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LA GUERRA IN AFRICA ORIENTALE

(Avvenimenti dell'anno 1940)

L’impero dell’Africa Orientale Italiana era costituito dai territori di Etiopia (molto esteso ma con pochissime strade principali degne di questo nome), di Eritrea (in gran parte caratterizzato da montagne e terra desertica) e di Somalia (quasi completamente privo di risorse).
Lo stato di ribellione che continuava a mantenersi in Etiopia costringeva gli italiani a mantenere su questo territorio forze numericamente molto superiori a quelle inizialmente previste (nel 1937 erano presenti 255.000 uomini anziché i 100.000 stabiliti mentre, nel maggio 1940, un mese prima dell’entrata in guerra, gli uomini presenti erano addirittura saliti a 285.000).
Guerra in Africa Orientale, fonte: www.lasecondaguerramondiale.it Era stato stabilito, che in caso di guerra, l'Impero dell’Africa Orientale Italiana avrebbe dovuto essere in grado di difendersi da solo. Il governatore generale,il maresciallo Graziani, alla fine del 1937 chiese di ottenere le armi necessarie per la difesa: brigate corazzate, batterie controcarro, gruppi di artiglieria contraerea, carri armati e autoblindo. Gli fu risposto, però, che si sarebbe provveduto successivamente.
Nel maggio 1939 il duca d'Aosta, divenuto viceré d'Etiopia, presentò un piano da 4,8 miliardi per gli armamenti richiesti per la difesa, ma alla fine ne furono concessi solo 900. Nel febbraio 1940 egli riunì i governatori delle varie regioni e venne messa in evidenza l'inconsistenza delle forze disponibili per la difesa dell’Impero. Gli italiani si resero conto della precarietà della situazione e il 6 aprile inviarono un blocco considerevole di materiale e di personale ma soltanto pochi carri, pochi pezzi di artiglieria e 300 tra ufficiali e specialisti giunsero a destinazione (tutto il resto rimase bloccato nel porto di Napoli).
Allo scoppio della guerra, nel settembre del 1939, il comando italiano ricevette l’ordine di difendere da attacchi esterni il territorio dell'impero riservandosi però la preparazione di eventuali operazioni offensive ad obiettivo limitato e con lo scopo di migliorare la sicurezza della frontiera (operazioni dirette verso il Sudan, Gibuti e la Somalia britannica).
Anche il 10 giugno 1940, giorno dell’entrata in guerra dell’Italia, la situazione era ben lontana dall’autosufficienza. Le carenze più grandi riguardavano i pochi autocarri e la scarsa disponibilità di gomme; inoltre le scorte di carburante erano valutate circa per 7 mesi al massimo. Infine, mancavano totalmente le armi contraeree e controcarro e tutto l'armamento, dal fucile all'artiglieria, era costituito da residuati della prima guerra mondiale.

Gli schieramenti

L’esercito italiano schierava 90.000 uomini delle truppe nazionali e circa 200.000 coloniali. Di queste truppe, però, solo due divisioni di fanteria potevano considerarsi organizzate ed equipaggiate, il grosso era invece strutturato in unità più agili e numericamente inferiori come i battaglioni e le brigate.
Per quanto riguarda le truppe indigene, gli eritrei si distinsero per fedeltà e spirito di sacrificio mentre molte tribù locali non esitarono a passare nelle file inglesi quando ormai si faceva sempre più evidente la loro vittoria.
I pochi mezzi corazzati erano composti in totale da 24 carri medi e 35 carri leggeri. Vi erano inoltre contare 5300 autocarri, 2300 autovetture e 307 motociclette. L'aviazione disponeva teoricamente di 325 aeroplani (tutti di modelli ormai superati in confronto a quelli della RAF) ma in realtà soltanto 183 risultavano disponibili dato che vi erano 61 apparecchi di riserva in magazzino e 81 in riparazione. La Marina, infine, era presente nella zona del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano con 8 sottomarini (ma 4 di questi furono subito affondati) e 20 navi che di sicuro non si potevano considerare moderne.
La Gran Bretagna, quando l'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940, non aveva in Africa Orientale forze capaci di sostenere una campagna (il numero di uomini era molto inferiore rispetto a quello italiano). Schierava 25.000 soldati nel Sudan, 35.000 in Kenya (in parte sudafricani) e 1.500 nella Somalia britannica. Inoltre due battaglioni indiani si trovavano ad Aden.
Gli italiani avevano quindi una notevole superiorità numerica ma questo vantaggio fu in seguito annullato dal fatto che, durante il conflitto, le forze britanniche aumentarono sensibilmente mentre gli italiani non ricevettero praticamente nessun rinforzo.
Il 4 luglio gli italiani, nel Sudan sudorientale, occuparono Cassala, un centro importante a 20 km circa dalla frontiera con l’Eritrea, mentre, il giorno 8, appena oltre il confine con il Kenya, gruppi armati fedeli all’italia presero la piccola città di Moyale e il saliente del Mandera. Nei due casi lo scopo era soltanto di privare i britannici di due basi potenziali e di due possibili vie d'accesso all'Africa Orientale italiana.
Soltanto dopo aver raggiunto questi due obiettivi si pensò ad organizzare l'occupazione della Somalia Britannica che doveva avere inizio nell'agosto del 1940.

L’occupazione della Somalia britannica

Solamente all'inizio dell’agosto 1940 gli italiani intrapresero un’offensiva, precisamente verso la Somalia inglese (che si affacciava sul Golfo di Aden). Conquistare questo territorio avrebbe significato privare l’avversario di una base importantissima per il prosieguo della guerra; infatti i 750 km di frontiera marittima sarebbero stati più facilmente difendibili sfruttando le basi di Massaua, Assab e Chisimaio. Inoltre il successo dell’attacco avrebbe impedito agli inglesi di utilizzare il porto di Gibuti, nella Somalia francese, e avrebbe consentito inoltra gli italiani il controllo dei porti di Berbera e Zeila.
L'invasione italiana della Somalia Britannica, fonte: www.lasecondaguerramondiale.it La presenza dell'Italia nell'Africa Orientale rappresentava un grave problema per gli inglesi. Il Corno d'Africa dominava l'ingresso del Mar Rosso che era una linea vitale per il Medio Oriente dopo la chiusura del Mediterraneo. Gli aerei italiani con base a terra rappresentavano una minaccia per le navi britanniche che rifornivano il Medio Oriente e, per di più, a Massaua esisteva anche una base navale.
Le forze italiane che attraversarono la frontiera il 3 agosto 1940 erano al comando del generale Nasi ed erano formate da 28 battaglioni di fanteria, due gruppi di artiglieria e una piccola quantità di carri armati piccoli e medi. Ad esse gli inglesi contrapponevano cinque battaglioni più il reggimento scozzese “Black Watch”.
Le forze italiane si divisero: una colonna si diresse verso la frontiera della Somalia francese per bloccare la guarnigione locale nel caso in cui questa fosse stata disposta a intervenire in soccrso degli inglesi; il resto delle forze raggiunse prima Hargeisa e poi, il giorno 11, le alture intorno a Tug Argan. Qui i britannici opposero un’accanita resistenza respingendo numerosi attacchi frontali ma, di fronte al pericolo di un accerchiamento, la notte del 15 si ritirarono fino ad imbarcarsi su una nave da guerra in attesa a Berbera. A Berbera gli italiani giunsero il primo settembre ma la trovarono priva di carburante e generi alimentari. La maggior parte delle forze britanniche evacuate da Berbera andarono ad aggiungersi alle truppe che si stavano organizzando in Kenya.
E’ vero che gli italiani riuscirono ad arrivare fin sulla costa che dava sul golfo di Aden ma, da questo momento in poi, l’iniziativa sarebbe stata sempre in mano inglese (che aveva un esercito meglio rifornito ed equipaggiato mentre invece gli italiani non ricevevano con continuità i rinforzi di uomini e mezzi). Se ne sarebbe avuta la riprova quando, a partire dal gennaio 1941, i britannici iniziarono la loro vera e propria offensiva.

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