Massimo Cogliandro
La
“Carta della Scuola”, presentata dal ministro Bottai ed approvata dal Gran
Consiglio del Fascismo l’8/2/1939, voleva essere insieme alla “Carta del
Lavoro” e alla “Carta della Razza” uno dei documenti fondamentali sui cui si
doveva fondare il modello sociale ed istituzionale proprio del cosiddetto
“socialismo fascista”, per dirla con il filosofo fascista Drieu La Rochelle.
In realtà, come la
Carta del Lavoro era servita alla borghesia politica fascista per completare
l’assoggettamento del mondo del lavoro alle proprie specifiche esigenze di
classe, così la Carta della Scuola voleva rappresentare un modo per
assoggettare il mondo della scuola alle
necessità formative richieste dallo stabilizzarsi delle strutture del
totalitarismo poliarchico fascista. Nell’ordine del
giorno approvato dal Gran Consiglio del Fascismo la sera del 15/2/1939 si
affermava, infatti, la necessità di mettere la scuola pubblica italiana in mano
alle organizzazioni giovanili del Partito e, quindi, direttamente in mano alla
burocrazia politica fascista: “questo documento fondamentale [¼] consacra la stretta collaborazione tra
la Scuola e le organizzazioni giovanili del Partito”; nella II^ Dichiarazione
della Carta della Scuola si affermava inoltre che “nell’ordine fascista, età
scolastica ed età politica coincidono. Scuola, G.I.L. e G.U.F. formano,
insieme, uno strumento unitario di educazione fascista”.
La Carta della Scuola voleva rappresentare una svolta rispetto alla eredità del pensiero dell’idealismo gentiliano. Essa avrebbe voluto essere nelle intenzioni della burocrazia politica fascista un documento rivoluzionario in grado di dare una sistemazione organica ai princìpi pedagogici del “socialismo corporativo fascista” e di tradurli in pratica.
Come
in tanti altri casi – si pensi, ad esempio, alla cosiddetta “rivoluzione
sociale” dall’alto tentata qualche anno dopo dalla borghesia politica del
Partito Fascista Repubblicano nella R.S.I. sotto l’influenza determinante del
pensiero dell'ex-leninista Bombacci -, il “socialismo fascista” cercava di imitare a modo suo
le conquiste ottenute in un contesto completamente diverso dalla “rivoluzione bolscevica".
In
Russia, la riforma della scuola varata con il Decreto istitutivo
della scuola unica del lavoro del 16/10/1918, espressione della pedagogia di P.
P. Blonskij, si era inserita in un contesto di fermento culturale legato alle speranze, che la presa del potere da parte della burocrazia politica bolscevica aveva indotto in tanti intellettuali russi. Questo fermento, in un primo momento, aveva costretto la borghesia politica bolscevica ad
accettare e ad attuare parzialmente le idee espresse da questi stessi
intellettuali, che avevano avuto un ruolo determinante nel forgiare la
coscienza di classe degli operai e dei contadini russi nei momenti più duri
della lotta contro la vecchia classe sociale dominante. La riforma di Bottai,
al contrario, era il frutto di una decisione presa a freddo dalla burocrazia politica
fascista.
E’
evidente che se la riforma di Blonskji poteva ancora contenere dei genuini
fermenti rivoluzionari, la Carta della scuola, che ad essa in qualche modo faceva riferimento, in particolare nella
parte che riguardava la creazione di una scuola del lavoro negli ultimi anni
della scuola di base, aveva un carattere estremamente reazionario, come dimostrato da alcune dichiarazioni di Bottai e soprattutto dalla sua parziale attuazione tra il 1940 e il 1943: la stessa introduzione del lavoro nella scuola italiana aveva unicamente un ruolo demagogico ed accessorio, altri erano i nodi veramente strutturali della riforma. La Carta della Scuola, in realtà, tendeva unicamente a creare una scuola in grado di selezionare
gli elementi “migliori”, cioè più assoggettabili alle categorie mentali
dell’ideologia burocratica fascista, con cui costituire i futuri quadri
intermedi della burocrazia politica fascista, cioè della classe sociale
dominante. E' interessante, a questo punto, ricordare quanto Bottai scriveva nella sua “ Relazione al Duce e ai
camerati del Gran Consiglio” del
19/1/1939:
“Il
fine della presente riforma é quello di trasformare la scuola, che è stata
finora possesso di una società borghese, in scuola del popolo fascista (cioè
di quanti nel popolo accettavano il dominio di classe della borghesia politica
fascista) e dello Stato fascista (cioè della borghesia di Stato
fascista): del popolo che possa frequentarla (tutto il popolo doveva
andare a scuola per diventare “fascista”, per apprendere cioè nella scuola
fascista quei principi che giustificavano il dominio di classe della burocrazia
politica fascista); dello Stato (cioè della burocrazia politica
fascista) che possa servirsene per i suoi quadri e per i suoi fini” (i
corsivi sono miei).
I
fascisti hanno dunque ripreso l’idea della introduzione di una Scuola del
Lavoro per i bambini tra i 9 e gli 11 anni guardando alla Scuola elementare del
Lavoro per bambini dagli 8 ai 13 anni introdotta dalla burocrazia politica
bolscevica in Russia nel 1918, ma le somiglianze si fermano qui: la nuova
scuola fascista voleva sì essere una scuola “socialista”, ma anche una scuola
“corporativa”, perché il “socialismo fascista”, tra le altre cose, si
differenzia dal socialismo marxista perché è un “socialismo corporativo”.
Questo è il motivo tutto ideologico che ha spinto Bottai ad introdurre le tre
nuove scuole, che hanno sostituito la scuola post-elementare della riforma
Gentile: 1) la scuola media, per chi doveva essere avviato agli studi
superiori, cioè per chi in futuro sarebbe dovuto andare a costituire i nuovi
quadri della burocrazia politica fascista; 2) la scuola professionale per chi
era destinato ad essere inserito nel ceto impiegatizio; 3) la scuola artigiana,
che doveva servire a formare i bambini provenienti dalle classi operaia e
contadina.
Questa
riforma confermava la tendenza della burocrazia politica fascista a dividere
sin dal momento educativo le classi lavoratrici.
Al
contrario della borghesia politica sovietica, che tendeva a livellare verso il
basso tutte le classi sociali subalterne e, quindi, non aveva bisogno di un
sistema scolastico differenziato, con delle scuole destinate in maniera
specifica alle singole categorie sociali, la borghesia politica fascista,
incapace di portare fino in fondo la centralizzazione del sistema economico e
sociale e di creare una forma forte di Capitalismo monopolistico di Stato, come
ha dovuto ripiegare dalla costruzione di un capitalismo di Stato vero e proprio
ad una più moderata forma di corporativismo di Stato in campo economico, così in campo scolastico ha
dovuto rinunciare alla progettata unificazione della scuola media e ripiegare
su una scuola di tipo “corporativo”.
Tutti
sanno come questo ripiegamento economico, sociale ed istituzionale sia stato
gradualmente ideologizzato e il nuovo sistema sociale ed istituzionale fondato
sul corporativismo di Stato e su una forma “debole” di capitalismo di Stato -
meno totalitario, ma certo non meno autoritario del sistema sociale ed
istituzionale creato dal capitalismo di Stato integrale di tipo sovietico - sia
stato trasformato in un modello, una sorta di terza via, da contrapporre al
capitalismo di Stato puro presente in U.R.S.S. a partire dai primi anni ’30 e
ai sistemi sociali occidentali, caratterizzati dall’esistenza di una borghesia
di Stato “debole”.
In
conclusione, La scuola italiana si è dimostrata impreparata anche alla
mini-riforma di Bottai e se nel 1941 l’introduzione del lavoro nella scuola
italiana, tratto caratterizzante della nuova pedagogia di Stato fascista, aveva
investito più del 71% delle scuole italiane, era indubbio che la qualità
di questo insegnamento lasciava molto a desiderare anche per le insufficienze
accumulate a livello di elaborazione teorica dalla pedagogia di Stato in tanti
anni di predominio dell’idealismo gentiliano, di cui ancora risentiva persino
il testo della riforma di Bottai.
Roma,
31/5/2000