InterMezZi | recensioni ed analisi
Tra scena e schermo cronache di un intermezzo
dott. Alfonso Amendola (Facoltà di Scienze della Comunicazione - Università di Salerno)
"Il teatro che vi aspettate, anche come totale novità, non potrà essere mai il
teatro che vi aspettate"
Pier Paolo Pasolini
Se con il suo primo corto ("Meriggio") Federico Mauro aveva intessuto un dialogo (ora ironico, ora didattico) con la ricostruzione-citazione di un film (la "Ricotta" pasoliniana) lavorando con la tentazione del metafilmico e del backstage, con "Intermezzi" il giovane filmaker cuce un dietro le quinte di una messa in scena di uno spettacolo teatrale. Si tratta, quindi, di una preparazione alla rappresentazione (che - mi si perdoni il gioco di parole- nella "realtà" della rappresentazione filmica è già rappresentazione), di un labirinto visivo costruito ad incastri dove si alternano attese e prove, maschere e gelosie, dialoghi e silenzi, opinioni e "scelte", parlato "naturale" e recitazione, interviste sul "mestiere di attore" e dichiarazioni di poetica. Insomma, un gioco delle parti che omaggiando i dogmi di Lars von Trier (allo spettatore il giudizio sulla canonicità della riuscita) ci racconta di una storia apparentemente semplice e lineare ma popolata di visioni e gusti cari al regista. Visioni e gusti che attraversano l'immaginario filmico (ulteriore istigazione verso lo spettatore è quella di riuscire a cogliere le tensioni dei generi cinematografici) e che costruiscono un corto molto più completo (e complesso) del suo precedente lavoro. "Intermezzi" è diviso in capitoli e può esser totalmente interpretato come un assieme di intermezzi scenici, dove la cinepresa gira, attraversa, taglia, si muove, singhiozza, salta, interroga, insegue frammenti di scene ed alternando primi piani e dettagli ci mostra resoconti e racconti di personaggi tutti impegnati nella "faticosa messa in scena di un'opera". Accanto all'articolazione del piano delle inquadrature, da annotare anche l'intensità di una colonna sonora in grado di sottolineare i diversi momenti espressivi del corto ed i variegati stati d'animo degli attori-personaggi. Alla fine resta una voluta ambiguità, un senso di sospensione, uno spazio di ipotesi che rilancia lo sguardo verso un ulteriore intermezzo, stavolta assolutamente assente da ogni luogo della visione (ed al di là di qualsiasi rappresentazione metafilmica e metateatrale).
INTERMEZZI
di Gianni Romoli
‘Intermezzi’, il cortometraggio alla ‘Dogma’ di Federico Mauro, è un esercizio di apprendimento che è insieme coraggioso ma nello stesso tempo impaurito di osare troppo. Mi spiego: da una parte c’è la voglia di esporsi e di confrontarsi con la realtà non teorica ma concreta di fare Cinema e non soltanto di studiarlo, amarlo e sognarlo. C’è la capacità evidente di organizzare una troupe, di coordinare giovani attori pre-professionisti usando con talento la loro condizione acerba per ottenere un efficace risultato di naturalezza assoluta. Dall’altra però c’è anche un eccesso di referenzialità stilistica come se l’Autore usasse Lars Von Trier più per nascondervisi dentro che per rivelarsi attraverso il suo stile. Un po’ come aveva già fatto nel pasoliniano ‘Meriggio’. A sua difesa devo ammettere che in tutti e due la citazione stilistica è annunciata e anzi è quasi essa stessa il ‘soggetto’ reale dei due corti. Un po’ come se il giovanissimo Mauro mettesse le mani avanti per dire: attenzione io voglio esprimermi attraverso questo mezzo espressivo, ma in onesta attesa di capire ‘cosa’ voglio raccontare e ‘come’ lo voglio raccontare, nel frattempo mi esercito prendendo a prestito lo stile dei ‘Maestri’, non solo per rendere loro omaggio, ma quasi per fare dei piccoli ‘saggi’ interpretativi su di loro. Da questo punto di vista quindi il vero soggetto di questi corti non è tanto la debole traccia di una ‘trama’ di cui rimangono solo brandelli narrativi, quanto il rapporto stesso dell’Autore con il mezzo che sta usando e con i suoi riferimenti stilistici e culturali. La mia non è né una critica né un elogio, è una costatazione. Detto questo, bisogna ammettere che Federico Mauro non si fa intimidire dai modelli che si è scelto e li usa con estrema sicurezza e raggiungendo anche effetti notevoli, più come regista che come sceneggiatore e soggettista. In INTERMEZZI è notevole l’uso dello spazio incorniciato da una soluzione ‘panoramica’ del fotogramma gestita con correttezza e ottimo controllo. Anche la mobilità esagerata della ‘camera’ non è mai casuale e sa quando fermarsi, come evidenziare i gesti importanti, come frugare nelle emozioni dei volti e delle situazioni, riuscendo ad amalgamare in modo sapiente i momenti rubati alla realtà con quelli invece di pura finzione. La scansione in capitoli divisi da immagini fisse ed eleganti sembra voler avvalorare la presenza di un contenuto narrativo che sfugge invece alla quasi impenetrabilità della trama e c’è in questo un sospetto di intellettualismo, che però non è grave. E se la parte ‘documentaria’ delle prove e del dietro le quinte funziona perfettamente, quello che invece non monta è il crescendo narrativo ‘fiction’ della storia privata della giovane attrice destinata a morire. Ma devo ammettere che già non funzionava in sceneggiatura (avendola letta) e forse a Federico Mauro non interessava che funzionasse più di così. Rimane comunque impressa la sequenza del pianto della ragazza in cui la ‘camera’ impietosa fruga alla ricerca del dolore non sul suo volto chinato ma sulle dita che tra i capelli emergono e scompaiono quasi allo stesso ritmo dei singhiozzi. Qui l’immagine riesce a restituire una emozione precisa, tanto che si potrebbero addirittura cancellare dal sonoro i singhiozzi e la forza del dolore, di quello che si vede, rimarrebbe inalterata.