"L'energia sensuale e sensoriale, unita al fascino iconoclasta del dadaismo, si scioglie in piacere spettacolare quando l'oggetto diventa "personaggio" di carne e di viscere, morbide e soffici[...]La procedura con cui ha ottenuto simili risultati, emotiva e sensoriale, personale e urbana, è conosciuta: ricorso alla grande scala, alla qualità morbida e sensuale delle materie[...]Ha esaltato i valori tattili e ambientali."[2]

Con queste parole Germano Celant vuole descrivere l'opera di Oldenburg, ma credo possano anche essere facilmente traslate su quella del suo amico Gehry, ed al suo "ipermuseo",termine coniato da Franco Purini[3], per identificare i musei contemporanei come luoghi di "iperconsumo" dove arte e architettura si fondono trasformando il contenitore in contenuto.

Ricordo la critica di un professore che contestava una prevaricazione del museo di Bilbao sul suo contenuto, probabilmente non riconoscendo nella sua forte personalità estetica uno dei principali strumenti di esaltazione dell'arte in esso contenuta, che immersa in un ambiente così dinamico riesce a trovare la sua ideale collocazione sfuggendo così alle frustranti catalogazioni di altri musei concepiti come asettici contenitori di stampo quasi ottocentesco.

La "macchina" di Gehry si attanaglia al più degradato angolo di Bilbao intercettando tutti i suoi flussi e le sue tensioni, le sue "traiettorie" in un esplosione di titanio che ha saputo rifondare la città stessa, senza "shock" ma anzi con grandissima coscenza urbanistica, regalando alla città spazi pubblici prima inconcepibili.

Gehry ha plasmato nella lamiera il museo contemporaneo, e la luna nei suoi riflessi ha eclissato ogni possibilità di ritorno al passato.

 

 

[1] Antonino Saggio, Frank Owen Gehry. Luna meccanica, in "ARCH'IT coffee break"

[2] Germano Celant, modello come arte in "arti&architettura 1968/2004", skira, Ginevra-Milano, 2004.

[3] Franco Purini, Gli ipermusei, in "Area", n.65, novembre-dicembre, Federico Motta Editore, Milano, 2002, p.128

 

 

L'IPERMUSE0

" è solo Gehry che capisce sino in fondo la parola futurista "traiettoria". Le direttrici protese nello spazio, in Boccioni come in Gehry, sono sì rettilinee, ma nella tensione a fendere l' aria si deformano. La retta diventa arco, la parabola, appunto traiettoria".[1]