<< BIOGRAFIA >>

Giovanni Romoli nasce a Roma il  18 Luglio del 1949.

Il Cinema rappresenta, sin da bambino, un punto estremamente centrale nella sua vita. Reso solitario e sensibile da problemi di salute avuti sin nella prima infanzia (ma presto superati), Romoli trova nel cinema, in cui viene accompagnato spessissimo, una specie di mondo di emozioni parallelo a quello della vita. E’ infatti solo al cinema che può provare quei sentimenti e quelle prime passioni che nella vita quotidiana ha difficoltà a vivere e ad esprimere. L’amore per il cinema è grandissimo. E si trasforma presto in amore per la lettura. Comincia a leggere prestissimo e legge di tutto. Già a dodici anni passa dai romanzi per ragazzi ai primi romanzi di Moravia. Ma i libri sono una supplenza, o meglio, un complemento al cinema. Leggere un romanzo per lui significa “vederlo”. E con questo mondo parallelo endogeno si instaura un rapporto fortemente emotivo. Al cinema si ride, si piange, si provano le prime paure quando gli indiani assaltano le diligenze. Così come nei giochi infantili molto tempo viene dedicato ad inscenare delle piccole situazioni, dei teatrini (dei piccoli film, insomma) con i compagni di quartiere, con i fratelli. E lui è un po’ il “regista” e l’organizzatore della messa in scena: decide i ruoli, le ambientazioni e gli svolgimenti, ritagliando per se stesso la parte o del cattivo o di quello che muore (una sorta di eroe romantico). Si preferiscono soprattutto ambientazioni di guerra o un improbabile western tra i vicoli del palazzo, segno di questa fortissima identificazione con il Cinema.

I primi film importanti sono “Biancaneve e i sette nani” di Walt Dysney e un film che, come vedremo, lo accompagnerà a lungo nella sua produzione cinematografica, il meraviglioso “Scarpette Rosse” di Michael Powell.

Romoli frequenta il liceo classico con buoni risultati. Si affeziona sempre di più alla lettura. Nel ’68 ha circa diciassette anni, vivendo quindi appieno l’evoluzione e la trasformazione di quel movimento politico-ideologico che ha segnato un cambio generazionale di decisiva importanza, soprattutto per chi lo ha vissuto. Romoli partecipa a tutte le battaglie e le lotte, alle rivendicazioni ed alle manifestazioni di legittimazione pur non essendo “un soggetto propriamente politico”. Non nasconde la sua natura anarchica (di sinistra) e ribelle, ma quello che più lo affascina (e quello che di più ha conservato di quegli anni) è l’idea di Cambiamento, cambiamento di cui i giovani stanno diventando protagonisti, trasformando le regole del comportamento sociale.

Il sessantotto rappresenta un periodo molto importante nella biografia di Romoli. Cinematograficamente quegli anni coincidono con un amore ed uno studio per tutto il cinema francese della Nouvelle Vague (in primis Godard) e soprattutto per il cinema underground americano visionato in alcune rare rassegne del periodo. In una di queste assiste ad una proiezione eccezionale de “L’arte della visione”, un super 8 di Stan Brakhage dalla durata di diciotto ore, consecutive, senza uscire dalla sala.

Questo significa rinnegare in toto il cinema “dei padroni”, quello americano, delle majors, riscoperto solo successivamente, ed esaltare e proporre a modello il cinema indipendente, quello sperimentale… insomma in una parola: Godard. Film di testo: “La cinese”.

Si laurea in Lettere moderne presso l'Università "La Sapienza" di Roma nel 1973 sostenendo una tesi sulla “Avanguardia e sperimentazione cinematografica a Roma dal 1961 al 1968”.

Dopo la laurea decide di partire per l’America e vi trascorre quasi un anno, un anno  appassionante e difficile,  tra lavori provvisori e precari per pagarsi il soggiorno ed il biglietto settimanale al cinema. Ed è proprio negli Stati Uniti che avviene il riavvicinamento con il grande cinema americano. Soprattutto con i classici. E in special modo con quei musical MGM che sin da piccolo aveva tanto amato, ma che la politicizzazione del sessantotto aveva portato ad odiare. Un cinema fortemente emotivo, apparentemente non d’autore e soprattutto non politico.

Torna in Italia nel 1974 ed insegna per quasi quattro anni Italiano in una scuola per stranieri.

Alcuni suoi amici, conosciuti ai tempi dei gruppi di lotta, avevano preso in gestione una piccola sala cinematografica a Trastevere dove proiettavano film e proponevano degli spettacoli di teatro sperimentale. Entra, con una quota di 350.000 lire, nell’organizzazione del cineclub denominato “L’occhio, l’orecchio e la bocca”. Diviene programmista responsabile del cineclub che, con le sue sperimentazioni teoriche e programmatiche, acquisisce un ruolo sempre più centrale ed importante tra le associazioni culturali della Capitale. E’ questa infatti l’occasione che ha Romoli sia di importare le esperienze derivate dal suo soggiorno negli Stati Uniti, con l’idea di maratona in primis (che prevedeva la proiezione di sette o addirittura otto film consecutivamente), sia di evidenziare e comunicare il proprio modo di intendere il cinema, procedendo con una equiparazione di tutti i film e gli autori (proiettando Godard e Freda nello stesso giorno, oppure Fellini e Matarazzo), fondendo e confondendo i generi, le tematiche, gli autori, le tecniche (si proiettano i trailer e addirittura i filmini amatoriali in super-8), gli stili, per parlare di Cinema oltre il Film, anticipando anche un modo di fare, oggi, la televisione (Blob, Fuori Orario). E, ancora,  l’occasione per cercare in tutto il mondo e riproporre i film della sua infanzia (Scarpette Rosse di Powell,  Il Mago di OZ di Fleming, Gilda di Vidor, Scarlet empress di Sternberg), arrivando ad una riscoperta sul campo del cinema americano e del cinema come industria, scelta che peraltro era in forte contrasto con il clima politico di quegli anni, tanto che scherzosamente lui e i suoi compagni di avventura – Silvia Viglia e Roberto Farina -  arrivarono addirittura ad essere accusati dai gruppi di sinistra di essere agenti della CIA.

Il successo culturale (e ormai leggendario nella storia dei cineclub) de “L’occhio, l’orecchio e la bocca” porta Romoli e gli altri soci ad inventare ed aderire, nel 1977 e per quasi dieci anni, a Massenzio, una rassegna promossa dall’assessore Renato Nicolini del Comune di Roma e gestita dalle più importanti associazioni culturali  e cineclubistiche  romane ed incentrato, per il primo anno, sul cinema epico. Romoli, insieme a Farina e Viglia, azzarda una nuova sperimentazione: propone in sostituzione di una rassegna sul Cinema Epico, una riflessione su l’epica dell’andare al cinema: otto schermi, proiezioni contemporanee, “Alexander Nevsky” insieme a “Via col vento”; inserire le scene tagliate dalle versioni distribuite dei film (i famosi quindici minuti di Novecento di Bertolucci). Insomma, un nuovo modo di percepire il cinema, colto e teorizzato nell’atto della percezione pura: la proiezione.

Il cinema come linguaggio totale, come comunicazione che va oltre lo schermo e che ha plurimi significati: il doppio gioco dell’immaginario (seconda edizione di Massenzio).

A tempo perso, più per diletto che per uno studio, Romoli comincia a scrivere delle piccole sceneggiature thriller – erotiche, come andavano di moda in quel periodo senza mai proporle o farle leggere a nessuno. Un amico che lavora con Joe D’Amato gli propone di scrivere una sceneggiatura erotica da presentare a qualche produzione per guadagnare un po’ di soldi. La sceneggiatura si intitola “Isabelle Clyto 2000”, un porno fantascientifico che viene molto apprezzato, solo che realizzarlo comporterebbe costi molto alti.

Al Palazzo delle Esposizioni di Roma viene realizzata la prima grande mostra sul cinema, molto criticata, che metteva in esposizione tutti i settori della produzione di un film. Vengono esposti materiali che si raccolgono a Cinecittà, i manifesti, insomma, un piccolo museo del cinema la cui esposizione durò diversi mesi. Contemporaneamente viene pubblicato un volume di interviste a personaggi legati al mondo del cinema: registi, attori, tecnici.

Alla fine degli anni 70 l’incontro con il cinema cambia prospettiva. In occasione di queste interviste, Romoli incontra Giancarlo Giannini.

Qualche tempo dopo, Giannini gli commissiona una sceneggiatura da ricavare da un piccolo racconto horror: ‘Il piccolo assassino’, in cui una coppia con un bambino vengono trovati assassinati e poi si scopre, attraverso una situazione molto complessa, che ad ucciderli è stato lo stesso bambino.

Giannini cerca uno sceneggiatore alle prime armi e per 500.000 lire commissiona la stesura a Romoli da effettuare in tre giorni. In tre giorni Romoli scrive 140 pagine. Giannini si dice entusiasta del lavoro e gli propone di scrivere altri soggetti per una eventuale serie televisiva sul genere delle americane ‘Ai confini della realtà’ e ‘Alfred Hitchcock presents’, che avrebbe voluto produrre e dirigere di persona. Romoli comincia a scrivere diverse sceneggiature che Giannini acquista sempre per 500.000 lire. L’attore presenta di volta in volta i lavori alla RAI. Le sceneggiature piacciono moltissimo, solo che sono storie dell’orrore, molto disturbanti e molto forti considerando i tempi e la televisione della fine degli anni ‘70.

Romoli scrive nel 1979, sempre per Giannini, “Midriasi”. Un horror mai realizzato ma che anticipa tematiche e stili narrativi che successivamente saranno riscontrati in autori del calibro di Romero, Argento, Fulci ed il più giovane Raimi. Anche se non viene mai realizzato, il film e gli altri scritti portano una considerevole fama a Romoli in quanto le sceneggiature erano state lette da molti addetti ai lavori.

Giannini accantona i diversi progetti horror che Romoli ha scritto per lui in quanto ritiene che per il momento nessuno è intenzionato a produrli. Gli propone allora una commedia. Con la regia di Sergio Corbucci nasce “Bello mio bellezza mia”. Allo sceneggiatore la storia, un’idea di Giannini, non piace particolarmente ma accetta comunque la commissione, perché è la prima reale possibilità di provarsi sul campo. Il film è del 1983 ma è un completo insuccesso, con delle critiche pessime. Tale disfatta è per Romoli da un lato un risveglio, dall’altro un colpo forte. Lo sceneggiatore va in depressione assumendosi la colpa del fallimento.

Tuttavia Giannini gli propone un altro film “L’uomo di Cioccolata” un bel progetto sul brigantaggio che però salta. Corbucci gli propone un film sul filone mitologico e Romoli scrive “Ercole a Los Angeles”: un film molto divertente ma anch’esso troppo costoso da realizzare per cui viene accantonato.

E’ un lungo periodo di progetti che non vanno in porto ma che diventano una specie di intenso apprendistato, sotto la guida di un Maestro dei generi e dei filoni del calibro di Sergio Corbucci, che si specializza sempre di più nella Commedia e continua a chiedere a Romoli di lavorare.  Si instaura  così tra i due un rapporto di collaborazione quotidiana.

Un giorno Corbucci gli telefona e gli chiede di farsi venire immediatamente un’idea per un film con Lino Banfi. Romoli è a cena, pensa, e dopo un’ora richiama Corbucci: l’idea è “Sono un fenomeno paranormale” (1985). Il film si fa con Sordi, ma non ha il successo sperato. Ed è la seconda doccia fredda.

Corbucci, sempre credendoci fortemente, inventa insieme a Romoli un nuovo progetto, una commedia corale a episodi dal titolo “Rimini Rimini”, cinque episodi scritti da vari sceneggiatori.  Contemporaneamente, la conoscenza di Memè Perlini durante un corso di recitazione, porta il regista teatrale a commissionare a Romoli uno script tratto da una sua pièces: “Cartoline Italiane”. Il film di Perlini viene invitato a Cannes nel 1986, ma rimane un film di nicchia, quasi sperimentale. Nel frattempo “Rimini Rimini” esce e diventa un grande successo di pubblico. Il primo della carriera di Romoli.

Interessato a lavorare con lui, il produttore Mario Cecchi Gori gli propone un contratto d’esclusiva, che Romoli però rifiuta. Scrive però per la Cecchi Gori alcuni progetti che non vanno in porto, non per motivi legati alla sceneggiatura: un episodio per una serie televisiva; un film giallo per Maurizio Ponzi; una commedia per Pozzetto. Sembra iniziare un nuovo periodo negativo, quando Vittorio Cecchi Gori gli affida di scrivere un film che avrebbe dovuto produrre Dario Argento per Luca Verdone.

Nel frattempo sempre con Corbucci, e molti altri sceneggiatori, Romoli scrive “Roba da Ricchi” (1988). Anche questo film ottiene un buon successo. Ma a Romoli non piace la piega troppo volgare che stanno prendendo questi film farsa ad episodi e convince Corbucci a non farne più, arrivando persino a rifiutare l’offerta non solo di scrivere ma anche di dirigere ‘Rimini Rimini un anno dopo’.

La collaborazione con Argento si concretizza quando la regia de “La Setta” passa da Luca Verdone a Michele Soavi.  Nello stesso periodo Romoli scrive due sceneggiature con Stefano Sudriè, lo sceneggiatore di ‘Da Grande’. La prima è un ‘road movie’, intitolato “Donne armate”, in cui in anticipo sui tempi si propone l’idea di un thriller in cui i classici ruoli di ‘buono e cattivo’ sono al femminile. Il film verrà realizzato sempre da Corbucci due anni dopo nel 1989, ma come Miniserie per la televisione, in una versione molto censurata. L’altra è “Il ritorno di Ribot” una miniserie di Rai 1 diretta da Pino Passalacqua di genere melodrammatico.

Nel 1991 esce “La Setta” con risultati al botteghino appena discreti. Ma il film sarà destinato a diventare un vero e proprio ‘cult’ per gli appassionati del genere e Romoli è talmente ammirato dalla regia di Soavi, che considera molto più bella della sceneggiatura, da diventare suo amico e cercare in futuro di lavorare di nuovo con lui.

L’anno successivo Argento chiama Romoli a scrivere “Trauma” con la collaborazione di Franco Ferrini. I due scrivono un trattamento molto dettagliato, quasi una pre-sceneggiatura che però poi passerà nelle mani di T.E.D. Klein,uno scrittore americano, per la stesura definitiva. Questo passaggio è una forte delusione per Romoli, che si aggrava quando il film per non avere divieti di alcun tipo viene ulteriormente privato dei suoi elementi più ‘gore’ ma anche più spettacolari. Il film non è un successo, ma viene considerato l’ultimo film ‘classico’ di Argento.

Nello stesso periodo Lamberto Bava chiede allo sceneggiatore di scrivere una fiction favolistica per Mediaset: “Fantaghirò”.

“Fantaghirò” si rivela un vero e proprio trionfo. Di critica e pubblico. E non solo in Italia, diventa un successo in tutta Europa. Un anno dopo esce “Fantaghirò 2” che ottiene un successo ancora maggiore.

Comincia così un periodo di successi televisivi che portano Romoli a scrivere una vera e propria saga, l’unica di genere Fantasy mai fatta in Italia.

Nel frattempo però collabora anche, sempre con Sudriè e con altri, a una miniserie comica, “Un inviato molto speciale”, con Lino Banfi: E scrive per Mario Cecchi Gori “A tutte le volanti”, il pilota di una serie sulla polizia che poi non si farà mai. E’ il suo ultimo lavoro con i Cecchi Gori.

Con Sudriè scrive un soggetto che diverrà “La scorta” di Ricky Tognazzi. Ma nel film di quel soggetto originario non è rimasto più niente.

Nel 1993 esce la terza serie di “Fantaghirò” ed il successo si riconferma. L’anno seguente è l’anno della svolta produttiva: “Dellamorte Dellamore”. Romoli apre una società di produzione con Tilde Corsi (ex ufficio stampa di Ferreri, Fellini, Bertolucci, Altman) e Michele Soavi: la “Audi film”, che produce Dellamorte e lo vende in numerosi paesi riscuotendo un grosso successo di pubblico. Il film è soprattutto un trionfo di critica (con rare e acide eccezioni) ed è uno degli ultimi grandi film horror italiani, tanto da alimentare ancora oggi un vero e proprio culto soprattutto in America.

Sempre per Canale 5 si realizzano subito dopo altre due favole: il quarto capitolo di “Fantaghirò” e “Desideria e l’anello del drago” entrambi con ottimi risultati di pubblico e critica televisiva.

Nel 1996 Tilde Corsi gli propone una collaborazione alla sceneggiatura del film-testamento di Marco Ferreri: “Nitrato d’Argento”, che produce anche per la “Audi film” e che viene presentato con grande successo al Festival di Venezia. Quando il film esce però è un totale insuccesso.

Nello stesso anno gli viene proposto di scrivere l’ultimo, nerissimo, capitolo della saga, “Fantaghirò 5” ed una nuova serie televisiva scritta per Rai 2 di nuovo in coppia con Franco Ferrini: “Racket” di Luigi Perelli con Michele Placido, violentissima e molto cupa. 

Nel 1997 Romoli chiude il suo discorso con il genere favolistico con “La principessa e il povero”. Un grande successo anche questo ma Romoli intuisce che è necessario dare una svolta al genere, svincolandolo dall’idea di prodotto per bambini. Scrive allora un vero e proprio fantasy ‘La Rosa di Ebridon’, ma i costi di realizzazione sono troppo alti e la miniserie non si farà mai. Ci riprova anche come produttore con la trasposizione in miniserie del Mito classico di ‘Amore & Psiche’, ma anche questo progetto non vedrà mai la luce perché sia la Rai che Mediaset rinunciano alle produzioni in costume a favore della nuova fiction più realistica sui modelli dei format spagnoli. Un ultimo tentativo lo fa scrivendo la versione in miniserie dell’Opera di Puccini ‘Turandot’. Ma Mediaset si rifiuta di realizzarla. Romoli allora decide di non scrivere più per altri produttori. Da questo momento si dedica come sceneggiatore solo a film che lui stesso produrrà o a produrre film scritti da altri.

Nel 1999 realizza il film di un amico, Ferzan Ozpetek, che aveva felicemente debuttato un anno prima con ‘Il Bagno Turco’. Scrive con lui e produce con Tilde Corsi, ma con una nuova società, la R&C Produzioni: “Harem Suare”. La lavorazione del film si rivela faticosissima e stressante e il film non è il grande trionfo che tutti si aspettavano, anche se ha un discreto riscontro di pubblico e buone critiche, soprattutto dopo essere stato invitato a chiudere la sezione ‘Un Certain Regard’ del Festival di Cannes.

L’anno successivo esce “Kippur” di Amos Gitai, una produzione minoritaria della R&C, che finisce in concorso a Cannes.

Nel 2001, esce “Le Fate Ignoranti”, scritto e prodotto da Romoli per Ferzan Ozpetek. In concorso a Berlino, dove ottiene critiche tiepide e prudenti, ‘Le Fate Ignoranti’ ha una buona uscita in Italia e il suo successo cresce a dismisura grazie a un incredibile passaparola. E’ un trionfo, un grandissimo successo di pubblico. Un piccolo e intimo film che segna una vera e propria rinascita per il Cinema Italiano medio e che porta Romoli e la sua società di produzione al loro primo vero e proprio successo di massa.

Il film vince molti premi, tra cui ben cinque nastri d’argento. E due sono proprio di Romoli, per il miglior soggetto e per il miglior produttore dell’anno. Il film viene comprato da tutti i paesi stranieri e partecipa con successo a tantissimi altri festival.

Nel frattempo la R&Cproduzioni continua a fare film stranieri come partner minoritario. E si ritrova In concorso al festival di Venezia 2001 con il difficile e discusso “Eden” di Amos Gitai.

Romoli – ora alle prese con i suoi nuovi progetti - vive tra Roma, nel quartiere di Monteverde Nuovo, e Sabaudia: luoghi prescelti per dare vita alle sue storie e ai suoi personaggi,  a quelli più veri e sinceri, ma anche a quelli più misteriosi ed inquietanti.

 

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