IL SERMO
VULGARIS
Bisogna
distinguere fra lingua letteraria e sermo vulgaris
(in tedesco ungangsprache),
fra lingua scritta e lingua parlata di uso quotidiano. Bisogna inoltre
distinguere gli usi linguistici a seconda del periodo considerato. Esiste,
dunque, un'evoluzione della lingua diacronica e una sincronica.
La
locuzione sermo vulgaris
compare già in Cicerone,
nel De oratore, ma con un
diverso significato ("l'oratore non deve allontanarsi dal lessico corrente",
dove però si fa riferimento al lessico colto, letterario) e negli
Academica,
a proposito dei divulgatori del pensiero epicureo, che non usano un linguaggio
tecnico dal punto di vista filosofico. Cicerone usa anche il termine di
sermo
familiaris, con il significato
di "linguaggio usuale" e, ancora, sermo plebeius
e cotidiana verba.
Informazioni
indirette sul sermo vulgaris
si ricavano dallo studio di Plauto,
benché vi sia qualche riserva, a causa dell'elaborazione e dell'artificiosità
che si possono riscontrare nei suoi testi. Spesso più aderente all'uso
quotidiano è Terenzio
(bisogna comunque stare sempre attenti al livello colto delle opere): la
ricchezza di ellissi è un esempio di tono colloquiale. Altra fonte
indiretta sono le epistole private di Cicerone, dove, per esempio, è
presente l'uso di grecismi di stile familiare, introdotti a Roma attraverso
i canali commerciali con la Magna Grecia. Tratti di sermo vulgaris
sono presenti nelle Satire
di Orazio e di Persio,
anche se bisogna considerare la normativa poetica. Maggior realismo linguistico
sembra riscontrabile nel Satyricon
di Petronio.
La
lingua scientifica, che non si pone obiettivi artistici e non * vincolata
dalle regole dei generi, percepisce molto dal sermo vulgaris.
Fonti interessanti sono i trattati di agricoltura
(De agri cultura di Catone,
De
re rustica di Varrone,
Columella
e Palladio), di architettura
(De architectura di Vitruvio:
"non potest architectus esse grammaticus"),
di medicina (Celso,
nel quale si notano differenze stilistiche fra il trattato vero e proprio
e le prefazioni, scritte in tono più severo; Scribonio Longo;
Gargilio
Marziale, III sec.;
Vegezio;
Marcello
Empirico;
Celio Aureliano sulle
malattie croniche e acute), di culinaria
(Aritimo,
De observatione
ciborum, VI sec.; le ricette
di Apicio, confluite nel corpus
delle ricette antiche), di arte militare
(Vegezio), di gromatica.
Forniscono
indizi, inoltre, le opere di carattere giuridico.
Fonti
più dirette sono costituite dalle epigrafi,
soprattutto quelle di carattere funerario, e in particolar modo dai graffiti
(Pompei, Ercolano); rilevanti sono le defixionum tabellae,
i papiri di uso privato (frammenti
di lettere alla famiglia dei soldati sono state trovate nei castra), i
glossari
(Verrio Flacco, compendiato
da Festo, a sua volta sintetizzato
da Paolo Diacono, unico testo
rimastoci). La Appendix Probi,
pervenutaci nel codice delle opere di Probo, si occupa della correzione
dei volgarismi, a cui affianca il termine ritenuto esatto, perché
più elevato:
FORMA CORRETTA | VOLGARISMO |
speculum
|
speclum
|
masculus
(è
diminuitivo di mas, maris)
|
masclus
|
auris
|
oricla
(forma popolare di diminuitivo per auricola)
|
vetulus
|
vetlus
|
calida
|
calda
|
frigida
|
fricta
|
pauper
mulier
|
paupera
mulier (originariamente pauper era aggettivo della I classe,
passato per analogia alla II, ma nel sermo vulgaris rimase sempre della
I)
|
nurus
|
nura
|
socrus
|
socra
|
I
glossari più tardi si dedicano alla spiegazione lessicale: ad esempio
le glosse di Reichenau spiegano pulcra con
bella,
forma di colloquialismo presente già a Pompei.
Nel
trapasso dal latino alle lingue romanze molti termini provengono dal sermo
vulgaris. Scompaiono fero,
edo
(in spagnolo prevale il composto comedo,
in Italia
manduco), fleo
(prevale plango, che nel
latino letterario aveva il significato di "mi percuoto"); pulcher
lascia il posto a bellus,
formosus
ha per esito hermosos in
spagnolo; la forma cano non
ha esito e al suo posto prevale il più espressivo
canto,
in francese chanter.