Dr Fabio Del Pidio

Med. Omeopatica - Agopuntura Tr. Cin. -Mesoterapia - Med. Estetica - Dietoterapia

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MEDICINA GENERALE

La sindrome da fatica cronica

Le opzioni terapeutiche

La Sindrome da fatica cronica (CFS) è una patologia debilitante caratterizzata da profonda stanchezza o fatica o sfiancamento, senza che alcuna malattia conosciuta venga individuata come responsabile, e la cui causa, meccanismo di insorgenza e trattamento, stimolano un intenso dibattito nella comunità medico-scientifica, e non solo, ma anche nei media, tra i pazienti e i loro familiari.
Proprio a causa di queste peculiari caratteristiche, la CFS viene abitualmente diagnosticata per esclusione. Chi ne è affetto può sentirsi esausto anche soltanto dopo una leggera attività fisica e comunque non vi è correlazione alcuna tra intensità dell'esercizio fisico e sfiancamento susseguente. Oltre al senso di fatica i pazienti riferiscono in genere sintomi non specifici, tra i quali astenia generalizzata, malessere, febbricola, mal di gola, dolenzia ed eventualmente modesto ingrossamento linfoghiandolare, disturbi della memoria e della concentrazione, aumento dell'irritabilità, insonnia e depressione, dolori ai muscoli e alle articolazioni.
La CFS può persistere per molti anni, anche se in un certo numero di pazienti si assiste a un miglioramento dei sintomi, spontaneo o conseguente ai trattamenti medici instaurati.
Nonostante le controversie attuali nel mondo medico-scientifico, addirittura sulla reale esistenza della CFS, l'Organizzazione mondiale della Sanità ha descritto, nella sua decima classificazione internazionale delle malattie del 1992, una sindrome sovrapponibile alla CFS con la dizione "sindrome da fatica post-virale ed encefalomielite mialgica benigna". Anche se può sembrare superfluo, ma considerando la superficialità con la quale da molti viene descritta e riferita questa sindrome, vale la pena ricordare che la CFS non ha niente a che fare con la fisiologica stanchezza alla quale tutte le persone vanno più o meno frequentemente incontro durante la giornata, il mese o l'anno. Così pure la CFS non va assolutamente confusa né con lo stress né con la depressione. Spesso i pazienti con CFS sono persone adulte in precedente perfetta salute che improvvisamente sono diventate disabili sia dal punto di vista fisico che mentale.
La causa della CFS non è stata ancora identificata, ma certo emerge sempre più chiaramente che la CFS contiene patologie di diversa natura eziopatogenetica, per esempio post-infettiva o post-intossicazione, ed è associata ad alterazioni neuroendocrinologiche o muscolari che ne sostengono i sintomi.
Non è disponibile ancora alcun test diagnostico specifico, che evidentemente risolverebbe molti dei problemi attuali. Va dunque ricordato a questo proposito che altre malattie, per esempio la depressione o la sindrome ansiosa o l'influenza, per nominare le più frequenti, non hanno test diagnostici specifici e spesso gli esami o le indagini radiologiche o quant'altro sono del tutto nella normalità.
Va tenuto presente però che un marcato affaticamento può essere associato con molte malattie ben definite, come i tumori, le patologie autoimmuni, le disfunzioni ormonali e le infezioni. Dal momento che molti di questi processi patologici possono essere suscettibili di efficace trattamento e possono essere potenzialmente mortali, devono ovviamente essere escluse prima di poter fare diagnosi di CFS. Questo d'altra parte, come già sottolineato, è uno dei due criteri principali per porre diagnosi di CFS.

Sebbene la diagnosi possa essere fatta solo per esclusione, la CFS è una condizione clinica reale, le sue cause e il suo trattamento sono oggetto di intensa ricerca da molti gruppi di studiosi nel mondo, specialmente negli Usa, in Australia, in Nuova Zelanda e in Gran Bretagna. Relazioni sulla CFS sono state presentate a incontri specifici e pubblicate su importanti riviste scientifiche. Sono stati organizzati negli ultimi anni congressi scientifici ai quali hanno preso parte ricercatori di prestigiose università sia americane che europee, quali il Meeting di Aviano del 10 settembre 1993 e il 1° Meeting internazionale europeo sulla CFS di Dublino del maggio 1994. Al convegno di Aviano hanno partecipato, per esempio, Jay Levy, professore all'Università di California a San Francisco, illustre immunologo e virologo, che è stato tra i primi a isolare il virus dell'Aids, Anthony Komaroff, dell'Università di Harvard a Boston, e il dottor Keiji Fukuda, responsabile della ricerca sulla CFS ai CDC di Atlanta. Questi ultimi, che si occupano dello studio delle malattie, in particolare dal punto di vista epidemiologico, hanno da tempo istituito - con fondi provenienti direttamente dal governo americano (che finanzia così solo l'Aids e la sindrome di Lyme) –, un ufficio sulla CFS con personale e progetti speciali.
Tuttavia le informazioni in nostro possesso sono ancora poche e molti dei risultati sono preliminari. Inoltre, notizie non corrette e prive di qualsiasi fondamento scientifico sulla CFS provenienti alle volte da ciarlatani, hanno creato confusione tra i pazienti e i medici, oltre che nell'opinione pubblica.
Si sono costituite anche molte associazioni di pazienti, negli Stati Uniti in particolare, dove grazie ai fondi così raccolti stanno supportando in maniera significativa la ricerca su questa sindrome. Va ancora sottolineato che in quel paese la ricerca sulla CFS è finanziata direttamente dal governo. Anche in Italia si è costituita la CFS Associazione Italiana già dal 1992, ma non esiste alcun supporto governativo da parte delle tradizionali agenzie di ricerca italiane per l'approfondimento di questa sindrome.
Lo scopo finale è infatti quello di rendere meno disagevole per i malati e i loro familiari questa malattia così debilitante e ancora sconosciuta nel nostro Paese.

LA CFS viene di solito diagnosticata in seguito a una storia di una sindrome suggestiva di CFS, e attraverso l'esclusione sistematica di altre malattie.
Un paziente deve accusare una grave stanchezza da un tempo minimo di 6 mesi, non causata da altre malattie conosciute.
Attualmente un gruppo di studio internazionale coordinato dal dottor Fukuda (comprendente ricercatori provenienti da Stati Uniti, Australia, Svezia, Olanda e Italia), al quale ho partecipato personalmente, ha redatto una nuova definizione di CFS che è stata pubblicata sugli Annals of Internal Medicine del dicembre 1994. Sostanzialmente con questa nuova definizione si cercherà di rendere più semplice l'attuale definizione dei CDC e di permettere la diagnosi di CFS anche in presenza di depressione.

La causa della CFS non è ancora stata identificata, ma esistono varie teorie. L'ipotesi virale. Si basa sul fatto che all'esordio della CFS vi è spesso una infezione virale, per esempio una sindrome influenzale, varicella, rosolia, mononucleosi, infezione da citomegalovirus, epatite virale ecc. Vi è anche la possibilità che un singolo agente infettivo, non ancora identificato, provochi di per sé la CFS, anche se quest'ipotesi gode oggi di poco credito tra i ricercatori. Mentre alcuni virus, come per esempio il virus di Epstein Barr (EBV), occasionalmente provocano un'infezione cronica che esita in una stanchezza persistente, non si conosce oggi alcun virus che sia la causa della CFS.
Rimanendo nell'ambito delle ipotesi virali, si pensa che un virus già conosciuto possa attivare cronicamente il sistema immunitario. Come risultato, persisteranno in circolo tassi elevati di fattori immunoattivanti, alcuni dei quali sono in grado, a dosaggi elevati, di provocare stanchezza.
Andando più nel dettaglio, di solito, anche se non sempre, la CFS compare dopo un evento precipitante quale una malattia simil-influenzale oppure un'influenza tipica, una gastroenterite, una miocardite, una varicella ecc.
Un recentissimo e importante studio sulla mononucleosi infettiva ha evidenziato che la malattia può evolvere verso la CFS con una certa frequenza. Su oltre 150 pazienti con mononucleosi infettiva acuta seguiti nel tempo dal momento della diagnosi, si è riscontrato che dopo 6 mesi circa nel 10% dei casi persistevano sintomi suggestivi di CFS, secondo i criteri dei CDC di Atlanta. Comunque non è escluso che intervengano fattori predisponenti, in particolare stimoli comportamentali o familiari.

La CFS non sarebbe altro che una disregolazione immunitaria in risposta a uno stimolo che potrebbe essere infettivo ma anche di altra natura. Numerose anomalie immunologiche aspecifiche sono state infatti descritte nella CFS: alterazioni dell'immunità cellulo-mediata, in particolare con variazioni del numero e della funzionalità delle cellule natural killer, ipogammaglobulinemia parziale, elevati livelli di immunocomplessi circolanti, elevati livelli di anticorpi virus specifici e di autoanticorpi circolanti. Anche per questa ragione negli Stati Uniti le associazioni di pazienti invece di CFS usano la terminologia CFIDS, Chronic Fatigue Immunedisfunction Syndrome o sindrome da stanchezza cronica e da disfunzione immunitaria. Altre teorie sulle cause della CFS propongono disturbi del sistema endocrino e della sfera psicologica quali fattori determinanti nel provocare la CFS.

È emerso recentemente per la prima volta che la CFS può essere provocata da un'intossicazione alimentare causata da un pesce chiamato ciguatera. Questi dati sono stati riferiti dal professor Pearn del Royal Children Hospital di Brisbane in Australia. Lo stesso ricercatore ha riportato che un virus responsabile della poliartrite epidemica, scoperto nel 1979 nel Queensland, e implicato anche nella Ross-River-Fever, è oggi riconosciuto essere un'importante causa di CFS in molte parti del mondo tropicale e subtropicale.

I ricercatori giapponesi provenienti dall'Università di Osaka hanno recentemente riportato dati riguardanti una possibile correlazione tra CFS e deficit di acilcarnitina. Uno studio condotto su settantatré pazienti con CFS e 308 volontari per valutare la concentrazione di carnitina e acilcarnitina nel siero ha evidenziato un calo significativo della prima nel gruppo di pazienti affetti da CFS. Dato che i livelli di acilcarnitina sono risultati normali nei pazienti senza CFS, ma allettati in seguito a fratture ossee, il calo osservato nei soggetti con CFS non poteva dipendere dalla diminuzione dell'attività giornaliera. L'ipotesi del gruppo giapponese è che, indipendentemente dai fattori eziologici coinvolti nella malattia, il processo patogenetico possa portare alla comparsa di disfunzioni metaboliche che includono anomalie del metabolismo della carnitina, responsabili della fatica generalizzata, dei dolori e della debolezza muscolari, della pessima tolleranza allo sforzo anche minimo e dei disturbi neuropsicologici tipici dei pazienti con CFS. È interessante tra l'altro osservare che in Giappone, paese noto per la sua frenetica attività lavorativa, il governo ha istituito e finanziato un gruppo di studio apposito sulla CFS che ha già individuato centinaia di casi nella popolazione.

Studi molto recenti hanno dimostrato la presenza di alterazioni muscolari in un sottogruppo di pazienti con CFS. Secondo le ricerche condotte dal professor Behan, direttore della Clinica delle malattie nervose dell'Università di Glasgow, l'alterazione sarebbe a livello mitocondriale. Alle medesime conclusioni è arrivato anche un gruppo dell'Università di Chieti, coordinato dal professor Eligio Pizzigallo, che, studiando alcuni pazienti con CFS, ha dimostrato la presenza di diverse anomalie muscolari: alterazioni mitocondriali, degenerazione grassosa, irregolare produzione di fibre muscolari. Queste evidenze, d'altronde, costituiscono un punto di partenza razionale per spiegare la stanchezza riferita dai pazienti.

In assenza di conoscenze certe sulla causa della CFS, è difficile identificare trattamenti efficaci.
L'approccio terapeutico alla CFS è solitamente sintomatico, ma va sottolineato che non vi è ancora un consenso sul ruolo di farmaci, supplementi vitaminici e terapie psicologiche. Conseguentemente, i trattamenti riportati in letteratura sono aneddotici e altamente speculativi. Delle terapie via via proposte, solo sette sono state sottoposte a valutazione approfondita. Molti degli studi clinici condotti in quest'ambito hanno però arruolato un numero esiguo di pazienti cosicché i risultati, sia negativi che positivi, devono essere valutati con molta cautela. Magnesio. Un recente lavoro, comparso sulla rivista Lancet, riportava che, rispetto ai controlli, nei pazienti affetti da CFS i livelli di magnesio eritrocitario risultavano ridotti. In base a questi rilievi, 15 dei pazienti studiati furono trattati con magnesio per via intramuscolare e 17 con placebo. Tra i pazienti del primo gruppo, 15 hanno risposto favorevolmente al trattamento, mentre nel secondo gruppo solo in 3 pazienti è stato ottenuto un miglioramento dei sintomi. Oltre ad aver arruolato un campione molto esiguo, questo studio non ha valutato le possibilità terapeutiche del magnesio somministrato per os.
In lettere successive, sempre pubblicate sulla rivista Lancet, altri ricercatori hanno segnalato invece che, tra pazienti affetti da CFS da loro trattati, i livelli di magnesio eritrocitario risultavano ridotti solo in un limitato numero di casi.
Secondo un'altra esperienza riportata dalla California dalla dottoressa Jessop, l'80% dei 40 pazienti da lei trattati con magnesio ha ottenuto un miglioramento di alcuni sintomi, ma soltanto il 30% ha presentato un miglioramento dell'astenia. Il protocollo della dottoressa Jessop comprende un trattamento con magnesio per via intramuscolare settimanalmente per 6 settimane, seguito, in caso di risposta favorevole, dal passaggio alla via orale.
Nell'esperienza del professor Eligio Pizzigallo, direttore della Clinica malattie infettive dell'Ospedale Santissima Annunziata di Chieti, vi sono stati risultati estremamente positivi nei pazienti che presentavano una diminuzione dei livelli del magnesio eritrocitario prima della terapia.
Anche dall'esperienza di Aviano emerge che alcuni dei pazienti con magnesemia ridotta beneficiano della terapia con pidolato di magnesio per via orale, trattamento che, però, sembra essere ugualmente efficace anche in altri pazienti con magnesemia normale, anche se altri pazienti sembrano ugualmente beneficiare del trattamento con magnesio, pur con normali livelli ematici di magnesio.
Acetilcarnitina. I dati del gruppo giapponese sullo "Studio della sindrome da stanchezza cronica", sponsorizzato ufficialmente dal ministero della Sanità giapponese, ha evidenziato un deficit di acilcarnitina nei pazienti con CFS.
Per valutare le concentrazioni nel siero di carnitina sono stati studiati 27 pazienti con CFS e 41 volontari. Mentre i valori della carnitina libera non differivano significativamente nei due gruppi, le concentrazioni di acilcarnitina erano significativamente diminuite nei pazienti con CFS. I dati giapponesi suggeriscono pertanto che non vi sono anormalità nella sintesi della carnitina, ma che nei pazienti con CFS esiste una sintesi alterata o un'eccessiva secrezione urinaria della acilcarnitina. Questa carenza potrebbe provocare un deficit energetico a livello del muscolo scheletrico e spiegare pertanto la stanchezza generalizzata, i dolori muscolari, la debolezza muscolare e lo sfiancamento anche dopo uno sforzo fisico minimo, caratteristici dei pazienti con CFS.
In uno studio randomizzato doppio cieco, ricercatori americani hanno evidenziato una riduzione significativa della progressione della malattia di Alzheimer nei pazienti trattati con acetilcarnitina nei confronti di un gruppo di controllo. Il meccanismo con il quale il farmaco agirebbe nella malattia di Alzheimer è sconosciuto, ma è di notevole interesse che la somministrazione di acilcarnitina abbia un effetto positivo sulla memoria e le capacità cognitive, disturbi presenti anche nei pazienti con CFS.
Nell'esperienza di Aviano sono stati ottenuti buoni risultati somministrando ai pazienti con CFS carnitina e acetilcarnitina per via orale, sia impiegati da soli che in combinazione con pidolato di magnesio e alte dosi di vitamina B12. Complessivamente, un terzo dei pazienti così trattati ha ottenuto risultati molto positivi, alcuni dei quali perdurano nel tempo.
Vitamina B12. Il razionale per l'utilizzo di cobalamina ad alte dosi nella CFS deriva da alcuni studi sull'anemia macrocitica, pubblicati sul New England Journal of Medicine (Lindenbaum J et al, 1988, 318: 1720-28; Beck WS et al, 1988, 318: 26). L'esatto meccanismo di azione della vitamina B12 nella CFS non è ovviamente conosciuto ma, visto il dosaggio elevato necessario per ottenere una risposta positiva, si potrebbe pensare che essa non agisca come una vitamina, bensì come un modificatore della risposta biologica.
Su oltre 2000 pazienti trattati in questo modo, Paul Cheney, che è uno dei medici americani con maggiore esperienza nel trattamento della CFS, riferisce di aver ottenuto risposte positive in molti casi somministrando dosaggi fino a 500 mcg tre volte alla settimana per via intramuscolare. Da questo gruppo americano viene riportata invece una netta riduzione dell'efficacia quando la vitamina B12 ad alte dosi viene somministrata per via orale o intranasale. Il trattamento è relativamente poco costoso, privo di effetti collaterali, e si possono programmare terapie anche per un periodo di tempo relativamente lungo (3-6 mesi). Anche nell'esperienza di Aviano le alte dosi di vitamina B12, in associazione a carnitina e magnesio, hanno evidenziato benefici in un sottogruppo di pazienti con CFS. Più recentemente un altro gruppo di studio ha misurato il livello di folati serici in 60 pazienti con CFS e ne ha riscontrato una deficienza nel 50% dei casi.

Dopo la guerra del Golfo del 1990, circa 30.000 soldati americani hanno riportato diversi problemi sanitari, da tumori a difetti congeniti nella prole. Molti però soffrono di una sindrome simile alla CFS. Alcuni sono immobilizzati a letto per l'estrema stanchezza, che è comunque il sintomo comune a tutti i malati, insieme a dolori muscolari, febbricola, disturbi della concentrazione e della memoria ecc. Le ipotesi alla base di questa patologia non ancora spiegata, sono varie, ma ci si orienta soprattutto sull'esposizione alle sostanze chimiche e biologiche impiegate nella guerra.

Attualmente negli Stati Uniti si stanno studiando le possibilità terapeutiche di un farmaco che si ritiene dotato di attività antivirale e immunomodulatrice, sia nell'Aids che nella CFS. Risultati che provengono da studi non ancora pubblicati in letteratura, ma che sono stati discussi in diverse riunioni, riportano un notevole beneficio per alcuni pazienti affetti da CFS grave. Purtroppo però il farmaco ha dimostrato anche una considerevole tossicità per cui sono senz'altro necessari studi ulteriori, che sono peraltro in atto.