Duncan Browne : Give me take you
[1968]

 


Non vi è un motivo in particolare perché sia Domenica, fuorché quello evidente che sei giorni vi hanno teso, spasmodici. Domenica è radura: il fitto dei pensieri materializzati nell'oscura selva di Morrisiana memoria trovano qui slargo: il sole si fa voyeur, le frasche vagheggiano pigre la fine del tempo, il tempo attende la fine delle frasche. Un amore postmoderno.

Cosa sarebbero le ineffabili reveries dell'animo senza le note che le sostengono? Cosa sarebbe in generale lo spirito senza l'armonia che il senso melodico cerca senza posa, e il ritmo lega saldamente al terreno?


Io vi comunico un amore, fresco, ma forte e presumibilmente lungo

Ve ne accenno, come se colto di sfuggita, passare in bicicletta, a margine di stradina olandese, senza alture: qualche pigro mulino a fornire idea di ciclicità e sottrarre brama, et fregola di possesso.

Disco d'Autunno pieno, non cinguettante ma operoso a guardare i dintorni e procacciarsi rifugio; una pioggia sta per giungere, il freddo seguirà a ruota. A saucerful of dry leaves.

Lezioso sì, ma al contempo denso, immaginativo: meno decadente di opere analoghe quali il primo (splendido per carità) Colin Blunstone, ma estremamente più vivo e forestale, tellurico ecromaticamente devoto al verde della vita primigenia.

Amg mi suggerisce *full of haunting, McCartney-esque melodies", ma dovrebbe trattarsi di un Macca inseguito dalla strega di Blair, come minimo. Macca tende a *stringere*, condensare, setacciare la melodia sì che il denso possa aggrapparsi alle pareti del cervello: Browne scorre, o è come il passero che ogni tanto s'imprigiona dopo un volo sperimentale fra i vostri posters e i vostri cd.

Voto di partenza: 8,5.

Ah, to be in love...


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