La porta scatta scuotendosi da un torpore grigio, screziato da minuti troppo lunghi, un riposo pomeridiano d'oblìo, un guardare annoiato fino al limite della sopportazione; la stasi dei due amici ancora uniti ed unti da un abbraccio stanco che ha già visto il meglio e di contatto è bramoso per allentarsi, riaprire uno spiraglio all'imprevisto, fosse solo la porta che ha smesso di cigolare, imprevedibilmente, già fissata in un desiderio non confessato, solitario e sincronico. C'è sabbia sulle lenzuola, e liquidi stratificati, i piedi si cercano; non c'è paura, giusto un'asfissia complice, l'esser lì come un segreto che con fastidio sta per essere svelato, e che con sorpresa si espone al pericolo della fine, premonizione di un'eccitazione che è abbandono di privilegi saturi, più morbosi nel momento del loro vacillare, pantomima recitata dai cardini della porta, avallata dai disarmati spettatori che vorrebbero applaudire, se non costasse sforzo ed entusiasmo. I cuscini non sono più morbidi; il piacere li ha resi roccia aguzza che non lacera, ghiaccio che non fredda e fuoco che non riscalda.

La casa davanti al mare apre le sua porta.
Affinché la scena sia ultimata basta solo che l'ospite entri.
Ma dapprima esita e non si fà vedere.
"E' arrivato" sussurra all'orecchio di lui, che annuisce.
"Sarà per noi" dice di nuovo.
"Già".
"Ancora un attimo" prega lui.
"Per favore" -lei non cerca d'essere convincente.

Hanno molte cose da dirsi, ma sospettano che non ci sia il tempo che avevano messo da parte, un giorno, un anno prima, sulla spiaggia dove nacque la loro nascita, e nei giorni di sole che la crebbero di istinti barattati con una modesta quantità di illusione. Perché nel silenzio si desiderano troppe cose. E nessuna si nega, tutte si appiccicano sul cuore, e tutte si spiccicano pagando solo pochi grammi di dolore.
"Avrò una tua fotografia?" e se lei risponde, qualsiasi cosa, lui prende la macchina per le istantanee che tiene sotto il letto.
"Non ne avrai bisogno" risponde lei, non rinunciando a mettersi in posa, ovvero allontanandosi dal corpo di lui che si raffredda ma è impedito dal movimento già intrapreso. Un lampo illumina la penombra e l'odore stantìo di gelsomino moribondo, gli occhi sono socchiusi ma le palpebre si dilatano nella vanità futile del souvenir.
"Sarai sempre con me, ora, come hai sempre promesso". Vorrebbe sorridere ,e sorride al condizionale. Gocce di sudore precipitano sul materasso scoperto da un fremito già segnato. Manca poco,e non ne possiedono la misura.
"Prenderò la tua pelle" annuncia lei,e le sue parole si spengono come cicca in portacenere sulle orecchie di lui.
Il loro amore è una sigaretta alla fine, ma c'è ancora l'ultimo tiro.
"Sarà il mio ricordo".
Lui non risponde, come è sua abitudine, lascia che lei tragga conclusioni. Lei le trae dal cassetto del comodino, una lametta arrugginita, così appaiono. Non c'è nessuna luce, da fuori,che possa farla baluginare negli sparuti angoli della sua gioventù dimenticata. Gli sguardi che si incrociano sono una cacofonia lugubre, e suscitano una risata, destinata a crollare.
"Ti amo" dice mentre due dita opponibili si oppongono in una stretta silenziosa.
C'è tutta la sua forza in quel gesto e quel gesto vorrebbe essere, per un attimo, debole.
C'è quasi un alito di tristezza. Lui la bacia e bacia il suo odore di gelsomino morente.
Perché non è ancora morto. Lei lascia scorrere la lama, disegnando un grande cuore sul suo petto, un bellissimo cuore rosso rosso di vergogna. Il cuore sanguina, e lei è sicura che è per lei. E' il suggello della sua abitudine preferita.
Lo bacia, le labbra sono asciutte.

I pesci nell'acquario guardano distrattamente, senza dire nulla. Vorrebbero un po' di luce, vorrebbero un po' di spazio. Ma non sanno dirlo e nessuno li sente. Stanno lavorando a qualcosa,tracciano linee di spostamenti lenti e rettilinei, non si incrociano mai; opera un tacito accordo. Stanno perdendo i colori, che si depositano sul fondo, legandosi alla ghiaia immobile e da questa germoglia inconsueta vegetazione, del colore dell'oro. L'acquario è una piccola fabbrica, la cui produzione è come coperta da un segreto militare. Ma nella stanza non è in vista alcuna guerra, la si direbbe piuttosto un'esercitazione. Una parata ipotetica a scopi ipotetici. I pesci sono un'affascinante decorazione catatonica delle pareti che la penombra nasconde in un grigio uniforme, solo un po' geometrico.
"Un cuore enorme" dice lei.
"Bellissimi occhi verdi" dice lui,fissando la fotografia che tiene fra le dita, sospirando. In un attimo ineffabile si amano ancora, i corpi si cercano in uno spasimo inconsulto. Si penetrano, si fondono e si baciano con l'ausilio del tempo. Sembra infinito.
Rivedono la spiaggia, il mare che si arrampica gemente sui corpi che gemono, risentono un brivido attraversato da un alito di vento caldo, sono completamente fusi, adesso come allora.
Sembra veramente più infinito di allora. Ne pagano tutto il prezzo.
Il sangue ha un ritmo negato,la notte ha un'armonia sconvolgente.
Ciò che dicono è meravigliosamente invano, non si odono, eppure si sentono.
Parlano, adesso, ricordano tutto ciò che hanno sempre detto, e lo ripetono, un'altra volta, freneticamente, sicuri di non udirsi. Le lingue parlano di suoni che non conoscono.
Sanno di non potere finire. Non c'è abbastanza tempo, non c'è abbastanza spazio, non c'è abbastanza sangue. Quello già versato è una crosta, e le lacrime non lo risuscitano. Il letto li abbraccia, la notte si chiude.
Non guardano più la porta,non la guarderanno mai più..
La casa davanti al mare apre la sua porta.

Adesso il mare è dentro.