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GRECO

EURIPIDE

LE BACCANTI

(traduzione condotta sull'edizione oxoniense di G. Murray, 1913)
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PROLOGO

 

 

DIONISO

Sono arrivato, figlio di Zeus, in questa terra dei Tebani

io, Dioniso, che un tempo generò la figlia di Cadmo,

Semele, avendo partorito con folgorante fuoco:

assunto l'aspetto mortale, da dio qual ero,

eccomi alle sorgenti di Dirce e alle acque dell'Ismeno.

Vedo il sepolcro della madre fulminata

qui vicino alle dimore e le rovine fumanti della reggia,

mentre ancor viva è la fiamma del fuoco di Zeus,

immortale vendetta di Era contro mia madre.

Approvo Cadmo, che ha reso inaccessibile questo suolo,

recinto sacro della figlia e io l'ho

ricoperto con fronde racemose di ulivo.

Lasciato il territorio dei Frigi e dei Lidi ricchi d'oro,

le pianure battute dal sole dei Persiani e

le mura battriane e dopo aver percorso la terribile regione

dei Medi, l'Arabia felice

e tutta l'Asia, che si stende lungo il mare salmastro

e possiede città dalle belle torri piene di Greci frammisti insieme ai barbari,

è questa la prima città dei Greci in cui arrivo,

avendo anche lì stabilito cori e istituito i miei riti misterici,

per manifestarmi come divinità ai mortali.

Ho fatto risuonare del mio grido per prima Tebe in questa terra greca,

dopo aver rivestito il corpo di pelle di cerbiatto

e aver preso in mano il tirso, saetta d'edera,

poiché le sorelle di mia madre – non avrebbero assolutamente dovuto-

hanno affermato che Dioniso non è stato generato da Zeus,

ma Semele, sedotta da un mortale qualsiasi,

aveva attribuito a Zeus il peccato del letto,

per l'astuzia di Cadmo, e per questo Zeus l'aveva uccisa

perché si vantava di aver mentito sull'unione.

Perciò le ho perseguitate con la follia spingendole fuori dalle dimore:

ora abitano sul monte, prive di senno.

Ho costretto a portare le insegne dei miei culti

e ho spinto folli fuori dalle case

tutta la stirpe femminile, tutte le donne dei Cadmei.

Mischiate insieme alle figlie di Cadmo,

se ne stanno a cielo aperto tra le rocce, sotto abeti frondosi.

Questa città, che è ancora priva dei riti bacchici,

deve capire, anche se non vuole,

che per difendere mia madre Semele, che mi generò a Zeus,

sono apparso, dio tra i mortali.

Cadmo ha ceduto il potere e il comando

a Penteo, nato dalla figlia,

che ora combatte contro di me,

mi scaccia dai sacrifici e non fa alcun cenno di me nelle preghiere.

Per questo intendo mostrare a lui e a tutti i Tebani che sono un dio.

E dopo aver sistemato le cose qui, mi trasferirò

in un'altra regione, rivelando chi io sia.

E se la città di Tebe,

colta da furia, cerca di portar via dal monte con le armi le Baccanti,

con essa mi scontrerò alla guida delle mie folli seguaci.

Per questo ho assunto aspetto mortale

e ho trasferito le mie forme in natura umana.

Su, voi che avete lasciato il Tmolo, baluardo di Lidia,

donne mie seguaci, che da terre barbare

ho guidato come mie assistenti e compagne,

prendete i timpani tipici della città dei Frigi,

invenzioni mie e della madre Rea,

circondate e fate risuonare questa dimora regale

di Penteo, che la città di Cadmo veda.

Io salirò sui gioghi del Citerone,

dove stanno le Baccanti e prenderò parte ai cori.

 

 

 

 

PARODO

 

CORO

Dalla terra d'Asia                                                                      .

lasciato il sacro Tmolo, intraprendo frenetica

per Bromio la dolce fatica e il bel lavoro,

celebrando Bacco.

Chi in strada? Chi in strada? Chi?

Si ritiri nelle case, la bocca

consacri al silenzio, perché i riti

di Dioniso canterò.

 

Oh felice, chi beato                    str.                   

conoscendo i misteri degli dei

santifica la vita

e purifica l'anima,

baccheggiando sui monti,

in sacre purificazioni:

celebrando le feste

della grande madre Cibele,

agitando il tirso

e incoronato d'edera,

onora Dioniso.

Andate Baccanti, andate Baccanti,

conducendo Dioniso,

Bromio dio figlio di un dio,

dai monti frigi fino

alle vaste piazze di Grecia.

 

Portandolo un tempo,                        antistr.     

nelle necessità dogliose del parto,

mentre volava il tuono di Zeus,

espulso dal ventre la madre

lo generò, lasciando

la vita trafitta dalla folgore:

ma subito sul letto del parto

lo accolse Zeus Cronide e,

occultatolo nel fianco,

lo tenne nascosto da Era,

stretto con fibbie d'oro.

Poi lo generò, quando le Moire

stabilirono, dio dalle corna di toro,

e lo incoronò con corone di serpenti,

con cui le Menadi che in caccia nutrono le fiere

si avvolgono in trecce.

 

Oh Tebe, nutrice di Semele,                    str.

incoronati d'edera:

fiorisci, fiorisci di verdeggiante

smilace dal bel frutto

e abbandonati al furore bacchico

con ramoscelli di quercia o abete,

coronate le pelli di cerbiatti screziati

con ciocche di bianchi capelli intrecciati.

Purificati intorno a tirsi sfrenati.

Subito tutta la terra danzerà

e Bromio conduca i tiasi

sul monte, sul monte, dove aspetta

la folla delle donne

lontano dai telai e dagli aghi,

resa furiosa da Dioniso.

 

Oh dimora dei Cureti                          antistr.

e venerabile sede di Creta

che vide la nascita di Zeus,

 dove nelle caverne i Coribanti dal triplice elmo

inventarono questo mio timpano dalla pelle tesa e

all'acuto e dolce fiato dei flauti Frigi

mescolarono il furore bacchico;

lo diedero poi nelle mani

della madre Rea, clamore misto alle grida delle Baccanti.

I folli Satiri lo

ricevettero poi dalla madre dea

e lo usarono nei cori delle feste triennali,

di cui Dioniso si compiace.

 

Dolce sui monti, chi                              ep.

dai tiasi veloci

si getta a terra, indossando

la sacra pelle di cerbiatto, bramando

il sangue di capri uccisi, piacere di divorare carne cruda,

aspirando ai monti frigi e lidi,

mentre Bromio, capo del coro, lancia il suo grido.

Qui il suolo scorre di latte, lì di vino, lì

di nettare d'api e fumo come di incenso di Siria.

E Bacco, con l'ardente fiamma di pino

sul tirso, si slancia,

stimolando i seguaci vaganti con la corsa e i cori

ed eccitando con urla,

gettando al vento la delicata chioma.

E gridando così freme.

Andate Baccanti,

andate Baccanti, nella

bellezza del Pattolo dall'aurea corrente,

cantate Dioniso

con risonanti timpani,

esultando bacchicamente per il bacchico dio

tra urla e grida frigie,

quando il melodioso flauto

freme sacro sacri scherzi,

insieme alle furenti seguaci

sul monte, sul monte. E cantando,

come puledra insieme alla madre al pascolo,

la Baccante muove il rapido passo nelle danze.

 

 

 

 

PRIMO EPISODIO

 

TIRESIA

Chi c'è alle porte? Chiama fuori dalla casa Cadmo,

figlio di Agenore, che, lasciata la città di Sidone,

fortificò questa rocca dei Tebani.

Vada qualcuno ad annunciare che Tiresia

lo cerca: lui sa il motivo per cui sono venuto

e mi sono accordato, io vecchio, con uno più vecchio,

prendere i tirsi, indossare pelli di cerbiatto,

incoronare il capo con germogli d'edera.

 

CADMO

Carissimo, mi era parso di sentire la tua voce,

saggia da parte di un uomo saggio, mentre ero in casa

e arrivo pronto con questa veste divina,

perché si deve magnificare grandemente,

per quanto è nelle nostre possibilità,

colui che è il figlio di mia figlia,

Dioniso, che si è manifestato come un dio tra gli uomini.

Dove si deve danzare, dove muovere il piede

e scuotere il capo canuto? Tu, vecchio, sii guida

a me, vecchio, Tiresia, perché sei saggio.

Non potrei stancarmi, né di notte, né di giorno,

di battere la terra con il tirso: dolcemente ci dimentichiamo

di essere vecchi.   TI Ti capita lo stesso che capita a me,

perché anch'io mi sento giovane e mi darò alle danze.

CA Andremo sul monte con i carri?

TI Ma il dio non sarebbe degnamente onorato.

CA Io, vecchio, guiderò te vecchio.

TI Il dio ci guiderà lì senza fatica.

CA Saremo i soli della città a danzare?

TI Siamo i soli a esser saggi, gli altri sono stolti.

CA Stiamo esitando troppo. Forza, prendi la mia mano.

TI Ecco, unisci e congiungi la mano.

CA Io, mortale, non disprezzerò gli dei.

 

TI Non possiamo usare alcuna astuzia con le divinità.

Le conoscenze tradizionali, che nel corso della vita

abbiamo ricevuto, nessun ragionamento potrà abbatterle,

neanche se qualche astuzia venga escogitata da elevati ingegni.

Si dirà che non ho pudore della vecchiaia,

perché intendo danzare con il capo coronato d'edera.

Il dio infatti non fa distinzioni, se debba danzare

il giovane o il vecchio,

ma da tutti vuole ricevere onori.

 

CA Poiché tu, Tiresia, non vedi questa luce,

io ti sarò profeta di parole.

Ecco che si avvicina in fretta alla reggia Penteo,

figlio di Echione, a cui ho concesso il potere sulla regione.

Come svolazza. Quali mai novità porterà?

 

PENTEO

Mi trovavo fuori da questa regione,

quando vengo a sapere di nuove disgrazie in questa città:

le donne hanno lasciato le nostre case

per false orge bacchiche e per i boscosi

monti si slanciano, onorando nei cori

questa nuova divinità, Dioniso, chiunque sia.

In mezzo ai tiasi stanno crateri colmi

e loro, rannicchiate da sole chi qua, chi là,

si fanno schiave degli uomini e si uniscono a loro,

ma è un pretesto che siano Menadi ispirate,

mentre è Afrodite che prende il posto di Bacco.

Tutte quelle che ho preso, le custodiscono a mani legate

gli schiavi nelle case pubbliche,

mentre a tutte quelle che sono scappate, darò la caccia per il monte,

Ino, Agave, che mi ha generato a Echione,

e la madre di Atteone, intendo Autonoe.

E, dopo averle incatenate in ceppi di ferro,

farò presto cessare questo perverso furore bacchico.

Dicono sia arrivato uno straniero

impostore, un incantatore, dalla terra di Lidia,

vanitoso di biondi ricci odorosi,

fosco, con la grazia di Afrodite negli occhi,

che di giorno e di notte si intrattiene con le giovani,

proponendo bacchici riti.

Se lo prenderò dentro questa casa,

gli farò smettere di battere il tirso e scuotere

la chioma, staccandogli il collo dal corpo.

Egli dice di essere il dio Dioniso;

egli dice di essere stato un tempo cucito nel fianco di Zeus

e di essere stato bruciato dalle folgori

insieme alla madre, perché aveva mentito sull'unione con Zeus.

Non è degno questo del terribile cappio?

Ma ecco, vedo quest'altra meraviglia, l'indovino

Tiresia in pelli screziate di cerbiatto

e il padre di mia madre -che cosa ridicola!-

che baccheggia con il tirso. Mi vergogno, padre,

di vedere la vostra vecchiaia che non ha senno.

Non scuoterai l'edera? Non lascerai

la mano libera dal tirso, padre di mia madre?

Tu l'hai persuaso di questo, Tiresia? Introducendo

questa nuova divinità tra gli uomini, tu vuoi

osservare gli uccelli ed esser pagato per i sacrifici.

Se non ti salvasse la canuta vecchiaia,

sederesti legato in mezzo alle Baccanti,

poiché introduci malvagi riti: dove infatti

le donne hanno a mensa lo splendore dell'uva,

niente di sano – insisto- può esservi nelle cerimonie.

 

CO Che empietà! Straniero, non rispetti gli dei

e Cadmo, che ha seminato forti germogli?

Essendo figlio di Echione, disonori la stirpe?

 

TI Quando un uomo saggio possiede nei discorsi

validi principi, non è grande impresa parlare bene;

tu hai una lingua agile, come di persona assennata,

ma non c'è senno nelle tue parole.

Un uomo audace, abile e capace nel parlare

diventa un cattivo cittadino, se non ha intelligenza.

Questa nuova divinità, che tu deridi,

non potrei tralasciare quanto grandemente

sarà in Grecia. Due infatti, giovane,

sono le principali divinità tra gli uomini: la dea Demetra,

è la terra, chiamala per nome come vuole,

lei nutre i mortali con secchi alimenti;

colui che è giunto all'opposto, la prole di Semele,

ha inventato e ha introdotto tra i mortali la liquida bevanda d'uva, 

che agli infelici mortali toglie

il dolore, quando si riempiono del flusso della vite,

e dà il sonno, dimenticanza dei mali quotidiani

né vi è altro rimedio agli affanni.

Egli, che è un dio, viene offerto in libagione agli dei,

così che grazie a lui gli uomini ottengono i beni.

E tu lo deridi perché è stato cucito nella coscia

di Zeus: ti spiegherò quale valore abbia questa storia.

Dopo che Zeus lo sottrasse al fuoco folgorante

e portò il feto divino sull'Olimpo,

Era voleva scagliarlo giù dal cielo,

ma Zeus escogitò un piano degno di un dio.

Strappata una parte dell'etere che circonda la terra,

fece di questo Dioniso un ostaggio,

offrendolo alle ire di Era; in seguito

i mortali dicono che fosse allevato nella coscia di Zeus,

modificando il nome, perché il dio

fu ostaggio della dea Era, e costruirono il racconto.

Questa divinità è un profeta, perché il rito bacchico

e la divina mania possiedono molta arte divinatoria:

quando infatti il dio entra potente nel corpo,

fa ricordare e annunciare il futuro.

E riceve e possiede una parte di quello che spetta ad Ares,

perché la paura atterrisce un esercito in armi e

schierato prima di toccar la lancia

e anche questa follia deriva da Dioniso.

Ancora lo vedrai sulle rocce di Delfi

balzare con fiaccole di pino per la pianura tra le due cime,

scagliando e agitando il ramo bacchico,

grande in Grecia. Su, ascoltami, Penteo:

non vantarti che il potere abbia forza tra gli uomini.

Non pensare di esser saggio se credi qualcosa,

ma il tuo pensiero è malato: accogli il dio nella regione,

fai libagioni, baccheggia e incoronati il capo.

Dioniso non costringerà le donne a esser sagge

verso Cipride, ma è nella natura

esser saggi sempre in ogni circostanza.

Questo bisogna considerare: anche se partecipa al rito bacchico,

colei che è saggia non sarà corrotta.

Vedi, tu hai piacere, quando molti stanno

alle porte e la città glorifica il nome di Penteo

e lui -credo- prova gioia a ricevere onori.

Quindi io e Cadmo, che tu deridi,

ci incoroneremo d'edera e danzeremo:

siamo una coppia canuta, e tuttavia bisogna danzare.

Io non combatterò con il dio, persuaso dalle tue parole.

Sei folle nella maniera più dolorosa: non trarresti

rimedio dai filtri e per dei filtri sei malato.

 

CO Vecchio, non offendi Febo con le parole

e sei saggio a onorare Bromio, grande dio.

 

CA Figlio, bene ti ha ammonito Tiresia:

vivi insieme a noi, non fuori dalle leggi.

Ora infatti voli via e, pensando di essere saggio, non lo sei affatto.

E anche se questo non è un dio, come tu dici,

affermalo comunque e pronuncia una bella menzogna,

dì che lo è, perché si creda che Semele abbia generato un dio,

e noi e tutta la stirpe avremo onore.

Vedi la triste sorte di Atteone,

che cani crudivori che lui aveva allevato

sbranarono nei prati, perché si era vantato

di essere migliore di Afrodite nella caccia.

Che ciò non capiti anche a te! Vieni qui, ch'io ti incoroni il capo

d'edera. Rendi onore al dio insieme a noi.

 

PE Non avvicinare la mano, va' a baccheggiare

e non strofinare la tua follia su di me!

Punirò costui, che è stato maestro della tua stoltezza.

Si muova qualcuno al più presto:

va' al seggio dove costui osserva il volo degli uccelli,

scuoti tutto con pali e tridenti, rovescia e

metti ogni cosa sottosopra,

esponi ai venti e alle tempeste le bende.

Così facendo, infatti, lo ferirò di più.

Voi invece andate per la città e scovate

lo straniero di femmineo aspetto, che introduce una malattia

nuova tra le donne e insozza i letti.

E se lo prendete, portatelo qui legato,

perché muoia lapidato,

dopo aver visto quanto è amaro baccheggiare a Tebe.

 

TI Infelice, non sai dove ti portano le tue parole!

Ormai sei folle e già prima eri uscito di senno.

Noi andiamo, Cadmo, e preghiamo

sia per lui, anche se è ormai un selvaggio,

sia per la città, che il dio non compia qualcosa di inaspettato.

Su, seguimi con il bastone d'edera.

Cerca di sostenere il mio corpo e io il tuo.

È brutto che due vecchi cadano, ma comunque si vada!

Perché bisogna servire Bacco, figlio di Zeus.

Che Penteo non porti sofferenza nelle tue case,

Cadmo! Non parlo per arte divinatoria,

ma in base ai fatti, perché cose stolte dice lo stolto.

 

 

 

 

PRIMO STASIMO

 

CORO

Legge divina, signora degli dei,                str.

legge che sulla terra

porti l'ala d'oro,

ascolti le parole di Penteo?

Ascolti una non sacra

tracotanza verso Bromio,

il figlio di Semele, divinità

prima tra i beati nei giorni di festa

dalle belle corone? Egli questo possiede,

il tiaso nei cori,

ridere dietro al suono di un flauto,

far cessare gli affanni,

quando arriva

lo splendore del grappolo nella mensa degli dei

e nei banchetti inghirlandati d'edera

un cratere versa il sonno sugli uomini.

 

Di bocche senza freno                                  antistr.

e stoltezza senza legge

la fine è la sventura:

La vita che trascorre nella tranquillità

e la placida saggezza

rimangono saldi

e conservano le case. Infatti, anche se

abitano lontano nell'etere,

i celesti vedono i mortali.

Non è saggezza il sapere

e l'esser sapienti oltre il limite che spetta ai mortali.

Breve è la vita: per questo,

se si inseguono grandi mete,

si rischia di non afferrare il presente.

È questo, per me, il sistema di uomini

folli e dissennati.

 

Potessi andare a Cipro,                                   str.

Isola di Afrodite,

dove abitano

gli Amori incantatori del mortali,

e nella terra che le correnti

dalle cento foci del barbaro fiume

rendono fertile senza essere accresciuti dall'acqua;

e dove è la bellissima

Pieria, sede delle Muse,

venerando declivio dell'Olimpo.

Là conducimi, Bromio, Bromio,

divinità guida delle Baccanti.

Lì sono le Grazie, lì il Desiderio,

lì è lecito alle Baccanti celebrare i riti.

 

La divinità, il figlio di Zeus,                                   antistr.

Trae piacere dalle feste

e ama la Pace che dà ricchezza,

dea nutrice dei bambini.

In maniera uguale al ricco

e al povero dona

la gioia del vino che dissolve ogni dolore

e odia colui al quale non piace

vivere felice

durante il giorno e nelle care notti.

Quello che il popolo più semplice

crede e usa, questo sono pronto ad accogliere.

 

 

 

 

SECONDO EPISODIO

 

GUARDIA

Penteo, siamo qui: ecco, abbiamo preso la preda

contro la quale ci hai mandato. Non ci siamo mossi inutilmente.

Questo animale è stato docile con noi, non si è sottratto

con la fuga, ma ha offerto spontaneamente le mani.

Non è impallidito né ha cambiato il colore del vino delle guance.

Sorridendo si è fatto legare e portare via

ed è rimasto fermo, rendendo agevole il mio compito.

E io, confuso, gli ho detto: “Straniero, non per mia volontà

ti conduco, ma per ordine di Penteo, che mi ha inviato”.

Le Baccanti, che tu avevi rinchiuso, che avevi catturato

e tenevi incatenate nei ceppi dell'edificio pubblico,

sono scomparse e libere saltano

per i prati, invocando Bromio come dio:

le catene ai loro piedi si sono aperte da sé

e le chiavi hanno aperto le porte senza l'intervento di mano umana.

Quest'uomo è arrivato a Tebe pieno di molte meraviglie.

A te tocca occuparti del resto.

 

PE Liberategli le mani. Nella rete in cui si trova,

non è così veloce da potermi sfuggire.

Ebbene, non sei brutto nel fisico, straniero,

almeno per le donne, e per loro sei venuto a Tebe:

I tuoi riccioli sono lunghi, non da lottatore,

e scendono, pieni di desiderio, lungo le guance;

mantieni ad arte bianca la pelle,

non esposta ai raggi del sole, ma protetta all'ombra.

Con la bellezza dai la caccia ad Afrodite.

Dimmi innanzi tutto qual è la tua stirpe.

 

DI Nessun vanto, è piuttosto facile rispondere a questo.

Conosci per sentito dire il Tmolo fiorito.

 

PE Sì, il monte che chiude in cerchio la città di Sardi.

DI Vengo da lì, la Lidia è la mia patria.

PE Come mai porti questi riti in Grecia?

DI Mi ha inviato Dioniso, il figlio di Zeus.

PE Lì c'è un Zeus che genera nuovi dei?

DI No, è qui che Zeus si è unito a Semele.

PE Ti ha dato questi ordini in sogno o a occhi aperti?

DI Ci siamo visti faccia a faccia e mi ha trasmesso i riti.

PE Quale forma hanno questi riti?

DI Non si possono dire e far conoscere ai mortali non iniziati.

PE Quale giovamento producono ai celebranti?

DI A te non è lecito ascoltare, ma sono cose degne di essere conosciute.

PE Hai agito con furbizia, perché io voglia ascoltare.

DI I riti del dio detestano chi pratica l'empietà.

PE Dici di conoscere di persona il dio, com'era?

DI Come voleva. Non potevo stabilirlo io.

PE Sei nuovamente riuscito a deviare il corso, senza dire nulla.

DI Uno che parla saggiamente all'ignorante sembrerà non aver senno.

PE Sei venuto innanzi tutto qui, per introdurre la divinità?

DI Tutte le terre dei barbari celebrano con danze questi riti.

PE Sono molto meno saggi dei Greci.

DI In questo lo sono di più. Le leggi sono differenti.

PE Celebri i riti di notte o durante il giorno?

DI La maggior parte di notte: sacra è l'oscurità.

PE Questa è una trappola per le donne: c'è qualcosa di marcio.

DI Anche di giorno si potrebbe escogitare qualcosa di cui vergognarsi.

PE devi pagare per le tue scellerate astuzie.

DI E tu per l'ignoranza e l'empietà verso il dio.

PE Com'è impavido e non inesperto di parole Bacco!

DI dimmi che cosa devo subire: che mi farai di terribile?

PE Prima di tutto ti taglierò i morbidi riccioli.

DI Sacri sono i riccioli: in onore del dio li faccio crescere.

PE Poi apri la mano, dammi questo tirso!

DI Toglimelo tu! È di Dioniso quello che porto.

PE E ti chiuderò in carcere.

DI Mi libererà il dio in persona, quando vorrò.

PE Quando lo invocherai stando in mezzo alle Baccanti.

DI Anche ora è qui vicino e vede quello che subisco.

PE E dov'è? Io non lo vedo.

DI Vicino a me, ma tu, empio come sei, non puoi vederlo.

PE Prendetelo, costui disprezza me e Tebe.

DI Io, assennato, ordino a voi che non siete in senno di non legarmi.

PE E io vi ordino di legarlo, sono più potente di te.

DI Non sai che vita vivi né quello che fai né chi sei.

PE Penteo, figlio di Agave, padre di Echione.

DI Già nel nome sei predisposto alla sventura.

 

PE Muoviti! Chiudetelo nelle stalle dei cavalli qua vicino,

così che veda le tenebre oscure.

Danza lì! Queste che hai portato

come complici dei tuoi mali, o le venderò

o, impedito questo rimbombo e lo strepito del timpano,

le terrò come schiave ai telai.

 

DI D'accordo, vado, perché quello che non si deve subire,

non bisogna subirlo. Quanto a te, Dioniso, che tu dici ce non esiste,

ti farà pagare il conto di queste violenze,

perché facendo torto a me, porti lui in catene.

 

 

 

 

SECONDO STASIMO

 

CORO

Figlia dell'Acheloo,                   str.

Veneranda e nobile Dirce,

che un tempo nelle tue fonti

accogliesti il feto di Zeus,

quando Zeus, suo genitore, lo sottrasse

nella coscia al fuoco immortale,

levando questo grido:

“Vieni, Ditirambo, entra

nel mio utero di maschio.

Ti rivelo con questo nome,

Bacco, a Tebe.

E tu, Dirce beata,

respingi i coronati

tiasi che io guido in te.

Perché mi rifiuti? Perché mi eviti?

Eppure, per il racemoso

piacere della vite di Dioniso,

eppure avrai un giorno a cuore Bromio.

 

Rivela una natura                                     antistr.

terrestre, che è nato da un serpente

un tempo Penteo, che Echione

terrestre generò,

mostro dal truce sguardo, non essere

mortale, ma sanguinario come

gigante opposto agli dei.

Egli nella rete presto

mi prenderà come seguace di Bromio

e già tiene dentro le case

il capo del mio tiaso,

nascosto nelle oscure prigioni.

Vedi questo, figlio di Zeus,

Dioniso: i tuoi annunciatori

lottano con la necessità.

Scendi dall'Olimpo,

fai vibrare l'aureo tirso

e domina la furia di un uomo sanguinario.

 

In quale parte di Nisa, nutrice               ep.

delle fiere, guidi col tirso

i tiasi, Dioniso? O

sulle cime coricie?

O forse nei boscosi

anfratti dell'Olimpo, dove

un tempo Orfeo al suono della cetra

radunava col canto gli alberi,

radunava le fiere selvatiche.

Oh Pieria beata!

Ti onora Evio e verrà

a danzare insieme ai cori bacchici:

attraverserà l'Axios

dalla rapida corrente e le danzanti

Menadi guiderà

e il Lidio, dispensatore

della ricchezza della felicità ai mortali,

e padre, che ho sentito

una terra adatta ai cavalli con acque

bellissime rende fertile.

 

 

 

 

TERZO EPISODIO

 

DI Oh!

Ascoltate, la mia voce ascoltate,

oh Baccanti, oh Baccanti.

 

CO Chi è, chi è? Da dove mi chiama il grido di Evio?

 

DI Oh, oh! Di nuovo ti chiamo:

sono il figlio di Semele, il figlio di Zeus.

 

CO Oh! Oh! Padrone, padrone!

Vieni dunque al nostro

tiaso, oh Bromio, Bromio!

 

DI Tremore divino del suolo terrestre!

 

CO Ah! Ah!

Presto la reggia di Penteo

sarà sconquassata e crollerà.

C'è Dioniso nella reggia:

adoratelo! Oh, l'adoriamo!

Ecco, vedete: gli architravi di pietra sulle colonne

vacillano.

Bromio lancerà l'urlo di vittoria dentro la casa.

 

DI Afferra la fiaccola sfolgorante di fulmine:

brucia, brucia la dimora di Penteo.

 

CO Ah! Ah!

Non vedi, non scorgi il fuoco

sacro sulla tomba di Semele, la fiamma che

un tempo lasciò, fulminata

dal tuono di Zeus?

Gettate a terra, gettate le tremanti

membra, Menadi,

perché il signore si avvicina a mettere sotto sopra

questa reggia, lui, il figlio di Zeus.

 

DI Donne barbare, a tal punto colpite dalla paura

vi siete gettate a terra? Vi siete dunque accorte che Bacco

ha sconquassato la casa di Penteo. Su, alzatevi,

rassicuratevi, cessate di tremare.

 

CO Oh luce per noi grandissima del bacchico rito di Evio,

come sono contenta di vederti! Senza di te ero totalmente sola.

 

DI Siete cadute nella disperazione quando sono stato portato via,

pensando che sarei stato gettato nelle oscure carceri di Penteo?

 

CO Come poteva essere altrimenti? Chi mi avrebbe protetto, se ti fosse capitata una disgrazia?

Ma come ti sei liberato, stando nelle mani di un uomo empio?

 

DI Mi sono salvato facilmente da solo, senza fatica.

 

CO Non ti aveva legato le mani nelle reti delle catene?

 

DI Anche in questo l'ho beffato, perché credendo di legarmi

non mi ha né sfiorato, né toccato e si è nutrito di speranze.

Trovato un toro nella stalla, dove mi aveva portato e rinchiuso,

gli gettava corde intorno alle ginocchia e agli zoccoli,

sbuffando d'ira, stillando sudore dal corpo,

mordendosi le labbra. Io stavo lì vicino

e, seduto tranquillo, osservavo. In quel momento

arrivò Bacco a sconquassare la reggia e accese il fuoco

sulla tomba della madre. E quello, appena lo vide, credendo che la reggia bruciasse,

si affrettava qua e là, ordinando ai servi di portare l'Acheloo:

ogni servo si affannava inutilmente.

E a questo punto Bromio -almeno mi sembra, esprimo un'impressione-

creò un fantasma nell'atrio: e quello, balzando contro questo,

si slancia e ferisce l'aria limpida, credendo di colpire me.

Ma oltre a questo Bacco gli prepara queste altre sciagure:

schianta la reggia a terra e tutta quanta va in pezzi,

mentre egli comprende gli amarissimi miei ceppi. Per la spossatezza,

abbandona la spada e si lascia andare. Pur essendo un uomo, contro un dio

ha osato andare a battaglia e io sono uscito tranquillo

dalla casa e sono venuto da voi, senza curarmi di Penteo.

Ma ecco -mi sembra- risuona un calzare dentro la casa:

tra poco arriverà sulla soglia. Che cosa dirà mai di questo?

Lo sopporterò facilmente, anche se arriva sbuffando grandemente,

perché è proprio di un uomo saggio praticare una assennata mitezza.

 

PE Terribili sciagure ho subito! Mi è sfuggito lo straniero,

che pure era stretto in catene.

Eh?

Ma è lui! Che cosa succede? Come mai compari sulla soglia

di casa mia, come sei uscito fuori?

DI Fermati, frena la facile ira.

PE Come hai fatto a liberarti dalle catene e a uscire fuori?

DI Non ho detto, o tu non hai sentito, che qualcuno mi avrebbe liberato?

PE Chi? Porti sempre novità.

DI Colui che per i mortali genera la vite dai molti grappoli.

PE **********

DI Hai attribuito questo bel dono a Dioniso.

PE Ordino di chiudere tutte le torri della cinta.

DI E perché? Gli dei non superano anche le mura?

PE Sei saggio, certo sei saggio, tranne quando dovresti esserlo.

DI Soprattutto quando devo esserlo, la mia natura mi rivela saggio.

Ma prima di tutto ascolta e cerca di capire quello che dirà

costui che è arrivato dal monte ad annunciarti qualcosa.

Io rimarrò qui con te, non fuggirò.

 

MESSAGGGERO

 Penteo, che governi questa terra tebana,

vengo dal Citerone, dove mai

dileguano le lucenti distese della bianca neve.

 

PE E sei arrivato a portare quali notizie così in fretta?

 

MES Ho visto le venerande Baccanti, che fuori da questa terra

in preda al delirio hanno saettato le bianche membra

e sono venuto spinto dal bisogno di riferire a te e alla città, sire,

che compiono gesta sconvolgenti e più grandi di prodigi.

Ma voglio sentire da te se ho la facoltà

di riferire quello che succede là oppure se devo ammainare il discorso,

perché temo la rapida mutevolezza del tuo animo, sire,

la facile ira e il troppo potere.

 

PE Parla, perché per quanto mi riguarda sarai sempre incolume:

non bisogna prendersela con i giusti.

Quanto più terribile sarà quello che dirai sulle Baccanti,

tanto più gravemente la farò pagare a costui

che ha introdotto le sue arti tra le donne.

 

MES Stavo guidando la mandria di vitelli al pascolo

in cima alla rupe, quando il sole

libera i suoi raggi a riscaldare la terra,

ed ecco che vedo tre tiasi, tre cori di donne:

a capo di uno stava Autonoe, del secondo

tua madre Agave e del terzo coro Ino.

Dormivano tutte con i corpi abbandonati,

le une con la schiena appoggiata al fogliame di un abete,

le altre con la testa sul suolo tra foglie di quercia,

sparse qua e là, pudicamente, non come tu dici

ebbre di vino e per il frastuono dei flauti,

solitarie per il bosco a caccia di Cipride.

Ed ecco che tua madre lanciò l'urlo di gioia, alzatasi

in piedi in mezzo alle Baccanti, per destarle dal sonno,

appena sentì il muggito dei buoi cornuti.

E quelle, respingendo il profondo sonno dagli occhi,

balzarono in piedi, meraviglia di compostezza a vedersi,

giovani, vecchie e vergini ancora non aggiogate.

E prima di tutto si sciolsero i capelli sulle spalle,

si sollevarono le nebridi quelle a cui si era sciolto

il legame dei nodi e si cinsero di pelli screziate

con serpi che vibrano la lingua sulle guance.

E quelle che, fresche di parto, avevano il seno ancora gonfio di latte

e avevano lasciato i piccoli, tenendo tra le braccia

un daino o cuccioli selvatici di lupo,

diedero loro bianco latte. Si misero poi

corone d'edera, di quercia e di smilace fiorito.

Una prese un tirso e lo batté su una roccia,

da cui sgorgò l'umidità rugiadosa dell'acqua.

Un'altra affondò una canna nel suolo

e lì il dio fece scaturire una fonte di vino.

E quante avevano desiderio di bianca bevanda,

lacerando la terra con la punta delle dita,

avevano rivi di latte, mentre dai tirsi

d'edera stillavano dolci flussi di miele,

così che se fossi stato presente e avessi visto queste cose,

supplicheresti il dio che ora offendi.

Allora ci riunimmo, bovari e pastori,

e discutemmo insieme, cercando ognuno di prevalere sull'altro,

perché facevano cose strane e degne di meraviglia.

E uno che viene spesso in città ed è esperto di discorsi

disse a tutti: ”Voi che i sacri piani

dei monti abitate, volete dar la caccia

alla madre di Penteo, Agave, trascinarla via dai riti bacchici,

e fare un favore al re?”. Che avesse ben parlato

ci parve, quindi ci mettemmo in agguato nascosti

tra il fogliame dei cespugli. Quelle all'ora stabilita

mossero il tirso nel rito bacchico,

invocando a una sola voce Iacco, il figlio di Zeus,

Bromio: tutto il monte e le fiere partecipavano al rito,

tutto si muoveva di corsa, non c'era niente che stesse fermo.

A un tratto Agave mi balzò vicino

e io saltai fuori per afferrarla,

lasciando la boscaglia, dove stavamo nascosti.

Quella gridò: “Oh mie veloci cagne,

veniamo cacciate da questi uomini. Su, seguitemi,

seguitemi, armate di tirsi nelle mani”.

Noi con la fuga riuscimmo a evitare

di essere sbranati dalle Baccanti e quelle si lanciarono,

con le mani disarmate, sui vitelli che pascolavano l'erba.

Avresti dovuto vedere una che con le mani divideva in due

una mugghiante vitellina dalle floride mammelle,

mentre le altre facevano a pezzi e sbranavano le giovenche.

Avresti visto qui fianchi, lì uno zoccolo forcuto

scagliati in alto e in basso e appesi

agli abeti gocciolavano pieni di sangue.

Anche i tori, poco prima violenti e pronti all'attacco,

venivano schiantati a terra,

spinti da miriadi di giovani mani

e le carni venivano sbranate più in breve

di quanto ti ci voglia per sbattere le ciglia sui regali occhi.

Si slanciano poi come uccelli in volo con furia

per le distese dei piani, che lungo le correnti dell'Asopo

ai Tebani producono rigoglioso frutto;

poi a Isie ed Eritre, che sotto la roccia del Citerone

si trovano, abbattendosi

come nemici, tutto mettevano sottosopra.

I bambini strappavano dalle case

e quanto si erano messe sulle spalle, senza legami

rimaneva attaccato e non cadeva sul nero suolo,

né bronzo, né ferro. Sui riccioli

avevano fuoco e non bruciava. Quelli che erano assaliti

dalle Baccanti per l'ira accorsero in armi

e qui lo spettacolo divenne sconvolgente a vedersi, sire.

Le loro lance aguzze non spargevano sangue,

mentre quelle, scagliando i tirsi,

li ferivano e li mettevano in fuga,

donne contro uomini, non senza l'aiuto di un dio.

Quindi tornarono nuovamente là da dove si erano mosse,

a quelle fonti che il dio aveva fatto sgorgare per loro

e si lavarono dal sangue, mentre dalle guance toglievano

le gocce con la lingua le serpi, pulendo la pelle.

Questa divinità, chiunque sei, padrone,

accogli in questa città, perché è grande in molte cose

e -dicono- anche in questo -così ho sentito-

che dà ai mortali la vite che pone fine ai dolori.

E se non c'è più il vino, non c'è neanche Cipride

e nessun'altra gioia per i mortali.

 

CO ho paura di dire parole libere

al signore, tuttavia parlerò:

Dioniso non è  inferiore a nessun altro dio.

 

PE Ecco, è ormai talmente vicina che come fuoco divampa

la violenta furia delle Baccanti, grande biasimo per i Greci.

Ma non bisogna indugiare: muoviti, va' alle porte di Elettra,

ordina a tutti i portatori di scudo,

a coloro che montano su veloci cavalli,

a quanti agitano le pelte e fanno vibrare con la mano

le corde degli archi che si radunino. Andiamo a far guerra

alle Baccanti, perché passa il limite

se sopportiamo di subire dalle donne quello che subiamo.

 

DI Tu non mi dai affatto retta, anche se senti le mie parole,

Penteo. Anche se sono stato trattato male da te, tuttavia

ti avverto di non sollevare le armi contro il dio,

ma di rimanere tranquillo: Bromio non sopporterà che

tu cacci le Baccanti dai monti dei suoi riti.

 

PE Non mi farai rinsavire, ma, dato che ti sei liberato dalle catene,

questo ti salverà, altrimenti e la farò pagare di nuovo.

 

DI Io sacrificherei al dio invece di recalcitrare, infuriato,

al suo pungolo, pur essendo un mortale.

 

PE Lo farò il sacrificio e grande strage di donne, come meritano,

susciterò per le balze del Citerone.

 

DI Sarete tutti volti in fuga e questa la vostra vergogna,

che le Baccanti con i tirsi respingano gli scudi lavorati in bronzo.

 

PE Certo che ci siamo imbattuti in uno straniero insuperabile:

non c'è verso che stia zitto, né quando subisce, né quando agisce.

 

DI Amico mio, è ancora possibile sistemare le cose.

PE Che cosa dovrei fare? Diventar schiavo delle mie schiave?

DI Io riporterò qui le donne senz'armi.

PE Ahimé! Ecco l'inganno che trama contro di me.

DI Quale inganno, se intendo salvarti con la mia astuzia?

PE Vi siete accordati per continuare a baccheggiare per sempre.

DI Questo patto l'ho fatto io con il dio.

PE Portatemi qui le armi e tu smetti di parlare.

DI Le vuoi vedere riunite sui monti?

PE Certamente, darei un'enorme quantità d'oro per questo.

DI Perché ti sei fatto afferrare da questo grande desiderio?

PE Anche se con dolore, vorrei vederle ubriache.

DI Vorresti vedere con piacere quello che tuttavia ti risulterebbe amaro?

PE Comprendi bene, acquattato in silenzio sotto gli abeti.

DI Ma ti scoveranno, anche se arrivi di nascosto.

PE Allora sotto gli occhi di tutte: hai ragione su questo.

DI Dunque io dovrei condurti e tu intraprenderai il cammino?

PE Conducimi al più presto, non ti do altro tempo.

DI Allora indossa una veste di lino.

PE E perché? Finirò da uomo tra le donne?

DI Perché non ti uccidano, vedendo che c'è lì un uomo..

PE Hai ragione su questo: già da prima sei parso saggio.

DI Dioniso mi ha così istruito.

PE Come dunque potrebbe ben riuscire quello che tu mi consigli?

DI Io verrò in casa e ti preparerò-

PE Con quale veste? Da femmina? Ne avrei vergogna.

DI Non desideri più vedere le Menadi?

PE Quale veste dici debba mettermi?

DI Innanzi tutto lunghi capelli ti distenderò sul capo.

PE Qual è la seconda parte del mio abbigliamento?

DI Un peplo lungo fino ai piedi e sul capo vi sarà una benda.

PE Vuoi aggiungermi anche qualcos'altro?

DI Un tirso in mano e una pelle screziata di cerbiatto.

PE Non posso indossare una veste da femmina.

DI Allora spargerai sangue dando battaglia alle Baccanti.

PE Bene, bisogna innanzi tutto andare in perlustrazione.

DI è certo più saggio che dare la caccia ai mali con dei mali.

PE E come farò ad attraversare la città di nascosto dai Cadmei?

DI Andremo per strade deserte: io ti guiderò.

 

PE Tutto è meglio, purché le Baccanti non mi deridano.

Andiamo a casa: deciderò quello che sia giusto fare.

 

DI E sia. Da parte mia tutto è pronto.

 

PE Andiamo: o muoverò in armi

o ascolterò i tuoi consigli.

 

DI Donne, l'uomo è caduto nella rete.

Andrà dalle Baccanti, a cui la pagherà con la morte.

Dioniso, ora tocca a te, visto che non sei lontano:

Puniamolo. Prima di tutto levagli il senno,

ispirandogli leggera pazzia, perché, finche è in sé,

non vorrà indossare una veste da femmina,

ma uscendo di senno, la indosserà.

Desidero che si attiri la derisione dei Tebani

quando sarà condotto per la città in veste da donna

dopo le minacce di prima, con cui spargeva il terrore.

Vado dunque a far indossare a Penteo l'abbigliamento

con cui scenderà nell'Ade scannato dalle mani della madre.

Conoscerà così il figlio di Zeus,

Dioniso, che è compiutamente il dio

più terribile, ma il più mite con gli uomini.

 

 

 

 

TERZO STASIMO

 

CORO

In cori notturni                          str.

metterò un giorno il bianco

piede nel furore bacchico, il collo

nella rugiadosa aria

agitando, come cerbiatta che gode

dei verdi piaceri del prato,

quando è sfuggita alla spaventosa

caccia, fuori dalla custodia,

oltre le ben intrecciate reti,

e il cacciatore urlando

aizza la corsa dei cani:

nella fatica della rapida corsa, come di

tempesta, salta per il piano

lungo il fiume, traendo piacere

dai luoghi deserti di mortali,

tra i virgulti di boschi dall'ombrosa chioma.

Che cos'è la saggezza? Quale dono

da parte degli dei è più bello tra i mortali

che tenere da vincitore la mano

sul capo dei nemici?

Sempre è caro ciò che è bello.

 

Lentamente si muove, tuttavia          antistr.

certa è la divina

potenza: raddrizza chi tra i mortali

adora la stoltezza e ciò che spetta agli dei

non accresce con folle opinione.

Nascondono in vari modi

il lungo piede del tempo e

danno la caccia all'empio.

Non si deve conoscere e pensare,

perché poco costa credere

che forza vi sia nella divinità,

qualunque sia,

e in ciò che nel lungo corso del tempo

da sempre è legge e pure esiste per natura.

Che cos'è la saggezza? Quale dono

da parte degli dei è più bello tra i mortali

che tenere da vincitore la mano

sul capo dei nemici?

Sempre è caro ciò che è bello.

 

Felice chi dal mare                                              ep. 

sfugge alla tempesta e raggiunge il porto;

felice chi al di là degli affanni

si trova. Chi uno chi un altro in diverso modo

supera in prosperità e potenza.

Innumerevoli per innumerevoli uomini

sono le speranze: alcune

si realizzano in prosperità

per i mortali, altre si dileguano.

Chi giorno per giorno vive

felice, io giudico beato.

 

 

 

 

QUARTO EPISODIO

 

DI Tu che sei desideroso di vedere quello che non si deve

e vuoi occuparti di cose che bisogna lasciar stare, te, Penteo, chiamo:

esci fuori davanti alla casa, fatti vedere da me

in abito da donna, da Menade, da baccante,

pronto a spiare tua madre e la sua schiera.

Assomigli per l'aspetto a una delle figlie di Cadmo.

 

PE Ho l'impressione di vedere due soli

e doppie Tebe e la rocca dai sette accessi

e mi sembra che tu cammini avanti con l'aspetto di toro

e che corna stanno sulla tua testa.

Eri già prima una fiera? Certo un toro sei diventato.

 

DI Il dio, che prima non era benevolo, ci accompagna

ben disposto e ora vedi quello che devi vedere.

 

PE Quale aspetto ho, dunque? Non ho assunto il portamento di Ino

o di mia madre Agave?

 

DI Guardandoti mi sembra di vedere proprio loro.

Ma c'è un ricciolo fuori posto,

non come io l'avevo sistemato sotto la benda.

PE Agitandolo e scuotendolo dentro e

facendo la Baccante l'ho smosso fuori posto.

 

DI Te lo risistemerò io, perché mi sta a cuore

servirti. Su, solleva la testa.

 

PE Sì, aggiustalo tu, perché dipendo davvero da te.

 

DI Ti va lenta la cintura e le pieghe del peplo non

ti stanno tese e parallele alle caviglie.

 

PE Sembra anche a me, al piede destro,

dall'altra parte, invece, il peplo cade dritto al tallone.

 

DI Mi considererai il primo dei tuoi amici,

quando, contro quello che pensi, vedrai le Baccanti pudiche?

 

PE Somiglierò di più a una Baccante portandolo

il tirso nella mano destra o in questa?

 

DI Devi portarlo a destra e sollevarlo

insieme al piede destro. Approvo che hai cambiato idea.

 

PE Potrei portare sulle mie spalle

le balze del Citerone con le stesse Baccanti?

 

DI Potresti, se volessi. Prima

non eri sano di mente, ora sei come devi essere.

 

PE Portiamo dei pali o lo svellerò con le mani

mettendo la spalla o il braccio sotto le cime?

 

DI Non distruggere le dimore delle Ninfe

e la sede di Pan, dove suona il flauto.

 

PE Hai ragione: non bisogna vincere le donne

con la forza; mi nasconderò tra gli abeti.

 

DI Starai nascosto in un nascondiglio che deve nasconderti,

se vuoi andare a spiare le Menadi con l'inganno.

 

PE Ecco, mi sembra di vederle tra i cespugli, come uccelli

presi nei dolcissimi lacci del letto.

 

DI Non andrai dunque lì come sorvegliante?

Forse le prenderai, a meno che prima non venga preso tu.

 

PE Portami attraverso la città di Tebe:

sono il solo uomo tra loro che osi far questo.

 

DI Tu sei il solo disposto a soffrire per questa città, il solo.

Perciò ti attendono le prove che ti spettano.

Seguimi: io ti sono guida e salvatore,

mentre da lì ti ricondurrà un altro PE colei che mi ha generato

DI Indicato da tutti. PE Per questo vado.

DI Tornerai trasportato PE Annunci la mia gloria.

DI Dalle mani della madre PE Mi costringerai alla mollezza.

DI Quali mollezze! PE Ottengo quello che mi spetta.

 

DI Straordinario sei, straordinario e verso straordinarie sofferenze ti dirigi,

tanto che fama innalzata al cielo avrai.

Stendete le mani, Agave e voi nate dallo stesso seme,

figlie di Cadmo: questo giovane conduco

per una grande prova. Il vincitore io

sarò e Bromio. Gli eventi sveleranno il resto.

 

 

 

 

QUARTO STASIMO

 

CORO

Correte, veloci cagne di Lissa, correte al monte,          str.

dove hanno il tiaso le figlie di Cadmo:

furore ispirate in loro

contro colui che in veste che imita la femmina

viene rabbioso a spiare le Menadi.

La madre sarà la prima a vederlo spiare

da una nuda roccia

o da un albero e alle Menadi urlerà:

“ Chi dei Cadmei è questo

che a osservare coloro che per il monte corrono

al monte, al monte è venuto, è venuto, oh Baccanti?

Chi mai lo ha generato?

Non da sangue di donne è nato,

ma da una leonessa o è stirpe

di Gorgoni libiche”.

Venga la Giustizia, palese, venga armata di spada

a uccidere trapassandogli la gola

il figlio nato dalla terra

di Echione, senza dio, senza legge, senza giustizia.

 

Colui che con ingiusto pensiero e violenta ira          antistr.

per i tuoi riti, Bacco, e di tua madre

con folle mente

e rabbiosa volontà si prepara,

per dominare con violenza chi non può essere vinto.

Una vita senza dolore nasce

ai mortali che con mente assennata non commettono raggiri

nei confronti degli dei.

Non invidio la saggezza.

Godo a dar la caccia

a questi altri chiari beni, a condurre sempre

la vita verso le belle opere,

puro di giorno e di notte, pio,

a respingere gli usi estranei alla giustizia,

a onorare gli dei.

Venga la Giustizia, palese, venga armata di spada

a uccidere trapassandogli la gola

il figlio nato dalla terra

di Echione, senza dio, senza legge, senza giustizia.

 

Manifestati toro o serpente                      ep.

dalle molte teste

o fiammeggiante

leone.

Vieni, Bacco, con volto sorridente

getta la tua rete

su colui che va a caccia delle Baccanti,

ma si è imbattuto nella funesta

mandria delle Menadi.

 

 

 

 

QUINTO EPISODIO

 

MES Oh casa, che un tempo eri felice in Grecia,

del vecchio di Sidone, il quale in terrà

seminò la messe nata dalla terra del drago serpente,

quanto ti piango, anche se sono uno schiavo, tuttavia

i bravi schiavi condividono la disgrazia dei padroni!

 

CO Che c'è? Porti qualche novità dalle Baccanti?

 

MES Penteo, figlio del padre Echione, è morto.

 

CO Oh signore Bromio, ti riveli un grande dio.

 

MES Come dici? Perché hai detto questo? Delle sciagure

dei miei padroni gioisci, donna?

 

CO Io, straniera, esulto con barbari canti,

perché più non mi nascondo per la paura delle catene.

 

MES Credi che Tebe sia rimasta così priva di uomini?

 

CO è Dioniso, Dioniso, non Tebe,

che ha potere su di me.

 

MES Bisogna perdonarti; solo che quando accadono

disgrazie gioire non è bello, donne.

 

CO Dimmi, raccontami, come è morto

l'uomo ingiusto che ingiustizie macchinava?

 

MES Dopo aver lasciato le abitazioni di questa terra

di Tebe e superato le correnti dell'Asopo,

cominciammo a salire sulla rupe del Citerone,

Penteo e io, dato che seguivo il padrone,

e lo straniero, che ci faceva da guida nella processione.

Per prima cosa ci fermammo in una erbosa vallata,

mantenendo silenziosi i piedi e

la lingua, per vedere senza essere visti.

Era una gola circondata da precipizi, bagnata dalle acque,

ombreggiata dai pini, dove le Menadi

stavano, occupate in liete fatiche.

Alcune il tirso rimasto spoglio

incoronavano nuovamente con chioma d'edera,

altre,deposti i variopinti gioghi, come puledre,

facevano echeggiare, alternandosi, il bacchico canto.

L'infelice Penteo, non riuscendo a vedere la folla delle femmine,

così disse: “Straniero, dal posto dove stiamo,

non arrivo a vedere le Menadi false.

Se salissi su un'altura o sulla cima di un alto abete,

potrei direttamente osservare i turpi riti delle Menadi”.

Da quel momento vidi i prodigi dello straniero:

afferrato, infatti, uno dei rami più alti, che sfiorava il cielo, di un abete,

lo tirò giù, lo tirò, lo tirò fino al nero suolo

e si curvò come un arco o rotonda ruota,

che, descrivendo un segno con il torchio, trascina un movimento circolare.

Così lo straniero, tirando con le mani il ramo montano,

lo piegò a terra, compiendo un'azione non da mortale.

Sistemato Penteo sui rami dell'abete,

con le mani lasciò andare in alto dritto il tronco

lentamente, badando che non lo gettasse a terra

e quello dritto si levò nell'aria dritta,

con il padrone seduto sul dorso.

E invece di vedere le Menadi, fu visto.

Non era ancora stato scoperto, seduto lassù,

che lo straniero era scomparso

e una voce dall'aria – Dioniso,

c'è da immaginarsi- si levò: “Giovani,

Vi porto colui che voi, me e i miei riti

deride: forza, punitelo”.

E mentre questo diceva, tra cielo

e terra si alzò dritta una luce di sacro fuoco.

Tacque l'aria, in silenzio la vallata dal bel prato

teneva le foglie, rumore di fiere non avresti sentito.

E quelle, accolto non chiaramente il suono alle orecchie,

balzarono in piedi e intorno mossero lo sguardo.

Lui nuovamente le incitò. E appena compresero

chiaro l'ordine di Bacco le figlie di Cadmo,

si lanciarono non inferiori per velocità a una colomba

la madre Agave, le consanguinee nate dallo stesso seme

e tutte le Baccanti: per la vallata solcata dai torrenti

e i dirupi irruppero, invasate dal soffio del dio.

Appena videro il padrone seduto sull'abete,

innanzi tutto sassi scagliati con forza gli

gettarono contro, salite in cima a una roccia che come torre si ergeva di fronte,

e quello da rami d'abete era saettato;

altre i tirsi lanciavano nell'aria

contro Penteo, infelice bersaglio, ma non lo raggiungevano.

Ad un'altezza superiore della loro furia

stava infatti l'infelice, senza via di scampo.

Infine, schiantati come folgori rami di quercia,

cercavano di svellere le radici con pali non di ferro.

Ma, poiché termine non avevano le fatiche,

Agave disse: “Forza, mettetevi in circolo

e prendete il tronco, Menadi: così la fiera

che si arrampica prenderemo e non rivelerà

i segreti cori del dio”. E quelle innumerevoli mani

posero all'abete e lo strapparono via dalla terra.

Penteo, che in alto stava seduto, dall'alto a terra

precipita al suolo tra innumerevoli lamenti:

capiva infatti di esser vicino alla fine.

La madre, sacerdotessa, fu la prima a dar inizio all'uccisione

e piombò su di lui. Egli gettò via la benda dai capelli,

perché, riconoscendolo, l'infelice Agave

non lo uccidesse, e disse, sfiorandole

la guancia: “Sono io, madre, tuo figlio

Penteo, che hai partorito nella casa di Echione.

Abbi pietà, madre! Non uccidere

tuo figlio per i miei errori”.

Ma lei, con la schiuma alla bocca e volgendo intorno

lo sguardo stravolto, non più in senno come si deve essere,

era posseduta da Bacco e non riuscì a placarla.

Afferratagli la mano sinistra con le braccia,

facendo leva sui fianchi dell'infelice

gli strappò via la spalla, non con le sue forze,

ma il dio aggiungeva abilità alle sue mani.

Ino si adoperava dall'altra parte,

squarciando le carni e Autonoe e tutta la schiera

delle Baccanti gli saltarono addosso: era tutto un grido ovunque,

lui che gemeva, finché gli rimase respiro,

mentre quelle lanciavano il grido di battaglia.

Una portava una spalla,

un'altra un piede con tutti i calzari: i fianchi

erano messi a nudo per le lacerazioni. Ognuna, con le mani

insanguinate, giocava a palla con le carni di Penteo.

Il corpo giace sparso, in parte sotto aspre

rocce, in parte tra il folto fogliame dei boschi:

la ricerca non sarà molto facile. Degno di compassione il capo,

che la madre va portando in mano,

infilzato sulla punta del tirso, pensando di portare

per il Citerone la testa di un leone montano,

dopo aver lasciato le sorelle nei cori delle Menadi.

Orgogliosa della disgraziata caccia, entra

ora nelle mura, invocando Bacco,

il compagno di caccia, colui che l'ha aiutata a catturare la preda,

il glorioso vincitore, la cui vittoria porta lacrime.

Io da questa disgrazia mi ritiro

lontano, prima che Agave arrivi a questa reggia.

Essere umili e onorare gli dei

è bellissimo e credo che questo sia il bene

più saggio per i mortali che ne sanno beneficiare.

 

 

 

QUINTO STASIMO

 

CORO

Diamo inizio alla danza per Bacco,

leviamo il grido per la disgrazia di Penteo nato dal serpente,

che la veste femminea

e la ferula, Ade sicuro,

bel tirso prese,

avendo come guida alla sventura un toro.

Il glorioso canto di vittoria ha volto

in gemito e in pianto.

Bella vittoria, avere il figlio nelle

mani che gocciolano il suo sangue.

Ma ecco, vedo avvicinarsi alla casa

la madre di Penteo, agave, con gli occhi

stravolti. Accogliete il corteo del dio del furore bacchico.

 

 

 

 

ESODO

 

AG Baccanti asiatiche! CO Perché mi inciti?

AG Portiamo dai monti

in casa un tralcio di edera reciso di fresco,

felice preda.

CO Vedo e ti accoglierò come compagna di festa.

AG L'ho preso senza reti,

un cucciolo di leone,

eccolo, guarda!

CO Da quale luogo deserto?

AG Il Citerone CO Il Citerone?

AG L'ha ucciso.

CO Chi è stata a colpirlo? AG Mio il privilegio.

Beata Agave nei tiasi sono nominata.

CO Chi altra? AG di Cadmo. CO Di Cadmo? AG Le figlie

dopo di me, dopo di me questa

fiera toccarono.

CO Fortunate per questa preda.

AG Partecipa ora al banchetto. CO Partecipare, infelice?

AG è un giovane vitello che da poco

sulle guance, sotto il casco della morbida chioma,

di barba fiorisce.

CO è simile a una bestia selvatica per la criniera.

AG Bacco, cacciatore

accorto, accortamente scagliò contro questa

fiera le Menadi.

CO Infatti è cacciatore il signore.

AG Lo lodi? CO Perché no? Lo lodo.

AG Presto i Cadmei….

CO E il figlio Penteo la madre AG loderà

che ha catturato la preda, eccola, nata da un leone

CO straordinaria AG straordinariamente. CO Esulti? AG Gioisco

per grandi, grandi e

chiare imprese compiute con questa preda.

CO Mostrala ora, infelice, ai cittadini

la preda che ti dà la vittoria, quella che sei venuta a portare.

 

AG Oh voi che abitate la città della terra tebana dalle belle

torri, venite a vedere questa preda,

che noi figlie di Cadmo abbiamo cacciato,

non con i giavellotti dei Tessali scagliati per la correggia,

non con reti, ma con le mani dalle bianche braccia. 

E dopo questo è opportuno

vantarsi vanamente di possedere gli strumenti dei fabbricanti di lance?

Noi con le sole mani lo abbiamo preso

e abbiamo lacerato le membra della fiera.

Dov'è l'anziano mio padre? Venga vicino.

E Penteo mio figlio dov'è? Prenda

i pioli di solida scala e l'appoggi alla casa,

per inchiodare ai triglifi questa testa

di leone, che ho cacciato.

 

CA Seguitemi con il compassionevole carico

di Penteo, seguitemi, servi, davanti alla casa.

Il corpo, soffrendo in innumerevoli ricerche,

è questo che porto: l'ho trovato smembrato per le balze

del Citerone e nessuna parte ho raccolto

nello stesso posto, ma giaceva nella selva inaccessibile.

Ho sentito l'atto efferato delle figlie,

quando già ero entrato in città, dentro le mura,

insieme al vecchio Tiresia, lontano dalle Baccanti.

Tornai indietro sul monte e porto

il figlio ucciso dalle Menadi.

Ho visto colei che un tempo ad Aristeo partorì

Atteone, Autonoe, e insieme a lei Ino,

ancora colpite, infelici, dall'invasamento per i querceti.

Qualcuno mi disse che qui con bacchico piede

si dirigeva Agave e non ascoltai cose vane:

la vedo, infatti, vista non felice!

 

AG Padre, ti è consentito assai grandemente vantarti

di aver generato le figlie di gran lunga migliori tra tutti

i mortali: a tutte mi riferisco, ma in particolare a me,

che, lasciate le spole presso i telai,

a più grande impresa mi sono diretta, dare la caccia alle fiere con le mani.

Questo che porto sulle spalle, come vedi, è il trofeo

che ho preso, perché alle nostre case

sia appeso: tu, padre, prendilo in mano

e, orgoglioso per la mia preda,

invita gli amici a banchetto. Felice devi essere,

felice, perché tale impresa abbiamo compiuto.

 

CA Oh dolore senza misura, impossibile a guardarsi:

sangue avete sparso con le vostre infelici mani!

Bella vittima deponi agli dei

e a banchetto inviti Tebe e me!

Ahimé! Che sciagura, prima per te, poi per me!

Come ci ha rovinato il dio, il sire Bromio,

che pure aveva diritto, ma ha ecceduto, benché appartenga alla casa!

 

AG Com'è difficile per gli uomini e malinconica negli occhi

la vecchiaia! Oh se mio figlio

fosse fortunato nella caccia e alla madre simile nel carattere,

quando insieme ai giovani Tebani

le belve insegue. Ma solo a far guerra agli dei

è capace lui! Tocca a te ammonirlo, padre.

Qualcuno andrebbe a chiamarlo qui, alla mia vista,

perché mi veda in preda alla felicità?

 

CA Ahimé! Quando comprenderete quello che avete fatto,

soffrirete un dolore spaventoso. Se invece fino alla fine

per sempre rimarrete in questo stato in cui vi trovate,

pur non felici, non vi sembrerà di essere infelici.

 

AG Che cosa c'è che non va in questo? Che cosa reca dolore?

CA Prima di tutto abbandona lo sguardo al cielo.

AG Va bene. Perché mi hai ordinato di guardarlo?

CA Ti sembra che sia sempre lo stesso o che sia cambiato?

AG è più splendente di prima e più limpido.

CA E ancora sconvolgimento c'è nell'animo tuo?

AG Non capisco queste parole, ma sono come

tornata in me, mi sento trasformata nell'animo.

CA Puoi ascoltare e rispondere chiaramente?

AG è strano, ho dimenticato quello che ho detto prima, padre.

CA In quale casa sei entrata sposandoti?

AG Mi hai dato -si dice- a Echione, nato dai denti del drago.

CA E chi è il figlio nato a tuo marito in quella casa?

AG Penteo, dall'unione tra me e il padre.

CA Di chi è la testa che hai tra le braccia?

AG Di un leone, così dicevano le cacciatrici.

CA Guarda bene ora, costa poca fatica vedere.

AG Ah! Che vedo? Che cosa porto qui in mano?

CA Osservalo e cerca di capire più chiaramente.

AG Vedo un dolore grandissimo, oh me sventurata!

CA Dimmi, ti sembra forse che assomigli a un leone?

AG No. È il capo di Penteo che io, sciagurata, tengo.

CA Già è stato pianto prima che tu lo riconoscessi.

AG Chi l'ha ucciso? Come è finito nelle mie mani?

CA Infelice verità, quanto è sbagliato il momento in cui giungi!

AG Parla, il cuore sobbalza per quello che sta per succedere.

CA Tu l'hai ucciso, tu e le tue sorelle.

AG Dove è morto? In casa? O in quali luoghi?

CA Dove i cani un tempo sbranarono Atteone.

AG E perché era andato sul Citerone questo infelice?

CA Era andato a schernire il dio e i tuoi riti bacchici.

AG E noi perché eravamo andate lì?

CA Eravate impazzite e tutta la città era trascinata dalla furia bacchica.

AG Dioniso ci ha perdute, ora capisco.

CA Era stato oltraggiato, perché non credevate che fosse un dio.

AG E dove stava il carissimo corpo di mio figlio, padre?

CA A fatica l'ho scovato e portato.

AG È utto ben composto nelle membra?

CA**********

AG A Penteo quale parte è toccata della mia stoltezza?

 

CA Era uguale a voi, dato che non venerava il dio.

Perciò ha coinvolto tutti in un'unica rovina,

voi e lui, tanto che ha distrutto la casa

e me, che sono privo di figli maschi,

e questo germoglio del tuo ventre, oh infelice,

lo vedo morto nella maniera più vergognosa e ignobile.

A te rivolgeva lo sguardo la casa, tu, oh figlio, sostenevi

il mio tetto, nato da mia figlia,

e timore suscitavi in città. Me vecchio

nessuno aveva voglia di oltraggiare, vedendo il tuo

aspetto, perché gli avresti fatto pagare giusta pena.

Ora sarò cacciato via da questa casa, disprezzato,

io, Cadmo il grande, che la stirpe dei Tebani

seminai e bellissima messe raccolsi.

Oh più caro tra gli uomini – perché anche se non sei più, comunque

da me sarai annoverato tra i più cari, figlio-

non mi abbraccerai più, figlio, chiamandomi padre della madre,

toccandomi con la mano la guancia,

dicendo: “Chi ti fa torto, chi ti offende, vecchio?

Chi ti sconvolge il cuore e ti affligge?

Dimmelo, che io punisca chi ti fa torto, padre”.

Ora io sono sventurato, tu sciagurato,

la madre degna di compassione, sciagurate le sorelle.

Se vi è qualcuno che disprezzi le divinità,

consideri la sua morte e creda negli dei.

 

CO Provo dolore per te, Cadmo: giusta pena

paga il figlio di tua figlia, ma per te è dolorosa.

 

AG Padre, vedi quanto è cambiata la mia sorte......

 

**********

 

 

DIONISO

Un drago diventerai, cambiando sembianze, e tua moglie,

Armonia, che da Ares hai avuto, pur essendo un mortale,

tramutata in bestia assumerà l'aspetto di un serpente.

Guiderai un carro di vitelli, come dice l'oracolo di Zeus,

insieme alla sposa, alla testa di barbari.

Molte città distruggerai con sterminato esercito,

ma quando avranno saccheggiato l'oracolo del Lossia,

infelice avranno il ritorno. Ares proteggerà te e Armonia

e stabilirà la tua vita nella terra dei beati.

Questo dico io, Dioniso, che sono nato non da padre mortale,

ma da Zeus. Se foste stati saggi,

quando non avete voluto, sareste felici

avendo come alleato il figlio di Zeus.

 

AG Dioniso, ti supplichiamo, siamo colpevoli.

DI Troppo tardi mi avete riconosciuto, ma quando avreste dovuto, non sapevate chi fossi.

AG Lo abbiamo capito, ma tu eccedi nella vendetta.

DI E io non sono stato oltraggiato da voi, eppure sono un dio?

AG Non si addice agli dei rendersi uguali ai mortali nell'ira.

DI Da tempo mio padre Zeus ha dato il suo assenso.

AG Ahimé, vecchio, è deciso: triste è l'esilio.

DI Perché allora indugiate di fronte a quello che necessariamente deve accadere?

 

CA Figlia, in quale terribile sciagura siamo finiti,

tu infelice e le tue sorelle...!

E io infelice tra i barbari andrò,

un vecchio straniero. Per me dagli dei è stabilito che un giorno

guidi in Grecia un esercito misto di barbari:

e Armonia, la mia sposa, figlia di Ares

io come drago la condurrò, con l'aspetto di selvaggia dragonessa,

contro gli altari e i sepolcri greci,

alla guida di lance. E non avrò tregua

dalle sventure, oh me infelice! Neanche navigando

l'Acheronte che conduce sotto terra avrò pace.

 

AG Padre, io andrò in esilio senza di te.

CA Perché mi abbracci, infelice figlia:

sono debole come cigno incanutito.

AG Dove mi dirigerò, cacciata dalla patria?

CA Non lo so, figlia: tuo padre vale poco come soccorritore.

AG Addio, casa, addio, città

dei padri! Ti lascio nella disgrazia,

esule dalla stanza nuziale.

CA Ora vai, figlia, da Aristeo….

 

**********

 

AG Piango per te, padre. CA E io per te, figlia,

e per le tue sorelle verso lacrime.

AG è terribile questa violenza

che il sire Dioniso

ha riversato sulla tua casa.

CA Cose terribili ha subito da voi,

con il nome senza onore a Tebe.

AG Addio, padre mio.  CA Addio, infelice

figlia. Difficile è questo passo.

 

AG Conducetemi, mie guide, perché io raggiunga

le sventurate sorelle compagne di esilio.

Possa andare dove

né mi veda il Citerone lordo di sangue,

né io con gli occhi veda il Citerone,

né dove vi sia ricordo del tirso:

ad altre Baccanti stia a cuore.

 

CO Molte sono le forme delle divinità

e molti eventi gli dei mandano a effetto inaspettatamente.

Quello che si pensava non si verifica,

mentre il dio apre la strada a cose impreviste.

Tale è la conclusione di questa vicenda.

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