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Mille Miglia
Non era la corsa più lunga del mondo né la più
vecchia, né la più difficile. Ma
fu senza dubbio la più affascinante, quella che più di ogni altra è rimasta
nell’animo di milioni di sportivi.
Per trent’anni, dal 1927 al 1957, la Mille Miglia
è stata la competizione automobilistica per eccellenza, non solo per gli
italiani, ma per gli appassionati di tutto il mondo.
Nel 1957, quando fu abolita, si disse che
nessun’altra gara avrebbe mai rinnovato l’entusiasmo, la carica agonistica e
il prestigio internazionale che caratterizzarono ogni edizione della corsa
italiana. Si disse cioè che la
Mille Miglia era irripetibile: oggi, a molti anni di distanza, appare chiaro che
le previsioni di allora erano assolutamente esatte.
Non si creda tuttavia che fosse una gara retta da
formule magiche; tutt’altro. La
Mille Miglia nacque in modo semplicissimo il giorno della vigilia di Natale del
1926. Quattro appassionati di
automobilismo, Renzo Castagneto, Giuseppe Mazzotti, Ajmo Maggi e Giovanni
Canestrini, discutevano tra loro traendo amare considerazioni sul periodo di
crisi che stava attraversando lo sport italiano delle quattro ruote.
A loro avviso solo una corsa nuova e di vasto richiamo avrebbe potuto
risolvere la situazione rilanciando l’automobilismo agonistico rinnovandone la
gloriosa tradizione passata.
Uno di essi stese su un tavolo una carta geografica sulla quale venne segnato un ipotetico percorso che, seguendo le principali vie di comunicazione, partiva da Brescia, scendeva a sud fino a Roma e tornava quindi nella città lombarda. In tutto erano circa 1600 chilometri, che Mazzotti, reduce da un lungo viaggio in America e abituato al sistema di misura vigente oltreoceano, convertì subito in miglia: Mille Miglia. Sia per la singolare quanto casuale rotondità della cifra sia per il gradevole accostamento fonetico delle due parole, Mille Miglia si prestava ottima-
mente come denominazione della gara. Ma la dottrina
nazionalistica allora imperante in Italia avrebbe sicuramente censurato una
denominazione così poco italiana. i quattro ricordarono tutta via che il
miglio, assai prima che dagli inglesi, dagli americani e da tanti altri, era
stato adottato come unità di misura addirittura dai Romani e che quindi Mille
Miglia non tradiva in alcun modo il nazionalismo. E infatti la denominazione«
passò » e rimase immutata per tutte le 24 edizioni della corsa La Mille Miglia
non si fermò a un semplice rilancio dell’automobilismo italiano ma traboccò
ben presto dai confini dello sport fino a entrare direttamente nel costume
nazionale. Era infatti la corsa che passava sotto casa, o appena più in là,
permettendo una sorta di confidenza tra il tra il pubblico, i bolidi e i loro
piloti ben più viva e immediata di quella offerta dalle gare in pista. E’ per
questo che i suoi vincitori godettero di tanta popolarità.
Ma la Mille Miglia, oltre a quella agonistica, svolse
numerose altre funzioni, essa costituì sempre per l’automobile e la viabilità
uno stimolo al progresso e all’evoluzione. Le strade del 1927, ,anche quelle di grande comunicazione,
erano in condizioni pessime: niente asfalto, buche, sassi, polvere.
Alla fine della prima edizione la media dei vincitori, Minoia e Morandi,
(77,238 km/h) fece sensazione. E
quando, nel 1930, superò per la prima volta i 100 orari, si gridò al miracolo.
Solo tre mesi di gestazione furono sufficienti agli
organizzatori per attuare la prima edizione della corsa, che ottenne immediato
favore da parte delle autorità ma che lasciò dubbiosi parecchi sportivi sulle
effettive possibilità di successo. Era
il 26 marzo 1927 e 77 vetture, con 154 uomini, presero il via da Brescia.
Parti per primo l’equipaggio formato da Ajmo Maggi, uno dei promotori,
e da Ernesto Maserati su Isotta Fraschini.
Ma i favori del pronostico andavano a Gastone Brilli Peri, su Alfa Romeo.
C’era poi la forte squadra delle OM capitanata dalla coppia Nando
Minoia-Giuseppe Morandi. Le
partenze iniziarono alle 8 e si conclusero alle 9,43; il via venne dato prima
alle grosse cilindrate e poi alle piccole.
Animatore della prima fase di gara fu Brilli Peri
che, in coppia con Presenti, raggiunse Bologna con quattro minuti di vantaggio
su Minoia e piombò quindi a Roma in poco più di sette ore, a una media
di circa 80 km/h. Ma a Spoleto, a
meno di metà corsa, il campione dell’Alfa Romeo dovette abbandonare,
inaugurando così quella fatidica regola in base alla quale la vittoria sarebbe
sempre sfuggita al concorrente che a Roma si fosse trovato in testa alla gara.
Dopo il ritiro di Brilli Peri rinvenne fortissimo Minoia, sulla OM, una macchina bresciana. Alle sue spalle altre due OM, quelle di Timo Danieli-Renato Balestrero e di Mario Danieli-Archimede Rosa, si installarono in seconda e in terza posizione. E in quest’ordine le tre vetture tagliarono il traguardo dopo oltre venti ore di corsa. L’ultima macchina che giunse all’arrivo di Brescia fu la piccola Peugeot di 750 cc dell’equipaggio Lauvergne-Lavergue.
Il bilancio fu più che lusinghiero.
Mussolini da Roma sentenzia: « Si ripeta ». Il mito della Mille Miglia
era così iniziato. Si sarebbero
avute altre 23 edizioni, in un arco di tempo di trent’anni, prima che
l’ultima macchina (la Maserati di Stirling Moss) prendesse il via da Brescia,
da quel viale Rebuffone divenuto celebre come via Montenapoleone a Milano o Via
Veneto a Roma.
Nel 1928 in ossequio al volere del duce, ma
soprattutto in base al successo ottenuto da quella prima « milleseicento
chilometri »’, la gara venne ripetuta, nonostante gli organizzatori ne
avessero previsto una sola edizione. OM,
Alfa Romeo, Bugatti e Lancia erano fra le Case favorite. I pronostici andavano
in particolare alla Bugatti e all’Alfa Romeo, che apparivano fortissime.
La prima allineava tre vetture guidate da altrettanti campioni: Nuvolari,
Bordino e Brilli Peri. L’Alfa,
dal canto suo, disponeva di due squadre che avevano in Campari-Ramponi la coppia
di punta e nella nuova 1500 a 6 cilindri la macchina-sorpresa.
Le Bugatti partirono velocissime portandosi subito al
comando, prima con Nuvolari e poi con
Brilli Peri, ma entrambe furono costrette a cedere e fu allora Campari a
prendere stabilmente la testa. Né
la Lancia di Gismondi né la OM di Rosa-Mazzotti poterono minacciare la marcia
dell’Alfa Romeo che colse sul traguardo di Brescia la prima di una lunga serie
di vittorie. La media di Campari fu
di 84,128 km/h.
Per il 1929 la 1500 Alla diventò 1750 per meglio
competere con le OM e le Lancia. Ma
fu una Maserati, la 1700 cc di Borzacchini, a salire prepotentemente alla
ribalta nella prima fase di gara. A
Firenze Campari e Varzi, i due alfieri dell’Alfa Romeo, erano già staccati
rispettivamente di sei e di nove minuti; Borzacchini, continuando nella sua
brillante azione, passò da Roma ancora in vantaggio sugli inseguitori, ma
proprio nei pressi di Terni, sua città natale, fu costretto al ritiro per la
rottura del cambio. Campari si trovò
in testa, come era avvenuto l’anno precedente, mentre Achille Varzi si
classificò al terzo posto alle spalle dell’equipaggio Morandi-Rosa.
Spettacolo e colpi di scena avevano caratterizzato le
prime tre edizioni della corsa. La
quarta, quella del 1930, le superò tutte per la lotta appassionante tra due
uomini, Nuvolari e Varzi, che monopolizzarono la corsa.
Già a pochi chilometri dalla partenza fu chiaro che la quarta Mille
Miglia non avrebbe avuto altri protagonisti.
Varzi, avviatosi prima del rivale e quindi in posizione di svantaggio,
partì decisissimo e, dopo una breve sfuriata iniziale di Arcangeli con la
Maserati, si portò al comando, facendo registrare sulla San Quirico
d’Orcia-Roma, sulla RomaTerni e sulla Spoleto-Perugia strabilianti medie
parziali. Ma Nuvolari, in coppia
con Guidotti, gli era sempre alle spalle, tanto che i due transitarono dalla
capitale in tempi pressoché identici. Sia
la macchina di Nuvolari sia quella di Varzi ressero magnificamente per tutta la
durata della corsa. Nell’ultimo
tratto Achille Varzi, che credeva probabilmente di avere accumulato un buon
margine di vantaggio sul rivale, venne raggiunto e superato di sorpresa da
Nuvolari. La leggenda dice che in
questa manovra il mantovano spense i fari della propria vettura per poter meglio
avvicinarsi a Varzi e superarlo di slancio.
Una ricerca storica accurata ha dimostrato l’infondatezza di questa pur
esaltante versione dei fatti. Quando
infatti Nuvolari raggiunse Varzi era ormai l’alba e i fari, accesi o spenti
che fossero, non si prestavano più ad alcun trucco.
Vittorioso a 100 di media, Nuvolari iniziò proprio
con questo successo alla Mille Miglia la sua prodigiosa carriera e inaugurò
contemporaneamente il decennio degli anni trenta, forse il più spettacolare e
affascinante di tutta la storia dell’automobilismo.
Nel 1931 l’Alfa Romeo, favoritissima, subì una
inattesa sconfitta a opera della Mercedes di oltre 7 litri di cilindrata di
Caracciola-Sebastian. Complici
della débácle italiana furono le gomme che sulla nuova vettura da 2300 cc causarono incidenti a ripetizione. Caracciola, che guidava appunto la potente ma pesante
Mercedes, non godeva dei favori del pronostico, ma la corsa si
incaricò di rovesciare ogni previsione.
Solo Borzacchini, con la vecchia e sperimentata Alfa 1750, e Campari
tentarono di opporsi alla grossa Mercedes, ma nell’ultima parte del percorso
Caracciola riuscì a sfruttare appieno l’enorme potenza della sua vettura
vincendo a 101 di media.
La sesta edizione, quella del 1932, vide la media salire da 101 a ben 109 chilometri orari.
Già a Firenze i favoriti Nuvolári e Caracciola, entrambi su Alfa Romeo,
furono costretti al ritiro. La
lotta rimase quindi circoscritta a Borzacchini, al sempre forte Campari e
all’equipaggio della scuderia Ferrari formato da Trossi e da Brivio.
Vinse Borzacchini che sull’AnconaBologna viaggiò a 142 di media.
Su sei edizioni l’Alfa Romeo ne aveva già vinte
quattro e la serie era ben lontana dalla conclusione. L’edizione del 1933 non fu caratterizzata da particolari
colpi di scena. Tazio Nuvolari, in
coppia con Decimo Compagnoni, vinse agevolmente a una media di circa un
chilometro inferiore a quella record stabilita da Borzacchini l’anno prima.
Secondo si classificò l’equipaggio Castelbarco-Cortese; terzi
Taruffi-Pellegrini.
Ben altra eco ebbe l’edizione del 1934.
Ancora una volta Nuvolari e Varzi furono padroni assoluti del campo.
Varzi, che dal 1930 guardava alla Mille Miglia come a una corsa
stregata, ottenne in quell’anno una vettura della scuderia Ferrari identica a
quella che l’Alfa Romeo, per mezzo di Jano, aveva affidato a Nuvolari. Quest’ultimo partì alle 5,40’; Varzi alle 5,44’.
Il vantaggio era questa volta del galliatese che poteva in tal modo
controllare la corsa del suo diretto avversario.
I pneumatici, non adatti
alla giornata piovosa e al fondo viscido, misero subito in difficoltà Nuvolari che
venne ben presto raggiunto e superato da Varzi, mentre gli outsider di turno,
Tadini e Barbieri, si erano insediati temporaneamente al comando.
Dopo Firenze la pioggia cessò e Nuvolari riuscì a recuperare tutto lo
svantaggio, fino a infliggere a sua volta diversi minuti di distacco a Varzi.
Ma a Imola, prima di affrontare l’ultima parte della corsa, Ferrari
fece montare sulla macchina di Varzi speciali pneumatici ancorizzati e il
galliatese ebbe corsa vinta. Infatti
a Nuvolari e al suo compagno Eugenio Siena non rimase che la seconda posizione
dopo un duello durato più di 14 ore.
Nel 1935 ai protagonisti di sempre si affiancarono
nomi nuovi: Brivio, Pintacuda, Farina e soprattutto quel Clemente Biondetti che
saprà aggiudicarsi ben quattro delle successive edizioni della gara.
In quell’anno un’Alfa Romeo 2900, nata come monoposto e in seguito «
gonfiata » nella carrozzeria per permettere l’alloggiamento del secondo
passeggero, vinse la corsa guidata da Carlo Pintacuda.
Accanto al vincitore aveva viaggiato il marchese Della Stufa che, a causa
dell’abitacolo quanto mai angusto, disputò tutta la corsa seduto su un
fianco.
Protagonisti dell’edizione 1936 furono Pintacuda,
Brivio, Farina e Biondetti. Quest’ultimo
fu il più veloce nelle fasi iniziali ma su tutti riuscì a spuntarla Brivio che
oppose all’irruenza dei compagni di squadra (tutti e quattro correvano per
l’Alfa Romeo) un’eccezionale regolarità.
Da segnalare in quell’anno la partecipazione alla corsa di alcune
vetture a gasogeno.
Anche nel 1937 la lotta per la vittoria rimase
circoscritta ai protagonisti dell’edizione precedente.
Farina fu autore di un’ottima gara, ma nulla poté contro lo scatenato
Pintacuda che conquistò in tal modo la sua seconda vittoria alla Mille Miglia.
Quell’anno corse anche l’autista del duce, Boratto, che in coppia con
Guidotti si classificò al quarto posto.
Nel 1938 emerse definitivamente Clemente Biondetti.
Disponendo di un’Alfa Romeo da oltre 300 cv e su un percorso
leggermente più veloce dei precedenti, vinse a ben 135,391 km/h, relegando il
favorito Pintacuda al secondo posto. Ma
la vittoria di Biondetti passò quasi in sordina di fronte alla tristissima eco
suscitata dall’incidente di Bologna, dove un’Aprilia uscì di strada
uccidendo dieci persone. La
sciagura destò preoccupazione e allarme tanto che nel 1939 la Mille Miglia non
si disputò.
La corsa riprese nel 1940 ma venne organizzata su un
circuito già sperimentato circa quarant’anni prima: Brescia-Cremona-Mantova.
Strade velocissime che videro la netta supremazia delle tedesche BMW che
con Von Hanstein conquistarono la vittoria a 166 di media. Secondo fu ancora una volta Nino Farina, su un’Alfa Romeo.
Poi la guerra concluse il primo ciclo della Mille Miglia.
Nel 1947, dopo sei anni di interruzione, gli
organizzatori bresciani riuscirono a rimettere in piedi la manifestazione nella
sua formula originale, sul classico percorso Brescia-Roma-Brescia.
L’ancora incerto avvio della produzione automobilistica era evidenziato
dai modelli scesi in gara in quell’anno; alle vetture d’anteguerra, tra cui
le più valide erano ancora le Alfa Romeo, si affiancava, unica auto nuova, la
piccola Cisitalia di 1 100 cc. E fu
proprio con una Cisitalia che Tazio Nuvolari, ormai anziano e già leggendario,
si allineò al via. Naturalmente
corse da protagonista. Avrebbe
vinto, pur contro l’Alfa Romeo di cilindrata ben superiore di
Biondetti-Romano, se un violento temporale non l’avesse ostacolato
nell’ultima parte del percorso. Una parte oltretutto velocissima che favorì la più potente
Alfa Romeo con carrozzeria chiusa di Biondetti (la Cisitalia aveva invece
carrozzeria aperta). Biondetti
colse la sua seconda vittoria ma Tazio Nuvolari, secondo assoluto, venne
proclamato vincitore morale della gara.
Nel 1948 la competizione si risolse di nuovo in un
duello tra Biondetti e Nuvolari; entrambi guidavano la macchina del momento, la
Ferrari.
1949: quarto
successo per Biondetti
La Mille Miglia era ormai lo specchio della rapida
rinascita dell’industria automobilistica.Con l’edizione del 1949 scomparvero
le macchine d’anteguerra per far posto a costruzioni del tutto nuove.
Era già iniziato il tempo della Ferrari che delle undici edizioni
successive ne avrebbe conquistate ben otto.L’anno seguente un nuovo pilota, il
giovanissimo Gianni Marzotto, conquistò una clamorosa vittoria alla guida di
una Ferrari blu berlinetta; alle sue spalle si classificarono Serafini-Salani e
Fangio-Zanardi, questi ultimi a bordo di un’Alfa Romeo sperimentale.
Costretti al ritiro furono invece Villoresi, Ascari e Biondetti. Sempre
più imponente per la massa di iscritti e per la risonanza pubblicitaria, la
Mille Miglia era ormai diventata un appuntamento annuale irrinunciabile per
tutti i migliori piloti del mondo. Nel
1951 la corsa fu bersagliata dal maltempo.
Ascari uscì di strada; Gianni Marzotto, partito velocissimo, si ritirò
a Pesaro. La potente Ferrari di
Gigi Villoresi ebbe così via libera. Sorprendente
fu la corsa di Giovanni Bracco, su una Lancia Aurelia, giunto secondo assoluto,
e non da meno quella di Fagioli, ottavo assoluto, su una piccola OSCA 1100.
Nel 1952, passato alla Ferrari, Giovanni Bracco compì
l’impresa più clamorosa della sua carriera, cogliendo un’esaltante vittoria
ai danni dello squadrone Mercedes, forte di Kling, Lang e Caracciola.
A Firenze Kling, al volante della nuova 300 SL, aveva circa quattro
minuti di vantaggio su Bracco, ma lungo la logorante salita della Futa il pilota
italiano riuscì a colmare tutto il distacco e giunse a Brescia addirittura con
quattro minuti e trenta secondi di vantaggio su Kling.
Nel 1953 ritornò prepotentemente alla ribalta Gianni
Marzotto che, alla guida di una Ferrari 4100, vinse la gara a 142 di media
infrangendo così il vecchio record di Biondetti che resisteva dal 1938.
La corsa era iniziata velocissima grazie all’exploit di Sanesi che,
alla guida di un’Alfa Romeo Disco Volante, piombò a Pescara a 176 orari;poi andò
in testa Kling e quindi Fangio, entrambi al volante delle vetture del Portello.
Marzotto seguiva velocissimo e, appena Fangio ebbe noie allo sterzo,
prese saldamente il comando per non abbandonarlo più.
Nel 1954, in onore di Tazio Nuvolari da poco
scomparso, la Mille Miglia dirottò su Mantova.
L’ultima parte della corsa, la Cremona-Mantova-Brescia, fu cronometrata
per l’assegnazione del « Gran Premio Nuvolari ». Alberto Ascari, al volante
di una Lancia 3300, si aggiudicò sia la Mille Miglia sia il « Gran Premio
Nuvolari »; sull’intero percorso stabilì una media (139) leggermente
inferiore a quella record di Marzotto, mentre nel tratto Cremona-Mantova-Brescia
fece registrare oltre 180 km/h. Al
secondo posto si classificò Vittorio Marzotto su Ferrari e al terzo Luigi
Musso, su Maserati. Taruffi e
Farina furono messi fuori causa, il primo da un guasto meccanico, il secondo da
un’uscita di strada.
La terz’ultima edizione, quella del 1955, passò
alla storia come la gara del primato. Il
giovane Stirling Moss, al volante di una Mercedes 300 SLR, condusse infatti la
corsa a ritmo velocissimo vincendo a 155 orari. Il record scaturì da una serie di condizioni perfette:
percorso, tempo, macchina e pilota. Secondo,
vittima di un guasto meccanico che ne rallentò notevolmente la marcia,giunse
Fangio sull’altra Mercedes.Dopo 24 anni la Casa di Stoccarda era tornata a
vincere nella grande corsa italiana, affrontata con disciplina e organizzazione
eccezionali. Alle spalle dei due
alfieri della Mercedes giunse Umberto Maglioli con la Ferrari.
Ritiratesi le Mercedes, l’edizione del 1956
sembrava doversi risolvere in un duello fra la Ferrari e la Maserati.
Quest’ultima disponeva nella propria squadra del prestigioso Moss, ma
il pilota inglese fu costretto al ritiro e la gara fu totalmente nelle mani dei
piloti della Ferrari: Castellotti, Collins, Musso, Fangio e Gendebien,
classificatisi nell’ordine dopo una corsa durissima svoltasi quasi interamente
sotto la pioggia. Fu la più bella
vittoria di Eugenio Castellotti, che pur in condizioni di tempo tanto
sfavorevoli, fece registrare la notevole media di 137 km/h.
Giunta alla sua 24 a edizione la Mille Miglia pareva
ancora lontana dall’avere esaurito la sua funzione sia tecnica sia agonistica.
Invece nel giro di qualche ora il problema della sicurezza si pose in
termini drammatici e determinò senza appello la fine della gloriosa
manifestazione.
Il marchese spagnolo Alfonso de Portago, giunto a
pochi chilometri dal traguardo, rimase vittima di un terrificante incidente: sul
rettilineo di Guidizzolo la sua Ferrari stava procedendo a non meno di 250
all’ora quando lo scoppio di un pneumatico la mandò a falciare la folla
presente ai bordi della strada. Il
bilancio fu spaventoso: dieci persone, oltre a De Portago e al suo compagno
Nelson, persero la vita.
Riguardo all’andamento di quest’ultima edizione,
da segnalare l’eccezionale cavalcata della Ferrari di Peter Collins che,
giunto a Parma, dovette abbandonare proprio mentre stava per abbattere il record
di Moss. Vinse un’altra Ferrari,
quella pilotata dal veterano Piero Taruffi, già protagonista di tante edizioni.
Al secondo posto il giovane tedesco Volfang von Trips.
Quel tragico giorno, il 12 maggio 1957, la Mille Miglia finì.
Con essa scomparve la corsa più bella del mondo.
Gli organizzatori fecero l’impossibile affinché il
mito della Mille Miglia potesse rinnovarsi ma le autorità furono irremovibili e
non concessero più l’autorizzazione per lo svolgimento della gara.
L’Automobile Club di Brescia ricorse allora a un compromesso: una corsa
mista di regolarità e velocità su un percorso di 1500 km.
Se ne disputarono tre edizioni tutte denominate Mille Miglia.
Nel 1958 vi parteciparono 111 equipaggi, tutti su
vetture di serie. Vinsero
Taramazzo-Gerini con una Ferrari 250 GT. Nel
1959 i partenti furono 104 e la vittoria andò all’equipaggio AbateBalzarini
su Ferrari 250 GT. L’edizione del
1961 venne anche considerata prova valida per il Campionato europeo Rally e vide
la vittoria di Andersson-Lohmander su Ferrari.
Con questa edizione il prestigioso nome di Mille Miglia venne archiviato
per sempre. In realtà il capitolo
più affascinante dello sport automobilistico italiano era già definitivamente
chiuso dal 1957.