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Tourist Trophy
Il sabba della velocita'
L’ isola di Man, dove, fin dal lontano 1907, si svolge il Tourist Trophy, è anche nota come l’isola delle streghe. Qui, infatti, secondo le credenze popolari, si svolgevano i sabba infernali e tuttoggi c’è chi giura che, nelle notti di burrasca, è possibile intravedere, nella fitta coltre di nebbia che avvolge ogni cosa, rosseggiare arcani fuochi e udire voci che si rincorrono nel nulla. Qui, nell’isola di Man, nel lontano 1907, venne creata la pista del Tourist Trophy, senza dubbio la più antica e famosa corsa di moto del mondo. Il TT è sempre stato ed è qualche cosa di unico e irripetibile. I suoi sessanta infernali chilometri sono stati e sono una sfida per chi ama l’ebrezza del rischio. Il tributo di sangue pagato a tuttoggi è altissimo e destinato ulteriormente a salire, eppure vincere il TT, anche se dal 1977 non è più prova mondiale, resta, soprattutto per i piloti inglesi, il sogno più ambito.
Tutto
cominciò il 17 gennaio 1906, in un club di Londra, durante la cena annuale
dell’Auto Cycle Club, quando, dopo i brindisi di rito, furono gettate le basi
per organizzare la prima gara internazionale per motociclette da disputarsi
sulle strade dell’isola di Man
La scelta del luogo era una logica conseguenza delle leggi inglesi, che imponevano limiti di velocità inferiori ai 33 km/ora per i veicoli a motore e vietavano la chiusura delle strade per scopi agonistici.
L’antica Elan Vannin, meglio nota come l’isola di Man, aveva invece
mantenuto la propria fiera indipendenza dal governo centrale e sulle sue strade,
temporaneamente chiuse al traffico, già si disputavano gare automobilistiche a
livello internazionale, tra queste il Tourist Trophy, e appunto Tourist Trophy
venne chiamata la neonata competizione motociclistica.
Se
sulla scelta del luogo non vi furono problemi, ben diverso fu il discorso quando
si trattò di stendere un abbozzo di regolamento per la gara.
All’inizio del secolo, le corse motociclistiche erano si
una realtà, ma non erano state ancora ben definite le regole del gioco.
La
moto nasceva come logica evoluzione della bicicletta e pertanto si pensò, in un
primo tempo, di utilizzare le piste di legno dei velodromi.
Ben presto, però, si capi che quelle “ strane” biciclette a motore
avevano bisogno di ben altri terreni di gara su cui cimentarsi.
L’impiego
delle strade aperte al traffico si dimostrò un vero disastro, sia a causa del
rischio sempre presente di possibili incidenti, sia delle indubbie difficoltà
logistiche e di organizzazione della gara, facili da immaginare, soprattutto
considerando le difficoltà di comunicare, di controllare gli spettatori e le
caratteristiche tecniche delle motociclette dell’epoca.
Ad
esempio, il carburante per i motori, che funzionavano a etere di petrolio, si
acquistava in drogheria e, ovviamente, il pilota non sapeva mai con certezza che
cosa gli veniva venduto. In molti
casi si trattava di una mistura non meglio identificabile, che poteva al massimo
far funzionare una lanterna, ma non certo un motore.
Per risolvere il problema, si pensò quindi di chiudere al
traffico alcuni tratti di strada in modo da formare un circuito più o meno
circolare, dove poter fornire un minimo di assistenza tecnica e logistica ai
pionieri della moto.
Gli inventori del TT
Tornando
al primo TT, si pensò di usare il regolamento del Tourist Trophy
automobilistico, opportunamente modificato per le competizioni motociclistiche.
Si decise, quindi, di riservare la gara, in programma
nell’estate del 1907, alle sole moto da turismo.
Qui, però, sorse un problema. Mentre
infatti era facile identificare un’auto, era difficile dare una definizione
precisa di quelle che dovevano essere le caratteristiche di una moto da turismo.
Alla fine, si stabilì che, per essere tale, un modello da turismo doveva
avere i freni, la marmitta di scarico dotata di silenziatore, una sella degna di
questo nome ed essere dotata di... una borsa per gli attrezzi!
Le moto erano suddivise in due classi: monocilindriche e
bicilindriche. Come per le auto,
erano imposti dei limiti di consumo. Le
prime dovevano consumare non più di un litro per 32 km e le seconde per 27 km.
Tali restrizioni avevano lo scopo di sottolineare il carattere turistico
della competizione. Non vi era, invece, alcun limite per quanto riguardava la
meccanica, la cilindrata e il peso.
Ritenendo
che le moto dell’epoca non fossero in grado di portare a termine il lungo e
massacrante percorso della gara automobilistica (che si svolgeva in parte sulle
impervie strade del monte Snaefell), si scelse un tracciato più breve e più
facile, che iniziava e terminava a St. Johns, passando per Valacraine e Kirk
Michael, formando una sorta di triangolo di 25.446 metri.
Per
onor di cronaca, il primo TT fu vinto da Charlie Collier, in sella a una
Matchless con motore JAP monocilindrico. A
Collier vennero consegnati, oltre alle 25 sterline di premio, il trofeo Tourist,
una statuetta di bronzo rappresentante Mercurio in posa su una ruota alata
(trofeo che viene ancora oggi assegnato al vincitore del Senior Tourist Trophy).
La gara delle bicilindriche fu invece vinta da Rembrandt Fowler, alla
guida di una Norton equipaggiata con motore Peugeot.
Il salto di qualità.
Il Tourist
Trophy, come abbiamo visto, rispondeva perfettamente all’immagine di trofeo
mototuristico che gli avevano voluto dare i suoi ideatori.
In
pratica, si trattava di una gara contro il tempo, dove i concorrenti erano più
impegnati a portare a termine la prova, che non a confrontarsi direttamente tra
di loro.
Del
resto, i piloti partivano a scaglioni e la maggiore difficoltà era appunto si
rappresentata dal riuscire a portare a termine la competizione, un’impresa
dire il vero, non facile, visto il potenziale tecnico dell’epoca e le strade
sterrate, strette, polverose o fangose dell’isola di Man.
Tuttavia,
nonostante le proibitive condizioni del tracciato, le medie sul giro salivano di
anno in anno e Harry Collier, fratello di Charlie, il primo vincitore, portava
nel 1909, la media a 78,781 km/ora contro i 61,507 km/ora fatti registrare nella
prima edizione.
Nello
stesso anno, venivano abolite le restrizioni sui consumi di carburante la
suddivisione di classe tra bicilindriche e monocilindriche e, in
compenso,divenne obbligatorio il cambio a pedale. Occorre tuttavia attendere il
1911 prima che il TT cambi fisionomia, perdendo il suo aspetto turistico, per
assumere quello di gara di velocità ai massimi livelli.
Fu,
infatti, in quell’anno che venne abbandonato il “piccolo” St. Johns, per
il “Mountain”, che fino ad allora era stato riservato alle sole competizioni
automobilistiche.
Le
classi venivano suddivise in Senior (500 ce) e Junior (350 ce).
Sul nuovo impervio tracciato, in parte sulle strade intorno al monte
Snaefell, si affermavano a sorpresa le americane Indian, che, nella classe regina,
conquistavano le prime tre posizioni.
Nel
1913, per movimentare la gara, si decideva di far svolgere la competizione in
due giornate. Il primo giorno le Junior compivano due giri al mattino, mentre le Senior tre giri
al pomeriggio; dopodiché, i superstiti di questa prima fase eliminatoria
partecipavano tutti assieme al gran finale, in programma il giorno successivo.
L’esperimento non diede però i risultati sperati e fu tosto
abbandonato, ritornando, nel 1914, alla vecchia formula.
Mentre però Pullin tagliava, con la Rudge, vittorioso il traguardo della
mezzo litro, lontano già tuonavano i cannoni, tragico preludio ai quattro
lunghi anni della Prima Guerra Mondiale.
Sessanta
chilometri d’inferno.
Si
tornò a correre sull’isola di Man nel 1920, su un circuito in parte
modificato, che portava lo sviluppo dell’intero tracciato a 60,723 chilometri,
con la bellezza di 256 curve.
Nel
1922, anno in cui il Tourist Trophy automobilistico venne definitivamente
abolito, per l’eccessiva pericolosità del tracciato, Bennett, sulla Sumbeam,
girò a oltre 90 km/ora di media, per l’esattezza 93,838 km/ora.
Il primo giro a 60 miglia all’ora venne fatto registrare, nel 1924, da
Jimmy Simpson, in sella a una AJS 350.
Lo stesso Simpson portava il record, nel 1926, a 70 miglia
all’ora (112,651 km/ ora) e riusciva ulteriormente a migliorarlo, con la
Norton, nel 1931, portandolo a oltre 80 miglia all’ora (circa 130 km/ora).
In
questo turbinio di record, il Tourist Trophy acquisiva popolarità e fama anche
al di fuori dei confini inglesi. Il
suo infido, pericoloso tracciato era un richiamo irresistibile per i piloti e le
Case motociclistiche di mezzo mondo, che lo consideravano ormai come la più
qualificante prova motociclistica dell’epoca.
Anche fabbriche e piloti italiani tentarono l’avventura: tra questi
ricordiamo, nel 1924, il futuro campione automobilistico Achille Varzi, che,
alla guida di una Dot, partecipò alla junior TT, non riuscendo però a portare
a termine la massacrante maratona.
Per nulla scoraggiato, Varzi ci riprovava l’anno successivo,
questa volta in sella a una Sumbeam 350, ma era ancora un nulla di fatto; nel
1926, però, passato nella classe Senior, con la Sumbeam 500, otteneva un
sofferto, quanto meritato ottavo posto, risultando il primo italiano della
storia ad avere concluso il terribile Tourist Trophy.
Da sottolineare, in questa edizione, la generosa, quanto inutile, prova di Pietro Ghersi, che, in sella alla Guzzi 250, giungeva secondo nella classe Lightweight (250 ce), ma veniva squalificato per aver usato una candela di accensione di tipo diverso da quello dichiarato alla punzonatura.
La rivincita della Guzzi.
Le
Case motociclistiche italiane guardavano con sempre maggiore interesse alla
ormai classica competizione inglese: non caso, nell’edizione del 1926, oltre
all Guzzi erano presenti la Bianchi, con Luigi Arcangeli, Miro Maffei e Mari
Ghersi, e la Garelli, con Erminio Visioli.
Per nulla scoraggiati dai modesti risultati ottenuti al debutto, Case e
piloti italiani tornavano a presentarsi a via del TT negli anni successivi;
tutta via, per assistere a un gran trionfo occorre attendere il 1935, quando la
Moto Guzzi impegnava tutte le sue migliori forze, in uomini e macchine, per
strappare l’ambito trofeo.
Teste di serie della Casa di Mandello, nel confronto diretto
con le plurivittoriose Case inglesi, erano Omobono Tenni e l’asso irlandese
Stanley Woods.
Sarà quest’ultimo a portare al successo le aquile di
Mandello, sia nella 250 che nella 500, e in quest’ultima classe sarà
protagonista di un’entusiasmante lotta al coltello con il super campione
dell’epoca Jimmy Guthrie, in sella alla Norton.
Sarà
sempre grazie a una Guzzi che un pilota italiano, Omobono Tenni, riuscirà a
salire, nel 1937, sul podio più alto del TT nella classe 250.
In quella stessa edizione, l’inglese Freddie Frith, vincitore con la
Norton del Senior TT, farà registrare il giro più veloce, a oltre 90 miglia
all’ora (144,837 km/ora).
Il Terzo Reich voleva far sentire la sua potenza anche nelle corse: nel 1938, la supremazia delle moto e dei piloti tedeschi veniva sancita da Kluge, con la DKW, nella 250, e, l’anno successivo, dal sergente della Wehrmacht Georg Meier, che, in sella alla BMW sovralimentata si aggiudicava il prestigioso Senior TT. Ancora una volta il rombo dei cannoni copriva quello delle motociclette e, mentre Meier abbandonava la BMW sovralimentata per il sidecar R 75 delle Panzer Divisionen, sul TT calava il sipario.
Italiani dominatori.
Quando il Tourist Trophy poté riaprire i battenti, nel 1947, l’industria motociclistica europea era stata spazzata via dalla guerra e ciò che ne rimaneva tentava faticosamente di riconquistare il tempo perduto. Non c’è, quindi, da meravigliarsi se la prima edizione del TT postbellica si svolse sotto tono.
Inoltre,
per necessità contingenti, fu proibita la sovralimentazione e fu reso
obbligatorio l’uso della benzina comune, in vendita nei normali distributori,
una miscela dalle dubbie caratteristiche, che a mala pena riusciva a raggiungere
gli 80 ottani.
Nonostante ciò, le medie sul giro si mantennero su valori
estremamente elevati. Il parco dei
partecipanti fu ampliato con l’inserimento nel programma di gare per moto di
serie, suddivise in tre classi: 250, 350 e 500
Sempre
per creare nuovi motivi di interesse, venne ripristinata, nel 1948, la par tenza
di massa e, nel 1951, entrarono in campo le Ultra-Lightweight (125 cc).
Nel
frattempo, nasceva il Campionato del Mondo di velocità e il TT entrava a far
parte del carosello delle prove iridate. Erano
gli anni d’oro dell’industria motociclistica italiana, che dominava il
mercato e si imponeva nelle corse.
Per ben sei anni consecutivi, dal 1955 al 1960, tutte le
classi del TT venivano conquistate dagli squadroni italiani, Gilera, MV, Guzzi e
Mondial, tra le cui file militavano campioni del calibro di Duke, Hartle,
Hocking, Kavanaeh, Mclntyre, Lomas, Provini, Surtees e Ubbiali.
Il TT
faceva paura, ma esaltava lo spirito combattivo dei principi della velocità e
del rischio, molti dei quali, non dimentichiamolo, erano stati piloti da caccia
durante il secondo conflitto mondiate.
Certo,
quel tragico 12 giugno del 1953, Leslie Graham, primo campione del mondo della
storia del motomondiale, provava gettandosi a capofitto con la MV giù dalla
discesa di Bray Hill, la stessa ebrezza di tuffarsi in picchiata con il suo
Spitfire sul nemico. Al termine del discesone, c’è una brusca ripresa di
quota, dove le sospensioni delle moto dell’epoca andavano completamente a
fondo corsa. Qualche cosa non
funzionò in quelle della MV e la picchiata del bravo Leslie terminò
tragicamente contro un muro.
Nonostante ciò, non furono pochi quelli che, pur
avendo visto la “morte” da vicino, tornarono a sfidare il mostruoso TT.
Il
rhodesiano Ray Amm, vincitore per ben due anni consecutivi del Senior TT
(1953-1954) soleva dire: “Se nell’entrare in curva non provo per un attimo
la raggelante sensazione di non stare dentro vuol dire che l’ho presa troppo
piano...
Nel
1959, ad esempio, i concorrenti venivano
selezionati in base alle loro capacítà e in base al tempi fatti segnare nelle
prove, durante i giorni precedenti alla gara.
I primi cinque
prescelti si contendevano, a sorte, l’onore e il vantaggio di partire in
testa, mentre il resto del gruppo seguiva singolarrrìente, nell’ordine
designato dal tempi in prova, a intervalli di dieci secondi.
La lotta per
le posizioni di testa si accendeva dunque fin dalle prime battute, con
emozionanti bagarre tra i cinque campioni, curva dopo curva, per tutto il
lunghissimo perimetro del tracciato.
Nel frattempo,
l’evoluzione tecnica portava sulle strade del terribile “Mounitain” moto
sempre più potenti e veloci.
Nel
1960, Derek Minter polverizzava, con la Honda, il record della pista, girando a una media di oltre 160
km/ora.
In quello stesso anno, Mike Hailwood conquistava il meritato titolo di re del TT, aggiudicandosi tre delle quattro classi in programma: la 500 con la Norton, la 250 e la 125 con le Honda, un record, questo, che Mike “the bike” riuscì a uguagliare nella edizione del 1967, vincendo, con le Honda, le tre classi più prestigiose:250, 350 e 500.
Va ricordato, inoltre, che, sempre Hailwood, vinse ininterrottamente il Senior TT per ben sei anni consecutivi (1961-1967), prima con la Norton, poi con la Honda e infine con la MV.
Da sottolineare, a
questo proposito, che la Casa di Cascina Costa ha totalizzato un impressionante
numero di vittorie nel TT: ben 34, a pari punti con la Norton, contro le 18
della Honda e le 1 1 della Moto Guzzi, questo, beninteso, nell’arco che va dal
1907 al 1976, anno in cui il TT cessò di essere prova del motomondiale.
Se
da una parte il TT esaltava per i valori tecnici e umani in campo, dall’altra
sempre più spaventava per l’impressionante serie di incidenti mortali che
costellavano la sua carriera iridata.
Novantanovesima
vittima del mostruoso “Mountain” era, nel giugno del 1972, Gilberto
Parlotti. Pioveva quel giorno
sull’isola, e Gilberto era impegnato con la Morliidelli a conquistare preziosi
punti nel mondiale delle ottavo di litro, un mondiale che lo vedeva finalmente
protagonista in sella a una moto vincente, dopo anni di dura gavetta.
Il
1972 doveva e poteva essere il suo anno; aveva già vinto le prime due prove
iridate, correndo alla disperata su altre due piste infernali del motomondiale,
il tetro Núrburgring e il tortuoso Clermont-Ferrand.
Anche allora
aveva forse rischiato più del dovuto, per dimostrare di avere, nonostante gli
anni, la stoffa del grande campione; ma l’insidioso TT gli sbagli non li
perdona: affrontare il tratto di Verandah a oltre 160 km/ora con il fondo
sconnesso e bagnato è pura follia; un palo di cemento metteva tristemente fine
ai sogni di gloria del grande Gilberto.
I Big
se ne vanno
Il TT
appariva ormai, a tutti gli effetti, inadatto a ospitare le prove del
motomondiale.
Nonostante
ciò, la potente federazione motociclistica inglese riusciva a ottenere, per ben
altri tre anni consecutivi, il nullaosta dalla Federazione Motociclistica
Internazionale perché la gara facesse parte del carosello iridato.
Non siamo però
più ai tempi degli spericolati Graham e Amm, quando il rischio era l’elemento
principale del gioco: i piloti ufficiali degli anni Settanta sono dei
professionisti, forse meno romantici, ma certo più consci delle proprie
possibilità e del pericolo che possono rappresentare circuiti come il Tourist
Trophy.
Scontato,
quindi, che i numeri uno della velocità decidano di disertare in massa il TT,
che si trasforma, nei tre anni in cui resta ancora in calendario come prova
iridata, in una competizione tutta inglese tra spericolati piloti privati.
Non
mancano purtroppo gli incidenti mortali: nell’edizione del 1975, Phil Gurner
finisce contro un muro in località Miltown, mentre, l’anno successivo, il TT
si conclude con il tragico bilancio di due morti e un impressionante numero di
feriti.
Anche la FIM decide che è finalmente tempo di fermare questo
inutile massacro e l’Inghilterra viene obbligata a scegliersi una nuova sede
per la prova iridata. Questa
decisione, però, non fa certo desistere gli organizzatori della classica
inglese che, per riattizzare il sacro fuoco, escogitano formule di ogni genere.
Nel 1977, vengono istituite le Formule Uno, Due e Tre per moto derivate dalla serie
Libertà più completa per quanto riguarda le elaborazioni della ciclistica, ma motore, carburatore e trasmissione sostanzialmente di serie.
Gloriosa
l’edizione del 1978, quando il grande asso Mike Hailwood, ormai quarantenne,
fa la sua comparsa in sella a una Ducati e conquista il TT Formula Uno girando a
una media di 174,625 km/ora. Mike
“the bike” si ripete l’anno successivo, questa volta in sella a una Suzuki
500 del team Heron, con la quale vince la classe Senior, classificandosi inoltre
secondo, con la stessa moto, nella gara mista tra due e quattro tempi, da 250 a
1000 cc.
Il
TT è per la verità abbastanza caotico come classi, ora che non è più
valevole per il mondiale: si corrono la F1, a cui possono partecipare moto a due
tempi da 250 a 500 ce e a quattro tempi da 600 a 1000 cc; la “Classie Race”
per moto da 250 a 1000 cc a due o quattro tempi; la “Senior Race” per moto
da 250 a 500 cc; la “Junior Race” da 176 a 250 cc; la F2 per moto da 250 a
350 cc, se a due tempi, e moto da 400 a 600 cc, se a quattro tempi; la F3 da 125
a 250 cc, se a due tempi, e da 200 a 400 cc, se a quattro tempi.
Oltre
a tutte queste classi, per invogliare i piloti a partecipare alla corsa, vengono
istituiti forti premi in denaro e generosi ingaggi per gli assi più celebrati.
Si
continua a correre sul pericoloso “Mountain” e purtroppo si continua a
morire.
Nell’anno
del ritorno trionfale di Hailwood, sono addirittura cinque i piloti che perdono
la vita su quei sessanta agghiaccianti chilometri.
Nel
1980, lo scozzese Alex George, promessa del motomondiale, vola via a Ginger
Hell, dando l’addio alla sua promettente carriera.
Nel
1981, mentre Mick Grant vola verso la vittoria, nella Senior Race, riservata
alle moto da grand prix, un pressoché sconosciuto pilota australiano, Kenny
Blake, si aggiudica il triste primato di essere la 130 vittima del moloch delle
piste.
Nel 1986, Iain Ogden, 26 anni, nativo dell’isola, e Alan Jeavis portano a 139 il numero di piloti caduti rincorrendo un sogno di gloria nella brumosa isola delle streghe, l’isola di Man.
(tratto da Enciclopedia della moto IGDA)
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