<< FILMOGRAFIA COMPLETA >>
SOGGETTISTA E SCENEGGIATORE
1983 – BELLO MIO BELLEZZA MIA di Sergio Corrucci
con Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, Stefania Sandrelli
1985 – SONO UN FENOMENO PARANORMALE di Sergio Corrucci
con Alberto Sordi, Eleonora Brigliadori, Elsa Martinelli
1986 – CARTOLINE ITALIANE di Memè Perlini
con Genevieve Page, Lindsay Kemp
1987 – RIMINI RIMINI di Sergio Corbucci
con Paolo Villaggio, Serena Grandi, Laura Antonelli
1988 – ROBA DA RICCHI di Sergio Corrucci
con Paolo Villaggio, Renato Pozzetto, Lino Banfi
1988 – IL TEMPO DELLE MELE TRE di Cloude Pinoteau
con Sophie Marceau, Vincente Lindon
1989 – DONNE ARMATE (miniserie TV per Rai2) di Sergio Corbucci
con Lina Sastri, Cristina Marsillac, Donald Pleasance
1990 – IL RITORNO DI RIBOT (miniserie TV per Rai1) di Pino Passalacqua
con Charles Aznavour, Pamela Villoresi
1991 – DETECTIVE EXTRALARGE : MAGIA NERA di Enzo G. Castellari
con Bud Spencer
1991 – FANTAGHIRO’ (miniserie TV per Canale 5) di Lamberto Bava
con Alessandra Martines, Kim Rossi Stuart, Angela Molina, Mario Adorf
1991 – LA SETTA di Michele Soavi prodotto da Dario Argento
con Kelly Curtis, Herbert Lom
1992 – UN INVIATO MOLTO SPECIALE (6 TV-movies per RAI2) di Vittorio De Sisti
con Lino Banfi
1992 – FANTAGHIRO’ 2 (miniserie TV per Canale 5) di Lamberto Bava
con Alessandra Martines, Kim Rossi Stuart, Brigitte Nielsen
1992 – A TUTTE LE VOLANTI (Pilota per una miniserie di RAI 1) Di Romolo Guerrieri
con Simonetta Stefanelli
1993 – LA SCORTA di Ricky Tognazzi
con Enrico Lo Verso, Claudio Amendola, Carlo Cecchi
1993 – TRAUMA di Dario Argento
con Asia Argento, Piper Laurie, Frederic Forrest
1993 – FANTAGHIRO’ 3 di Lamberto Bava (miniserie TV per Canale 5)
con Alesandra Martines, Ursula Andress, Kim Rossi Stuart
1994 – DELLAMORTE DELLAMORE di Michele Soavi dal romanzo di Tiziano Sclavi
con Rupert Everett, Anna Falchi
1994 – FANTAGHIRO’ 4 di Lamberto bava (miniserie TV per Canale 5)
con Alessandra Martines, Nicholas Rogers
1995 – DESIDERIA E L’ANELLO DEL DRAGO di Lamberto Bava
con Franco Nero, Anna Falchi, Stefania Sandrelli
1995 – PALLA DI NEVE di Maurizio Nichetti
con Paolo Villaggio, Anna Falchi, Monica Bellocci, Leo Gullotta; Alessandro Haber
1996 - SORELLINA E IL PRINCIPE DEL SOGNO di Lamberto Bava
con Christopher Lee, Valeria Marini
1996 - NITRATO D’ARGENTO di Marco Ferreri
con Iaia Forte
1996 - FANTAGHIRO’ 5 di lamberto Bava
con Alessandra Martines, Remo Girone
1997 - RACKET di Luigi Perelli
con Michele Placido
1997- LA PRINCIPESSA E IL POVERO di Lamberto Bava
con Anna Falchi, max Von Sydow
1999 - HAREM SUARE di Ferzan Ozpetek
con Marie Gillan, Lucia Bosè, valeria Golino
2001 - LE FATE IGNORANTI di Ferzan Ozpetek
con Margherita Buy, Stefano Accorsi
PRODUTTORE
1994 – DELLAMORTE DELLAMORE di Michele Soavi
1996 - NITRATO D’ARGENTO di Marco Ferreri
1996 - ARGENTO PURO (cortometraggio) di Pappi Corsicato
1999 - HAREM SUARE di Ferzan Ozpetek
2000 - KIPPUR di Amos Gitai
2001 - LE FATE IGNORANTI di Ferzan Ozpetek
2001 - EDEN di Amos Gitai
Analisi # 1
LE FATE IGNORANTI < breve saggio in chiave di appunti >
Dopo il successo di critica e pubblico ottenuto da ‘Il bagno turco’ ed ‘Harem Suare’, Ferzan Ozpetek torna nuovamente dietro la macchina da presa con la consueta attenzione alle tematiche a lui più care: la sensibile rappresentazione del caos sentimentale, il valore aggiunto della contaminazione/ibridazione dei sessi e delle culture, la catartica ambiguità del cambiamento individuale, la necessità del viaggio come afflato inevitabile di una scoperta della propria personalità. Il risultato è un’opera cinematografica esemplare per il sapiente equilibrio tra sceneggiatura (scritta con Gianni Romoli) e regia, direzione degli attori e genuina freschezza dei dialoghi.
Da Kieslowski ad Almodovar
La più autobiografica tra le sue pellicole, ‘Le fate ignoranti’ rappresenta per Ozpetek anche l’occasione per diffondere nella giusta prospettiva i valori più distintivi dell’universo omosessuale. In questa ottica, il tocco dell’autore non è mai giudicante, semmai descrittivo, ricolmo di una grazia narrativa molto simile per certi aspetti a quella di Almodovar.
La storia ricorda anche Film Blu di Krzysztof Kieslowski: in un incidente automobilistico la protagonista perde il marito e nella dolorosa elaborazione del lutto scopre la relazione extraconiugale. Ma Kieslowski parlava di libertà, memoria, elaborazione del lutto, dolore, in questo caso invece l'approccio diverso di Opzetek permette di evitare paragoni ingenerosi. Anche se un tributo esplicito al film viene dalle belle musiche di Andrea Guerra, che in alcuni brani sembrano aver conservato la traccia di un ricordo delle musiche di Film Blu.
Lo stile
Ogni aspetto del lavoro è minuziosamente ponderato ad una costante eleganza delle scelte stilistiche effettuate. Una regia asciutta, oggettiva, con dei movimenti di macchina ridotti all’essenziale. La tecnica lascia il posto alla poetica che emerge perfino nella reversibilità delle prospettive: la commedia diviene improvvisamente melodramma ed il melodramma a tratti riassume le forme della commedia; i punti di vista dei personaggi si alternano incessantemente divenendo parimenti condivisibili ed opinabili (esemplare in tal senso è il caso delle argomentazioni addotte da Michele in sostegno della liceità della menzogna, apparentemente giustificabili in relazione al contesto di riferimento ma poi confutate dai fatti a favore della genuina e sincera bontà comunicativa utilizzata da Antonia). Il confronto tra i due protagonisti diviene così non solo l’occasione per l’incontro-scontro tra differenti concezioni caratteriali, familiari ed esistenziali ma anche il momento per interrogarsi sulla necessità di dire sempre è comunque la verità. Michele è fermamente convinto dell’idea che dire il vero non paghi per chi è costretto a rimanere nell’ombra e a vivere in un mondo nascosto. E’ per questa ragione che la falsità e la convivialità dei banchetti domenicali, intesa come momento di volontaria segregazione nel proprio gruppo, costituiscono gli unici espedienti validi per evitare gli effetti della discriminazione. Ed è a questo livello che interviene il personaggio di Antonia, assertrice invece di una coraggiosa visione della vita che fa della trasparenza la sua più forte arma ed insieme la sua più evidente debolezza. Ma è proprio da questo contrasto vitale inscenato dai due che emergeranno gli spunti per una serena riflessione sul senso dell’esistenza ed un legame d’intenti ben più profondo di una relazione sentimentale basata meramente sul sesso. Ecco spiegato così il valore degli sguardi, delle movenze, della fisicità estemporanea delle gestualità degli interpreti. Una caratterizzazione, questa, fortemente voluta dallo stesso Ozpetek e fortemente sublimata dalle performance di Stefano Accorsi e Margherita Buy, assolutamente a loro agio nei delicati ruoli assegnatigli. E tale caratterizzazione si traduce in una sorta di pudore “involontario” del regista che ritrae i personaggi sempre di profilo, di schiena manifestando quasi una sorta di timore reverenziale verso LA FIGURA e la sua intrinseca sensualità (e sessualità).
L’inizio
E’ una scena antononiana. Il “gioco” che i coniugi inscenano sembra già una introduzione ad una tematica centrale (il doppio e la falsa-pista), un indizio che ci suggerisce, proprio dalla prima sequenza, ad osservare con attenzione quanto stiamo percependo, a comprendere che ciò che vediamo non è la realtà delle cose ma solo un fragile paravento illusorio. Ed è un po’ quello che scopre Antonia nel film. D’altronde questo è chiaro da subito anche a livello scenografico: il museo è un misto di archeologia classica e archeologia industriale, anch’esso ha una doppia anima.
La dedica
La vicenda vera e propria parte dalla scoperta, dietro il quadro (dietro, come abbiamo detto, le apparenze) che da il titolo al film, di una dedica a Massimo. Antonia la legge, la rilegge alla ricerca, forse, di possibili, diverse chiavi di lettura accorgendosi presto della inequivocabile realtà: il marito aveva un’amante.
La dedica è come una poesia. Viene rappresentato con una sublime delicatezza e forte lucidità il senso di una persona innamorata di qualcuno e la triste, amara consapevolezza di non poterlo mai avere. Si percepisce il senso di una profonda malinconia ma anche di una forte, struggente rabbia velata.
Il testo oltre la testualità
Nella sceneggiatura Romoli impiega uno stile ed una sintassi classici.
Le fate ignoranti è, come abbiamo detto, un film semplice e lineare. Tuttavia sono presenti delle ellissi in cui lo spettatore deve affidarsi alla propria immaginazione per ricostruire i pezzi mancanti.
Oltre al tema del doppio e dell’amore impossibile, è possibile riscontrare un’altra tesi fortemente radicata nel cinema dello sceneggiatore. Romoli sembra avere una predilezione (parlando di Rossellini, o meglio ancora, per citare un grandissimo autore a lui molto più vicino per genere e gusti, David Lynch) per quelle che Umberto Eco ha denominato fabulae aperte che prevedono una sorta di cooperazione e confronto dello spettatore chiamato in prima persona a chiarire alcuni passaggi dei film, a fornirvi nuove chiavi di lettura, a rendere il quadro coerente e a chiarire le apparenti incongruenze. L’immagine finale del bicchiere che NON si rompe può avere per esempio mille significati: è il pubblico che deve riempirlo dei propri contenuti e delle proprie aspettative. Il pubblico finisce per raccontarsi così la ‘propria’ versione della storia. Come non ricordare a questo proposito le parole finali di Harem Suare, film di forti incastri narrativi (un racconto è un racconto è un racconto), in cui si dice che la vita non è importante solo come la si vive, ma anche e soprattutto come ciascuno di noi la racconta a se stesso e agli altri.
Le opere di Romoli non sono solo narrativamente e testualmente aperte ad una diversa lettura, ma anche alle sollecitazioni del caso. L’enorme importanza (di matrice Hitchcockiana) dell’apporto della “variabile impazzita” ci permette quindi di valutare oltre ad una teorizzazione dialettica dei personaggi anche la possibilità di rilevare una contaminazione (che è fusione) di diversi generi. In Romoli è la propria visione del genere a dominare sul genere.
I film scritti da Romoli sembrano iniziare sui binari del consueto solo per dar luogo a continui e graduali deragliamenti. Se scorriamo la sua filmografia vediamo che l’inventario è quanto mai confuso e nebuloso: c’è la commedia, il melodramma con sottotesto psicanalitico, l’horror metafisico venato di humour, il falso trhiller, la favola con risvolti erotico-psicologici. Insomma, se esiste un denominatore comune non è in una precisa categoria di genere che va individuato (cosa tra l’altro quasi impossibile per uno sceneggiatore) bensì in alcune visioni, nelle valutazioni tematiche e stilistiche che possono rappresentare una precisa, ininterrotta linea rossa che parte dagli esordi fino alla più recente produzione.
E nelle Fate c’è tutto questo, rappresenta anzi il compendio più semplice e lineare di tutta la poetica dello sceneggiatore. Le fate ignoranti è un film sull’Amore impossibile, e’ un film sulla doppia personalità ma anche un film che vuole essere specchio di se stesso (o, parafrasando il grande Bergman, come in uno specchio) ed Opera testuale aperta a più significati.
Valutando, appunto, il testo filmico oltre la sua stessa testualità. Storie che sembrano non chiudersi, non finire, non definire delle scelte, delle vie di fuga obbligate. Storie aperte. Cosa c'é allora tra le persone, che ci sfugge? Altre persone, altre persone....quello che ci lega al mondo.
Biancaneve in mezzo ai Freaks
Le Fate ignoranti è “Biancaneve e i sette nani” di Walt Disney. E come il capolavoro disneyano è anch’esso sintesi di generi: dramma, commedia, horror e love story. Antonia è la moderna Biancaneve, accolta dai “nani” dapprima con diffidenza, ostilità, per poi risultare e divenire una figura importantissima, centrale e decisiva al loro stesso benessere. Ma ‘Le fate ignoranti è anche Freaks, l’indiscusso, terribile capolavoro di Tod Browning citato esplicitamente in una scena e genialmente utilizzato per denotare l’iniziale, negativo impatto con il gruppo di “diversi”.
Il doppio e lo specchio
Nonostante le apparenze ‘Le fate’ è un film ottimista, ha un messaggio molto positivo. E’ vero, Antonia alla fine parte, si è tristi per lei eppure si esce felici dalla sala. Probabilmente ciò che possiamo cogliere di positivo è il messaggio di quell’ultima sequenza e cioè che ognuno nella vita ha il diritto di cercare un posto (e delle persone) in cui stare bene con se stessi. E l’ottimismo delle Fate è presente ed evidente anche nell’idea del “doppio”, che deve molto allo sceneggiatore.
Una tematica, questa, dominante in tutti i film scritti da Romoli che si esplica quì attraverso diversi personaggi: la Filippina che è “Cattolica ma non tutta”, la madre di Antonia che si presenta come un personaggio freddo, antipatico ma che si rivela una persona eccezionale, una madre che è in fondo è più una figlia, un personaggio paragonabile alla Lauren Bacall de “L’amore ha due facce” di Barbara Streisand.
Il film inoltre vuole essere una visione di come l’amore può essere specchio. Le ‘Fate’ è un gioco di specchi continui: Antonia e Michele sono persone che si amano, ma si sono amati ancor prima di conoscersi attraverso una terza persona: Massimo. Antonia amava Massimo, Michele amava Massimo e scoprono, con la scena del libro di Hikmet, che loro amavano dell’uomo le cose che Massimo prendeva da loro stessi. In tal senso, quindi, Antonia e Michele sono da sempre innamorati. Se c’è infatti una coppia ideale nel film è proprio la loro. Loro che non riescono ad amarsi perché non riescono ad accettare e superare il tabù della omosessualità. Ma il film si spinge oltre. Sembra infatti descrivere l’incontro tra il mondo apparentemente borghese e sospeso di Antonia ed il mondo libero e trasgressivo di Michele. Invece è l’incontro tra due mondi uguali, similmente rigidi e congelati. E’ l’incontro tra due mondi normali. Emblematica, a tal proposito, la scena in cui Michele “confessa” implicitamente agli altri l’amore per Antonia: sono tutti fuori al terrazzo, Antonia in casa nascosta e Michele rimprovera gli amici che scherzano maliziosamente sul comportamento insolito dei due. Michele risponde: “non avete capito un cazzo, io ho solo un po’ di nostalgia di una piccola, banale vita normale”. Serra gli risponde: “ma guarda che quella ce l’hai già non ti illudere”.
Le fate è un piccolo tenero ritratto (politico ?) della società di oggi che denuncia il livellamento dei mondi diversi.
Ma nel film c’è qualcosa che unisce Antonia e Michele, al di là di quello strano sentimento che gradualmente cresce e si arricchisce: è Ernesto. Fare le flebo ad Ernesto è l’unico modo che ha Antonia per rimanere in contatto con la comunità e forse con il fantasma del marito.
La struttura
Il film è diviso in due parti. La prima, che va dall’inizio fino alla scena del terrazzo (il libro di Hikmet) in cui il loro rapporto si ribalta, è scritta e condotta in maniera estremamente tradizionale e strutturale nel senso che le scene sono legate e collegate da rapporti di causa-effetto. Un andamento narrativo semplice, molto lineare, quasi televisivo con delle piccole rotture (quando ad esempio Antonia va ai mercati generali e poi scappa via arrabbiata, c’è uno stacco e vediamo nuovamente lei mettere una flebo ad Ernesto. Senza quindi raccontare cosa è successo. Una piccola ellissi temporale). Invece, dal momento in cui lei si risveglia (la scena delle polpette, tra l’altro cucinate personalmente dallo sceneggiatore Gianni Romoli) in cui tra loro nasce questa unione che non si sa più dove li porterà, a quel punto il film perde le sue connessioni di causa-effetto. La prima parte sembra contenere un sottotesto giallo/thriller ovviamente in modo sublimato, molto edulcorato e semplificato. Questo è evidente soprattutto nella rappresentazione dell’”indagine” che porta Antonia a scoprire la verità. Ed anche nell’aver privilegiato il suo punto di vista in cui sono “gli altri” ad essere i cattivi, gli antipatici, i freaks appunto. Basti pensare alla scena in cui, per la prima volta e con evidente imbarazzo, Antonia pranza con la piccola comunità. Si assiste, durante il convivio, ad una teorizzazione e legittimazione della menzogna quando propongono alla trans di mentire con i parenti sulla sua nuova condizione. Antonia li guarda con occhi sospettosi e loro ci appaiono aggressivi, maleducati ed arrivano addirittura a cacciarla di casa. E poco prima Michele si alza in piedi per fare un brindisi, in una sequenza che è un rimando esplicito, come abbiamo già detto, al meraviglioso Freaks di Tod Browning ed alla terribile canzoncina cantata in coro “una di noi!”. Michele dice: “A Massimo, che era uno di noi!”.
Nel secondo tempo, invece si stabilisce un ribaltamento totale. La rivalutazione dei personaggi avviene non perché siano loro a cambiare, ma semplicemente cambia il punto di vista con cui osserviamo la vicenda. Antonia non ha più pregiudizi. Non finge ipocrisie e rivaluta totalmente quel “mondo intero” nascosto e vissuto dal marito. Tranne quando assiste al menage a trois dove si vede costretta ad andarsene ed il giorno dopo ad urlare in faccia a Michele quello che pensa, quello che, in fondo, il Mondo penserebbe. Ed in quel momento, momento che potrebbe essere una definitiva rottura, arriva la telefonata che li informa della scomparsa di Ernesto. E’ Ernesto di nuovo a riunirli, è il fantasma del marito, non possono permettere che anche Ernesto muoia. Quando lei poi dice ad Ernesto “la verità” rimanendo sconcertata di fronte al fatto che il gruppo aveva nascosto al ragazzo che il suo ex-amante era morto, loro si giustificano dicendo che hanno mentito per proteggerlo. Una nuova, seconda, teorizzazione della menzogna.
Lei li guarda tutti imbarazzati, con espressioni colpevoli e vede di fronte a sé, più che mai, una classica famiglia normale che si preoccupa di proteggere, attraverso la menzogna, i suoi cari.
E ciò che comprende Antonia è proprio questo. Comprende che per stare al gioco, per proteggere se stessa e gli altri deve mentire. Lei per andare via per cercare se stessa, per la prima volta nel film, mente. Racconta che va via con Emir. Lo fa perché ha capito che nel codice della casa, dire che lei parte per motivi sessuali è l’unica cosa che tutti gli perdonano. E l’unica scusa che ha per non farsi trattenere e per non dover dare spiegazioni.
In conclusione
“Le fate ignoranti” è un film assieme corale ed intimista, raffinato e delicato. E’ una pellicola che racconta di un amore impossibile, intenso e conflittuale. Non è, né vuole essere un ritratto esaustivo di un mondo altro come quello omosessuale ma riesce ad essere estremamente delicato nel dipingerne i principali tratti distintivi e caratterizzanti.
Giudizio Critico: * * * ½