Torri d'avorio, Estate e chissenefrega
16/08/2001

 


Sovrapposizione di ritmi: i ritmi dell'ascolto, i ritmi dell'ascoltato, i ritmi dell'ascoltante. Diverse dimensioni della fruizione. Pulsazioni matrjoska.

Viaggio dalle parti delle 10 ore giornaliere di musica ascoltata; è la più radicale delle mie tossicodipendenze.

Sveglia la mattina alle 7:30, allungo il braccino e pigio il tasto play del lettore cd [Klaus Schultze: Irrlicht]. Avvolto dalle vampe cosmiche prendo lentamente coscienza del mondo individuato, dapprima sono luminescenze lattiginose, lontananze giustapposte in un campo percettivo ristretto. In qualche modo, mi avvicino, il diaframma scivola attratto da un magnetismo necessitante verso aperture più ampie; la luce riempie e restringe.

Primo paradosso: dalla terrifica enorme non-visione dell'inesteso la luce mi ghermisce, e donando alla realtà la sua interminabile forma, lavora per sottrazioni.

Quanto più lo sguardo riesce ad andare in profondità, quanto più la limitazione accresce un sentimento di deprivazione.

Avvolto dal mio campo Kirlian di residui onirici continuo, estendendo agli altri sensi il compito di approcciare la materia, nel mio avvicinamento a un restrizione sufficientemente *reale*. Capisco che non è una libera scelta quella di afferrare un cd [Elliott Smith: Either/or] prima di dirigermi a consumare la colazione. Le chitarre acustiche segnano un ulteriore passo; prima è solo un accompagnamento, lieve, succedaneo degli uccelli che in una città mediamente cementificata non cinguettano per contratto. Poi la voce umana fa irruzione fra le possibilità inverificabili della semplice potenzialità.

Verso la fine della colazione ho già un'idea del ritmo e della variazione. Buone premesse per traslare lo stereo portatile fino al bagno, dove la doccia stende uno scrosicante tappeto sonoro di fondo al terzo cd della giornata [Renè Aubry: Steppe]. Penso per un attimo a Laurie Anderson, che in Home of the brave battendosi il corpo disseminato di sensori lo mutava nel corpo di una batteria. Ma nulla, batto un po' sul petto, faccio risuonare di aria profumata i flaconi semivuoti degli shampoo + bagnoschiuma.

Il corpo prende coscienza dei suoi confini, tracciati dall'elemento acqueo. Oltre il box doccia violini, synth e la reiteratività della melodia mi riportano in mente l'automatismo che abbraccerò accettando di scendere fino in città a comprare il pane, i giornali e iniziando faticosamente a ipotizzare delle vane alternative al tornare subito a casa e leggiucchiando sul letto, mettere su il quinto cd della giornata.

Ma intanto, posticchiando su iamr ascolto il quarto [Astrud Gilberto: Look to the rainbow], riempendomi il petto di qualcosa che con pretestuosa approssimazione mi piace definire saudade. Poi il dovere, lungo la città semi-deserta, con l'astrud in mente.

[Le stelle di Mario Schifano: dedicato a...]. "Gran disco" - ormai la mente ha ripreso il controllo delle operazioni. Mi suscita un senso di smarrimento, la sensazione di un unicum. Penso alle alternative coeve. Qualcosa dei Ragazzi dai Capelli Verdi, ma neanche. La mente tange allora i seventies, ma già ci sono troppe note e perlopiù prestestuose. I testi iniziano a poetare con l'intento di farlo: i "figli degeneri della psichedelia" - secondo la definizione del Guglielmi - non mi avranno mai, per quanto ora possa intendere di me e dei miei gusti. Ma prima o poi busserà anche qui la signora Mezza Età e saran cazzi a giustificare post come questo :-)

Dura anche poco, però, questo delirio pata/Schifanesco. Penso che se avessi avuto la mia bella età nel 1967, pagandogli solo qualche dose di eroina - sarei riuscito a farmi produrre Humpty Dumpty. Ho conosciuto di recente un'anziana signora, e le sue Stelle d'autore. Di un quadro non ricorda neppure di averlo pagato.

Poi quando sono già alla pagina dello sport [niente da fare Zidane è andato e manca qualcuno là in mezzo e là davanti] in sottofondo c'è già qualcosa "di sottofondo", ovvero qualcosa di già vissuto, consumato, con tutte le pietre miliari sparse fra ricordi e pagine di diario [R.e.m.: Reckoning].

Estate: leggere il giornale senza leggere, ascoltare un disco senza ascoltarlo. Della prima attività conservo solo delle associazioni vaghissime con situazioni ipotetiche e passate mescolate nella mente fino alla mistificazione, della seconda il piede che tiene il ritmo, e i buchi che talvolta un guizzo melodico aprono nella disattenzione. Una pianta non potrebbe sentirsi più rilassata di me, penso. Ma in fondo, la mia famiglia sarà di ritorno fra una settimana: e allora basta con il volume dello stereo adeguato alle condizioni dello spirito, basta con i ritmi della fame e del tempo che seguono solo sé stessi.

Poi da uno spunto del giornale sono spinto a raffigurarmi le lunghe code di tutti quelli che dopo un anno di affannoso lavoro trovano distensivo ficcarsi nelle code sulle autostrade, ai musei, o che camminando per il centro storico di questa o quella città alzano il naso verso il cielo per introiettare un po' di ossigeno. Che giustificano la presenza di mostri metallici che solcano il cielo e trapassano le montagne in ogni direzione. Non vi sono alternative al lavoro. Prometeo sogna già le stazioni orbitanti. E forse l'universo non è abbastanza esteso per questa attitudine al consumo.

Un po' di sano pc (la perfezione della tenica? potrebbe passare da qui, ma non ci giurerei), i ng, le mail e [Miracle Workers: Primary domain]. C'è stato un periodo in cui prendevo lezioni di chitarra. Mi torna in mente ascoltando Your brown eyes.
Una volta al mese l'esimio prof. ci concedeva di portare una cassetta con un pezzo che contenesse una parte di chitarra "significativa". Un arpeggio, un riff, una scala, un assolo. Fra le varie Stairway to heaven e vanhalenate dei miei colleghi, io portai Your brown eyesdei Miracle Workers. Impagabile l'espressione del prof. tendente allo scherno e all'insofferenza mentre riproduceva l'arpeggio. Minchy se era distintivo. Ancora oggi mi prendono i brividi ascoltando quel pezzo.

Poi la fame. Il gatto si stiracchia e s'appallottola sulla poltrona. Tanto per movimentargli i sogni schiaffo su un bel [B-52's: b-52's] adrenalinico e aspettando che l'acqua nella pentola si distribuisca attorno e solleciti la fame ciondolo ritmicamente nel soggiorno deserto. Sono le 16 circa. Alle 17:15 circa il cibo nella pancia mi richiede un po' di adeguamento al presente.

Con il magnifico [Zero 7: simple things] alle spalle riaccendo il pc, cazzeggio quel tanto che basta, e inizio a pensare a qualcosa di futile da scrivere.


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