ANDOCIDE
I MISTERI
I raggiri e l'intenzione dei miei nemici di
danneggiarmi in ogni modo, giustamente e ingiustamente, fin dal primo momento
in cui ho messo piede in questa città, li conoscete quasi tutti, signori, e non
c'è alcun bisogno di soffermarvisi a lungo; piuttosto vi pregherò, signori, di
gradire la giustizia, ciò che per voi è abbastanza facile, e di rendermi
giustizia, come merito.
8.Io mi chiedo, signori, da dove sia opportuno
iniziare la difesa, se dagli ultimi discorsi, sul fatto che mi hanno accusato
illegalmente, o sul decreto di Isotimide, sul fatto che è stato abrogato, o
sulle leggi e sui giuramenti prestati, e se debba spiegarvi i fatti
dall'inizio. Vi dirò quello che mi procura la più grande difficoltà, il fatto
che forse non tutti siete adirati alla stessa maniera riguardo a tutte le
accuse, ma ognuno di voi ha un'accusa da cui vuole che mi difenda per prima e
non è possibile discutere di tutte nello stesso momento. Credo che la decisione
migliore sia di spiegarvi tutti i fatti dal principio, senza tralasciare nulla.
Se, infatti, capirete correttamente quello che è successo, comprenderete
facilmente le menzogne che gli accusatori hanno rivolto contro di me. 9. Ritengo che voi conosciate la giustizia e
abbiate quella disposizione fidando nella quale sono rimasto, poiché vedo che sia
in privato sia in pubblico attribuite un grandissimo valore al fatto di
decidere in conformità ai giuramenti, la sola qualità che si dimostra utile
alla città, mentre contrari sono quelli che non vogliono che le cose stiano
così. Di questo vi prego, che ascoltiate la mia difesa con benevolenza, non vi
mostriate ostili, non facciate congetture su ciò che viene detto, non diate la
caccia alle parole, ma ascoltiate nella sua interezza la mia difesa e quindi
prendiate la decisione che vi sembri la più giusta e la più rispondente ai
giuramenti. 10. Come vi ho detto prima,
signori, mi difenderò discutendo ogni aspetto dall'inizio, innanzi tutto il
motivo stesso da cui è sorta l'accusa, per cui mi sono presentato a questo
processo, i misteri, il fatto che non ho commesso empietà, non ho presentato
denunce, non ho confessato, né conosco quelli che hanno a voi presentato
denunce su questi fatti né so se hanno denunciato il falso o il vero. Questo vi
spiegherò.
11.Erano presenti all'assemblea gli strateghi
della spedizione in Sicilia, Nicia, Lamaco e Alcibiade e stava già salpando la
trireme ammiraglia di Lamaco. Tra il popolo si alzò Pitonico e disse:
”Ateniesi, voi inviate un esercito e mezzi tanto grandi e state per esporvi al
pericolo, ma io intendo dimostrare che lo stratego Alcibiade celebra i misteri
in casa insieme ad altri e, se decretate l'incolumità alla persona che vi
indico, uno schiavo di una persona che era lì, senza essere iniziato, vi
esporrà i misteri: altrimenti, fate di me quello che volete, se non dico la
verità”. 12. Poiché Alcibiade si
opponeva a lungo e negava, i pritani decisero di allontanare i non iniziati e
di recarsi personalmente dal ragazzo che Pitonico aveva indicato. Se ne
andarono e portarono uno schiavo di Polemarco: si chiamava Andromaco. Dopo che
gli ebbero decretato l'incolumità, disse che i misteri si svolgevano nella casa
di Polizione: erano presenti Alcibiade, Niciade e Meleto, ed erano loro gli
artefici, ma anche altri assistevano ai fatti, erano presenti anche degli
schiavi, egli stesso, il fratello, il flautista Icesio e lo schiavo di Meleto.
Egli fu il primo a presentare questa denuncia e ad accusarli: di questi
Polistrato fu arrestato e morì, mentre gli altri fuggirono e voi li condannaste
a morte. Prendimi e leggi i loro nomi.
Nomi. Questi denunciò Andromaco: Alcibiade, Niciade, Meleto, Archebiade, Archippo, Diogene, Polistrato, Aristomene, Eonia, Panezio.
14.Questa, signori, fu la prima denuncia di
Andromaco contro questi uomini. Chiamami Diogneto.
–
Eri pubblico ministero, Diogneto, quando Pitonico
presentò davanti all'assemblea l'accusa su Alcibiade?
–
Sì.
–
Conosci allora Andromaco, che denunciò i fatti
avvenuti nella casa di Polizione?
–
Sì.
–
Sono questi i nomi degli uomini contro i quali egli ha
presentato denuncia?
–
Sì
15.Vi fu poi una seconda denuncia. Si trovava
lì Teucro, un meteco, che se n'era andato di nascosto a Megara, e da lì informò
il consiglio che, se gli concedevano l'incolumità, avrebbe presentato una
denuncia sia riguardo ai misteri, dato che era complice, contro gli altri che
li avevano celebrati insieme a lui, sia per quello che sapeva sulla mutilazione
delle Erme. Dopo che il consiglio (dato che ne aveva il potere) ebbe decretato,
andarono da lui a Megara ed egli, portato qui, dopo aver beneficiato dell'incolumità,
denuncia quelli che si trovavano con lui. Anche questi, secondo la denuncia di
Teucro, erano fuggiti.Prendimi e leggi i nomi.
Nomi. Questi denunciò Teucro: Fedro, Gnifonide, Isonomo, Efestodoro, Cefisodoro, egli stesso, Diogneto, Smindiride, Filocrate, Antifonte, Tisarco, Pantaclea.
Ricordate, signori, che vi sono state presentate tutte queste denunce.
16.Ci fu una terza denuncia. La moglie di
Alcmeonide, che era stata la moglie anche di Damone (si chiamava Agariste)
denunciò che Alcibiade, Assioco e Adimanto celebravano i misteri nella casa di
Carmide, vicino all'Olimpieo: anche questi fuggirono tutti al momento della
denuncia.
17. Ci fu ancora una denuncia. Lido, schiavo di Ferecle del demo di Temaco, denunciò che misteri venivano celebrati nella casa del suo padrone Ferecle, a Temaco: accusò anche gli altri e disse che c'era anche mio padre, ma dormiva, avvolto nelle coperte. Speusippo, in qualità di consigliere, li consegna al tribunale. Allora mio padre nominò dei garanti, accusò Speusippo di illegalità e affrontò il processo di fronte a seimila Ateniesi e tra tanti giudici Speusippo non prese neanche duecento voti. Fui soprattutto io, e poi anche gli altri familiari, a convincere e pregare mio padre di rimanere.
18.Chiamami Callia e Stefano.
Testimoni
Chiama anche Filippo e Alessippo: essi sono parenti di Acumeno e Autocratora, che fuggirono al momento della denuncia di Lido, Autocratora è nipote di Filippo e Acumeno è zio di Alessippo. Questi per forza dovevano odiare l'uomo che li aveva cacciati e conoscere benissimo la persona a causa della quale fuggivano. Rivolgetevi ai giudici e testimoniate se dico la verità.
Testimoni
19.I fatti li avete ascoltati, signori, e i
testimoni vi hanno presentato la loro testimonianza; ora richiamate alla
memoria quello che gli accusatori hanno osato dire, perché in questo modo è
giusto difendersi, ricordando e confutando i discorsi degli accusatori. Hanno
detto che io ho presentato la denuncia sui misteri, ho denunciato che mio padre
era presente e sono stato l'accusatore di mio padre, pronunciando il discorso
più terribile -credo- e più empio di tutti. Chi lo ha denunciato è stato Lido,
schiavo di Ferecle, io sono stato quello che lo ha convinto a rimanere e a non
fuggire, supplicandolo a lungo e prendendolo per le ginocchia. 20. E che cosa volevo? Se avessi denunciato
mio padre, come dicono loro, poi avrei
supplicato mio padre di rimanere perché diventasse mia vittima? E mio padre
sarebbe stato persuaso ad affrontare un simile processo perché non potesse
sfuggire ai due mali più grandi, o morire per causa mia in seguito alla mia
denuncia contro di lui o salvarsi facendo morire me? Perché così disponeva la
legge: se si denunciava il vero, si otteneva l'incolumità; se si denunciava il
falso, la morte. E tutti sapete che ci siamo salvati, sia io che mio padre. Non
sarebbe stato possibile se avessi denunciato mio padre: qualcuno avrebbe dovuto
morire, o io o lui. 21. Supponiamo ora
che mio padre volesse rimanere: credete che gli amici gli avrebbero consentito
di rimanere o di prestare garanzie invece di chiedergli e pregarlo di andarsene
dove avrebbe salvato se stesso e non rovinato me? 22. Piuttosto, quando mio padre presentò
l'accusa di illegalità contro Speusippo, proprio questo diceva, che non andava
mai a Temaco da Ferecle e invitava a torturare gli schiavi, a non indagare
quelli che li consegnavano, ma a costringere quelli che non volevano farlo.
Poiché mio padre sosteneva questo, come tutti sapete, che cosa rimaneva a
Seusippo da dire, se questi dicono il vero, se non questo: “Leogora, perché
vuoi parlare degli schiavi? Non è stato tuo figlio qui a denunciarti e a dire
che stavi a Temaco? Tu, accusa tuo padre o niente incolumità!”. Era questo che
Speusippo diceva, giudici, o no? Io credo di sì. Se poi mi sono presentato in
tribunale, se c'è stata una discussione su di me o una mia denuncia o
un'accusa, non solo mia contro un altro, ma anche di un altro contro di me,
chiunque voglia si presenti in tribunale e mi accusi. Ebbene, io so che nessuno
mai ha osato accusarmi, pronunciando parole alquanto empie e perfide, se non
quelli che hanno ritenuto di doverlo fare, senza preoccuparsi del fatto che
sarebbero stati riconosciuti come menzogneri.
24. Dunque, come, se fossero vere le loro accuse contro di me, voi
sareste adirati con me e riterreste opportuno condannarmi alla pena più grande,
così penso sia giusto che voi, sapendo che mentono, li consideriate disonesti e
consideriate come prova il fatto che, se vengono scoperti a mentire sulle
accuse più terribili, con facilità vi dimostrerò che mentono riguardo alle
accuse molto meno significative.
25.In questo modo furono presentate le quattro
accuse sui misteri: i nomi di quelli che fuggirono ad ogni denuncia ve li hanno
letti e i testimoni hanno testimoniato. Ma farò ancora altro perché voi mi
concediate fiducia. Di quelli che fuggirono al tempo dei misteri, alcuni sono
morti fuggendo, altri sono tornati, sono qui, sono presenti convocati da
me. 26. Io nel mio discorso concedo a
chiunque di accusarmi, se qualcuno è fuggito per causa mia, o io ho denunciato
qualcuno o tutti non sono fuggiti in seguito alle denunce che vi ho spiegato. E
se qualcuno mi accusa di mentire, fate di me quello che volete. Se qualcuno
vuole presentarsi, me ne sto zitto e mi metto da parte.
27.Allora, signori, che cosa successe dopo?
Dopo che furono presentate le denunce, si scontrarono sulle ricompense (mille
dracme erano state stabilite dal decreto di Cleonimo, diecimila dal decreto di
Pisandro) insomma si scontrarono quelli che avevano presentato le denunce,
Pitonico, che sosteneva di aver presentato l'accusa per primo, e Androcle per
il consiglio.
Testimoni
29.Riguardo ai misteri, signori, per i quali è
sorta l'accusa e riguardo alle accuse per le quali vi siete presentati come
iniziati, ho dimostrato che non ho commesso empietà, non ho denunciato nessuno,
non ho confessato e non ho commesso reati riguardo alle dee, né grandi né
piccoli. E considero importantissimo avervi persuaso. Infatti i discorsi degli
accusatori hanno urlato queste accuse terribili e spaventose e hanno detto che
tutti quelli che in precedenza si sono macchiati di reati e di empietà nei
confronti delle dee sono stati puniti e condannati – 30. ma in che cosa mi
riguardano questi discorsi o questi fatti? Sono io che presento queste accuse
contro di loro con molta più forza e proprio per questo sostengo che loro
devono essere annientati, perché hanno commesso empietà, mentre io devo essere
salvato, perché non ho commesso alcun reato. Sarebbe proprio terribile se voi
foste adirati con me per i reati di altri e, pur conoscendo la calunnia che
contro di me scagliano i miei nemici, la riterreste superiore alla verità. È
chiaro che chi ha commesso simili reati non potrebbe in alcun modo difendersi,
perché penetrante sarebbe l'indagine condotta da chi sa. Quanto a me, l'accusa
sarebbe piacevolissima, perché per questi fatti non devo affatto salvarmi
pregandovi e supplicandovi per una simile accusa, ma accusando i discorsi degli
accusatori e ricordando i fatti a voi, che voterete su di me dopo aver prestato
grandi giuramenti e aver invocato le più grandi maledizioni su voi stessi e i
vostri figli, impegnandovi a decidere secondo giustizia, e inoltre siete
iniziati e avete visto i riti sacri delle dee, per punire gli empi e salvare
chi non ha commesso alcuna ingiustizia. 32 Pensate dunque che accusare di
empietà chi non ha commesso alcuna ingiustizia non costituisce minore empietà
che non punire gli empi. Perciò io di fronte a voi con molta più forza accuso
gli accusatori riguardo alle dee in nome dei riti sacri che conoscete e in nome
dei Greci che vengono qui per la festa. Se ho commesso empietà, ho confessato,
ho denunciato qualcuno o un altro ha denunciato me, uccidetemi – non mi
sottraggo; 33. ma se non ho commesso
reati – e ve l'ho dimostrato chiaramente – vi prego di farlo sapere a tutti i
Greci che ingiustamente sono stato convocato in questo processo. Se il qui
presente Cefisio non raccoglie un quinto dei voti e viene privato dei diritti
politici, non potrà accedere al santuario delle dee, pena la morte. Se dunque
ritenete sufficiente la mia difesa su questo punto, fatemelo sapere, perché
possa difendermi con più ardore riguardo alle altre accuse.
34.Come vi ho esposto, sulla mutilazione e la
denuncia delle statue farò così: vi spiegherò tutti i fatti dall'inizio.
Teucro, tornato da Megara, ottiene l'incolumità, denuncia quello che è venuto a
sapere sui misteri e i mutilatori delle statue e accusa diciotto persone. Quando
queste furono accusate, alcuni fuggirono, altri furono presi e morirono in base
alla denuncia di Teucro. Leggimi i loro nomi.
35.Nomi. Teucro denunciò per le Erme Euctemone,
Glaucippo, Eurimaco, Polieucto, Platone, Antidoro, Carippo, Teodoro, Alcistene,
Menestrato, Erissimaco, Eufileto, Euridamante, Ferecle, Meleto, Timante,
Archidamo, Telenico.
Alcuni di questi uomini sono tornati e sono qui presenti, dei morti ci sono molti parenti:chiunque di loro, presentandosi durante il mio discorso, mi accusi del fatto che qualcuno di questi uomini è fuggito o è morto per causa mia.
36.Quando avvennero questi fatti, Pisandro e
Caricle, che erano pubblici ministeri ed erano considerati in quel periodo i
più ben disposti nei confronti del popolo, sostennero che i fatti accaduti non
riguardavano un gruppo di uomini, ma l'abbattimento della democrazia e che era
necessario indagare più a fondo e non fermarsi lì. E la città si trovava in
condizioni tali che, quando l'araldo annunciava che il consiglio si riuniva e abbassava
l'insegna, a questo segnale il consiglio entrava nella sala, ma la gente
scappava dalla piazza, perché ognuno temeva di essere arrestato. 37. Esaltatosi per le disgrazie della città,
Dioclide presenta in consiglio una denuncia, sostenendo di conoscere i
mutilatori delle Erme e dicendo che sono circa trecento; diceva di averli visti
e di essersi imbattuto per caso in quella vicenda. Vi prego, signori, di
prestare attenzione a questi fatti, di ricordarli, se dico la verità, e di
farli conoscere tra di voi, perché questi discorsi si svolgevano alla vostra
presenza e voi mi siete testimoni di questi fatti. 38. Disse che aveva uno schiavo a Laurio che
doveva portargli la rendita, si era perciò alzato molto presto, sbagliandosi
sull'ora, e si era messo in cammino, dato che c'era la luna piena. Quando si
trovò all'altezza del propileo di Dioniso, vide molte persone che scendevano
dall'odeion verso l'orchestra. Avendone paura, si nascose nell'ombra e rimase
tra una colonna e la stele dello stratego di bronzo. Vide che gli uomini erano
circa trecento e stavano in cerchio a gruppi di cinque e dieci e alcuni di
venti: poteva vederne i volti per la luce della luna e ne riconobbe la maggior
parte. 39. Fece innanzi tutto questo
calcolo – a mio parere, un fatto veramente spaventoso – che in quella faccenda
potevano essere implicati gli Ateniesi che lui voleva comparissero, mentre
quelli che non voleva coinvolgere, disse che non c'erano. Dopo aver visto
questi fatti, disse di essere andato a Laurio e, il giorno seguente, di aver
sentito che le Erme erano state mutilate: capì subito che i responsabili erano
questi uomini. 40. Tornato in città,
incontrò i pubblici ministeri allora in carica e fu proclamata una ricompensa
di cento mine. Vide quindi seduto in un'officina Eufemo, il fratello di Callia figlio
di Telocle, lo portò all'Efesteo e gli disse quello che vi ho raccontato, che
quella notte ci aveva visto. Non voleva prendere soldi dalla città invece che
da noi, per averci amici. Eufemo disse che aveva fatto bene a parlare e lo
invitò ad andare a casa di Leogora “per incontrare lì insieme a me Andocide e
gli altri che devi vedere”. 41. Disse di
esserci andato il giorno dopo e di aver bussato alla porta; si imbatté in mio padre che stava uscendo e
che gli chiese: “Questi non stanno aspettando te? Non bisogna respingere simili
amici”. Dopo aver detto questo, se ne andò. E in questo modo rovinò mio padre,
mostrando che era a conoscenza dei fatti. Noi dicemmo che avevamo deciso di
dargli due talenti d'argento, invece delle cento mine dello Stato, se
ottenevamo quello che volevamo, che fosse uno di noi e ci scambiassimo
reciproche garanzie. 42. Rispose che
pensava di farlo e noi lo invitammo ad andare da Callia figlio di Telocle,
perché fosse presente anche lui. Così rovinò anche mio cognato. Disse che era
andato da Callia e aveva promesso di fornire garanzie sull'acropoli e che noi,
pur essendoci impegnati a dargli il denaro il mese seguente, lo avevamo
ingannato e non l'avevamo dato, perciò era andato a denunciare i fatti.
43.Questa, signori, fu la sua denuncia. Fece i
nomi degli uomini che disse di conoscere, quarantadue, in primo luogo Mantiteo
e Apsefiona, che erano consiglieri e si trovavano in seduta, poi anche gli
altri. Allora Pisandro si alzò e disse che bisognava abrogare il decreto di
Scamandrio e far salire gli accusati sulla ruota, perché prima di notte si
conoscessero i nomi di tutti. Il consiglio gridò che la proposta era
giusta. 44. Sentito questo, Mantiteo e
Apsefio si misero presso l'altare e supplicarono di non essere torturati, ma di
venir giudicati dietro pagamento della cauzione. Appena ottennero quanto
richiesto, dopo aver presentato le garanzie, balzarono a cavallo e sene
andarono disertando dai nemici, abbandonando i garanti, che dovevano subire le
stesse pene di quelli per i quali avevano prestato garanzia. 45. Il Consiglio, agendo in segreto, ci
arrestò e legò ai ceppi. Convocarono poi gli strateghi e ordinarono loro di
avvisare gli Ateniesi che abitavano in città di andare nella piazza armati,
quelli che vivevano presso il lungo muro di radunarsi al Teseio, quelli del
Pireo nella piazza di Ippodamo, ai cavalieri di segnalare con la tromba di
riunirsi ad Anachio, al consiglio di salire sull'acropoli e fermarsi lì, ai
pritani di rimanere nella tolos. I Beoti, informati di quanto stava accadendo,
stavano in armi ai confini. E il responsabile di queste disgrazie, Dioclide, lo
portavano su un carro al pritaneo e lo incoronavano come se fosse il salvatore
della città, e lì gli servivano i pasti. 46. Questi fatti innanzi tutto,
signori, voi che eravate presenti, ricordate e fate sapere agli altri. Ora,
chiamami i pritani di allora, Filocrate e gli altri.
Testimoni
47.Allora, vi leggerò anche i nomi delle
persone accusate, perché sappiate quanti miei familiari rovinò, in primo luogo
mio padre, poi mio cognato, dichiarando che l'uno era al corrente dei fatti e
dicendo che nella casa dell'altro era avvenuto l'incontro. Ascoltate anche i
nomi degli altri. Forza, leggili.
Carmide figlio di Aristotele: è mio cugino, sua madre e mio padre sono fratelli.
Taurea: è cugino di mio padre.
Niseo: figlio di Taurea.
Callia figlio di Alcmeone: cugino di mio padre.
Eufemo: fratello di Callia figlio di Telocle.
Frinico il danzatore: mio cugino.
Eucrate fratello di Nicia: cognato di Callia.
Crizia: anche lui cugino di mio padre: le madri sono sorelle.
Tutti questi accusò tra i quaranta.
48.Dopo che tutti fummo imprigionati nello
stesso luogo, era notte e la prigione era stata chiusa, arrivarono la madre di
uno, la sorella di un altro, la moglie e i figli di un altro ancora e si
levavano grida e lamenti di chi piangeva e si affliggeva per le disgrazie che
capitavano. Carmide, che era mio cugino, aveva la mia stessa età ed era
cresciuto fin da bambino nella nostra casa, mi dice: “Andocide, vedi questa
disgrazia quanto è grande, io in passato non ho mai dovuto chiederti nulla né
darti fastidio, ma ora vi sono costretto dalla sciagura che ci è capitata.
Quelli che tu frequentavi e conoscevi, a parte i tuoi familiari, o sono morti
per le accuse per le quali siamo rovinati, o sono fuggiti, accusandoci di aver
commesso ingiustizia.. 50. Se sai qualcosa di questa faccenda, parla e salva
prima di tutto te stesso, poi tuo madre, devi amare moltissimo, poi tuo
cognato, che ha sposato la tua unica sorella, e infine tutti gli altri
familiari e parenti e anche me, che per tutta la vita non ti ho mai dato
fastidio e sono estremamente ben disposto verso di te e la tua situazione,
qualunque cosa sia necessario fare”. Signori, dopo che Carmide mi ebbe detto
questo e mentre gli altri mi pregavano e ognuno mi supplicava, io riflettei tra
di me: “ Sono precipitato nella disgrazia più terribile di tutte. Devo lasciare
che i miei familiari siano ingiustamente rovinati, che muoiano, i loro beni siano
confiscati, che, oltre a questo, siano iscritti nelle steli come colpevoli nei
confronti degli dei mentre non sono responsabili di nulla? Devo lasciare che
trecento Ateniesi siano ingiustamente rovinati, che la città rimanga tra i mali
più grandi, che le persone si sospettino l'una con l'altra? Oppure devo dire
agli Ateniesi quello che so che Eufileto ha fatto?”. 52. E inoltre riflettevo anche su questo,
signori: ragionavo sul fatto che di quelli che avevano commesso il reato e
avevano compiuto l'atto, alcuni erano ormai morti, denunciati da Teucro, altri
erano fuggiti ed erano stati condannati a morte, ma ne rimanevano quattro, che
erano colpevoli, ma non erano stati denunciati da Teucro, Panezio, Cheredemo,
Diacrito e Lisistrato. 53. Questi
naturalmente più di tutti credevano di trovarsi tra le persone denunciate da
Dioclide, dato che erano amici di quelli che erano già morti. Per loro la
salvezza non era ancora sicura, mentre per i miei familiari la rovina era
chiara, a meno che qualcuno non rivelasse i fatti agli Ateniesi. Pensavo che
fosse meglio privare giustamente della patria quatto uomini, che ora vivono,
sono tornati e sono in possesso dei loro beni, piuttosto che lasciare morire
ingiustamente gli altri. 54. Se qualcuno
di voi, signori, o degli altri cittadini si è in precedenza formato l'opinione
che io ho denunciato i miei compagni perché loro morissero e io mi salvassi,
come hanno sostenuto i miei nemici calunniandomi, deducetelo dai fatti
stessi. 55. Ora devo infatti rendere
conto di quello che ho fatto secondo la verità, alla presenza di coloro che
hanno commesso il reato e sono fuggiti dopo averlo compiuto e sanno benissimo
se mento o dico la verità e possono quindi accusarmi durante il mio discorso.
Dunque procedo, perché dovete conoscere i fatti.
56.Questo è per me, signori, l'aspetto più
importante di questo processo, che, una volta salvo, non mi consideriate
disonesto e che tutti gli altri sappiano che tutto quello che ho fatto non l'ho
fatto con malvagità o vigliaccheria, ma a causa della disgrazia capitata alla
città e a noi. Ho detto quello che sapevo di Eufileto pensando al bene dei
familiari e degli amici e al bene di tutta la città, con virtù, ma senza
malvagità – di questo sono convinto. Se questo è vero, credo sia giusto che io mi
salvi e che voi non mi consideriate disonesto.
57. Allora (bisogna riflettere con calma sui fatti, signori, come se ci
si trovasse dentro alla disgrazia), che cosa avrebbe fatto ciascuno di voi? Se
la scelta fosse tra queste due possibilità, morire con onore o salvarsi
vergognosamente, si potrebbe dire che sarebbe brutto, eppure molti farebbero
questa scelta, dando più valore al vivere che al morire con onore. Ma questo
sarebbe stato l'esatto contrario della mia disgrazia: se rimanevo in silenzio,
sarei morto nella maniera più vergognosamente, senza aver commesso alcuna
empietà, e avrei inoltre lasciato morire mio padre, mio cognato e tutti i miei
familiari e parenti, rovinati da nessun altro se non da me, se non avessi detto che i colpevoli erano altri. Era stato
Dioclide a farli incarcerare, mentendo, mentre per loro non vi era altra
salvezza se non che gli Ateniesi sapessero tutti i fatti. Io sarei divenuto il
loro assassino, se non vi avessi detto quello che sapevo. Avrei inoltre
rovinato trecento Ateniesi e la città sarebbe rimasta in mezzo ai mali più
grandi. 59. Questo sarebbe accaduto, se
non avessi parlato; se invece avessi detto quello che era successo, avrei
salvato me stesso, mio padre e gli altri familiari e avrei allontanato la città
dalla paura e dai mali più grandi. A causa mia ci sarebbero stati quattro
fuggiaschi che erano anche colpevoli, quanto agli altri, che erano stati in
precedenza denunciati da Teucro, quelli che erano ormai morti non erano certo
morti per causa mia e neanche quelli che erano fuggiti erano fuggiti a causa
mia. 60. Facendo tutte queste
considerazioni dedussi, signori, che la più piccola delle disgrazie presenti
consisteva nel rivelare al più presto i fatti, accusare Dioclide di aver
mentito e vendicarmi di lui, che ci aveva ingiustamente rovinato, aveva
ingannato la città e, così facendo, passava per essere il più grande
benefattore e riceveva pure ricchezze.
61. Per questo dissi al consiglio che conoscevo i responsabili e rivelai
quanto era accaduto, che Eufileto mi aveva esposto questo progetto mentre
bevevamo insieme, ma io mi ero opposto, e allora forse per causa mia non se ne
era fatto niente; poi, però, nel Cinosarge montai su un mio puledro e caddi,
spezzai la chiave e mi ruppi la testa. Messo su una barella, fui portato a
casa. Eufileto si accorse di come stavo e dice a quelli che mi ero convinto a
collaborare, gli avevo promesso di partecipare all'impresa e di mutilare l'Erma
vicino al Forbanteo. Disse questo ingannandoli e per questo l'Erma che tutti
vedete vicino alla nostra casa paterna, dedicata dalla Egeide, è l'unica delle
Erme di Atene a non esser stata mutilata, perché avrei dovuto farlo io, secondo
quanto Eufileto disse loro. 63. Ma quelli, saputolo, andarono su tutte
le furie, perché conoscevano la situazione e sapevano che non l'avrei fatto. Il
giorno dopo Meleto ed Eufileto vennero da me e mi dissero: “Andocide, è
successo: l'abbiamo fatto. Tu se decidi di stare tranquillo e in silenzio, ci
avrai amici come prima, altrimenti, per te saremo nemici più randi degli amici
che ti puoi fare tradendoci”. 64.
Risposi loro che consideravo Eufileto un delinquente per quello che aveva fatto
e che il pericolo non derivava a loro da quello che io sapevo, ma dall'azione che
avevano compiuto. Per dimostrare che la verità è questa, ho consegnato anche il
mio schiavo da torturare, sul fatto che io ero malato e non potevo alzarmi dal
letto e i pritani arrestarono le serve della casa da cui si erano mossi quelli
per compiere il loro gesto. 65. Il
consiglio e i pubblici ministeri analizzano la questione, che, per ammissione
generale, appariva come io dicevo: allora convocano Dioclide e non ci fu
bisogno di molti discorsi, perché subito confessò di aver mentito e pregò di
essere salvato, facendo i nomi di chi lo aveva convinto a fornire quella
versione: Alcibiade di Fegunte e Amianto di Egina. 66. Anche questi, in preda alla paura,
fuggirono, mentre voi, saputi questi fatti, consegnaste Dioclide al tribunale e
lo metteste a morte, quindi liberaste quelli che stavano in prigione ed erano
sul punto di morire per causa mia e riaccoglieste i fuggiaschi; quindi, prese
le armi, tornaste a casa, dopo aver allontanato molti mali e pericoli.
Testimoni
70.Su quanto accadde allora avete saputo tutto
e io ho parlato a sufficienza, ne sono convinto. Ma se qualcuno ha qualche
richiesta da fare o pensa che qualcosa non sia stata discussa a sufficienza o
sia stata tralasciata, si alzi e la ricordi e io mi difenderò anche da questa.
A questo punto vi parlerò delle leggi.
71. Il qui presente Cefisio mi ha denunciato secondo la legge esistente,
ma svolge l'accusa secondo il precedente decreto proposto da Isotimide, che non
mi riguarda per niente. Infatti egli propose di escludere dai luoghi sacri chi
commette empietà e confessa, ma io non ho fatto né l'uno, né l'altro: non ho
commesso empietà e non ho confessato.
72. Ma vi spiegherò che anche questo decreto è stato abrogato e non è
più valido. Per altro mi difenderò in modo tale che, se non riuscirò a
persuadervi, sarò punito, ma se vi convincerò, parlerò in difesa dei miei
nemici. Sarà comunque rivelata la verità.
73. Quando le navi vennero distrutte e ci fu l'assedio, deliberaste
sulla concordia e decideste di restituire i diritti civili e politici a chi ne
era stato escluso, secondo la proposta di Patroclide. Ma chi erano gli esclusi
dai diritti civili e politici e in quale modo ognuno ne era stato privato? Ve
lo spiegherò io. Alcuni erano debitori di denaro allo Stato, tutti quelli che,
al termine della magistratura, non avevano superato il rendiconto o erano stati
condannati per occupazione illecita, in un processo pubblico o al pagamento di
ammende o avevano preso l'appalto delle entrate, ma non avevano versato le
somme oppure avevano offerto garanzie alle casse statali: per costoro il
pagamento era fissato alla nona pritania, altrimenti sarebbero stati debitori
del doppio e i loro beni sarebbero stati messi in vendita. 74. Questo era un modo per perdere i diritti;
un altro consisteva nel perdere i diritti personali, ma nel mantenere il
possesso dei beni. Questo capitava a chi era stato condannato per furto o
corruzione. Questi e i loro figli dovevano essere privati dei diritti. Anche
tutti quelli che avevano abbandonato lo schieramento o erano stati condannati
per renitenza, viltà o per aver sottratto la nave alla battaglia o avevano
gettato lo scudo o erano stati condannati tre volte per falsa testimonianza o
tre volte per aver mentito sulla regolarità delle citazioni o avevano fatto del
male ai genitori, tutti questi perdevano i diritti personali, ma conservavano
le ricchezze. 75. Alcuni erano stati
privati di diritti specifici: non avevano perso tutti i diritti, ma solo una
parte, come i soldati che, poiché erano rimasti in città sotto i tiranni,
rimanevano nella stessa condizione degli altri cittadini, tranne per il fatto
che non potevano prendere la parola nell'assemblea né partecipare al consiglio.
Avevano perso questi diritti perché avevano subito una privazione
parziale. 76. Altri non potevano
presentare accuse o denunce. Alcuni erano privati del diritto di navigare verso
l'Ellesponto, altri in Ionia, altri non potevano entrare nella piazza.
Decideste dunque di abolire tutti questi decreti e, nel caso in cui vi fossero
trascrizioni di questi atti, di scambiarvi patti reciproci sulla concordia
sull'acropoli. Leggimi il decreto di Patroclide, in base al quale furono prese
queste decisioni.
77.Decreto. Patroclide propose: dal momento che
gli Ateniesi hanno decretato l'incolumità per le persone private dei diritti e
i debitori, in modo che possano presentare e mettere ai voti proposte,
l'assemblea assuma le stesse decisioni che furono assunte al tempo delle guerre
persiane e che si rivelarono particolarmente utili agli Ateniesi. Per quanto
riguarda le somme iscritte a ruolo presso gli esattori o i tesorieri della dea
e degli altri dei o presso il re, se qualcuna non è stata trascritta fino allo
scioglimento del consiglio sotto l'arcontato di Callia, 78. tutti quelli che
sono stati privati dei diritti in quanto debitori e non hanno superato il
rendiconto nel controllo degli eutuni e degli assistenti, i cui atti non sono
stati ancora trasmessi al tribunale, o quelli che sono stati accusati durante
il rendiconto o hanno subito l'esclusione parziale dai diritti di cittadinanza
o sono stati condannati per le garanzie promesse in questo stesso periodo,
inoltre tutti i nomi di coloro che sono stati registrati tra i debitori durante
i quattrocento e le somme eventualmente registrate e relative a pagamenti
durante l'oligarchia, con l'eccezione di quanto è registrato nelle steli ed è
relativo a coloro che non sono rimasti qui, di chi è stato esiliato per
omicidio in seguito alla condanna, sotto la presidenza dei re, da parte dell'Areopago,
degli efeti, del pritaneo o del Delfinio e di chi è stato condannato a morte
per omicidio o tirannide: 79. gli
esattori e il consiglio cancellino secondo le modalità esposte tutti gli altri
nomi da qualunque registro pubblico e se vi sia qualche trascrizione, i
tesmoteti e le altre magistrature la presentino. La cancellazione avvenga entro
tre giorni dalla decisione dell'assemblea. Quello che è stato prescritto di
cancellare a nessuno mai sia permesso di possederlo privatamente né di
rivendicarlo: altrimenti, chi contravvenga a questa norma sia colpevole al pari
di quelli che vengono accusati dall'Areopago, affinché ad Atene ora e per
sempre vi sia la massima fiducia nelle leggi.
80. Secondo il decreto attribuiste i diritti di cittadino a chi ne era
stato privato, ma né Patroclide, né voi decretaste il ritorno degli esuli.
Quando poi ci furono i patti con i Lacedemoni, abbatteste le mura,
riaccoglieste gli esuli, si installarono i trenta e, dopo questi fatti, File fu
presa e occuparono Munichia, si verificarono quelle tragedie passate che io non
ho bisogno né di menzionare né di ricordarvi. 81. Dopo che foste tornati dal
Pireo, pur avendo la possibilità di vendicarvi, decideste di lasciar stare il
passato, attribuiste maggior valore alla salvezza della città che alle vendette
private e deliberaste che non vi fossero rivendicazioni reciproche sui fatti
passati. Dopo aver assunto questa decisione sceglieste venti uomini che
governassero la città fino all'emanazione di altre leggi: fino a quel momento
usaste le leggi di Solone e le disposizioni di Dracone. 82. Dopo aver sorteggiato il consiglio e
scelto i nomoteti e aver riscontrato che secondo molte delle leggi di Solone e
Dracone un gran numero di cittadini era responsabile per i fatti passati,
convocaste l'assemblea e, dopo aver approvato tutte le leggi, decretaste di far
incidere le leggi approvate nella stoà. Leggimi il decreto.
83.Decreto. L'assemblea ha deciso, su proposta
di Tisameno, che gli Ateniesi si governino secondo il sistema tradizionale e
usino le leggi, le misure e i pesi di Solone e le disposizioni di Dracone che
erano usate in passato. I nomoteti scelti dal consiglio facciano incidere su
tavolette i provvedimenti di cui ci sia bisogno e li affiggano davanti agli
eponimi, perché chiunque li possa consultare, quindi li consegnino alle
magistrature entro questo mese. 84. Le
leggi consegnate vengano approvate prima dal consiglio e dai cinquecento
nomoteti scelti dai demoti dopo aver prestato giuramento. Qualunque privato
cittadini abbia la facoltà di presentarsi al consiglio e di proporre quello che
ritenga valido sulle leggi. Una volta che le leggi siano state emanate, il
consiglio dell'Areopago sovrintenda alla loro applicazione da parte delle
magistrature. Le leggi ratificate siano incise sul muro, dove erano incise
anche prima, perché chiunque le possa consultare.
85.Le leggi furono approvate secondo questo
decreto, signori, e quelle ratificate le incisero nella stoà. E dopo averle
fatte incidere, emanammo una legge che tutti usate. Leggimi la legge.
Legge. Le
magistrature non usino una legge non scritta neanche riguardo a una sola
questione.
86.Questo aspetto non riguarda quello che può
fare una magistratura o uno di voi, solo se previsto dalle leggi? Da questo
principio deriva il fatto che non si può utilizzare una legge non scritta e
certamente neanche un decreto non scritto. Poiché vedevano che molti cittadini
erano in disgrazia, alcuni a causa di leggi, altri a causa di decreti vigenti in
passato, abbiamo emanato queste norme, mentre grazie ad esse venivano preparate
le leggi attuali, perché niente di ciò accadesse e a nessuno fosse concesso di
calunniare.
87.Leggi. Le magistrature non utilizzino una
legge non scritta neanche riguardo a una sola questione. Nessun decreto né del
consiglio né dell'assemblea abbia più forza di questa legge. Non è possibile
emanare una legge specifica per una persona, a meno che la stessa non riguardi
tutti gli Ateniesi o sia votata in segreto da seimila cittadini.
Che cosa rimane?
Questa legge. Leggila.
Legge. Siano valide
tutte le cause e gli arbitrati che si sono svolti nella città sotto il regime
democratico. Si utilizzino le leggi dall'arcontato di Euclide.
88.Avete convalidato tutte le cause e i processo
che si sono svolti in città sotto il regime democratico, signori, perché i
debiti non fossero cancellati e le cause non fossero discusse una seconda
volta, ma si svolgessero regolarmente i pagamenti delle obbligazioni tra
privati; quanto alle obbligazioni di interesse pubblico, per le quali fossero
sorte accuse pubbliche o private o fossero in corso denunce o il pagamento di
ammende, per queste decretaste che fossero utilizzate le leggi dall'arcontato
di Euclide. 89. Dopo che avete deciso di
approvare le leggi, di far incidere quelle approvate, di non utilizzare una
legge non scritta neanche riguardo a una sola questione, di non considerare
superiore a questa legge nessun decreto del consiglio o dell'assemblea, di non
emanare una legge specifica per una persona, a meno che la stessa non riguardi
tutti gli Ateniesi, di utilizzare le leggi in vigore dall'arcontato di Euclide,
a questo punto non rimane in vigore niente, di piccola o grande importanza che
sia, dei decreti del passato antecedenti all'arcontato di Euclide? Io credo di
no, signori. Osservate voi stessi.
90.Allora, quali sono i vostri giuramenti? Uno
è quello comune a tutta la città, che tutti avete prestato dopo la
riconciliazione: “Non avanzerò rivendicazioni verso alcuno dei cittadini tranne
che verso i trenta, i dieci e gli undici e neanche verso di loro, nel caso in
cui vogliano sottoporsi al rendiconto relativo alla magistratura sostenuta”.
Dal momento che avete giurato di non avanzare rivendicazioni nei confronti dei
trnta, che sono stati responsabili dei mali più grandi, per forza non avete
ritenuto giusto che si avanzassero rivendicazioni nei confronti di qualcuno
degli altri cittadini. 91. Che cosa giura il consiglio, ogni volta che si
costituisce? “Non accoglierò denunce o accuse riguardo ai fatti passato, con
l'eccezione di quelle riguardanti gli esuli”. Voi, Ateniesi, che cosa avete
giurato nella veste di giudici? “Non avanzerò rivendicazioni e non mi farò
influenzare da altri, ma deciderò secondo le leggi in vigore”. Questo bisogna osservare,
se a voi sembri che parli correttamente quando parlo a nome vostro e delle
leggi.
92.Osservate dunque, signori, che cosa hanno
commesso secondo le leggi i miei accusatori, che pure accusano altri. Il qui
presente Cefisio, dopo aver preso in appalto la riscossione delle imposte
pubbliche e aver incassato novanta mine
dai proventi dei contadini, non ha versato la somma alla città ed è fuggito,
perché se fosse tornato, sarebbe finito in prigione. 93. Questo prescrive infatti la legge, che il
consiglio ha la facoltà di mettere in prigione l'appaltatore che non abbia
versato il dovuto. Costui dunque, dato che avete decretato di utilizzare le
leggi dall'arcontato di Euclide, pensa che sia giusto non restituire le vostre
somme che possiede in seguito alla riscossione e ora è cittadino anziché esule,
calunniatore anziché escluso dalla cittadinanza, perché usate le leggi ora in
vigore. 94. E il qui presente Meleto
sotto i trenta ha arrestato Leone, come voi tutti sapete, e quello è morto
senza processo: eppure questa legge c'era prima come adesso, dato che è giusta,
e voi la utilizzate, che chi ha ideato il reato è colpevole allo stesso modo
dell'esecutore materiale. Eppure i figli di Leone non possono perseguire
Meleto, perché bisogna utilizzare le leggi dall'arcontato di Euclide, perciò
neanche lui controbatte dicendo di non averlo arrestato. 95. E il qui presente Epicare, colui che è e
vuole essere il peggiore di tutti, quello che ha cercato di far vendetta di se
stesso – perché lui era consigliere nel periodo dei trenta e che cosa prescrive
la legge che si trova incisa sulla stele all'ingresso del consiglio? “Chi
governi nella città dopo l'abbattimento della democrazia sia ucciso impunemente
e il suo uccisore sia sacro e abbia i beni del morto”. Non è forse vero,
Epicare, che chi ti uccidesse ora avrebbe le mani pure, secondo la legge di
Solone? Leggimi la legge della stele.
Legge. Il consiglio
e l'assemblea hanno deciso. Eantide aveva la pritania, Cligene era segretario,
Boeto era presidente. Demofanto ha redatto il seguente testo: per prima cosa la
datazione di questo decreto, il consiglio dei cinquecento sorteggiati con la
fava, il cui primo segretario era Cligene. Qualora qualcuno abbatta la
democrazia ad Atene o in qualche modo
governi dopo l'abbattimento della democrazia, sia nemico degli Ateniesi e sia
messo a morte impunemente e le sue ricchezze siano dello Stato e la decima
parte della dea. Colui che abbia ucciso l'autore di tali azioni e il
consigliere dell'uccisore siano sacri e puri.
97. Tutti gli Ateniesi giurino con sacri voti, per tribù e per demi, di
uccidere l'autore di queste azioni. Questo sia il giuramento: “Ucciderò con le
parole, i fatti, il voto e la mia mano, per quanto sia nelle mie possibilità,
chi abbia abbattuto la democrazia ad Atene. E qualora uno assuma una carica
dopo l'abbattimento della democrazia e qualora uno si erga a tiranno o
collabori per instaurare un tiranno, qualora un altro lo uccida, riterrò che
sia sacro di fronte agli dei e alle divinità, in quanto ha ucciso un nemico
degli Ateniesi e dopo aver venduto tutti i beni del morto ne assegnerò la metà
all'uccisore, senza trattenerne alcuna parte. Qualora qualcuno, uccidendo o
tentando di uccidere uno di questi, trovi la morte, mostrerò riconoscenza a lui
e ai suoi figli come ad Armodio e Aristogitone e ai loro discendenti. Sono
libero e sciolto da qualunque giuramento contrario al popolo di Atene, prestato
nell'esercito o altrove “. Tutti gli Ateniesi prestino il giuramento in modo
conforme alla legge, con sacri voti, prima delle Dionisie e si invochi molta
fortuna su chi rispetti il giuramento, ma l'annientamento allo spergiuro e alla
sua stirpe.
99.Allora, calunniatore e bieco delinquente,
questa legge è in vigore oppure non è in vigore. Credo sia stata abrogata perché
bisogna usare le leggi dall'arcontato di Euclide. Così tu vivi e te ne vai per
la città pur non essendone degno, tu che sotto la democrazia vivevi di calunnie
e sotto l'oligarchia, poiché non eri stato costretto a restituire tutte le
ricchezze prese con le calunnie, eri schiavo dei trenta. 100. E tu vieni a parlarmi dei circoli e
insulti le persone? Tu che non ti sei prostituito con una persona sola (perché
questo ti si addiceva), ma ricavando poco denaro da chi capitasse, come tutti
sanno, vivevi tra le azioni più vergognose e questo pur essendo brutto di
aspetto. Eppure costui osa accusare altri, lui che secondo le vostre leggi non
può neanche difendere se stesso. 101.
Ebbene, Ateniesi, sedendo mentre mi accusava e guardandolo, ho avuto proprio
l'impressione di essere imprigionato e giudicato dai trenta, perché, se avessi
affrontato un processo allora, chi mi avrebbe accusato? Lui non sarebbe stato,
a meno che non lo avessero pagato. E chi altro mi avrebbe interrogato se non
Caricle, che mi avrebbe chiesto: “Dimmi, Andocide, sei andato a Decelea e hai
costruito fortificazioni contro la tua patria? Certamente no. Poi? Hai
devastato il territorio e hai depredato per terra e per mare i tuoi
concittadini? Proprio no. Non hai combattuto per mare contro la città, non hai
partecipato alla distruzione delle mura, non hai collaborato all'abbattimento
della democrazia, non sei tornato con violenza in città? Non ho fatto nessuna
di queste cose. Pensi di poter essere soddisfatto e di non morire, come molti
altri?
102. Pensate
davvero che mi sarebbe capitato altro a causa vostra, se fossi stato
imprigionato da loro? Non sarebbe dunque spaventoso se fossi rovinato da loro
per non aver commesso alcun reato contro la città, così come hanno fatto morire
anche altri, e non mi salvassi giudicato da voi, contro i quali non ho compiuto
alcun male? Lo sarebbe certamente. Altrimenti difficilmente potrebbe salvarsi
un'altra persona. Ma, signori, l'accusa contro di me l'hanno presentata secondo
la legge in vigore, ma l'accusa secondo il decreto del passato, fatto per altre
materie. 103. Se mi condannerete, badate
che non sono tanto io a dover dare conto del passato quanto piuttosto molti
altri cittadini con cui voi vi siete riconciliati e avete prestato giuramento,
dopo averli combattuti, che avete riaccolto esuli, a cui avete restituito i
diritti di cittadinanza, per i quali avete innalzato steli, abrogato leggi e
cancellato decreti, che ora rimangono in città perché hanno fiducia in voi,
signori. Se dunque deciderete di accogliere le accuse sui fati passati, quale
opinione pensate si formeranno sulla loro condizione? Chi vorrà presentarsi ai
processi su fatti passati? Compariranno infatti molti nemici, molti
calunniatori che chiameranno in giudizio ciascuno di loro. 105. Tutte e due le parti sono venute qui ad
assistere con intenzioni diverse, gli uni per vedere se ci si debba fidare
delle leggi in vigore e dei giuramenti che vi siete scambiati, gli altri per
mettere alla prova le vostre intenzioni, se potranno senza timore calunniare e
accusare, denunciare e condurre in giudizio le persone. Questa è la realtà,
signori: il processo è stato istituito per la mia persona, ma il vostro voto
determinerà nell'interesse di tutti se si debba aver fiducia nelle vostre leggi
oppure prepararsi ai calunniatori o scappare dalla città e andarsene al più
presto.
106. Affinché
sappiate, signori, che quello che avete fatto per la concordia non è stata una
cattiva idea, anzi avete preso una decisione opportuna e utile a voi stessi,
intendo trattare brevemente questo argomento. I vostri padri, mentre la città
era sottoposta a grandi sciagure, quando i tiranni possedevano la città e il
popolo era in esilio, vinsero in battaglia i tiranni a Pallenio, sotto il
comando del mio bisnonno Leogora e di Caria, di cui aveva sposato la figlia,
che generò mio nonno, tornarono quindi in patria e uccisero alcuni,
condannarono all'esilio altri, mentre ad altri consentirono di rimanere in
città, ma li privarono dei diritti di cittadinanza. Infine, quando il re invase
Testimonianza
113. è stato
testimoniato che dico la verità e mi sembra che sia proprio l'opposto di quanto
hanno detto gli accusatori. Hanno detto, se ricordate, che le dee stesse mi
hanno indotto a mettere il ramoscello senza conoscere la legge, perché fossi
punito. Io piuttosto sostengo che, se gli accusatori si avvicinano alla verità,
sono stato salvato proprio dalle dee, 114. perché se avessi posto il
ramoscello, senza ammetterlo, non è vero che mi sarei rovinato da solo per
averlo messo e sarei stato salvato per non aver risposto dalla sorte, cioè
dalle dee? Se le dee avessero voluto farmi morire, di sicuro avrei dovuto
confessare di aver messo io il ramoscello, anche se non lo avevo fatto. Ma né
ho risposto, né l'ho messo. 115. Quando
Eucle riferì al consiglio che nessuno aveva risposto, Callia si alzò nuovamente
e disse che secondo la legge patria chi avesse messo il ramoscello del supplice
nell'Eleusinio durante i misteri sarebbe stato messo a morte senza processo,
suo padre Ipponico lo aveva una volta spiegato agli Ateniesi e aveva saputo che
io avevo messo il ramoscello. Allora salta fuori il qui presente Cefalo e
dice: 116. “ Callia, sei il più empio di
tutti gli uomini: innanzi tutto vuoi regolamentare dato che sei dei Cerici,
benché non sia legittimo che tu dia regole, poi parli di una legge patria, ma
la stele accanto a te prescrive che chi abbia posto il ramo del supplice
nell'Eleusinio sia debitore di mille dracme. Hai poi sentito dire da qualcuno
che è stato Andocide a mettere il ramoscello? Convocalo davanti al consiglio,
perché possiamo ascoltarlo anche noi”. Dopo che fu letta la stele e quello non
potè rivelare da chi avesse appreso i fatti, al consiglio fu evidente che era
stato lui a mettere il ramoscello.
117. Ma, signori
(forse vorreste saperlo), a che scopo Callia mise il ramoscello? Vi spiegherò
perché ha tramato contro di me. Avevo uno zio, Epilico, figlio di Tisandro,
fratello di mia madre: morì in Sicilia senza figli maschi, lasciando due
figlie, che spettavano a me e a Leagro.
118. La situazione patrimoniale era brutta, perché aveva lasciato beni
inferiori a due talenti, mentre i debiti ammontavano a più di cinque talenti.
Ma io chiamai Leagro e davanti agli amici dissi che è proprio degli uomini di
qualità rispettare le relazioni reciproche.
119. Non è giusto che ci spartiamo le ricchezze e gli altri beni di
Epilico e trascuriamo le sue figlie. Infatti se Epilico fosse vivo o, morto, ci
avesse lasciato molte ricchezze, riterremmo giusto avere le figlie come parenti
più stretti.Questo riguarderebbe Epilico o le ricchezze, ma ora sono in gioco
le nostre qualità. Tu rivendica la tutela dell'una, io dell'altra “. 120. Fu d'accordo con me, signori e tutti e
due chiedemmo la tutela secondo il nostro accordo. Io chiesi la tutela
dell'una, che fece una triste fine: si ammalò e morì, ma l'altra è ancora viva
e Callia, promettendogli dei soldi, cercava di convincere Leagro a
lasciargliela prendere. Venutolo a sapere, subito lasciai il deposito e
presentai la richiesta innanzi tutto a Leagro, dicendo: “Se vuoi chiederne la
tutela, tienila e buona fortuna, altrimenti, la chiederò io”. 121. Saputolo, Callia richiede l'ereditiera
per suo figlio il giorno dieci, perché non la richiedessi io. Il venti, durante
questi misteri, dà a Cefisio mille dracme, mi denuncia e mi cita a
giudizio. 122. Poiché vedeva che non
cercavo di sottrarmi al processo, mette il ramoscello del supplice per farmi
morire senza processo o mandarmi in esilio, mentre lui, convinto Leagro,
avrebbe potuto convivere con la figlia di Epilico. Poiché vedeva che la
situazione non si sarebbe sistemata senza processo, allora avvicinò Lisistrato,
Egemone ed Epicare, che sapeva erano miei amici e mi frequentavano, e riuscì a
essere talmente disgustoso e disonesto da dire loro che, se avessi voluto anche
allora tenermi lontano dalla figlia di Epilico, sarebbe stato pronto a smettere
di perseguitarmi, ad allontanare Cefisio e a risarcirmi insieme agli amici per
quanto era successo. Gli risposi di presentare pure le accuse e di corrompere
altri: se uscirò felicemente dal processo da lui intentato e gli Ateniesi
prenderanno la giusta decisione su di me, credo che sarà lui, a sua volta, a
rischiare la vita. E non lo deluderò su questo, qualora voi, signori,
giudichiate giustamente. Chiama a testimoniare se dico la verità.
Testimoni
124. Ma prestate
attenzione a come è cresciuto e a come ha fatto diventare questo suo figlio,
per il quale decise di richiedere la figlia di Epilico, perché è opportuno che
lo sappiate, signori. Sposa la figlia di Iscomaco; dopo aver vissuto con lei
neanche un anno, prese sua madre e, uomo più disgustoso di tutti, visse insieme
alla madre e alla figlia, essendo sacerdote della madre e della figlia, e a
casa le aveva entrambe. 125. E non provò
mai vergogna né ebbe paura delle dee. Intanto la figlia di Iscomaco, pensando
che fosse preferibile morire che vivere vedendo quello che succedeva, cercò di
impiccarsi, ma ne fu impedita; sopravvissuta, fuggì di nascosto e se ne andò
via. Così la madre prese il posto della
figlia. Ma stancatosi, cercò di cacciare via anche lei, ma quella gli disse che
era incinta di lui. Quando partorì un figlio, negò che il bambino fosse
suo. 126. I parenti della donna presero
il bambino, andarono all'altare durante le Apaturie, con una vittima, e
invitarono Callia a dare inizio al sacrificio. Egli chiese di chi fosse il
bambino. Risposero: “Di Callia figlio di Ipponico”. “Sono io”. “é tuo figlio”.
Afferrandosi all'altare giurò che non aveva né mai aveva avuto un altro figlio
tranne Ipponico, generato con la figlia di Glaucone o potesse essere
annientato, lui e la sua casa, come del resto accadrà. 127. Successivamente, signori, negli ultimi
tempi si innamorò nuovamente della vecchia donna, molto audace, la riconduce a
casa e introduce il ragazzo, ormai grande, tra i Cerici, dicendo che è suo
figlio. Calliade si oppose dicendo di non accoglierlo, ma i Cerici decretarono
secondo la loro legge che il padre introducesse il figlio dopo aver giurato che
fosse suo figlio. Afferrato l'altare, giurò che era suo figlio legittimo, nato
da Crisilla, quello che aveva ripudiato con un giuramento. Chiamami i testimoni
di tutti questi fatti.
Testimoni
128. Allora,
signori, fermatevi a pensare se tra i Greci sia mai accaduto un fatto simile,
che uno, dopo essersi sposato, al matrimonio con la figlia abbia aggiunto
quello con la madre e che la madre abbia preso il posto della figlia; e mentre
vive con lei, vuole prendere la figlia di Epilico, perché la nipote sostituisca
la nonna. Ma come bisogna chiamare suo figlio?
130. Ma, signori,
voglio ancora ricordarvi brevemente qualcosa su Callia. Se vi ricordate, quando la città comandava
sui Greci ed era al colmo del benessere e Ipponico era il più ricco dei Greci,
allora tutti sapete che in tutta la città, dai bambini più piccoli alle
donnicciole era diffusa la voce che Ipponico in casa allevava una sciagura che
gli faceva fare bancarotta. Lo ricordate, signori. 131. Come credete che sia nata quella voce?
Ipponico, credendo di allevare un figlio, allevava una sciagura, che gli ha
consumato la ricchezza, la saggezza, tutta la vita. Questo bisogna sapere, che
era lui la disgrazia di Ipponico.
132. Ma, signori,
per quale motivo quelli che ora assistono Callia contro di me, hanno
collaborato all'istruzione del processo e hanno versato soldi contro di me per
i tre anni in cui sono stato qui di ritorno da Cipro non pensavano che fossi
empio, ma come iniziato andavo a Delfi insieme ad altri miei ospiti e mi
presentavo all'Eleusinio a sacrificare, come ritengo che dovessi fare? Al
contrario, mi esortavano ad assumere servizi, innanzi tutto come ginnasiarca alle
Efestee, poi come capo dei teori a Istmo e a Olimpia, quindi come tesoriere
cittadino del tesoro sacro. Ora, invece, sono empio e commetto un reato se
partecipo ai riti sacri? 133. Vi dirò
perché hanno preso questa decisione. Il qui presente Agirrio, una persona
onesta e di qualità, era il terzo anno che prendeva in appalto la riscossione
della tassa del due per cento: l'aveva pagata trenta talenti e insieme a lui
prendevano parte all'affare tutti costoro che si raccoglievano sotto il pioppo,
e voi tutti sapete chi siano. Io credo che si fossero lì riuniti per conseguire
due scopi: prendere il denaro, se non vi fosse qualcuno che alzasse il prezzo,
e partecipare all'affare se fosse stato richiesta una piccola somma. 134. Poiché guadagnarono sei talenti e
capirono che era un affare, si misero tutti insieme e, facendo ognuno la
propria parte, cercarono nuovamente di ottenere l'appalto di trenta talenti.
Poiché nessuno alzava l'offerta, mi presentai io al consiglio e offrii una
cifra maggiore, fino a versare trentasei talenti. Li respinsi e vi presentai le
garanzie, quindi raccolsi la somma e la versai alla città: io non subii
perdite, mentre quelli che avevano preso parte all'affare ne ricavarono un
piccolo guadagno. Avevo così fatto in modo che questi non si spartissero sei
talenti d'argento che spettavano a voi.
135. Saputo questo, costoro discussero tra di loro: “Questo qui non ha
intenzione di prendere per sé i soldi pubblici e non li lascerà a noi, ma li
custodirà e ci impedirà di spartirci le ricchezze della comunità. E per di più,
trascinerà davanti al popolo di Atene e farà condannare chiunque di noi abbia
sorpreso a rubare. Perciò dobbiamo fermarlo in un modo o nell'altro”. 136. Questo, signori giudici, dovevano fare
costoro, ma voi dovete fare tutto l'opposto, perché io vorrei che voi aveste
davanti moltissimi cittadini come me e che questi, invece, scomparissero,
oppure che vi fossero molti capaci di opporsi a loro e in grado di comportarsi
onestamente e giustamente nei confronti del vostro popolo, gente capace, se lo
vuole, di farvi del bene. Io vi prometto dunque che li farò smettere di agire
così e li renderò migliori oppure condurrò davanti a voi e farò punire chi di
loro commetta reati.
140. E anche su
questo, signori, è opportuno che riflettiate, sul fatto che ora tutti i Greci
pensano che siate gli uomini migliori e più accorti, perché non coltivate la vendetta
sul passato, ma cercate la salvezza della città e la concordia tra i cittadini.
Molti altri hanno subito in passato disgrazie non più piccole delle mie, ma la
capacità di ricomporre le discordie reciproche, proprio questa sembra essere la
qualità di persone valenti e intelligenti. Poiché tutti vi riconoscono questa
capacità. Sia che uno vi sia amico, sia che vi sia nemico, non cambiate opinione,
non private la città di questa fama, non date l'impressione di prendere
decisioni a caso più che con l'intelligenza.
141. Prego tutti
voi di avere nei miei riguardi la stessa disposizione che avete avuto nei
confronti dei miei antenati, perché anche io abbia la possibilità di imitarli,
e ricordate che loro sono stati pari agli artefici dei beni più numerosi e più
grandi per la città e si sono distinti per molte qualità, ma in particolare per
la benevolenza nei vostri confronti e, se mai è capitato che uno di loro o
qualche loro familiare cadesse in disgrazia o corresse qualche pericolo, è poi
stato salvato dal vostro perdono.
142. è giusto che
li ricordiate, perché le qualità dei vostri antenati sono state riconosciute da
tutta la città. Quando, signori, le navi vennero distrutte, mentre molti
desideravano gettare la città in mali incurabili, in quella circostanza i
Lacedemoni, pur essendo nemici, decisero di salvarla per le qualità di quegli
uomini che erano stati a fondamento della libertà per tutta
144. Considerate
anche questo, che tipo di cittadino avrete, se mi salvate, io che dapprima, da
molto ricco, e sapete quanto, sono finito in gran povertà e difficoltà non a
causa mia, ma per le disgrazie della città, poi ho recuperato le risorse
secondo giustizia, con l'intelligenza e le mie mani. So che cosa vuol dire
essere cittadino di una simile città e so che cosa vuol dire essere straniero e
meteco nelle città vicine; conosco quale valore abbia l'intelligenza e la
capacità di prendere giuste decisioni e so che cosa vuol dire commettere reati
e agire disonestamente. Ho frequentato molte persone e sono entrato in contatto
con moltissima gente e da queste frequentazioni ho ricavato rapporti di
ospitalità e di amicizia con molti, re, città, e altri stranieri in privato: se
mi salvate, anche voi potrete prendere
parte a questi rapporti e utilizzarli, qualora capiti l'occasione. 146. sta a voi la decisione. Se mi
annientate, non rimarrà nessuno della mia famiglia, sarà stata tutta sradicata.
Eppure l'attuale casa di Andocide e Leogora non costituisce un'onta per voi,
anzi molto di più sarebbe un'onta se, con me in esilio, vi abitasse Cleofonte,
il costruttore di lire. Mai nessuno di voi, passando davanti alla nostra casa,
può ricordare di aver subito un danno sia privatamente sia pubblicamente da chi
ha ricoperto moltissime strategie e vi ha dedicato molti trofei presi ai nemici
per terra e per mare e ha amministrato le vostre ricchezze senza mai essere
debitore; mai noi abbiamo commesso alcun reato nei vostri confronti e mai lo
avete commesso voi nei nostri confronti; la casa è la più antica di tutte e la
più aperta di tutte per chiunque ne abbia bisogno. E mai questi uomini vi hanno
citato in giudizio, reclamando riconoscimenti per queste azioni. 148. Se dunque loro sono morti, non
dimenticate quanto hanno compiuto, ma, tenendo a mente le loro imprese, pensate
di avere davanti agli occhi i corpi di chi vi chiederebbe di salvarmi. Perché
chi potrei chiamare a deporre perché invochi la mia salvezza? Mio padre? È
morto. I miei fratelli? Non ne ho. I figli? Non ne ho ancora. 149. Prendete voi il posto di mio pare, dei
miei fratelli, dei miei figli: da voi mi rifugio, voi prego e supplico;
salvatemi voi per vostro desiderio e non fate cittadini, per mancanza di
uomini, gente della Tessaglia e di Andro, mentre quelli che sono cittadini per
riconoscimento generale, devono essere persone di qualità e lo potranno essere
se lo vogliono, questi li annientate. Non fatelo. E inoltre di questo vi prego,
di avere stima di voi stessi perché posso farvi del bene. Perché se ascoltate
me, non vi private della possibilità che vi faccia del bene, ma se date retta
ai miei nemici, non ne ricaverete alcun vantaggio, neanche se alla fine vi
pentiate. 150. Non private voi della
speranza di ricevere benefici da me, né me della speranza di recare benefici a
voi. Credo che costoro che in passato hanno dato prova al vostro popolo di
grandissimo valore, salendo qui, possano consigliarvi su quale decisione
prendere su di me. Venite, Anito, Cefalo e tutti i membri della mia tribù
scelti per assistermi in giudizio, Trasillo e gli altri.