RADIOHEAD: Kid a
[2000]

 



Suoni: a lungo le parole ci hanno offerto un'alternativa.

Non funziona più così.

Di mattina si succhia un limone. Di pomeriggio un po' di training autogeno a mantenere l'ottimismo. Di sera si va a ballare in idioteque.

Attraverso noi, i suoni si modificano, si coprono di immagini, e sensi che fluttuano nell'azione in vacanza premio permanente dalla coscienza.

A qualcuno interessa ancora il nuovo, a qualcun altro il vecchio. Ma insomma, a ben cercare, tutto è impastato con tutto.

Vale l'umore, laddove l'oscillazione fra umore a e umore b ricomprende il tutto, dall'emozione centrifugata all'espressione coartata a materializzarsi.

Ebbene Kid a esprime perfettamente i limiti illimiti della gabbietta informatizzata. E' sublimazione della miseria ad opera della macchina e sublimazione della macchina ad opera della miseria della vita.

Cosa i Radiohead erano: ragazzotti che cercano riff epocali e un residuo uso creativo delle chitarre.
Fino a The bends riuscirono a vendere il loro tentativo vano. Poi il potere.
Oggi la forma si apre. Non basta comprare un buon synth, o setacciare Camden alla ricerca di vecchi moog.

Bisogna scrivere canzoni, e aprire la gabbia. E far valere il proprio status di icone. La musica si iconizza.

Il senso rifluisce nel suono.

Show-business capriccioso: il mondo si spacca nella differenziazione dell'offerta.

Il vantaggio di aver asimilato Kid a: è merda che non puzza, pallottola che non perfora, ma cade giù, su un marciapiede della Terra ridotta a Uomo.

Non è un capolavoro: è il crepitìo delle fiamme nel magazzino della Musica.

Tanto basta.

 

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