strada dove c'è VERAMENTE il meglio.
Giocarsi tutto per ottenere il meglio. A ciascuno, poi, il suo.
Ma... che strada si percorre per arrivarci? Anche se sai quello che vuoi, come fai a sapere se ti ci stai dirigendo o se hai la bussola che non funziona e ti lascia nel mezzo di un deserto?
Credevo di aver trovato la chiave interpretativa di questo libro, credevo avere il filo d'Arianna per uscire da un simile labirinto, ma mi ci sono ripersa. Credo di essermi lasciata trascinare dalla mia vita e dalle mie esperienze...
Qualcosa in quella immobilità, in quell'assurdo vivere, nel giallo della Fortezza ha spinto anche me ad andare avanti nella lettura... forse ci sono cascata come Giovanni Drogo. Sono caduta anche io nel mistero di Buzzati.
State attenti, Buzzati scrive parole che non escono dalla mente nemmeno dopo anni... posso solo invitarvi a mettervi alla prova... forse
se non arrivate fino alla fine siete salvi salvi dal destino di Giovanni Drogo.
Io, invece, per ora ci
sono cascata in pieno.