FRANCESCO PETRARCA
CANZONIERE
CXLI-CCV
RERUM VULGARIUM FRAGMENTA
codice Vaticano 3195
In vita di Madonna Laura
CXLI
Come talora al caldo tempo sòle
Come talora al caldo tempo sòle semplicetta farfalla al lume avezza volar ne gli occhi altrui per sua vaghezza, onde aven chella more, altri si dole; cosí sempre io corro al fatal mio sole de gli occhi onde mi vèn tanta dolcezza che l fren de la ragion Amor non prezza, e chi discerne è vinto da chi vòle. E veggio ben quantelli a schivo mhanno, e so chi ne morrò veracemente, ché mia vertù non po contra laffanno; ma sí mabbaglia Amor soavemente chi piango laltrui noia, e no l mio danno; e, cieca, al suo morir lalma consente. |
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CXLII
A la dolce ombra de le belle frondi
A la dolce ombra de le belle frondi corsi fuggendo un dispietato lume che n fin qua giù mardea dal terzo cielo; e disgombrava già di neve i poggi laura amorosa che rinova l tempo, e fiorian per le piagge lerbe e i rami. Non
vide il mondo sí leggiadri rami, Un lauro mi difese allor dal cielo; Però più fermo ogni or di tempo in tempo, Selve, sassi, campagne, fiumi, e poggi, Tanto mi piacque prima il dolce lume Altramor, altre frondi, et altro lume, |
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CXLIII
Quandio vodo parlar sí dolcemente
Quandio vodo parlar sí
dolcemente comAmor proprio a suoi seguaci instilla, lacceso mio desir tutto sfavilla, tal che nfiammar devria lanime spente. Trovo la bella donna allor presente, ovunque mi fu mai dolce o tranquilla, ne labito chal suon, non daltra squilla, ma di sospir mi fa destar sovente. Le chiome a laura sparse, e lei conversa in dietro veggio; e cosí bella riede, nel cor, come colei che tien la chiave. Ma l soverchio piacer, che satraversa a la mia lingua, qual dentro ella siede di mostrarla in palese ardir non have. |
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CXLIV
Né cosí bello il sol già mai levarsi
Né cosí bello il sol già mai
levarsi quando l ciel fosse più de nebbia scarco, né dopo pioggia vidi l celeste arco per laere in color tanti variarsi, in quanti fiammeggiando trasformarsi, nel dí chio presi lamoroso incarco, quel viso al quale, e son nel mio dir parco, nulla cosa mortal pote aguagliarsi. I vidi Amor che begli occhi volgea soave sí chogni altra vista oscura da indi in qua mincominciò apparere. Sennuccio, i l vidi, e larco che tendea; tal che mia vita poi non fu secura et è sí vaga ancor del rivedere. |
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CXLV
Pommi ove l sol occide i fiori e lerba
Pommi ove l sol occide i fiori e
lerba o dove vince lui il ghiaccio e la neve, pommi ovè il carro suo temprato e leve et ovè chi cel rende o chi cel serba; pommi in umil fortuna od in superba, al dolce aere sereno, al fosco e greve; pommi a la notte, al dí lungo ed al breve, a la matura etate od a lacerba; pommi in cielo od in terra od in abisso, in alto poggio, in valle ima e palustre, libero spirto od a suoi membri affisso; pommi con fama oscura o con illustre: sarò qual fui, vivrò comio son visso, continüando il mio sospir trilustre. |
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CXLVI
O dardente vertute ornata e calda
O dardente vertute ornata e
calda alma gentil, cui tante carte vergo; o sol già donestate intero albergo, torre in alto valor fondata e salda; o fiamma, o rose sparse in dolce falda di viva neve, in chio mi specchio e tergo; o piacer onde lali al bel viso ergo, che luce sovra quanti il sol ne scalda; del vostro nome, se mie rime intese fossin sí lunghe, avrei pien Tyle e Battro, la Tana e l Nilo, Atlante, Olimpo e Calpe. Poi che portar nol posso in tutte e quattro parti del mondo, udrallo il bel paese chAppennin parte e l mar circonda e lAlpe. |
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CXLVII
Quando l voler, che con due sproni ardenti
Quando l voler, che con due
sproni ardenti e con un duro fren mi mena e regge, trapassa ad or ad or lusata legge per far in parte i miei spirti contenti, trova chi le paure e gli ardimenti del cor profondo ne la fronte legge, e vede Amor, che sue imprese corregge, folgorar ne turbati occhi pungenti; onde, come colui che l colpo teme di Giove irato, si ritragge indietro, ché gran temenza gran desire affrena, Ma freddo foco e paventosa speme de lalma che traluce come un vetro, talor sua dolce vista rasserena. |
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CXLVIII
Non Tesin, Po, Varo, Arno, Adige e Tebro
Non Tesin, Po, Varo, Arno, Adige e
Tebro, Eufrate, Tigre, Nilo, Ermo, Indo e Gange, Tana, Istro, Alfeo, Garona e l mar che frange, Rodano, Ibero, Ren, Sena, Albia, Era, Ebro, non edra, abete, pin, faggio o genebro poria l foco allentar che l cor tristo ange, quantun bel rio chad ogni or meco piange, co larboscel che n rime orno e celebro; questo un soccorso trovo fra gli assalti dAmore, ove conven charmato viva la vita che trapassa a sí gran salti. cosí cresca il bel lauro in fresca riva, e chi l piantò pensier leggiadri et alti ne la dolce ombra al suon de lacque scriva. |
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CXLIX
Di tempo in tempo mi si fa men dura
Di tempo in tempo mi si fa men dura langelica figura e l dolce riso, e laria del bel viso e degli occhi leggiadri meno oscura. Che fanno meco omai questi sospiri che nascean di dolore e mostravan di fore la mia angosciosa e desperata vita? Saven che l volto in quella parte giri per acquetare il core, parmi vedere Amore mantener mia ragione e darmi aita. Né però trovo ancor guerra finita né tranquillo ogni stato del cor mio, ché più marde l desio, quanto più la speranza massicura. |
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CL
- Che fai alma? che pensi? avrem mai pace?
- Che fai alma? che pensi? avrem mai
pace? avrem mai tregua? od avrem guerra eterna? - - Che fia di noi, non so; ma, in quel chio scerna, a suoi begli occhi il mal nostro non piace. - - Che pro, se con quelli occhi ella ne face di state un ghiaccio, un foco quando iverna? - - Ella non, ma colui che gli governa. - - Questo chè a noi, sella sel vede, e tace? - - Talor tace la lingua, e l cor si lagna ad alta voce, e n vista asciutta e lieta piange dove mirando altri no l vede. - - Per tutto ciò la mente non sacqueta, rompendo il duol che n lei saccoglie e stagna; cha gran speranza uom misero non crede. - |
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CLI
Non datra e tempestosa onda marina
Non datra e tempestosa onda
marina fuggìo in porto già mai stanco nocchiero, comio dal fosco e torbido pensero fuggo ove l gran desio mi sprona e nchina. Né mortal vista mai luce divina vinse, come la mia quel raggio altèro del bel dolce soave bianco e nero, in che i suoi strali Amor dora et affina. Cieco non già, ma faretrato il veggo; nudo, se non quanto vergogna il vela; garzon con lali; non pinto ma vivo. Indi mi mostra quel cha molti cela; cha parte entro a begli occhi leggo quantio parlo dAmore, e quantio scrivo. |
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CLII
Questa umil fera, un cor di tigre od orsa
Questa umil fera, un cor di tigre od
orsa, che n vista umana, e n forma dangel vène, in riso e n pianto, fra paura e spene mi rota sí chogni mio stato inforsa. Se n breve non maccoglie o non mi smorsa, ma pur, come suol far, tra due mi tène, per quel chio sento al cor gir fra le vene dolce veneno, Amor, mia vita è corsa. Non pò più la vertù fragile e stanca tante varietati omai soffrire; che n un punto arde, agghiaccia, arrossa e nbianca. Fuggendo spera i suoi dolor finire, come colei che dora in ora manca; ché ben pò nulla chi non pò morire. |
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CLIII
Ite, caldi sospiri, al freddo core
Ite, caldi sospiri, al freddo core; rompete il ghiaccio che pietà contende, e se prego mortale al ciel sintende, morte, o mercé sia fine al mio dolore. Ite, dolci penser, parlando fòre di quello ove l bel guardo non se stende: se pur sua asprezza, o mia stella noffende, sarem fuor di speranza e fuor derrore. Dir se pò ben per voi, non forse a pieno, che l nostro stato è inquieto e fosco, sí come l suo pacifico e sereno. Gite securi omai, chAmor vèn vosco; e ria fortuna pò ben venir meno, sa i segni del mio sol laere conosco. |
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CLIV
Le stelle, il cielo, e gli elementi a prova
Le stelle, il cielo, e gli elementi a
prova tutte lor arti, et ogni estrema cura poser nel vivo lume, in cui Natura si specchia, e l Sol chaltrove par non trova. Lopra è sí altèra, sí leggiadra e nova, che mortal guardo in lei non sassecura; tanta negli occhi bei fòr di misura per chAmore e dolcezza e grazia piova. Laere percosso da lor dolci rai sinfiamma donestate, e tal diventa, che l nostro dir e l penser vince dassai. Basso desir non è chivi si senta, ma donor, di vertute. Or quando mai fu per somma beltà vil voglia spenta? |
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CLV
Non fûr ma Giove e Cesare sí mossi
Non fûr ma Giove e Cesare sí
mossi a folminar collui, questo a ferire che pietà non avesse spente lire, e lor de lusate arme ambeduo scossi. Piangea madonna, e l mio signor chi fossi volse a vederla, e suoi lamenti a udire, per colmarmi di doglia e di desire e ricercarmi le medolle e gli ossi. Quel dolce pianto, mi depinse Amore, anzi scolpìo, e que detti soavi mi scrisse entro un diamante in mezzo l core; ove con salde et ingegnose chiavi ancor torna sovente a trarne fòre lagrime rare e sospir lunghi e gravi. |
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CLVI
I vidi in terra angelici costumi
I vidi in terra angelici costumi e celesti bellezze al mondo sole; tal che di rimembrar mi giova e dole, ché quantio miro par sogni, ombre e fumi. E vidi lagrimar que duo bei lumi, chan fatto mille volte invidia al sole; ed udì sospirando dir parole che farìan gire i monti e stare i fiumi. Amor, senno, valor, pietate, e doglia facean piangendo un più dolce concento dogni altro, che nel mondo udir si soglia: ed era il cielo a larmonia sí intento che non se vedea in ramo mover foglia, tanta dolcezza avea pien laere e l vento. |
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CLVII
Quel sempre acerbo et onorato giorno
Quel sempre acerbo et onorato giorno mandò sí al cor limagine sua viva che ngegno o stil non fia mai che l descriva, ma spesso a lui co la memoria torno. Latto dogni gentil pietate adorno, e l dolce amaro lamentar chi udiva, facean dubbiar se mortal donna o diva fosse che l ciel rasserenava intorno. La testa òr fino, e calda neve il vólto, ebbeno i cigli, e gli occhi eran due stelle, onde Amor larco non tendeva in fallo; perle, e ròse vermiglie, ove laccolto dolor formava ardenti voci e belle; fiamma i sospir, le lagrime cristallo. |
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CLVIII
Ove chi posi gli occhi lassi o giri
Ove chi posi gli occhi
lassi o giri per quetar la vaghezza che gli spinge, trovo chi bella donna ivi depinge per far sempre mai verdi i miei desiri. Con leggiadro dolor par chella spiri alta pietà che gentil core stringe: oltra la vista, a gli orecchi orna e nfinge sue voci vive, e suoi santi sospiri. Amor e l ver fûr meco a dir che quelle chi vidi, eran bellezze al mondo sole, mai non vedute più sotto le stelle. Né sí pietose e sí dolci parole sudiron mai, né lagrime sí belle di sí belli occhi uscir mai vide l sole. |
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CLIX
In qual parte del ciel, in quale idea
In qual parte del ciel, in quale idea era lessempio, onde Natura tolse quel bel viso leggiadro, in chella volse mostrar qua giù quanto lassù potea? Qual ninfa in fonti, in selve mai qual dea, chiome doro sí fino a laura sciolse? Quando un cor tante in sé vertuti accolse? ben che la somma è di mia morte rea. Per divina bellezza indarno mira chi gli occhi de costei già mai non vide come soavemente ella gli gira; non sa come Amor sana, e come ancide, chi non sa come dolce ella sospira, e come dolce parla, e dolce ride. |
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CLX
Amor et io sí pien di meraviglia
Amor et io sí pien di meraviglia come chi mai cosa incredibil vide, miriam costei quandella parla o ride che sol se stessa e nulla altra simiglia. Dal bel seren de le tranquille ciglia, sfavillan sí le mie due stelle fide, chaltro lume non è chinfiammi e guide chi damar altamente si consiglia. Qual miracol è quel, quando tra lerba quasi un fior siede, o ver quandella preme col suo candido seno un verde cespo! Qual dolcezza è ne la stagione acerba vederla ir sola co i pensier suoi inseme, tessendo un cerchio a loro terso e crespo! |
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CLXI
O passi sparsi! O pensier vaghi e pronti!
O passi sparsi! O pensier vaghi e
pronti! O tenace memoria! o fero ardore! o possente desire! o debil core! oi occhi miei, occhi non già, ma fonti! O fronde, onor de le famose fronti, o sola insegna al gemino valore! O faticosa vita, o dolce errore, che mi fate ir cercando piagge e monti! O bel viso, ove Amor inseme pose gli sproni e l fren, ondel mi punge e volve, come a lui piace, e calcitrar non vale! O anime gentili et amorose, salcuna ha l mondo, e voi nude ombre e polve, deh, ristate a veder quale è l mio male. |
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CLXII
Lieti fiori e felici, e ben nate erbe
Lieti fiori e felici, e ben nate erbe che madonna pensando premer sòle; piaggia chascolti sue dolci parole, e del bel piede alcun vestigio serbe; schietti arboscelli, e verdi frondi acerbe, amorosette e pallide viole; ombrose selve, ove percote il sole che vi fa co suoi raggi alte e superbe; o soave contrada, o puro fiume che bagni il suo bel viso e gli occhi chiari, e prendi qualità dal vivo lume; quanto vinvidio gli atti onesti a cari! Non fia in voi scoglio omai che per costume darder co la mia fiamma non impari. |
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CLXIII
Amor che vedi ogni pensero aperto
Amor che vedi ogni pensero aperto e i duri passi onde tu sol mi scorgi, nel fondo del mio cor gli occhi tuoi porgi, a te palese, a tuttaltri coverto. Sai quel che per seguirte ho già sofferto; e tu pur via di poggio in poggio sorgi, di giorno in giorno e di me non taccorgi che son sí stanco, e l sentier mè troppo erto. Ben veggio io di lontano il dolce lume, ove per aspre vie mi sproni e giri; ma non ho come tu da volar piume. Assai contenti lasci i miei desiri, pur che ben desiando i mi consume, né le dispiaccia che per lei sospiri. |
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CLXIV
Or che l ciel e la terra e l vento tace
Or che l ciel e la terra e
l vento tace e le fere e gli augelli il sonno affrena, Notte il carro stellato in giro mena, e nel suo letto il mar senzonda giace, vegghio, penso, ardo, piango; e chi mi sface sempre mè inanzi per mia dolce pena: guerra è l mio stato, dira e di duol piena; e sol di lei pensando ho qualche pace, Cosí sol duna chiara fonte viva move l dolce e lamaro, ondio mi pasco; una man sola mi risana e punge. E perchè l mio martìr non giunga a riva mille volte il dí moro e mille nasco; tanto da la salute mia son lunge. |
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CLXV
Come l candido pie per lerba fresca
Come l candido pie per
lerba fresca i dolci passi onestamente move, vertù che ntorno i fiori apra e rinove de le tenere piante sue par chèsca. Amor, che solo i cor leggiadri invesca né degna di provar sua forza altrove, da begli occhi un piacer sí caldo piove, chi non curo altro ben né bramo altrèsca. E co landar e col soave sguardo saccordan le dolcissime parole, e latto mansueto, umile e tardo. Di tai quattro faville, e non già sole, nasce l gran foco, di chio vivo et ardo, che son fatto un augel notturno al sole. |
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CLXVI
Si fussi stato fermo a la spelunca
Si fussi stato fermo a la
spelunca là dove Apollo diventò profeta, Fiorenza avria forse oggi il suo poeta, non pur Verona e Mantoa e Arunca; ma perché l mio terren più non singiunca de lumor di quel sasso, altro pianeta conven chi segua, e del mio campo mieta lappole e stecchi co la falce adunca. Loliva è secca, et è rivolta altrove lacqua che di Parnaso si deriva, per cui in alcun tempo ella fioriva. Cosí sventura o ver colpa mi priva dogni buon frutto, se letterno Giove de la sua grazia sopra me non piove. |
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CLXVII
Quando Amor i belli occhi a terra inchina
Quando Amor i belli occhi a terra
inchina e i vaghi spirti in un sospiro accoglie co le sue mani, e poi in voce gli scioglie, chiara, soave, angelica, divina, sento del mio cor dolce rapina, e sí dentro cangiar penseri e voglie, chi dico: - Or fien di me lultime spoglie, se l ciel sí onesta morte mi destina. - Ma l suon che di dolcezza i sensi lega col gran desir dudendo esser beata lanima al dipartir presto raffrena. Cosí mi vivo, e cosí avolge e spiega lo stame de la vita che mè data, questa sola fra noi del ciel sirena. |
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CLXVIII
Amor mi manda quel dolce pensero
Amor mi manda quel dolce pensero che secretario antico è fra noi due, e mi conforta, e dice che non fue mai come or presto a quel chio bramo e spero. Io che talor menzogna e talor vero ho ritrovato le parole sue, non so si l creda, e vivomi intra due, né sí né no nel cor mi sona intero. In questa passa il tempo, e ne lo specchio mi veggio andar vèr la stagion contraria a sua impromessa, et a la mia speranza. Or sia che pò: già sol io non invecchio; già per etate il mio desir non varia: ben temo il viver breve che navanza. |
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CLXIX
Pien dun vago penser, che me desvia
Pien dun vago penser, che me
desvia da tutti gli altri, e fammi al mondo ir solo, ad or ad ora a me stesso minvolo pur lei cercando che fuggir devria; e veggiola passar sí dolce e ria che lalma trema per levarsi a volo, tal darmati sospir conduce stuolo questa bella dAmor nemica, e mia. Ben, si non erro, di pietate un raggio scorgo fra l nubiloso, altèro ciglio, che n parte rasserena il cor doglioso: allor raccolgo lalma, e poi chi aggio di scovrirle il mio mal preso consiglio, tanto gli ho a dir che ncominciar non oso. |
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CLXX
Più volte già dal bel sembiante umano
Più volte già dal bel sembiante
umano ho preso ardir co le mie fide scorte dassalir con parole oneste accorte la mia nemica in atto umíle e piano: fanno poi gli occhi suoi mio penser vano, per chogni mia fortuna, ogni mia sorte, mio ben, mio mal, e mia vita, e mia morte quei che solo il pò far, lha posto in mano. Ondo non poté mai formar parola chaltro che da me stesso fosse intesa; cosí mha fatto Amor tremante e fioco. E veggi or ben che caritate accesa lega la lingua altrui, gli spirti invola: chi pò dir comegli arde, e n picciol foco. |
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CLXXI
Giunto mha Amor fra belle e crude braccia
Giunto mha Amor fra belle e
crude braccia, che mancidono a torto; e sio mi doglio, doppia l martìr; onde pur, comio soglio, il meglio è chio mi mora amando, e taccia: ché porìa questa il Re qualor più agghiaccia arder co gli occhi, e rompre ogni aspro scoglio; et ha sí egual a le bellezze orgoglio, che di piacer altrui par che le spiaccia. Nulla posso levar io per mi ngegno del bel diamante ondellha il cor sí duro; laltro è dun marmo che si mova e spiri: ned ella a me per tutto l suo disdegno torrà già mai, né per sembiante oscuro, le mie speranze, e i miei dolci sospiri. |
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CLXXII
O invidia nimica di vertute
O invidia nimica di vertute cha bei principi volentier contrasti, per qual sentier cosí tacita intrasti in quel bel petto, e con qual arti il mute? Da radice mhai svelta mia salute: troppo felice amante mi mostrasti a quella che miei preghi umili e casti gradí alcun tempo, par chodi e refute. Né, però che con atti acerbi e rei del mio ben pianga e del mio pianger rida, porìa cangiar sol un de pensier mei. Non, perché mille volte il dí mancida, fia chio non lami, e chi non speri in lei; che sella mi spaventa, Amor maffida. |
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CLXXIII
Mirando l sol de begli occhi sereno
Mirando l sol de begli
occhi sereno, ove è chi spesso i miei depinge e bagna, dal cor lanima stanca si scompagna per gir nel paradiso suo terreno. Poi, trovandol di dolce e damar pieno, quantal mondo si tesse, opra daragna vede, onde seco e con Amor si lagna, cha sí caldi gli spron, sí duro l freno. Per questi estremi duo contrarî e misti, or con voglie gelate, or con accese, stassi cosí fra misera e felice. Ma pochi lieti, e molti penser tristi; e l più si pente de lardite imprese: tal frutto nasce di cotal radice. |
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CLXXIV
Fera stella (se l cielo ha forza in noi
Fera stella (se l cielo ha forza
in noi quantalcun crede) fu sotto chio nacqui, e fera cuna, dove nato giacqui, e fera terra, ove pie mossi poi; e fera donna, che con gli occhi suoi, e con larco, a cui sol per segno piacqui, fe la piaga, onde, Amor, teco non tacqui, che con quellarme risaldar la pòi. Ma tu prendi a diletto i dolor miei; ella non già, perché non son più duri, e l colpo è di saetta, e non di spiedo. Pur mi consola che languir per lei meglio è che gioir daltra; e tu mel giuri per lorato tuo strale, et io tel credo. |
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CLXXV
Quando mi vène inanzi il tempo e l loco
Quando mi vène inanzi il tempo e
l loco ovi perdei me stesso, e l caro nodo ondAmor di sua man mavinse in modo che lamar mi fe dolce, e l pianger gioco, solfo et èsca son tutto, e l cor un foco, da quei soavi spirti, i quai sempre odo, acceso dentro sí, chardendo godo, e di ciò vivo, e daltro mi cal poco. Quel sol, che solo agli occhi miei resplende, co i vaghi raggi ancor indi mi scalda, a vespro tal qual era oggi per tempo; e cosí di lontan malluma e ncende, che la memoria ad ogni or fresca e salda pur quel nodo mi mostra e l loco e l tempo. |
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CLXXVI
Per mezzi boschi inospiti e selvaggi
Per mezzi boschi inospiti e
selvaggi, onde vanno a gran rischio uomini et arme, vo securo io, ché non pò spaventarme altri che l sol cha Amor vivo i raggi. E vo cantando (o pensier miei non saggi!) lei che l ciel non porìa lontana farme; chi lho negli occhi; e veder seco parme donne e donzelle, e sono abeti e faggi. Parme dudirla, udendo i rami e lôre, e le frondi, e gli augei lagnarsi, e lacque mormorando fuggir per lerba verde. Raro un silenzio, un solitario orrore dombrosa selva mai tanto mi piacque; se non che dal mio sol troppo si perde. |
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CLXXVII
Mille piagge in un giorno e mille rivi
Mille piagge in un giorno e mille rivi mostrato mha per la famosa Ardenna Amor, cha suoi le piante e i cori impenna per fargli al terzo ciel volando i rivi. Dolce mè sol senzarme esser stato ivi, dove armato fiêr Marte, e non acenna, quasi senza governo, e senza antenna, legno in mar, pien di penser gravi e schivi. Pur giunto al fin de la giornata oscura, rimembrando ondio vegno e con quai piume, sento di troppo ardir nascer paura. Ma l bel paese, e l dilettoso fiume con serena accoglienza rassecura il cor già vòlto ovabita il suo lume. |
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CLXXVIII
Amor mi sprona in un tempo et affrena
Amor mi sprona in un tempo et affrena, assecura e spaventa, arde et agghiaccia, gradisce e sdegna, a sé mi chiama e scaccia, or mi tène in speranza et or in pena, or alto or basso il meo cor lasso mena; onde l vago desir perde la traccia e l suo sommo piacer par che li spiaccia; derror sí novo la mia mente è piena! Un amico pensèr le mostra il vado, non dacqua che per gli occhi si resolva, da gir tosto ove spera esser contenta; poi, quasi maggior forza indi la svolva, conven chaltra via segua, e mal suo grado a la sua lingua, e mia, morte consenta. |
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CLXXIX
Geri, quando talor meco sadira
Geri, quando talor meco sadira la mia dolce nemica, chè sí altèra, un conforto mè dato chi non pèra, solo per cui vertù lalma respira. Ovunque ella sdegnando li occhi gira (che di luce privar mia vita spera ?) le mostro i miei pien dumiltà sí vera, cha forza ogni suo sdegno in dietro tira. E cciò non fusse, andrei non altramente a veder lei, che l vólto di Medusa, che facea marmo diventar la gente. Cosí dunque fa tu; chi veggio esclusa ogni altra aita; e l fuggir val niente dinanzi a lali che l signor nostro usa. |
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CLXXX
Po, puo ben tu portartene la scorza
Po, puo ben tu portartene la
scorza di me con tue possenti e rapide onde, ma lo spirto chiventro si nasconde non cura né di tua né daltrui forza; lo qual, senzalternar poggia con orza, dritto per laure al suo desir seconde, battendo lali verso laurea fronde, lacqua, e l vento, e la vela e i remi sforza. Re degli altri, superbo, altèro fiume, che ncontri l sol, quando e ne mena l giorno, e n ponente abandoni un più bel lume, tu te ne vai col mio mortal sul corno; laltro, coverto damorose piume, torna volando al suo dolce soggiorno. |
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CLXXXI
Amor fra lerbe una leggiadra rete
Amor fra lerbe una leggiadra
rete doro e di perle tese sottun ramo dellarbor sempre verde chi tantamo, ben che nabbia ombre più triste che liete. Lèsca fu l seme chegli sparge e miete, dolce et acerbo, chi pavento e bramo; le note non fûr mai, dal dí chAdamo aperse gli occhi, sí soavi e quete. E l chiaro lume che sparir fa l sole folgorava dintorno; e l fune avolto era a la man chavorio e neve avanza. Cosí caddi a la rete, e qui mhan còlto gli atti vaghi, e langeliche parole, e l piacer, e l desire, e la speranza. |
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CLXXXII
Amor, che ncende il cor dardente zelo
Amor, che ncende il cor
dardente zelo, di gelata paura il tèn costretto, e qual sia più, fa dubbio a lintelletto, la speranza e l temor, la fiamma o l gielo. Tremal più caldo, ardal più freddo cielo, sempre pien di desire e di sospetto, pur come donna in un vestire schietto celi un uom vivo, o sotto un picciol velo. Di queste pene è mia propia la prima, arder dí e notte; e quanto è l dolce male né n penser cape, non che n versi o n rima: laltra non già; ché l mio bel foco è tale chogni uom pareggia; e del suo lume in cima chi volar pensa, indarno spiega lale. |
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CLXXXIII
Se l dolce sguardo di costei mancide
Se l dolce sguardo di costei
mancide, e le soavi parolette accorte, e sAmor sopra me la fa sí forte, sol quando parla, o ver quando sorride, lasso!, che fia, se forse ella divide, o per mia colpa, o per malvagia sorte, gli occhi suoi da mercé, sí che di morte là dove or massicura, allor mi sfide? Però si tremo, e vo col cor gelato, qualor veggio cangiata sua figura, questo temer dantiche prove è nato. Femina è cosa mobil per natura; ondio so ben chun amoroso stato in cor di donna picciol tempo dura. |
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CLXXXIV
Amor, Natura, e la bellalma umìle
Amor, Natura, e la bellalma
umìle, ovognalta vertute alberga e regna, contra men son giurati: Amor singegna chi mora a fatto, e n ciò segue suo stile; Natura tèn costei dun sí gentile laccio, che nullo sforzo è che sostegna; ella è sí schiva, chabitar non degna più ne la vita faticosa, e vile. Cosí lo spirto dor in or vèn meno a quelle belle care membra oneste, che specchio eran di vera leggiadria; e sa morte pietà non stringe l freno, lasso!, ben veggio in che stato son queste vane speranze, ondio viver solìa. |
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CLXXXV
Questa fenice, de laurata piuma
Questa fenice, de laurata piuma al suo bel collo, candido, gentile, forma, senzarte, un sí caro monile, chogni cor addolcisce, e l mio consuma: forma un diadema natural challuma laere dintorno; e l tacito focile dAmor tragge indi un liquido sottile foco che marde a la più algente bruma. Purpurea vesta, dun ceruleo lembo sparso di ròse i belli omeri vela; novo abito, e bellezza unica e sola. Fama ne lodorato e ricco grembo darabi monti lei ripone, e cela, che per lo nostro ciel sí altèra vola. |
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CLXXXVI
Se Virgilio et Omero avessin visto
Se Virgilio et Omero avessin visto quel sole il qual veggio con gli occhi miei, tutte lor forze in dar fama a costei avrian posto, e lun stil collaltro misto; di che sarebbe Enea turbato e tristo, Achille, Ulisse, e gli altri semidei, e quel che resse anni cinquantasei sí bene il mondo, e quel cancise Egisto. Quel fiore antico di vertuti e darme come sembiante stella ebbe con questo novo fior donestate e di bellezze! Ennio di quel cantò ruvido carme, di questaltro io: et oh pur non molesto gli sia il mio ingegno, e l mio lodar non sprezze! |
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CLXXXVII
Giunto Alessandro a la famosa tomba
Giunto Alessandro a la famosa tomba del fero Achille, sospirando disse: - O fortunato, che sí chiara tromba trovasti, e chi di te sí alto scrisse! - Ma questa pura e candida colomba, a cui non so sal mondo mai par visse, nel mio stil frale assai poco rimbomba; cosí son le sue sorti a ciascun fisse. Ché, dOmero dignissima, e dOrfeo, o del pastor chancor Mantova onora, chandassen sempre lei sola cantando, stella difforme, e fato sol qui reo commise a tal che l suo bel nome adora, ma forse scema sue lode parlando. |
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CLXXXVIII
Almo sol, quella fronde chio sola amo
Almo sol, quella fronde chio
sola amo tu prima amasti: or sola al bel soggiorno verdeggia, e senza par, poi che laddorno suo male e nostro vide in prima Adamo. Stiamo a mirarla: i ti pur prego e chiamo, o Sole; e tu pur fuggi, e fai dintorno ombrare i poggi, e te ne porti il giorno, e fuggendo mi tôi quel chi più bramo. Lombra che cade da quel umil colle, ove favilla il mio soave foco, ove l gran lauro fu picciola verga, crescendo mentrio parlo, a gli occhi tolle la dolce vista del beato loco, ove l mio cor co la sua donna alberga. |
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CLXXXIX
Passa la nave mia colma doblio
Passa la nave mia colma doblio per aspro mare, a mezza notte il verno, enfra Scilla e Caribdi; et al governo siede il signore, anzi l nimico mio; a ciascun remo un penser pronto e rio che la tempesta e l fin par chabbi a scherno; la vela rompe un vento umido, eterno, di sospir, di speranze, e di desio; pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni bagna e rallenta le già stanche sarte, che son derror con ignoranzia attorto. Celansi i duo mei dolci usati segni; morta fra londe è la ragion e larte, tal chi ncomincio a desperar del porto. |
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CXC
Una candida cerva sopra lerba
Una candida cerva sopra lerba verde mapparve, con duo corna doro, fra due riviere, allombra dun alloro, levando l sole, a la stagione acerba. Era sua vista sí dolce superba, chi lasciai per seguirla ogni lavoro; come lavaro, che n cercar tesoro, con diletto laffanno disacerba. «Nessun mi tocchi - al bel collo dintorno scritto avea di diamanti e di topazî - libera farmi al mio Cesare parve». Et era l sol già vòlto al mezzo giorno; gli occhi miei stanchi di mirar non sazî, quandio caddi ne lacqua, et ella sparve. |
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CXCI
Sí come eterna vita è veder Dio
Sí come eterna vita è veder Dio, né più si brama, né bramar più lice, cosí me, donna, il voi veder, felice fa in questo breve e fraile viver mio. Né voi stessa comor bella vidio, già mai, se vero al cor locchio ridice; dolce del mio penser ora beatrice, che vince ogni alta speme, ogni desio. E se non fusse il suo fuggir sí ratto, più non demanderei: che salcun vive sol dodore, e tal fama fede acquista, alcun dacqua, o di foco, e l gusto e l tatto acquetan cose dogni dolzor prive, i per che non de la vostra alma vista? |
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CXCII
Stiamo, Amor, a veder la gloria vostra
Stiamo, Amor, a veder la gloria
vostra, cose sopra natura altère e nove: vedi ben quanta in lei dolcezza piove; vedi lume che l cielo in terra mostra; vedi quantarte dora e mperla e nostra labito eletto, e mai non visto altrove, che dolcemente i piedi e gli occhi move per questa di bei colli ombrosa chiostra. Lerbetta verde e i fior di color mille sparsi sotto quel elce antiqua e negra, pregan pur che l bel pe li prema o tócchi; e l ciel di vaghe e lucide faville saccende intorno, e n vista si rallegra desser fatto seren da sí belli occhi |
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CXCIII
Pasco la mente dun sí nobil cibo
Pasco la mente dun sí nobil
cibo, chambrosia e nectar non invidio a Giove; ché sol mirando, oblio ne lalma piove dogni altro dolce, e Lete al fondo bibo. Talor chodo dir cose, e n cor describo, per che da sospirar sempre ritrove, rapto per man dAmor, né so ben dove, doppia dolcezza in un vólto delibo: che quella voce in fino al ciel gradita, suona in parole sí leggiadre, e care, che pensar no l porìa, chi non lha udita. Allor inseme, in men dun palmo, appare visibilmente, quanto in questa vita arte, ingegno, e natura, e l ciel pò fare. |
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CXCIV
Laura gentil, che rasserena i poggi
Laura gentil, che rasserena i
poggi destando i fior per questo ombroso bosco, al soave suo spirto, riconosco, per cui conven che n pena e n fama poggi. Per ritrovar ove l cor lasso appoggi, fuggo dal mi natio dolce aere tòsco; per far lume al pensèr torbido e fosco, cerco l mio sole e spero vederlo oggi. Nel qual provo dolcezze tante e tali chAmor per forza a lui mi riconduce; poi sí mabbaglia che l fuggir mè tardo. I chiederei a scampar, non arme, anzi ali; ma per perir mi dà l ciel per questa luce, ché da lunge mi struggo e da presso ardo. |
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CXCV
Di dí in dí vo cangiando il viso e l pelo
Di dí in dí vo cangiando il viso e
l pelo; né però smorso i dolci inescati ami, né sbranco i verdi et invescati rami de larbor che né sol cura né gielo. Senzacqua il mare e senza stelle il cielo fia inanzi chio non sempre téma, e brami, la sua bellombra, e chi non odi, et ami, lalta piaga amorosa, che mal celo. Non spero del mio affanno aver mai posa, in fin chi mi disosso, e snervo, e spolpo, o la nemica mia pietà navesse. Esser pò in prima ogni impossibil cosa, chaltri che morte, od ella, sani l colpo, chAmor co suoi begli occhi al cor mimpresse. |
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CXCVI
Laura serena che fra verdi fronde
Laura serena che fra verdi
fronde mormorando a ferir nel vólto viemme, fammi risovenir quantAmor diemme le prime piaghe, sí dolci profonde; e l bel viso veder, chaltri masconde, che sdegno, o gelosia, celato tiemme; e le chiome or avolte in perle e n gemme, allor sciolte e sovra òr terso bionde; le quali ella spargea sí dolcemente, e raccogliea con sí leggiadri modi, che ripensando ancor trema la mente; torsele il tempo poi in più saldi nodi, e strinse l cor dun laccio sí possente che Morte sola fia chindi lo snodi. |
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CXCVII
Laura celeste che n quel verde lauro
Laura celeste che n quel
verde lauro spira, ovAmor ferí nel fianco Apollo, et a me pose un dolce giogo al collo, tal che mia libertà tardi restauro, pò quello in me che nel gran vecchio mauro Medusa, quando in selce transformollo; né posso dal bel nodo omai dar crollo, là ve il sol perde, non pur lambra, o lauro; dico le chiome bionde e l crespo laccio, che sí soavemente lega, e stringe, lalma che dumiltate e non daltrarmo. Lombra sua sola fa l mio cor un ghiaccio, e di bianca paura il viso tinge; ma li occhi hanno vertù di farne un marmo. |
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CXCVIII
Laura soave al sole spiega e vibra
Laura soave al sole spiega e
vibra lauro chAmor di sua man fila e tesse là da begli occhi, e de le chiome stesse lega l cor lasso, e i lievi spirti cribra. Non ho medolla in osso, o sangue in fibra, chi non senta tremar, pur chi mapresse dove è chi morte e vita inseme, spesse volte, in frale bilancia, appende e libra. vedendo ardere i lumi, ondio maccendo, e folgorare i nodi, ondio son preso, or su lomero destro et or sul manco, i no l posso ridir, ché no l comprendo; da ta due luci è lintelletto offeso, e di tanta dolcezza oppresso e stanco. |
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CXCIX
O bella man, che mi destringi l core
O bella man, che mi destringi l
core, e n poco spazio la mia vita chiudi; man, ovogni arte e tutti loro studi pose Natura e l Ciel per farsi onore; di cinque perle oriental colore, e sol ne le mie piaghe acerbi e crudi, diti schietti soavi, a tempo ignudi consente or voi, per arricchirme, Amore. Candido, leggiadretto e caro guanto, che copria netto avorio e fresche ròse, chi vide al mondo mai sí dolci spoglie? Cosí avessio del bel velo altrettanto! O inconstanzia de lumane cose! Pur questo è furto, e vien chi me ne spoglie. |
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CC
Non pur quelluna ignuda mano
Non pur quelluna ignuda mano, che con grave mio danno si riveste, ma laltra, e le duo braccia accorte e preste son a stringere il cor timido e piano. Lacci Amor mille, e nessun tende in vano fra quelle vaghe nove forme oneste, chadornan sí lalto abito celeste, chaggiunger no l pò stil né ngegno umano. Li occhi sereni e le stellanti ciglia, la bella bocca, angelica, di perle piena e di ròse e di dolci parole, che fanno altrui tremar di meraviglia, e la fronte, e le chiome, cha vederle di state, a mezzo dí, vincono il sole. |
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CCI
Mia ventura, et Amor, mavean sí adorno
Mia ventura, et Amor, mavean sí
adorno dun bello aurato e serico trapunto, chal sommo del mio ben quasi era aggiunto, pensando meco a chi fu questintorno. Né mi riede a la mente mai quel giorno, che mi fe ricco, e povero, in un punto, chi non sia dira, e di dolor, compunto, pien di vergogna, e damoroso scorno; ché la mia nobil preda non più stretta tenni al bisogno, e non fui più costante contra lo sforzo sol dunangioletta; o, fugendo, ale non giunsi a le piante, per far almen di quella man vendetta, che de li occhi mi trae lagrime tante. |
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CCII
Dun bel, chiaro, polito e vivo ghiaccio
Dun bel, chiaro, polito e vivo
ghiaccio move la fiamma che mincende e strugge, e sí le véne e l cor masciuga e sugge che nvisibilmente i mi disfaccio. Morte, già per ferire alzato l braccio, come irato ciel tona o leon rugge, va perseguendo mia vita che fugge; et io, pien di paura, tremo, e taccio. Ben porìa ancor pietà con amor mista, per sostegno di me, doppia colonna porsi fra lalma stanca e l mortal colpo; ma io no l credo, né l conosco in vista di quella dolce mia nemica, e donna: né di ciò lei, ma mia ventura incolpo. |
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CCIII
Lasso!, chi ardo, et altri non mel crede
Lasso!, chi ardo, et altri
non mel crede; sí crede ogni uom, se non sola colei che sovrogni altra, e chi sola vorrei: ella non par che l creda, e sí sel vede. Infinita bellezza, e poca fede, non vedete voi l cor, nelli occhi mei? Se non fusse mia stella, i pur devrei al fonte di pietà trovar mercede. Questarder mio, di che vi cal sí poco, e i vostri onori, in mie rime diffusi, ne porìan infiammar forsanco mille; chi veggio nel penser, dolce mio foco, fredda una lingua, e duo belli occhi chiusi rimaner, dopo noi, pien di faville. |
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CCIV
Anima, che diverse cose tante
Anima, che diverse cose tante vedi, odi, e leggi, e parli, e scrivi, e pensi; occhi miei vaghi, e tu, fra li altri sensi, che scorgi al cor lalte parole sante; per quanto non vorreste o poscia od ante esser giunti al camin che sí mal tiensi, per non trovarvi i duo bei lumi accensi, né lorme impresse de lamate piante? Or con sí chiara luce, e con tal segni, errar non dêsi in quel breve viaggio che ne pò far detterno albergo degni. Sfòrzati al ciel, o mio stanco coraggio, per la nebbia entro de suoi dolci sdegni seguendo i passi onesti, e l divo raggio. |
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CCV
Dolci ire, dolci sdegni e dolci paci
Dolci ire, dolci sdegni e dolci paci, dolce mal, dolce affanno, e dolce peso, dolce parlare, e dolcemente inteso, or di dolce ôra, or pien di dolci faci; alma, non ti lagnar, ma soffra e taci, e tempra il dolce amaro, che nha offeso, col dolce onor che damar quella hai preso a cui io dissi: - Tu sola mi piaci. - Forse ancor fia chi sospirando dica, tinto di dolce invidia: - Assai sostenne, per bellissimo amor, questal suo tempo. - Altri: - O fortuna a gli occhi miei nemica! Perché non la vidio? perché non venne ella più tardi, o ver io più per tempo? - |
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