La Terapia Cognitivo Comportamentale


La Terapia Cognitivo Comportamentale è una delle scuole di pensiero più recenti e, a mio modesto parere, una delle più promettenti, nel vasto mare della psicoterapia. Nata con i primi approcci alla clinica del comportamentismo, è poi cresciuta con la psicologia cognitiva. Dopo un primo approccio di tipo "razionalista" (Ellis, 1962; Beck, 1979), secondo il quale la parte cognitiva conscia della psiche avrebbe dovuto dominare le emozioni inconsce, si è arrivati all'approccio "costruttivista" (Guidano e Liotti, 1983), attualmente in auge e che sembra mostrare prospettive applicative tra le più interessanti e promettenti in campo terapeutico.

Questa nuova scuola di pensiero cognitivista (costruttivista), pur tra le comprensibili differenze teoriche mostrate dai vari autori, sottolinea l'importanza dell'integrazione tra i due aspetti della psiche: l'emozione e la cognizione. Ciò che conta di più è la relazione tra terapeuta e paziente. E' la relazione a diventare il fulcro della terapia, il momento centrale del processo di guarigione (Safran e Segal, 1990; Semerari, 1991; Borgo e Sibilia, 1994). L'essere umano torna ad essere considerato nella sua interezza e complessità, e quindi sviluppo cognitivo ed emotivo diventano parti di uno sviluppo globale che deve essere equilibrato, senza che venga trascurata nessuna delle due componenti.

La funzione del terapeuta non è più quella dell'esegeta o del maestro di vita, egli diviene piuttosto un perturbatore strategico. Contemporaneamente la terapia diventa una palestra, un luogo dove il paziente può ripercorrere le sue tappe di sviluppo e, soprattutto, provare stili di approccio al mondo ed alle sue difficoltà diversi da quelli usati fino a quel momento. E questo con la sicurezza di avere alle spalle un terapeuta che si pone nei suoi confronti come una base sicura. Le conseguenze del modo di pensare costruttivista non sono solo sul versante della realtà che da univoca diventa multiversa (Maturana) a seconda di quanti sono gli osservatori; sulle concessioni all'organismo umano che nella concezione della realtà univoca era una copia della realtà ordinata esterna. Il nuovo modo di vedere le cose pone nuovi problemi. Cos'è l'esperienza umana? Cos'è la conoscenza? Il tema dell'autorganizzazione (autopoiesi = automantenimento della propria organizzazione). La proprietà di autoorganizzarsi appartiene a tutti gli esseri viventi. Come si caratterizza l'esperienza umana? Qual è il nostro modo specifico di essere animali? (Maturana). Epistemologia evolutiva: specificità degli esseri viventi nella scala zoologica. Noi siamo primati. Cosa caratterizza i primati umani rispetto agli altri primati? Animali che hanno o non hanno coscienza di stati interni riferita a Sé e agli altri, possibilità di attribuire intenzioni a Sé e agli altri. I primati manifestano interesse per le superfici riflettenti. I primati vivono in una situazione intersoggettiva, vivono in un gruppo coordinato 24 h su 24 h. I primati sono animali sprovvisti di valide armi di difesa, sarebbero preda di chiunque. I primati si muovono in base a segnali altrui. L'emergenza del mentalismo rappresenta una qualità che aumenta la coordinazione nel gruppo. Altro fenomeno importante è la possibilità di individuarsi, riconoscimento proprio e altrui. La faccia è l'elemento di riconoscimento specifico e anche il terminale e recettore delle emozioni proprie e altrui. La capacità di fingere stati interni all'esterno è una delle prime cose che il bambino manifesta . Riconoscere la propria immagine allo specchio richiede la capacità di vedersi dall'esterno, con gli occhi degli altri. Il linguaggio non è un semplice sistema di segnalazione (tutti gli animali ne hanno uno). Linguaggio fattuale, quello con cui accompagnavano l'espletamento di un'azione (es. meraviglia davanti ad una situazione inusuale). Dà informazioni aggiuntive sull'azione in corso. Linguaggio tematico, nasce dalla capacità di separare il contenuto informativo aggiuntivo dell'esperienza dal contenuto emotivo. Stacca l'emozione dall'esperienza che l'ha prodotta. Questo diventa il modo in cui l'uomo riesce a contestualizzare l'esperienza e a sequenzializzarla con un inizio, uno svolgimento ed una fine. La conseguenza immediata del linguaggio tematico è la nascita della coscienza tematica e caratterizza la struttura narrativa dell'esperienza umana. L'uomo come un "raccontatore di storie" produce sempre nuovi significati. Costantemente dobbiamo ri-raccontarci l'esperienza vissuta perché ci sia chiara. Capacità dell'uomo di sequenzializzare l'esperienza. Ha un ruolo fondamentale in terapia. La nostra percezione ha sempre una sequenzialità, è un atto narrativo. Lo psicotico ha una totale mancanza di ubicazione, staccata da un contesto di immediatezza. Parliamo da circa 100.000 anni. La scrittura però risale a circa 5.000 anni fa. L'alfabeto risale ai Greci, tra il 1.000 e il 500 a.C.. I simboli visualizzavano i suoni. Prima della scrittura la memoria era basata sul ritmo nella scansione, nella pronuncia. Gli scambi orali erano corali, ritmici e il contesto era estremamente variabile senza struttura cronologica, né casuale (es. narrativa epica dello sciamano). Nella narrativa epica prevale l'azione e non c'è distinzione tra interno e esterno, tra realtà e fantasia (es. Iliade o stati allucinatori). Realismo magico sudamericano: l'immaginazione è percepita come realtà. Il linguaggio visualizzato può essere staccato dalla fonte che lo ha prodotto (conoscente e conosciuto). Chi è il conoscente che produce questo conosciuto? Nasce la psicologia del Sé. La narrativa che si produce con l'alfabetizzazione crea la materia distinzione tra interno e esterno. La storia nasce dopo la nascita dell'alfabeto che permette l'espressione della consequenzialità logica. Dalla nascita dell'alfabeto alla capacità narrativa consequenziale (nascita del romanzo e del thriller) passano circa 1.000 anni. I bambini vivono in un mondo orale anche nella memoria fino ai 4 - 5 anni e non solo per immaturità neurologica, ma perché hanno nozioni di sequenzializzazione e causalità soltanto epiche.

PRINCIPI DI PSICOTERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE (COSTRUTTIVISTA) tratto da Reda, M.A., (1989), Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia, NIS, Roma. Con il termine "conoscenza" intendiamo le modalità con cui l'essere umano entra in rapporto con se stesso e con l'ambiente in cui vive e attribuisce significati ai propri stati interni e agli avvenimenti esterni. Un primo passo per comprendere le caratteristiche e lo sviluppo della conoscenza umana è quello di cercare un modello di funzionamento della mente. A tale proposito possiamo differenziare le cosiddette teorie sensoriali della mente da quelle motorie. Le teorie sensoriali sostengono che il sn funziona come "incanalatore" degli stimoli ambientali nel momento in cui essi colpiscono i vari organi di senso. Le teorie motorie, invece, sono quelle per cui è la mente dell'individuo a ricercare e a creare attivamente i propri dati sensoriali. (p.19) Nell'ambito delle teorie motorie della mente si evidenzia chiaramente quello che è definito da più autori: «primato dell'astratto». Ciò significa che la nostra mente possiede regole di base e quindi principi astratti, che hanno un primato ontologico sulle strutture superficiali. (p. 21) Le modalità con cui l'uomo sviluppa e costruisce la conoscenza vengono sintetizzate nella posizione gnoseologico-naturalistica del realismo ipotetico: l'uomo può cogliere la realtà per quanto glielo consentono i propri organi di senso; essi infatti sono portati a percepire la realtà che interessa l'uomo. Tale reciproco adattamento si è svolto, durante milioni di anni, secondo un processo filogenetico teso a garantire la sopravvivenza della nostra specie. «Tutta la conoscenza umana si fonda su un processo interattivo mediante il quale l'uomo, in quanto sistema vivente assolutamente reale ed attivo ed in quanto soggetto conoscente, si confronta con i dati di un altrettanto reale mondo circostante che sono l'oggetto del suo conoscere». (p.23) Nell'uomo, a differenza delle altre specie animali, il processo di interazione con l'ambiente, oltre a consentire la conoscenza del mondo a cui si deve adattare o meglio che deve adattare a se stesso, permette di sviluppare la cosiddetta «conoscenza di sé». (p.25) Tutto quello che gradualmente avviene in un primo periodo di conoscenza è immagazzinato implicitamente nella memoria individuale e si struttura come sistema pronto ad «accogliere ulteriori informazioni provenienti dall'esterno lasciando che siano queste a stabilire quali delle possibilità che esso potenzialmente contiene debbano realizzarsi o svilupparsi». (p. 25) Secondo l'approccio strutturalista, l'uomo ha un ruolo attivo nello stabilire una propria modalità di entrare in rapporto di reciprocità con l'ecosistema in cui vive. Stabilisce così le regole tacite ed esplicite che gli consentono di esplorare l'ambiente e, contemporaneamente, di conoscere sé stesso. Lo scopo delle ricerche, in ambito cognitivo-strutturalista, è quello di studiare e comprendere la relazione che intercorre tra le modalità tacite e quelle esplicite di conoscenza. Lo scopo della terapia non è tanto la correzione di convinzioni irrazionali o la sostituzione di costrutti disadattivi, quanto l'acquisizione di conoscenze che sono state trascurate o escluse durante le tappe del proprio sviluppo. E' ovvio che, per fare questo, è necessario ripercorrere con un cammino a ritroso, la propria storia personale e indagare sulle modalità con cui, in diversi periodi, si sono stabiliti i rapporti di reciprocità. (p. 32) ... l'attività primaria che consente lo sviluppo e l'organizzazione della conoscenza nell'uomo è il "sistema di attaccamento". Per sistema di attaccamento si intende la modalità, preprogrammata biologicamente, di entrare in contatto fisico con le figure di accudimento e protezione. Alla sua esplicazione è collegata l'emergenza di azioni finalizzate da un punto di vista sensomotorio, la scoperta del sé da un punto di vista emozionale e il concetto di durata (permanenza degli oggetti e delle persone) da un punto di vista cognitivo. (p. 34) Fin dalla nascita il sistema di attaccamento del neonato entrerà in interazione con quello dei genitori, che Bowlby chiama sistema di accudimento e protezione (parentering). Il parentering è un sistema preprogrammato biologicamente come quello di attaccamento. Si manifesta in modo individualmente differente a seconda delle esperienze che un genitore ha avuto con altri bambini prima di avere un figlio, del modellamento derivato dall'osservazione di altri genitori con i loro figli e delle interazioni avute da bambino con i propri genitori. Si stabilisce così il rapporto di reciprocità con cui si intende l'effetto dell'attività del genitore sul bambino e viceversa. (p. 35) Per quanto riguarda le teorie sullo sviluppo dei processi emotivi e la formazione del sé dobbiamo sottolineare come fino a pochi anni fa se ne fossero interessati solo autori di scuola psicoanalitica. Quello psicoanalitico è un modello di tipo idraulico in cui le emozioni e la successiva coscienza di sé derivano dalla regolazione e dal controllo delle spinte pulsionali e dalla consecutiva distribuzione energetica. Per primo Bowlby, descrivendo il comportamento di attaccamento, non parla in termini di riduzione di tensione come motivazione alla ricerca della madre, ma di sistema comportamentale (Behavioral System) in cui è implicito il concetto di motivazione. Vi sono cinque fattori che incidono sull'attivazione del sistema comportamentale di attaccamento. Due specifici: lo stimolo ambientale specifico e il modo in cui il sistema comportamentale è organizzato nel snc. Tre aspecifici: lo stato ormonale dell'organismo, lo stato di arousal (livello di tensione emotiva, n.d.r.) del snc e la stimolazione totale che colpisce l'organismo. Le emozioni base sono connesse alle modalità di attaccamento e possono essere positive in caso di attaccamento soddisfacente (gioia, piacere, senso di sicurezza) o negative se l'attaccamento è difficile (ansia, rabbia, gelosia) e in caso di perdita (tristezza, depressione). Avremo quindi delle emozioni primarie che forniscono informazioni indispensabilli allo sviluppo della conoscenza di sé, le quali consentono a loro volta di sperimentare emozioni che richiedono una maggiore abilità valutativa e la presenza di strutture cognitive più complesse. Vogliamo fin d'ora evidenziare come non vi sia una priorità delle emozioni sullo sviluppo cognitivo o viceversa, ma come affetti e strutture cognitive siano inseparabili e interagiscano reciprocamente fin dalle primissime fasi dello sviluppo. (p. 43) Come abbiamo già visto, il sistema di attaccamento è uno dei sistemi preprogrammati biologicamente che ha consentito e consente la sopravvivenza della specie umana. La sua particolare importanza consiste nel fatto che le sue funzioni non si esauriscono nell'infanzia ma, con scopi diversi accompagnano l'uomo, per usare un'espressione di Bowlby, «dalla culla alla tomba». Col sistema di attaccamento interagisce il sistema di esplorazione, nel senso che, fin dai primi anni, lo sviluppo dell'esplorazione è consentito dalla presenza fisica o morale di una base sicura. (p. 45-46) Alle modalità con cui si stabilisce l'attaccamento in età infantile e alle emozioni ad esse connesse, corrisponde la formazione di un'impalcatura di personalità che, pur non essendo assolutamente determinante, fornisce una traccia che condiziona le successive tappe di sviluppo. Vi sono, a proposito, alcuni studi longitudinali il cui scopo è quello di collegare alcuni pattern di attaccamento infantile alle successive modalità di sviluppo. Le ricerche che si sono interessate di questo problema si basano sulla considerazione dei tre pattern di attaccamento evidenziati dalla Ainsworth. 1.L'attaccamento sicuro è caratteristico di bambini che nell'infanzia hanno potuto mantenere un buon contatto con la madre anche di fronte a situazioni nuove e non hanno avuto problemi di eccessivo attaccamento nei momenti precedenti l'esplorazione. Questi bambini, alla riunione con i genitori, non presentano evitamenti o rabbia, ma ricercano attivamente il contatto. 2.L'attaccamento ansioso e resistente o ambivalente è caratterizzato da difficoltà di esplorazione e da un forte stress emotivo al momento della separazione. Al ricongiungimento coi genitori il piccolo mostra un comportamento ambivalente: cerca il contatto ma ha difficoltà a rilassarsi e calmarsi; a volte è passivo e lascia che gli altri si avvicinino, a volte è più attivo ma resiste con rabbia alle attenzioni della madre. 3.L'attaccamento ansioso evitante è caratteristico di bambini che mostrano evitamento della madre al momento della riunione o ignorandola risolutamente o alternando ricerca di vicinanza con blocchi ed evitamenti. (p.46-47) La conclusione di questi studi è che la qualità di attaccamento osservata tra i 12 e 18 mesi di vita è fortemente predittiva del comportamento e dell'atteggiamento in età prescolare e scolare. (p.47-48) Organizzarsi significa dare ordine alle conoscenze che si stanno sviluppando in modo che, dalla loro interazione, risulti un insieme che consenta la sopravvivenza e la crescita in un determinato ecosistema. L'ecosistema contribuisce alla scelta dei vincoli con cui il singolo individuo ordina il proprio disordine durante il suo sviluppo. L'individuo, a sua volta, contribuisce a stabilire i vincoli con cui l'ecosistema, di cui fa parte, si organizza. Il tutto avviene in un equilibrio instabile che ha reso e rende possibili i cambiamenti individuali, generazionali ed ecologici. (p. 91) Un primo scopo è quello di considerare come particolari situazioni di reciprocità tra individuo ed ambiente, invitino a privilegiare alcune modalità organizzative piuttosto che altre. Un secondo obiettivo è quello di considerare i motivi e le modalità di eventuale scompenso delle diverse organizzazioni cognitive. Si prendono in esame, quindi, le caratteristiche di adattabilità dell'organizzazione e i particolari avvenimenti di vita che possono costituire un motivo di turbolenza per le differenti organizzazioni. Alle cinque modalità organizzative che prenderemo in considerazione (organizzazione fobica, depressiva, di tipo disturbi alimentari psicogeni, ossessiva e psicotica) viene data un'etichetta nosografica derivata dall'inquadramento psicopatologico tradizionale (DSM III, 1983). E' chiaro che l'etichetta equivale al tipo di sintomatologia che, solo a volte, si evidenzia al momento dell'eventuale scompenso dell'organizzazione. Dobbiamo infine precisare che la differenza fra le diverse organizzazioni cognitive non è mai in pratica così netta come risulta dall'esposizione teorica e che, nelle varie fasi di sviluppo, non si instaureranno costantemente e unicamente le modalità di reciprocità che indirizzano la conoscenza in una sola direzione. In ogni individuo possiamo bensì ritrovare, in modo più o meno evidente, quelle che abbiamo definito "tracce della complessità" che la conoscenza umana si è trovata via via a prescegliere o ad escludere. Sono molto frequenti "organizzazioni miste", in cui una modalità prevale solo in parte su un'altra, che l'analisi cognitiva permette di individuare. (p. 91-92) Abbiamo inoltre visto come le organizzazioni più adattive e meno soggette a scompensi siano quelle in cui sono stati attivamente esplorati più settori della conoscenza umana: si è conosciuta la paura, che permette di valutare ed evitare i pericoli eccessivi; la tristezza che si accompagna a una perdita e che è necessaria per elaborarla, recuperando la vicinanza e l'affetto; la presenza di irregolarità nell'esplorazione e nel cambiamento dei parametri ambientali, con la possibilità di ritrovare i propri punti di riferimento; la confusione che deriva dal confronto con opinioni diverse e il valore delle proprie decisioni così come delle altrui ecc. Ciò consente di possedere informazioni su una serie di avvenimenti e situazioni in cui ci si può imbattere durante la propria vita e su come sia possibile affrontarli, così come si riconoscono, si accettano e si manifestano le sensazioni affettive che fanno parte integrante delle esperienze di vita stessa. Così non sarà più protetto da possibili scompensi emotivi chi ha avuto sempre i propri genitori vicino o non ha subito distacchi durante il periodo di sviluppo, ma piuttosto chi ha avuto una base sicura a cui potersi affidare in caso di necessità, al momento di subire eventuali perdite, sconfitte, paure o delusioni. Questo consente di modulare gradualmente le emozioni e di far luce sugli avvenimenti riconoscendosi in esse: si acquisisce così fiducia in se stessi e autostima. (p. 153-154) L'importanza della scuola cognitiva è stata quella di rivalutare i contenuti di pensiero e il loro ruolo nel rappresentarsi la realtà. Inoltre, le tecniche terapeutiche che possiamo derivare dalla vasta letteratura da essa proposta si dimostrano utili come "tattiche" da utilizzare specialmente nelle prime fasi di una "strategia" di intervento. Per un intervento terapeutico più complesso e che rispetti una visione dell'uomo secondo il modello strutturalista, è necessario considerare anche ciò che è accaduto durante lo sviluppo del paziente, ed esplorare così come si siano stabilizzate le impalcature della personalità. A tale proposito è, come al solito, esplicativa la posizione di Bowlby, riportata e condivisa da Guidano e Liotti: La ristrutturazione di un'organizzazione cognitiva è per chiunque, come ben sapete, un'impresa difficoltosa. I principali compiti del terapeuta credo siano: a) incoraggiare e addestrare il paziente a riconoscere le sue modalità cognitive; b) aiutare il paziente ad esplorare le modalità cognitive che attualmente utilizza; c) aiutarlo a rintracciare come è arrivato ad elaborarle, il che io credo sia stato in gran parte determinato dall'aver accettato ciò che i genitori gli hanno costantemente riferito a riguardo sia delle loro che delle sue esperienze e caratteristiche personali; d) incoraggiarlo a revisionare le modalità, tanto alla luce della loro storia di sviluppo, quanto al grado di corrispondenza alle proprie esperienze dirette, di prima mano; e) aiutarlo a riconoscere le sanzioni che i genitori hanno utilizzato per forzarlo ad adottare le modalità che loro desideravano anziché le sue alternative. Solo dopo che questo processo esplorativo è stato ripercorso più volte, le modalità revisionate sono in grado di stabilizzarsi. (p. 156-157) La terapia è quindi un processo di conoscenza in cui il terapeuta ha il ruolo di "base sicura" che fornisce al paziente i parametri, le indicazioni e l'assistenza in funzione di questo obiettivo. L'acquisizione di conoscenza avviene, come sempre, in modo graduale e segue delle tappe (come, ad esempio, quelle proposte da Bowlby) che consentono di conseguire livelli via via più estensivi e completi di comprensione delle proprie modalità cognitive, emotive e comportamentali. (p. 158) E' sottolineato da più autori come, nelle psicoterapie cognitive, sia importante indirizzare il rapporto terapeutico in termini di reciproca collaborazione. Il terapeuta espone al paziente il "razionale" della terapia e chiede di stabilire insieme gli obiettivi in una sorta di alleanza terapeutica. (p. 159) Kelly (1955) ha evidenziato come la terapia si possa considerare come l'incontro fra due scienziati, ognuno con le proprie teorie su di sé e sul mondo, in cui uno aiuta l'altro, che ne fa richiesta, ad esplorare, ed eventualmente a rivedere, secondo il metodo e in una sorta di alleanza scientifica, le regole e gli assunti su cui si basano le teorie in crisi che bloccano l'acquisizione di nuove conoscenze. Sempre usando la metafora dello scienziato, Guidano e Liotti sottolineano come durante la terapia «si identificano, si evidenziano e si verbalizzano le teorie causali del paziente insieme alle conseguenze che esercitano sul comportamento; si scoprono le "prove" (le esperienze infantili) della loro elaborazione; si riconosce e si enfatizza la natura episodica di queste prove; si sviluppa una "nuova teoria" in base ai risultati di nuovi "esperimenti" interpersonali accuratamente programmati, il più importante dei quali è la relazione terapeutica». (p. 159-160) L'esperienza terapeutica deve quindi essere considerata come l'incontro tra due organizzazioni cognitive complesse, di cui una (quella del paziente) è stimolata verso forme di conoscenza che permettano di superare gli scompensi emotivi in atto, mentre l'altra (quella del terapeuta) acquisisce nuove informazioni sulla complessità umana e quindi anche su se stesso. (p. 163) Il terapeuta, proponendosi come "base sicura", consente al paziente di riprodurre nella relazione le modalità di attaccamento e reciprocità strutturate in famiglia durante il periodo di sviluppo e utilizzate nella propria attività di tutti i giorni; in questo modo può arricchire le sue osservazioni sugli schemi basilari dell'organizzazione cognitiva del paziente stesso. In ogni caso, pur rispettando il più possibile l'identità personale del paziente, il terapeuta base sicura, non deve confermarne gli assunti, ma stimolarne l'esplorazione ed assistere il paziente mentre egli giunge a conclusioni e decisioni proprie. A questo riguardo, Bowlby così riassume i compiti del terapeuta: A mio parere un terapeuta ha vari compiti, tutti collegati fra loro, tra i quali: a) fornire innanzitutto al paziente una base sicura da cui egli possa partire per esplorare se stesso e le sue relazioni con coloro con cui ha costruito o potrebbe costruire un legame affettivo; contemporaneamente spiegargli chiaramente che tutte le decisioni relative a come meglio interpretare una situazione e a come comportarsi devono essere sue e che, col nostro aiuto, lo riteniamo capace di fare ciò; b) condividere col paziente le sue esplorazioni incoraggiandolo a considerare sia le situazioni in cui attualmente tende a trovarsi con persone significative, sia la parte che può avere nel causare tali situazioni ed anche come risponde a livello di sensazioni, pensieri ed atti alle medesime; c) attirare l'attenzione del paziente sul modo in cui, forse involontariamente, tende ad interpretare sentimenti e comportamenti del terapeuta nei suoi confronti, sulle sue previsioni (del paziente) e sulle azioni che intraprende di conseguenza; invitarlo quindi a considerare se i suoi modi di interpretazione, previsione ed azione possono essere parzialmente o completamente inadeguati rispetto a quanto egli conosce del terapeuta; d) aiutarlo a considerare come la situazione in cui tipicamente si pone e le tipiche reazioni ad esse, comprese quelle che possono verificarsi col terapeuta, possono essere capite in termini di esperienza vita reale vissuta con le figure di attaccamento durante l'infanzia e l'adolescenza (e forse ancora in corso), cercando di esaminare anche quali reazioni avesse allora (e possa tuttora avere). [...] utilizzare le interruzioni del trattamento, in particolare quelle imposte dal terapeuta, sia ordinarie, come in occasione di vacanze, sia straordinarie, come in caso di malattia, come occasioni per poter innanzitutto osservare come il paziente interpreti e reagisca ad una separazione, aiutarlo quindi a riconoscere tali interpretazioni e reazioni e infine, esaminare con lui come e perché abbia sviluppato tali modalità. Quando la relazione terapeutica sta per terminare è opportuno affrontare le eventuali e frequenti difficoltà di distacco del paziente. E' necessario far comprendere al paziente come tali modalità facciano parte degli schemi passati, prendendo così lo spunto per un'ultima, finale revisione. (p. 163-164)

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